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CAPITOLO II
L’ART. 36, 1° COMMA, COST.
NEL LAVORO SUBORDINATO STANDARD
SOMMARIO: 1. Obbligazione retributiva e proporzionalità – 2. Il
principio di sufficienza della retribuzione – 3. Intervento giurisprudenziale e
carattere precettivo del principio costituzionale – 3.1. Sostanziale ininfluenza
del contesto familiare – 3.2. Insussistenza di un principio generale di parità di
trattamento – 3.3. Il c.d. minimo costituzionale – 3.4. Principio di adeguatezza
retributiva e giurisprudenza ribassista – 4. Lavoro subordinato standard vs
nuovi lavori: l’eccezione diventa regola?
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1. Obbligazione retributiva e proporzionalità
Col criterio della proporzionalità (quantitativa e qualitativa) della
retribuzione, i costituenti ne definiscono la funzione in termini di «compenso
adeguato alle diverse caratteristiche intrinseche del lavoro»
1
, senza peraltro
appiattirsi necessariamente sulla mera «logica mercantilistica dello scambio»
2
.
Una dottrina più recente mette in correlazione questa «estraneità alla logica
puramente scambistica»
3
della proporzionalità con la sua «configurazione
quale strumento di corrispondenza oggettiva fra l’entità materiale della
prestazione di lavoro ... e la retribuzione dovuta al lavoratore, anche in vista
del soddisfacimento di specifiche esigenze personali e familiari»
4
,
evidenziando così come i due criteri guida dell’art. 36, 1° comma Cost.,
tendano a «tenersi insieme»
5
. Idea, quest’ultima, sulla quale vi è un diffuso
consenso
6
e che, tuttavia, non impedisce di provare a individuare le
caratteristiche specifiche del principio di proporzionalità e di quello di
sufficienza
7
, per poi procedere a un esame più contestuale, svolto con
particolare riferimento ai riscontri effettivi che sono rinvenibili nell’ambito del
diritto vivente
8
.
1
Cfr. TREU T. (1979). Sub art. 36, in BRANCA G. (a cura di), Commentario della
Costituzione, tomo I, Zanichelli, Bologna-Roma, p. 73.
2
Ivi.
3
Cfr. RICCI G. (2012). Il diritto alla retribuzione adeguata. Tutele costituzionali e crisi
economica, Giappichelli, Torino, p. 42.
4
Ivi.
5
Ivi.
6
Cfr. PALLADINI S. (2012). I principi costituzionali in materia di retribuzione e la loro
applicazione giurisprudenziale, in GRAGNOLI E., PALLADINI S. (a cura di), La retribuzione, Utet,
Torino, 2012, p. 41.
7
Nei primi due paragrafi di questo capitolo.
8
V. infra, par. 3.
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Il dato caratterizzante è senz’altro quello che è stato definito come
«criterio oggettivo di commisurazione della retribuzione»
9
, o anche come
«oggettiva equivalenza, rispetto alla quantità e alla qualità della prestazione
del lavoratore»
10
. La prospettiva, insomma, secondo cui il canone di
proporzionalità «mira ad ancorare la retribuzione a elementi oggettivi,
garantendo al lavoratore una commisurazione del proprio salario rispetto ai
coefficienti della quantità (tempo e risultato) e della qualità (esperienza e
competenza) del lavoro prestato»
11
.
Com’è noto, «i contratti con prestazioni corrispettive assolvono ad una
funzione di scambio, che li caratterizza»
12
; solo che «lo scambio tra
prestazioni non è, però, connotato dall'equilibrio oggettivo tra le prestazioni
scambiate ma, più semplicemente, dalla presenza di un nesso di necessaria
correlazione tra le stesse (una cosa viene data in cambio dell’altra)»
13
. Quindi,
in definitiva: «è proprio l'esistenza di criteri costituzionalizzati di
determinazione della retribuzione a renderla diversa dalle altre forme di
corrispettivo»
14
. La costituzionalizzazione del canone di proporzionalità,
infatti, fa sì che «l’equilibrio oggettivo tra le due prestazioni»
15
(che è invece
“soggettivo”, negli altri casi
16
) assurga a «requisito indefettibile del contratto
di lavoro subordinato»
17
. E ciò, chiaramente, non inficia la natura di
corrispettivo della retribuzione, «perché anche qui, come in tutti i contratti con
prestazioni corrispettive, le prestazioni di ciascuna delle parti trovano la loro
9
Cfr. NOGLER L. (2009). Sub art. 36 Cost., in GRANDI M., PERA G. (a cura di), Commentario
breve alle leggi sul lavoro, IV ed., Cedam, Padova, p. 49.
10
Cfr. GALIZIA C. (2009). La giusta retribuzione tra punti fermi e questioni aperte. Diritti
lavori mercati, vol. 7 (3), p. 610.
11
Cfr. TRIPODINA C. (2008). Sub art. 36 Cost., in BARTOLE S., BIN R. (a cura di),
Commentario breve alla Costituzione, II ed., Cedam, Padova, p. 352.
12
Cfr. CATAUDELLA M. C. (2013). La retribuzione nel tempo della crisi. Tra principi
costituzionali ed esigenze del mercato, Giappichelli, Torino, p. 6.
13
Ibid. pp. 6-7.
14
Ibid. p. 14. Sul punto, per ulteriori ragguagli, v. supra, Cap. I, par. 3, nt. 90
15
Ibid. p. 17.
16
«Per gli altri contratti a prestazioni corrispettive ... si può tutt'al più parlare di “equilibrio
soggettivo” tra le prestazioni», ivi.
17
Ivi.
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ragione d'essere nelle prestazioni dell'altra parte»
18
. Si può dire, anzi, che il
nesso di corrispettività, in un certo senso, ne venga fuori addirittura rafforzato,
«perché la legge, sottoponendo la misura dello scambio ad un vaglio
oggettivo, ha inteso tutelare il contraente debole (nel caso il lavoratore
subordinato), precludendo al datore di lavoro la possibilità di sfruttare la sua
maggiore forza contrattuale per realizzare un assetto di interessi squilibrato a
danno del lavoratore»
19
.
Ora, se è vero che «la proporzionalità tra le prestazioni, intesa come
equilibrio oggettivo tra le stesse, sta a significare che il compenso del
lavoratore deve essere ancorato a criteri oggettivi, che tengano conto
dell'impegno del lavoratore (la quantità del lavoro) e della sua capacità e
competenza (la qualità del lavoro)»
20
, ne consegue che la commisurazione
della retribuzione «dipende non solo dalla durata e dall'intensità del lavoro, ma
anche dal tipo di mansioni espletate e dalle loro caratteristiche intrinseche
(specializzazione tecnica, responsabilità professionale, difficoltà e gravosità
dei compiti)»
21
. Si riconosce in tal modo la valenza «della differenziazione
salariale in relazione alle mansioni svolte ed alla classificazione professionale
assegnata al prestatore di lavoro»
22
.
Questo riconoscimento se, da un lato, legittima le differenze salariali
anche sul piano delle retribuzioni incentivanti, dall’altro, pone allo stesso
tempo il problema del rispetto del principio riassumibile nella massima «a
lavoro uguale salario uguale»
23
. Riguardo alla prima questione, le varie forme
di incentivo salariale che risultano correlate a obiettivi di risultato misurabili
(cottimi, premi di produzione e provvigioni) non entrano in contrasto col
principio di proporzionalità. Sussiste invece una «deviazione rispetto al nesso
18
Ivi.
19
Ibid., pp. 17-8.
20
Ibid., p. 18.
21
Cfr. GHERA E. (2008). Diritto del Lavoro. Cacucci, Bari, p. 133.
22
Ivi.
23
Cfr. ZOPPOLI L. (1991). La corrispettività nel contratto di lavoro, ESI, Napoli, p. 382 (con
particolare attenzione alla nota 79, per i richiami delle convenzioni internazionali da cui trae
fondamento e origine il richiamato principio).
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tra retribuzione e lavoro di cui all'art. 36»
24
ed «è particolarmente netta quando
i parametri incentivanti si riconnettono a fattori indipendenti dai caratteri della
prestazione e dalle scelte dell'imprenditore, come redditività, risultati
finanziari e andamento dei corsi azionari»
25
. Pertanto, nella misura in cui «i
criteri legati a tali fattori esterni — redditività/utili — siano assolutamente
prevalenti per quantificare il corrispettivo»
26
, si potrebbe in effetti verificare
un contrasto col principio costituzionale (e, in tal caso, andrebbe
opportunamente censurato).
Più delicata e complessa è la seconda delle due questioni poste: quella
del «principio di proporzionalità della retribuzione alla qualità e quantità del
lavoro, quale direttiva che impone l'eguaglianza di retribuzione a parità di
lavoro»
27
. Un «corollario necessario della regola di proporzionalità»
28
,
secondo l’autorevole dottrina citata, che però si scontra con un consolidato
orientamento giurisprudenziale
29
, secondo cui l’art. 36 Cost. «fissa il criterio
della proporzionalità ed adeguatezza della retribuzione con esclusivo
riferimento al singolo rapporto di lavoro ed a prescindere perciò da ogni
comparazione intersoggettiva e intercategoriale»
30
. Senza avere la pretesa di
risolvere l’annosa questione, si può in ogni caso sottolineare come «residuino
dei margini per trattamenti retributivi più favorevoli per una parte dei
dipendenti di un'impresa»
31
, anche in ipotesi di vigenza di un siffatto principio
di parità, inteso come divieto di trattamenti discriminatori sotto il profilo
salariale. Ciò in virtù del fatto che «in ultima analisi, a fissare i parametri della
proporzionalità»
32
è sempre l’imprenditore. In sostanza, «il principio paritario
comporterebbe unicamente l'adeguamento delle retribuzioni ingiustamente
24
Cfr. TREU T. (2010). Le forme retributive incentivanti. Rivista italiana di diritto del lavoro,
vol. 29 (4), p. 666.
25
Ivi.
26
Ivi.
27
Cfr. TREU T. (1979), cit., p. 89.
28
Ivi.
29
Sul punto v. più in dettaglio, infra, par. 3.
30
Cfr. NOGLER L. (2009), cit., p. 49.
31
Cfr. ZOPPOLI L. (1991), cit. p. 386.
32
Ivi.
48
discriminate al ribasso al livello di quelle che, secondo lo stesso datore di
lavoro, corrispondono all'effettivo valore del lavoro prestato»
33
. E, in questo
modo, il principio verrebbe a operare più come regola di efficienza che come
vero e proprio limite al potere imprenditoriale di differenziare i trattamenti
retributivi
34
.
In applicazione del principio di proporzionalità, la retribuzione gode,
inoltre, di maggiorazioni in tutti «i casi nei quali la prestazione di lavoro risulti
oggettivamente più penosa del normale»
35
e, segnatamente, «quando a tale
maggiore penosità si accompagni, per le circostanze nelle quali la prestazione
è resa, un maggior pregio della prestazione, che si riverbera sulla qualità della
stessa»
36
. È questo il caso tipico del lavoro straordinario, laddove la
retribuzione maggiorata compensa appunto «non solo la maggiore durata della
prestazione ma anche la maggiore penosità che la stessa assume per il
prestatore dopo un determinato periodo di tempo»
37
, risultando altresì
rispondente «ad esigenze non consuete del datore di lavoro»
38
, che attestano,
di conseguenza, il “maggior pregio” della prestazione di lavoro straordinario.
E alla stessa logica rispondono «i trattamenti indennitari previsti per i
lavoratori notturni»
39
e la maggiorazione salariale riconosciuta «ai lavoratori
che prestino attività di lavoro la domenica (pur fruendo di riposo
compensativo)»
40
.
33
Ivi.
34
«Cosi inteso il principio della parità retributiva comporta unicamente obblighi di
comportamenti trasparenti e razionali, cioè di comportamenti in definitiva pienamente compatibili con
una gestione efficiente e moderna di qualsiasi impresa. Non è quindi un vincolo per l'imprenditore, ma
al contrario una regola a sostegno di moderni criteri di gestione dell'impresa», ibid. pp. 386-7.
35
Cfr. CATAUDELLA M. C. (2013), cit., p. 18.
36
Ivi.
37
Ibid., p. 19.
38
Ivi.
39
«Il lavoro che viene svolto in un periodo (la notte) nel quale generalmente si dorme, è
considerato, infatti, più penoso per il lavoratore rispetto a quello che si svolge durante il giorno, tanto
da essere assistito anche da una serie di tutele dirette a garantire la salute del lavoratore che lo svolge
[...]. Pure in questo caso, peraltro, le circostanze temporali nelle quali la prestazione è resa, la fanno
apparire più utile del consueto e le danno maggior pregio», ivi.
40
Ivi.