IV
politiche di Responsabilità Sociale mediante l’inserimento di specifiche clausole di
tutela all’interno del contratto internazionale, nonché attraverso la cernita dei propri
fornitori e subfornitori.
In secondo luogo, tale lavoro ha come scopo quello di tracciare i contorni
distributivi di una realtà imprenditoriale che, in Italia come in Europa, si è mostrata
particolarmente aperta a tali questioni ed ha risposto con adeguate strategie
organizzative alle odierne istanze di tutela, ovvero il sistema di cooperative Coop.
Si è proceduto ad un approfondimento giuridico-aziendale della Responsabilità
Sociale d’impresa poiché i fenomeni insorgenti oggigiorno non sono più spiegabili
demandando il tutto ad un unico settore disciplinare, né tanto meno relegando il
problema dell’abuso dei diritti (in particolare, quello sui minori) alle sole istituzioni
politiche, preposte al governo delle popolazioni ove tale diniego è ancora presente.
D’altro canto, sono le imprese che hanno attuato piani di delocalizzazione in Paesi,
per esempio, aventi un basso costo della manodopera, che più di ogni altro
operatore economico, influenzano nel piccolo le realtà locali dei lavoratori. E, in
linea di tendenza, questo saggio tenta di spiegare quelle metodologie attuate da
imprese leader con l’unico intento di promuovere e far diffondere a macchia d’olio
tale modus operandi, ricalcando esperienze assodate, azioni di responsabilità e di civiltà
di cui la singola impresa non può fare a meno, nell’ottica di una condotta
deontologicamente corretta.
Per far ciò, si è abbozzato dapprima il quadro normativo dei contratti
maggiormente utilizzati nella prassi del commercio internazionale e delle
metodologie contrattuali mediante le quali si attua la tutela dei diritti sociali, per poi
focalizzarsi su quanto avviene concretamente nel caso di due operatori della Grande
Distribuzione Organizzata (GDO): Coop e Carrefour. Di questi si è proceduto ad
una rassegna delle politiche di Responsabilità Sociale coerentemente con la propria
mission aziendale, molto diversa secondo il caso preso in considerazione. In
particolare, si è ravvisata la necessità di analizzare in modo più esteso il modello
Coop, al fine di capirne il substrato operativo per il semplice fatto che è la prima
impresa a livello europeo ad essere stata certificata con il primo standard attestante
l’eticità del proprio operato, denominato SA 8000.
V
Infine, il processo di codificazione etica in materia di “business” (sia sul piano
normativo, sia su quello delle consuetudini sociali) sembra, in generale, rallentato a
causa della funzione particolare che il business svolge nei Paesi industrialmente
sviluppati: quella di luogo privilegiato per la messa in gioco, in forma sublimata,
degli istinti aggressivi dell’uomo in lotta per la sua sopravvivenza. Tuttavia,
nemmeno il più irriducibile “liberista” potrebbe negare che il sistema del commercio
– internazionale e non – vive e si perfeziona solo seguendo alcuni princìpi regolatori
generali, che impediscono il regresso verso un sistema arretrato, produttivo di
povertà e violenza.
La sfida etica consiste quindi nel non limitarsi solo all’enunciazione di questi
princìpi, bensì nel promuovere la loro completa implementazione per raggiungere
più alti standard di benessere e di aspettativa di vita.
Alfonso Apicella
Capitolo I. La Responsabilità Sociale d’impresa nel commercio internazionale
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CAPITOLO I
LA RESPONSABILITÀ SOCIALE D’IMPRESA
NEL COMMERCIO INTERNAZIONALE
SOMMARIO: 1. Patologie sottostanti alle pratiche aziendali. – 1.1 La business mission viziata da
comportamenti eticamente scorretti. – 1.2 Azioni programmatiche di tutela dei diritti sociali. –
1.2.1 Codici di condotta: Artsana e Nike. – 1.2.2 Accordi tra Sindacati e Imprese: il caso
Benetton. – 2. Aspetti positivi della mondializzazione dell’economia. – 3. Tendenze in atto nelle
scelte dei consumatori. – 4. Sviluppo equilibrato del mercato mondiale. – 5. Lo strumento
giuridico come tutela delle controparti.
Le questioni inerenti ai diritti umani sono state probabilmente oggetto di
discussione sin dalla nascita delle primitive forme di aggregazione sociale, che si
sono trovate di fronte al problema della distribuzione del cibo, piuttosto che della
nomina di un capogruppo. Documenti governativi, testi religiosi nonché creazioni
artistiche hanno tutti espresso vari punti di vista su cosa si debba intendere per
“diritti umani”. I più definiscono questi ultimi in modo intuitivo, indicando quei
diritti per mezzo dei quali si richiede di trattare gli altri come noi vorremmo, a
nostra volta, essere trattati. Ciò nonostante, ci sono stati dei casi di formalizzazione
giuridica per tentare di dare, almeno in via di principio, una definizione a quei diritti
fondamentali dell’uomo che, anche nelle pratiche economiche ed aziendali,
assumono un’importanza globale, che diventa strategica per le imprese che vogliono
insediarsi responsabilmente in Paesi in condizioni socioeconomiche problematiche,
e che si traduce in un’impellente condizione sine qua non per un equilibrio durevole
della civile convivenza tra i popoli.
Capitolo I. La Responsabilità Sociale d’impresa nel commercio internazionale
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1. Patologie sottostanti alle pratiche aziendali
Nel ventesimo secolo sono stati sviluppati molti apprezzabili strumenti
internazionali per la tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, il più importante dei
quali risulta essere la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, adottata nel 1948
dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e, da quel momento in poi, da tutti gli
Stati membri. Questa costituisce un passo importante nella storia contemporanea
poiché sembra aver generato quegli “standard minimi” in termini di diritti civili,
politici, economici, sociali e culturali riconosciuti, almeno teoricamente, a tutti i
membri della comunità internazionale.
In questo discorso s’inseriscono in pieno le imprese che guardano oltre i propri
confini nazionali, le quali sono direttamente coinvolte nella questione del rispetto
dei diritti ivi sanciti, avendo a che fare con Paesi perlopiù stanziati – per ragioni di
natura storico-politica – nel Sud del mondo, in cui è spesso diffuso il loro abuso, che
costituisce la primaria patologia viziante l’operato delle aziende se queste si adattano
alle inefficienze locali.
Fino a pochi decenni or sono, il discorso sulla
responsabilità sociale
delle
imprese sembrava esulare dalla funzione-obiettivo delle stesse, le quali
demandavano il tutto a Governi ed Organismi internazionali in virtù del loro
peculiare ruolo politico e, in questo, considerandosi automaticamente un’entità a sé
stante all’interno dell’economia e, in particolare, del commercio estero. Tuttavia
alcune aziende, come la Shell (operante nel settore dei combustibili) e la Nike
(società leader nel settore calzaturiero) hanno registrato nell’ultimo decennio un salto
di qualità nella concezione di sé: cominciando a vedersi non più come entità
rinchiuse, divise ed operanti in comparti stagni, si sono rese coscienti delle
responsabilità nei confronti di tutti coloro che entrano in contatto con la propria
realtà aziendale (dal fornitore all’utilizzatore finale – i cosiddetti stakeholder), al fine di
non escludersi dall’intento di salvaguardare l’incolumità dei Paesi in via di sviluppo,
riprendendo il significato originario di impresa come strumento sociale di creazione
e di tutela del lavoro, oltre naturalmente a mezzo di produzione di beni per la
soddisfazione dei bisogni umani.
Con l’andare del tempo e con l’incalzare del fenomeno di spostamento di
produzioni in siti ove è maggiormente competitivo il costo del lavoro
Capitolo I. La Responsabilità Sociale d’impresa nel commercio internazionale
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(“decentramento produttivo”), le normali attività aziendali hanno suscitato, per
mezzo di gruppi di pressione, moniti governativi, e via elencando, le istanze inerenti
ai diritti fondamentali dell’uomo, che si riferiscono a molteplici aspetti intorno al
lavoro:
Impiego: condizioni lavorative, reclutamento e licenziamento del personale;
Sicurezza: rendere sicuri i luoghi e le attrezzature utilizzate dal personale;
Sviluppo economico: decidere in quale Paese investire ed operare, analizzando
l’impatto socioeconomico;
Ambiente: identificare e gestire i rischi ambientali;
Comunità/Responsabilità sociali: apportare un contributo positivo alle società
entro le quali operano attraverso azioni di portata non strettamente
economica.
Sembra conveniente, quindi, pensare che il commercio con le sue pratiche abbia
contribuito – come insegna la storia contemporanea – al processo di definizione di
ciò che una società considera “diritto” umano. Ad esempio, gli scambi di schiavi si
svilupparono come sistema di azioni e relazioni commerciali ben prima che questa
pratica fosse codificata in strutture legali e politiche. Allo stesso modo, l’impatto
delle imprese sull’ambiente e sulle comunità locali ha generato un’area di dibattito
entro la sfera del diritto internazionale. Per questo motivo, l’incorrere in pratiche
aziendali viziate da abusi di potere contrattuale ed economico richiede una maggiore
tutela dei diritti e una più forte regolamentazione del commercio internazionale.
1.1 La business mission viziata da comportamenti eticamente scorretti
Nasce da un’esigenza di efficienza economica la ricerca della massimizzazione
del profitto comprimendo i costi di produzione, all’interno dei quali il costo del
lavoro risulta essere spesso quello con più peso. Questa teoria economica di
ottimizzazione delle risorse ha indotto numerose imprese (società multinazionali in
primis), ad implementare la pratica dell’outsourcing, mediante la quale si esternalizzano
le produzioni i cui costi possono essere notevolmente ridotti. Stanziarsi in siti
produttivi in cui è possibile acquisire forza-lavoro a costi inferiori rispetto a quelli
nazionali, è stata pertanto la scelta di aziende che, per rendersi più competitive sul
Capitolo I. La Responsabilità Sociale d’impresa nel commercio internazionale
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mercato internazionale, si sono adattate ai dettami locali di “vendita” del lavoro:
condizioni contrattuali vantaggiose per gli utilizzatori sono state quindi il fattore
propulsivo dell’incessante fenomeno di mobilitazione delle aziende. Non tanta
attenzione, di contro, è stata data a scenari di povertà generalizzata dei dipendenti
cui era pagato, spesso, un salario non sufficiente al sostentamento. Ciò è
testimoniato dalle numerose informazioni che le stesse imprese, in un’ottica di mea
culpa, hanno reso pubbliche, talvolta mettendo a repentaglio la propria immagine
aziendale. Ecco, allora, che di imprese importanti ed economicamente forti si è
cominciato a parlare – almeno nei Paesi industrializzati – in modo critico a causa di
un modus operandi contraddistinto, forse, da un utilizzo troppo evidente di lavoro
minorile, di lavoro di persone al margine della società, di persone con problemi seri
di sussistenza e che, per questo, urgono di essere tutelate. Va da sé che gli interventi
di natura sovranazionale per richiamare l’attenzione su questi temi sono stati molti.
L’opinione pubblica, formata da persone che avrebbero fruito dei prodotti di tali
imprese, ha cominciato a scatenare un vero e proprio effetto a catena (i boicottaggi
ne sono un esempio eclatante). Ma si vedano, qui di seguito, le cause che, in alcune
situazioni reali, hanno fatto scaturire un tale risentimento consumeristico
1
.
Per citare uno degli esempi più conclamati, la Società Nike ha ricevuto
moltissime critiche negli ultimi anni, riguardanti le sue politiche di produzione
manifatturiera nei Paesi economicamente meno sviluppati, come il Vietnam. La
Nike è un’impresa che produce scarpe di qualità medio-alta a prezzi abbordabili per
il mercato nordamericano e, solo recentemente, per alcuni Paesi europei. Buona
parte del nocciolo della strategia di marketing è stata, quindi, di vendere a prezzi in
linea di massima contenuti (sempre per certi tipi di mercato), usando i bassi costi del
lavoro asiatici (perlopiù Giappone negli anni Cinquanta, Corea, Taiwan, Cina,
Indonesia, Tailandia e Vietnam). Sebbene la Nike sia una società statunitense,
pratica oltreoceano tutta la parte produttiva in Paesi con bassi salari. L’impresa è
stata così accusata di produrre scarpe in condizioni svantaggiose per i lavoratori,
pagati con salari bassi e sproporzionati alle lunghissime ore lavorative in condizioni
nient’affatto salubri ed igieniche. Alcuni reportage parlavano di abusi fisici e di
esposizione a sostanze tossiche (come alcuni solventi chimici, tipo l’acetone), che
1
Il consumerismo è un neologismo di origine anglosassone che indica un rapporto critico con il consumo.
Capitolo I. La Responsabilità Sociale d’impresa nel commercio internazionale
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5
possono portare seri danni alla salute, nonché malattie nelle nascite. E, siccome il
lavoratore medio nelle fabbriche asiatiche di scarpe è identificato in una giovane
donna nei primi anni di fertilità, queste preoccupazioni assumevano particolare
importanza per la società stessa e per l’opinione pubblica.
Un gruppo di revisori esterni e indipendenti dalla Nike ha riassunto, in un
documento
2
pubblicato sul sito ufficiale dell’impresa in questione, i risultati delle
visite di auditing in alcuni degli impianti facenti capo a fabbriche cui Nike ha
subappaltato la fabbricazione di determinate produzioni (ricordando che, al 1997, i
subcontraenti asiatici Nike avevano circa 150 fabbriche, presso le quali lavoravano
450.000 persone). La sede di Nike Vietnam a Ho Chi Minh City, ad esempio,
produce unicamente ed interamente scarpe e, grazie alle numerose istanze, ora i
lavoratori asiatici possono vantare un salario ben dignitoso. Si parla, in effetti, di
pagare – almeno in Indonesia – un salario che, nell’arco di due anni (da aprile 1998
ad Aprile 2000) è aumentato di molto: da 172.500 rupie a 300.000 rupie mensili,
esclusi bonus, prestiti e straordinari, superando il minimo stabilito localmente dal
Governo, fissato in 286.000 rupie.
Per citare un caso tutto italiano, alcuni bambini sono stati sorpresi mentre
lavoravano alla Bermuda, una piccola azienda turca che produceva per conto della
Bogaziçi Hazir Giyim, impresa commissionaria della società Benetton ad Instabul.
La notizia, divulgata dal sindacato turco, è stata ampiamente ripresa a suo tempo da
Il Corriere della sera, destando, come era prevedibile, polemiche e smentite. Il
lavoro infantile è ampiamente diffuso in Turchia ed è ammesso dalla legge per i
ragazzi al di sopra dei dodici anni. Non c’è quindi da sorprendersi se dei bambini si
trovavano al lavoro anche in un laboratorio che produceva per la multinazionale
veneta. Benetton, a suo tempo, ha smentito il fatto ma si è anche detta
immediatamente disponibile a verificarlo sul posto, in collaborazione con i sindacati
italiani e turchi.
2
Estratto da un articolo del trimestrale americano Sport Marketing Quarterly, pag. 43, Vol. IX, num. 1/2000,
intitolato Good Morning Vietnam. An Ethical Analysis of Nike Activities in Southest Asia, di Lynn R. Kahle, David
M. Boush e Mark Phelps, University of Oregon, 1997.
Capitolo I. La Responsabilità Sociale d’impresa nel commercio internazionale
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1.2 Azioni programmatiche di tutela dei diritti sociali
Ci sono almeno tre approcci principali usati dalle imprese di respiro
internazionale per indirizzare la questione della tutela dei diritti del lavoro:
Etichette che cercano di assicurare che un singolo prodotto o un tipo di
prodotto sia libero, ad esempio, da lavoro minorile;
Codici di Condotta e Linee Guida Fornitori, pensate di solito ad hoc per
specifiche questioni tipiche dell’impresa che ne fa uso;
Standard pan-industriali per la responsabilità sociale, ivi incluso il lavoro
minorile che può sembrar essere fonte di abuso da parte dell’azienda (SA 8000).
Il dilemma di recuperare responsabilmente la credibilità della propria immagine
ha portato, così, la Benetton, nella figura di Umberto Dardi (Direttore delle
Relazioni Industriali), nonché il Direttore Generale dell’impresa commissionaria in
Turchia ed i rappresentanti delle organizzazioni sindacali italiane e turche, a
sottoscrivere il 15 ottobre 1998 un importante accordo che prevede che tutte le
imprese che producono su commissione dell’azienda veneta o di suoi terzisti
dovranno applicare determinate
norme di tutela. Queste ultime sono incluse in
dichiarazioni denominate “codici di condotta”, documenti vincolanti per tutti coloro
che intendono sottoscrivere un contratto di fornitura. Questo strumento è stato
usato largamente da tutte quelle società che, come la Benetton e la Nike, stanno
attuando una politica di responsabilità sociale nei confronti delle controparti
presenti nella filiera di produzione. Esempi di tali garanzie sono le seguenti:
Nessun ragazzo, al disotto dei quindici anni potrà essere impiegato per alcun
lavoro;
Saranno garantite pari opportunità e trattamenti senza pregiudizio di
ideologia, religione, lingua, razza, sesso, nazionalità;
I salari dovranno essere equi e le condizioni di lavoro salvaguardare la salute
e la sicurezza;
Per i dipendenti devono trovare applicazione le coperture assicurative e di
sicurezza sociale;
Il produttore sarà considerato responsabile dell’intero ciclo manifatturiero.
Capitolo I. La Responsabilità Sociale d’impresa nel commercio internazionale
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L’accordo firmato da Benetton segna un passo avanti decisivo delle relazioni
industriali tra il sindacato e la multinazionale veneta. Rimane aperta la questione del
controllo della sua reale applicazione, che graverà sulle spalle delle organizzazioni
dei lavoratori turchi. Infine, i sindacati italiani tessili FILTA FILTEA e UILTA
hanno dato un giudizio positivo dell’intesa, ma ritengono che il tema dei diritti dei
lavoratori delle imprese dell’immenso indotto Benetton vada ripreso con forza, nella
fattispecie in Italia, per diventare un capitolo qualificante del prossimo contratto
integrativo aziendale (dati relativi ad ottobre 1998).
Un altro passo in avanti nella attuazione di un
codice di condotta
è stato
concordato ad ottobre dello stesso anno tra Artsana (la ditta depositaria del marchio
Chicco) ed i sindacati del commercio FILCAMS-FISASCAT-UILTUCS e
confederazioni CGIL CISL UIL per il rispetto delle norme fondamentali del lavoro
nelle produzioni di Artsana all’estero. Nel mese di luglio 1998, infatti, in un
incontro tra Artsana e CGIL CISL UIL confederali e di categoria è stato messo a
punto sia il codice di condotta attuativo dell’accordo di ottobre, sia il testo di
impegni che i fornitori di Artsana dovranno firmare e rispettare per poter mantenere
i contratti con l’azienda italiana. Il documento richiama il rispetto dei diritti
fondamentali del lavoro, definiti nell’accordo di ottobre, ovvero:
divieto di lavoro minorile e forzato;
divieto di discriminazione;
diritto alla libertà di organizzazione sindacale e di contrattazione;
nessun lavoratore impiegato da qualsiasi fornitore di Artsana deve essere
oggetto di discriminazione per qualsiasi motivo attinente all’etnia, sesso,
lingua, religione o associazione sindacale di appartenenza.
I lavoratori avranno la libertà di costituire organizzazioni sindacali e queste
devono avere la libertà di presentare proposte negoziali e di stipulare contratti
collettivi per conto dei lavoratori che rappresentano. Si prevede il rispetto delle
norme nazionali e dei contratti collettivi di lavoro in particolare per quel che
riguarda salari, benefit, orari di lavoro e straordinari, che devono essere effettuati su
base volontaria, per quanto riguarda ferie, congedi di malattia o maternità. Norme
specifiche e dettagliate riguardano gli aspetti della tutela della salute, della sicurezza e
Capitolo I. La Responsabilità Sociale d’impresa nel commercio internazionale
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dell’ambiente. Il fornitore si impegnerà, inoltre, ad affiggere il codice nella lingua
locale e a divulgarlo a tutti i lavoratori con tutte le informazioni necessarie alla sua
attuazione.
Al momento sono in fase di approvazione definitiva le linee guida che gli
ispettori nominati da Artsana dovranno seguire per verificare la concreta attuazione
del codice di condotta, attraverso verifiche con le direzioni aziendali dei fornitori, i
dirigenti, i lavoratori e i loro rappresentanti sindacali.
1.2.1 Codici di Condotta: Artsana e Nike
Per una crescita reale e sostenibile delle imprese italiane, europee ed
internazionali nel mercato globalizzato, un rafforzamento delle stesse sembra quindi
auspicabile solo attraverso la concertazione tra i vari operatori economici di codici di
condotta sulle questioni che attengono alla qualità sociale ed ambientale, a partire dal
rispetto delle Convenzioni fondamentali dell’ILO
3
. Sempre di più, infatti, la
compatibilità sociale ed ambientale delle imprese rappresenterà un forte elemento di
competitività internazionale, mentre la questione del dumping sociale è un problema
che coinvolge le stesse imprese italiane e non che entrano in concorrenza sulla base
di processi di competitività sleale. Ad esempio, la società tessile C&A ha sviluppato
un codice di condotta per i propri fornitori che stabilisce espressamente che lo
sfruttamento di lavoro minorile è “assolutamente inaccettabile”
4
. Tale Codice di
Condotta è un requisito
legalmente vincolante per ogni ordine d’acquisto, ed è reso
enforceable da SOCAM, una Società di controllo ora indipendente, giacché
originariamente costituita dalla stessa C&A. Ai revisori di SOCAM, per inciso, viene
richiesto di usare la propria perizia sia nell’ambito dell’industria dell’abbigliamento,
sia riguardo alla regione o al Paese in cui opera l’azienda che richiede di essere
accreditata. Spesso i revisori sono scelti della medesima nazionalità del Paese in cui
si svolge l’azione di auditing, iniziativa che peraltro non viene resa nota fino al suo
concreto svolgimento (non c’è un preavviso). Inoltre, le violazioni identificate nel
Codice portano a vari tipi di
sanzione
, che vanno da un avvertimento ufficiale
3
International Labour Organisation.
4
Business and Child Labour. A Management Primer, Shell International Limited (SI), 2000.
Capitolo I. La Responsabilità Sociale d’impresa nel commercio internazionale
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(warning), attraverso la sospensione del contratto, alla rimozione dalla lista di
fornitore della Società.
In Italia, la CISL in particolare si è impegnata perché si estendesse un’esperienza
di negoziazione di codici di condotta con le imprese e le organizzazioni
imprenditoriali straniere. Tali codici concordati, che non devono sostituire le norme
nazionali né tanto meno la contrattazione collettiva, mirano ad impegnare le imprese
che si internazionalizzano in vario modo e in tutta la loro catena di produzione, al
rispetto delle Convenzioni fondamentali dell’ILO e al miglioramento delle
condizioni di lavoro.
Le esperienze di negoziazione dei codici sono oggetto di un impegno anche da
parte della Commissione UE, che sta lavorando con le organizzazioni sindacali ed
imprenditoriali dei paesi membri, sull’opportunità di una standardizzazione dei
codici concordati. Quest’esperienza vede coinvolto anche il governo americano e le
rispettive parti sociali. Nel Regno Unito tale lavoro ha prodotto la costituzione
dell’Ethical Trading Initiative promossa dal governo inglese, dalle parti sociali e dalle
ONG
5
, che sulla base di un codice di condotta standardizzato prevede una serie di
azioni di controllo e monitoraggio per le imprese che intendono aderire al codice.
Molte società multinazionali hanno recepito tale orientamento, redigendo un
codice di condotta che, seppur non ancora standardizzato, contenesse postille
comunemente condivise anche in altri documenti facenti capo ad altre realtà
aziendali con i medesimi intenti di responsabilizzazione.
Si vedano, qui di seguito, l’esempio italiano della ditta Artsana e un esempio
estero, come la catena di fast food McDonald’s.
CODICE DI CONDOTTA ARTSANA S.P.A.
“1. Artsana S.p.A. e le Società controllate di Artsana S.p.A.
(collettivamente ed individualmente “Artsana”) si impegnano ad
osservare i diritti fondamentali dei lavoratori riconosciuti a livello
internazionale, in conformità agli impegni sottoscritti con le
Organizzazioni Sindacali Italiane. Artsana richiede che tutti i Suoi
fornitori, ovunque abbiano la loro sede, rispettino questo codice di
condotta, secondo gli standard della politica globale di Artsana S.p.A.
seguita di volta in volta. Artsana dichiara che la formulazione di questo
Codice e la richiesta che i Suoi fornitori rispettino questo Codice, non
solo indica un atteggiamento responsabile, ma è anche una scelta di
5
Organismi Non Governativi.
Capitolo I. La Responsabilità Sociale d’impresa nel commercio internazionale
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campo che consente la formazione e la continuazione di positivi rapporti
di lavoro con i Suoi fornitori.
2. In conformità con la politica dei Fabbricanti Europei di
Giocattoli, di cui Artsana è membro, Artsana riconosce la sovranità di
tutti gli Stati dove si trovano i Suoi fornitori. Artsana riconosce
specificatamente che non ha nessun potere né diritto di richiedere ai
propri fornitori atti che infrangano o che non siano conformi alle leggi, ai
regolamenti ed alle regole emanate dagli Stati (“La Normativa
Nazionale”).
3. Salvo la Normativa Nazionale, Artsana richiede da tutti i suoi
fornitori, per l’intero periodo che forniranno prodotti ad Artsana o
procureranno per Artsana la fornitura di prodotti, il rispetto dei princìpi
base riguardanti le condizioni di lavoro contenute nel Codice, secondo gli
standard fissati nella Politica, comprendenti, tra gli altri, i seguenti:
3.1 Lavoro minorile
3.1.1 Nessuna persona che sia al di sotto dell’età minima
stabilita dalla Normativa Nazionale per poter essere assunta e comunque
non al di sotto di 14 anni, deve essere assunta da qualsiasi Fornitore di
Artsana.
3.2 Lavoro obbligato/forzato
3.2.1 I Fornitori di Artsana non devono fare ricorso al lavoro
obbligato/forzato o al lavoro dei carcerati.
3.2.2 I fornitori di Artsana non devono fare ricorso a
qualsiasi forma di schiavitù.
***
3.3 Salari, benefits e orario di lavoro
3.4 Salute e sicurezza
3.5 Discriminazione
3.6 Sindacati
4. Artsana, secondo questo codice, richiede che tutti i suoi fornitori
domandino e si assicurino che tutti i loro subappaltatori rispettino le
disposizioni di questo Codice, secondo gli standard fissati dalla Politica
come se fossero nominati e citati in questo codice come un fornitore di
Artsana e di sorvegliare la loro adesione a questo codice.
***
9. Qualsiasi infrazione a questo Codice, qualsiasi mancato rispetto al
Codice o rifiuto ad applicare una richiesta di intervento correttivo,
domandata da un ispettore o dal compliance manager di Artsana S.p.A., da
parte di un Fornitore, costituisce e sarà considerata una violazione
fondamentale di contratto da parte del fornitore di Artsana (contratto
di produzione od ordine di acquisto, collettivamente o individualmente “i
Contratti”).
10. Mancanza da parte di Artsana di avvalersi del suo diritto di
risolvere o recedere da tutti o qualsiasi Contratto, non costituirà né
rinuncia di tale diritto, né consenso, né condono dell’infrazione sulla
quale tale diritto è basato.
***
12. L’unica versione, avente autorità, di questo Codice e dei
documenti provenienti dalla valutazione dell’adesione a questo Codice e
modificati di volta in volta da Artsana, a sua assoluta discrezione, è la
versione in lingua inglese.
***
14. Questo Codice sarà governato ed interpretato secondo le leggi
italiane.”
Capitolo I. La Responsabilità Sociale d’impresa nel commercio internazionale
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11
Interpretando secondo il foro italiano, emerge, nel caso di Artsana, un aspetto
molto importante dal punto di vista giuridico: in caso di inadempimento da parte del
fornitore, vi è violazione fondamentale di contratto, il che si traduce in risoluzione del
contratto per inadempimento. Questo significa che, ai sensi dell’art. 1453 del codice civile,
secondo il quale “nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non
adempie le sue obbligazioni, l’altro può a sua scelta chiedere l’adempimento o la risoluzione del
contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno”, il contratto stesso viene sciolto,
anche se è e resta valido; ma il rapporto contrattuale si scioglie, e si scioglie con
effetto retroattivo tra le parti (art. 1458 cod.civ.). Inoltre, nel caso di un contratto a
esecuzione continuata o periodica – come può essere il caso di una società dei tipi
precedentemente analizzati – lo scioglimento non si estende alle prestazioni già
eseguite.
Si veda, invece, come è generalmente strutturato un codice di condotta di una
società estera come la Nike:
NIKE CODE OF CONDUCT
“NIKE Inc. was founded on a handshake.
Implicit in that act was the determination that we would build our
business with all of our partners based on trust, teamwork, honesty and
mutual respect. We expect all of our business partners to operate on the
same principles.
At the core of the Nike corporate ethic is the belief that we are a
company comprised of many different kinds of people, appreciating
individual diversity, and dedicated to equal opportunity for each
individual.
Nike designs, manufactures and markets products for sports and
fitness consumers. At every step in that process, we are driven to achieve
not only what is required, but also what is expected of a leader. We expect
our business partners to do the same. Specifically, Nike seeks partners
that share our commitment to the promotion of best practices and
continuous improvement in:
1. Occupational safety and health, compensation, hours of work and
benefits standards
2. Minimizing our impact on the environment.
3. Management practices that recognize the dignity of the individual,
the rights of free association and collective bargaining, and the right
to a work place free of harassment, abuse or corporal punishment.
4. The principle that decisions on hiring, salary, benefits, advancement,
termination or retirement are based solely on the ability of an
individual to do the job. There shall be no discrimination based on
race, creed, gender, marital or maternity status, religious or political
beliefs, age or sexual orientation.
Wherever Nike operates around the globe, we are guided by this
Code of Conduct. We bind our manufacturing partners to these
principles. Our manufacturing partners must post this Code in all major
Capitolo I. La Responsabilità Sociale d’impresa nel commercio internazionale
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12
workspaces, translated into the language of the worker, and must
endeavor to train workers on their rights and obligations as defined by
this Code and applicable labor laws.
While these principles establish the spirit of our partnerships, we
also bind these partners to specific standards of conduct. These standards
are set forth below.
1. Forced Labor: The manufacturer does not use forced labor in any
form – prison, indentured, bonded or otherwise.
2. Child labor: The manufacturer does not employ any person below the
age of 18 to produce footwear. The manufacturer does not employ
any person below the age of 16 to produce apparel, accessories or
equipment. Where local standards are higher, no person under the
legal minimum age will be employed.
3. Compensation: The manufacturer provides each employee at least the
minimum wage, or the prevailing industry wage, whichever is higher;
provides each employee a clear, written accounting for every pay
period; and does not deduct from worker pay for disciplinary
infractions, in accordance with the Nike Manufacturing Leadership
Standard on financial penalties.
4. Benefits: The manufacturer provides each employee all legally
mandated benefits. Benefits vary by country, but may include meals
or meal subsidies; transportation or transportation subsidies; other
cash allowances; health care; child care; emergency, pregnancy or sick
leave; vacation, religious, bereavement or holiday leave; and
contributions for social security and other insurance, including life,
health and worker’s compensation.
5. Hours of Work/Overtime: The manufacturer complies with legally
mandated work hours; uses overtime only when each employee is
fully compensated according to local law; informs each employee at
the time of hiring if mandatory overtime is a condition of
employment; and, on a regularly scheduled basis, provides one day
off in seven, and requires no more than 60 hours of work per week,
or complies with local limits if they are lower.
6. Management of Environment, Safety and Health (MESH): The
manufacturer has written health and safety guidelines, including those
applying to employee residential facilities, where applicable; has a
factory safety committee; complies with Nike’s environmental, safety
and health standards; limits organic vapor concentrations at or below
the Permissible Exposure Limits mandated by the U.S. Occupational
Safety and Health Administration (OSHA); provides Personal
Protective Equipment (PPE) free of charge, and mandates its use;
and complies with all applicable local environmental, safety and
health regulations.
7. Documentation and Inspection: The manufacturer maintains on file
all documentation needed to demonstrate compliance with this Code
of Conduct; agrees to make these documents available for Nike or its
designated auditor to inspect upon request; and agrees to submit to
labor practices audits or inspections with or without prior notice.”