Introduzione
V
Introduzione
La Responsabilità Sociale d’Impresa è un tema oggetto da tempo di ampie
discussioni ed al centro di numerosi convegni, master, ricerche, progetti.
È in atto una forte evoluzione dei consumi: la nuova leva di acquisto per
un numero sempre maggiore di persone è costituita appunto dalla RSI. Oggi al
marketing mix tradizionale (prodotto, prezzo, promozione, distribuzione) si
aggiunge un quinto elemento, l’etica. Il consumatore non si accontenta più
soltanto della qualità e della convenienza, vuole anche che il prodotto che
acquista rispetti l’ambiente, i diritti dei lavoratori e i principi elementari di
giustizia e solidarietà.
Per l’impresa, RSI significa assumersi la responsabilità dell’impatto
prodotto dalle proprie attività sull’ambiente circostante. La tematica dell’agire
etico dell’impresa sta diventando un tema forte che investe direttamente il
problema della competitività delle imprese. Come mostrano i casi di grandi
aziende quali Nike, Reebok e Nestlè, l’impresa non può sopravvivere e
svilupparsi senza una legittimazione sociale, che può essere ottenuta solo
dimostrando pubblicamente di tenere conto, nella propria attività, dei valori
condivisi nell’ambiente sociale in cui si trova ad operare.
Nella seconda metà degli anni ’90, all’indomani del Summit di Rio de
Janeiro (1992) e della stesura dell’Agenda 21, le Nazioni Unite invitarono le
grandi aziende, particolarmente le imprese multinazionali, a definire accordi
commerciali che contemplassero e tutelassero i diritti umani di base, quelli dei
lavoratori e il rispetto dell’ambiente. Il termine impiegato fu quello di Corporate
Social Responsibility, CSR, che in italiano diventa Responsabilità Sociale
d’Impresa, RSI. Molte aziende firmarono accordi con tutti i partner commerciali,
dai principali clienti e fornitori ai subappaltatori di attività di servizio, affinché
venissero garantiti standard etici minimi.
L’Unione Europea ha iniziato ad elaborare una strategia di coinvolgimento
delle imprese nel progetto RSI già a partire dal 1997: in tale anno viene infatti
Introduzione
VI
istituito un organo di consulenza dedicato. Nel luglio 2001 pubblica il Libro
Verde “Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle
imprese”, destinato specificamente all’apertura di un dibattito generalizzato a
livello europeo sulla RSI.
Secondo il documento, la responsabilità sociale delle imprese è
“l’integrazione su base volontaria, da parte delle imprese, delle preoccupazioni
sociali e ambientali nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le
parti interessate”. Nel Libro Verde è specificato che essere socialmente
responsabili vuol dire “non solo soddisfare pienamente gli obblighi giuridici
applicabili, ma anche andare al di là investendo di più nel capitale umano,
nell’ambiente e nei rapporti con le altre parti interessate”.
Il tema della CSR va inquadrato nell’ambito delle politiche per la
competitività dell’impresa e del sistema economico, ricollegandosi con il
concetto di “sviluppo sostenibile”. Sostenibilità è la “capacità di una
organizzazione (o società) di continuare, in maniera duratura nel tempo, le
proprie attività, tenendo in debita considerazione l’impatto che queste ultime
hanno sul capitale naturale, sociale e umano” (ISEA – Institute of Social and
Ethical AccountAbility). In altri termini, la CSR è il contributo che le imprese
offrono allo sviluppo sostenibile.
I capi di Stato dell’Unione Europea, riuniti a Lisbona nel 2000, hanno
fissato un obiettivo strategico da raggiungere entro il 2010: fare dell’Unione
Europea “l’economia della conoscenza più competitiva e dinamica del mondo,
capace di una crescita economica sostenibile accompagnata da un
miglioramento quantitativo e qualitativo dell’occupazione e da una maggiore
coesione sociale”, e la diffusione della CSR ne costituisce uno strumento
insostituibile.
Oltre alle imprese multinazionali, che per prime e in maniera più evidente
hanno affrontato queste tematiche, oggi anche le PMI stanno sviluppando
Introduzione
VII
approcci e strumenti per la gestione degli aspetti sociali e ambientali nell’ambito
delle proprie attività strategiche e competitive.
La presente tesi espone le posizioni di alcuni studiosi sull’argomento per
verificarne il livello di concordanza e, attraverso i dati desunti da ricerche sul
campo effettuate da istituti specializzati, analizzare poi, al di là delle
sollecitazioni istituzionali, quale sia l’effettivo grado di autonoma
consapevolezza del problema maturato all’interno delle imprese ed il livello delle
eventuali “buone pratiche” attivate. Se, per quanto riguarda le multinazionali e le
grandi imprese, le politiche di CSR risultano abbastanza diffuse, più difficile
appare l’adeguamento da parte delle PMI, anche se le dichiarazioni formali dei
top manager sono tutte nel senso di attribuire crescente importanza alla CSR
come fattore di innovazione, di sviluppo e di crescita competitiva: in altre parole
come un fattore di successo.
La tesi si articola in quattro capitoli.
Nel capitolo 1 vengono presentate in maniera sintetica le posizioni di
alcuni studiosi per giungere ad identificarne i tratti comuni. Si compie inoltre una
disamina dello status quo, utilizzando in particolare i dati di una recente ricerca
pubblicati dal noto quotidiano economico-finanziario Il Sole-24Ore. Si traggono
quindi alcune conclusioni, non esaustive, sull’argomento.
Nel capitolo 2 viene illustrato un modello operativo di gestione strategica
della CSR basato sui concetti di “contratto sociale” con gli stakeholders e di
“reputazione”: il progetto Q-RES. Si descrivono gli strumenti di cui è composto
il modello e le interazioni tra essi per comprendere la sua efficacia come
“modello integrato”.
Il capitolo 3 illustra il comportamento di un particolare tipo di imprese, le
cooperative, e analizza, tra queste, quelle di grandi dimensioni appartenenti al
settore industriale. Le imprese cooperative si sono trovate, molto prima delle
imprese tradizionali, a dover conciliare la sopravvivenza nel mercato con la
propria responsabilità “sociale”. Vengono presentate le caratteristiche di Coop,
Introduzione
VIII
un sistema di cooperative della grande distribuzione organizzata, leader nel
settore.
Nel capitolo 4 viene presentato il caso di una delle cooperative del sistema
Coop, Coop Consumatori Nordest, che sta sperimentando al proprio interno il
progetto Q-RES. Si analizza come la metodologia Q-RES stia conformando e
caratterizzando l’intera gestione dell’impresa in materia di Responsabilità
Sociale.
A seguire alcune considerazioni finali.
Cap 1 La Responsabilità Sociale d’Impresa
1
Cap 1
La Responsabilità Sociale d’Impresa
1.1 Presupposti Etici e Ragioni Economiche
1
1.1.1 Introduzione
La responsabilità sociale dell’impresa (RSI) è elemento noto alle
moderne economie di mercato. Da sempre viene infatti riconosciuto che
l’impresa ha obblighi di natura morale, oltre che legale, nei confronti della
società in cui è inserita e opera. Nel corso del tempo è andata tuttavia
mutando l’interpretazione del concetto di responsabilità sociale, ossia la
specificazione di ciò per cui l’impresa deve ritenersi responsabile. Inoltre nel
corso dell’ultimo secolo, e soprattutto dal secondo dopoguerra, si è prodotta
una pluralità di teorie etiche, ognuna delle quali ha esercitato una grande
influenza sul modo di definire i contenuti della RSI.
Negli ultimi tempi si va discutendo con enfasi crescente di RSI. Oggi non
si considera più sufficiente, pur continuando a essere una condizione necessaria,
che l’impresa miri alla sola massimizzazione del profitto per dirsi legittimata di
fronte alla società civile. Catena del valore economico e catena del valore sociale,
oggi, non necessariamente coincidono. Le imprese che non investono in asset
immateriali come la reputazione, la congruenza dei comportamenti al codice
etico d’impresa, il prestigio sociale, vengono sanzionate dal mercato.
1.1.2 La responsabilità sociale del consumatore-cittadino
La prima ragione utile a comprendere l’enfasi odierna sulla RSI
riguarda una novità emergente di questa epoca: la responsabilità sociale del
consumatore-cittadino. La figura del consumatore, come ricettore passivo delle
proposte che gli vengono dal lato della produzione, cede il passo a un soggetto
1
Tratto da S. Zamagni in L’Impresa Giusta, rivista Il Ponte, Firenze, ott-nov. 2003, pp. 243-257.
Stefano Zamagni, ordinario di Economia Politica alla Facoltà di Economia dell’Università di Bologna e di
Economia Politica Internazionale alla Johns Hopkins University.
Cap 1 La Responsabilità Sociale d’Impresa
2
che vuole bensì consumare, ma in modo critico. Ciò significa che con le sue
decisioni di acquisto e, più in generale, con i suoi comportamenti, il
consumatore intende contribuire a “costruire” l’offerta di quei beni e servizi di
cui fa domanda sul mercato. Non gli basta più il rapporto qualità-prezzo,
vuole sapere come quel certo bene è stato prodotto e se nel corso della sua
produzione l’impresa ha violato o meno diritti fondamentali della persona
che lavora oppure ha inquinato l’ambiente, e così via.
Si prenda il caso emblematico della multinazionale Nike. Dopo che
alcune associazioni di consumatori avevano denunciato lo scandalo del lavoro
minorile in India e Pakistan e a seguito di un’intensa campagna di
boicottaggio, la quotazione del titolo al NYSE precipitò dai circa 66 dollari
dell’agosto 1997 ai 39 dollari del gennaio 1998. Recenti indagini di mercato
hanno inoltre evidenziato che 1’80% dei consumatori europei si dichiara
propenso a favorire lo sviluppo di imprese impegnate nel sociale. Il 72% dei
consumatori italiani intervistati ha poi affermato che sarebbe disponibile a pagare
un prezzo più elevato per i beni che acquista da imprese che si sottoponessero
alla certificazione sociale (del tipo Social accountability, SA8000)
2
oppure che
si impegnassero in iniziative socialmente rilevanti.
Anche il successo dei fondi etici e della finanza etica avvalorano questi
dati statistici. La tendenza in atto sembra confermare l’intuizione di J. S.
Mill
3
, uno dei punti di riferimento del pensiero liberale, quando, intorno alla
metà dell’Ottocento, aveva formulato il principio della sovranità del
consumatore
4
. Per i tempi la visione era prematura perché potesse venire
2
SA8000 è un sistema di accertamento della responsabilità sociale predisposto, nell’ottobre 1997,
dal CEPAA – Council on Economic Priorities Accreditation Agency – un ente non profit
americano che, nel 2001, si è trasformato in SAI – Social Accountability International. Il sistema
SA8000 misura l’eticità dell’intero ciclo produttivo e viene liberamente adottato dalle imprese per
certificare che i propri prodotti sono ottenuti rispettando tutti i parametri riguardanti le condizioni
di lavoro e i diritti fondamentali della persona.
3
John Stuart Mill (1806-1873), filosofo ed economista britannico.
4
Il principio afferma che il consumatore è sovrano quando, disponendo liberamente del proprio potere
d’acquisto, è in grado di orientare, secondo il suo sistema di valori, i soggetti di offerta sia sui
modi di realizzare i processi produttivi sia sulla composizione dell’insieme di beni da produrre.
Cap 1 La Responsabilità Sociale d’Impresa
3
esercitata nel concreto, ma oggi la situazione sta rapidamente mutando ed è
percepibile il passaggio dalla figura del “consumatore-cliente” a quella del
“consumatore-cittadino”.
Il consumatore-cliente non progetta, ma soprattutto non cerca di
interagire con i soggetti di offerta. Egli è solamente un agente che, dotato di
potere d’acquisto, si preoccupa di compiere una scelta razionale tra le diverse
opzioni che incontra sul mercato. Può scegliere in base alle sue preferenze, ma
queste sono manipolabili. È influenzato non solo dalle variabili economiche
(prezzi, reddito, patrimonio), ma anche dalle variazioni dell’offerta e dalle
opportunità di accesso.
Diversa è la figura del consumatore-cittadino. Questi è un soggetto che
non si limita a consumare i servizi che preferisce, ma “pretende” di concorrere
a definire e talvolta a produrre, congiuntamente ai vari soggetti di offerta,
quello di cui ha bisogno. In vista di ciò, il consumatore-cittadino sfrutta le
opportunità offerte dalle nuove tecnologie, in particolare dalle reti di
comunicazione, per realizzare forme di aggregazione della domanda capaci di
raggiungere una scala economica soddisfacente in grado di interagire con
l’offerta. Siamo oggi di fronte ad un passaggio dalla libertà di scelta quale
potere di autodeterminazione, secondo cui la libertà è valutata per ciò che essa
ci consente di fare e di ottenere, alla libertà di scelta quale potere di
autorealizzazione, come potere cioè di scegliere non solo il mezzo migliore
per un dato fine, ma anche il fine stesso.
5
5
Si riporta quanto contenuto nell’introduzione alla Guida al consumo critico del Centro Nuovo Modello
di Sviluppo, EMI, Bologna 2002. “Consumare e fare la spesa ci sembrano fatti banali che riguardano solo
noi, i nostri gusti, le nostre voglie, il nostro portafoglio, il nostro diritto a non essere imbrogliati. Eppure il
consumo è tutt’altro che un fatto privato e non può essere affrontato badando solo al prezzo e alla qualità.
Il consumo è un fatto che riguarda tutta l’umanità perché dietro a questo nostro gesto quotidiano si
nascondono problemi di portata planetaria di natura sociale, politica ed ambientale. […] Ogni volta che
andiamo a fare la spesa ricordiamoci che siamo potenti e che le imprese sono in una posizione di
profonda dipendenza dal nostro comportamento di consumatori: […] Un potere che, preso singolarmente,
è certamente piccolo, ma che, moltiplicato per milioni di persone, può condizionare le più grosse
multinazionali e, al limite, l’intero sistema.”
Cap 1 La Responsabilità Sociale d’Impresa
4
1.1.3 La globalizzazione
6
come fattore d’incertezza
La seconda ragione dell’enfasi sulla RSI è la seguente: una delle
conseguenze dell’attuale globalizzazione è l’aumento sistematico dell’incertezza.
La realizzazione del Welfare State ha consentito al sistema economico
occidentale di migliorare la propria performance senza che ciò andasse ad
accrescere, oltre un certo livello, l’impatto dell’insicurezza sugli individui: la
troppa insicurezza scoraggia il dinamismo economico perché riduce gli spazi
della creatività. Nel momento in cui gli istituti del Welfare, in crisi, non
riescono più ad assolvere adeguatamente a questa funzione, il rimedio deve
essere ricercato nella rivalorizzazione della vita pubblica.
Poiché le istituzioni pubbliche esercitano un’influenza diretta
sull’economia, anche nel lungo periodo, si tratta di ripensare e di
reinventare, ad una certa distanza di tempo, l’assetto istituzionale come la
tradizione di pensiero dell’umanesimo civile aveva intuito e realizzato. Per tale
tradizione, alla quale si rifà la scuola scozzese e, in particolare A. Smith
7
, il buon
funzionamento della società dipende dal grado di diffusione tra la popolazione
delle cosiddette virtù civiche, definite nei termini delle capacità delle persone
di discernere l’interesse pubblico e della loro inclinazione ad agire in
conformità ad esso. E il ruolo delle istituzioni è quello di incoraggiare nella
popolazione la diffusione massima delle virtù civiche attraverso l’educazione
e le opere, così che l’apparato motivazionale ne risulti adeguatamente
influenzato.
In tal senso, la RSI può essere vista come una norma sociale di
comportamento, una norma che esprime l’esigenza di valorizzare la vita
pubblica. Con la RSI l’impresa si mette in gioco di fronte alla società nel suo
6
Per una trattazione sistematica si rimanda all’Appendice di p. 62.
7
Adam Smith (1723-1790), economista e filosofo scozzese, gettò le basi dell’economia politica liberista.
La ricchezza delle nazioni (1776), divenne il testo di riferimento per tutti gli economisti classici del XVIII
e XIX secolo come David Ricardo, Thomas Robert Malthus, Jean-Baptiste Say, John Stuart Mill.
Cap 1 La Responsabilità Sociale d’Impresa
5
complesso e non solo di fronte al mercato
8
.
1.1.4 Le motivazioni dei collaboratori interni
C’è, infine, una terza ragione della recente attenzione e diffusione delle
pratiche di RSI. Si tratta del fatto che, a causa dei sempre più crescenti fenomeni
di asimmetria informativa e di incompletezza contrattuale
9
, l’organizzazione
interna d’impresa, grande o piccola che sia, pone al management sfide del tutto
nuove rispetto a quelle dell’epoca fordista
10
. Anche in questo diverso
contesto il management deve comunque risolvere il problema di evitare che
comportamenti opportunistici del tipo free-riding e shirking (letteralmente
“scroccone” e "imboscato") raggiungano la soglia oltre la quale viene messa a
repentaglio la vitalità dell’impresa. La teoria “ortodossa”, che si rifà al concetto
di principale-agente, prevede che il manager cerchi di estrarre da ciascuno dei
collaboratori lo sforzo ottimale attraverso l’adozione di appositi schemi di
incentivo. Ora, oltre al fatto che gli incentivi rappresentano un elemento di costo
a volte anche ragguardevole, ricerche empiriche hanno documentato che gli
schemi di incentivo adottati dal principale tendono a produrre uno
spiazzamento delle motivazioni intrinseche dell’agente. Se questi è pagato per
essere onesto sul lavoro, gli altri agenti non considereranno più quello onesto un
comportamento moralmente ispirato. E dal momento che è quest’ultimo il
comportamento cui è associata l’approvazione sociale, si ha che “pagare” per
8
Il 4 febbraio 2002, al World Economic Forum di New York, 36 presidenti, amministratori
delegati e alti dirigenti di multinazionali operanti nei settori dell’industria, del consumo e della
finanza, hanno firmato un documento dal titolo: «Global Corporate Citizenship: The Leadership
Challenge for CEOs and boards» (La sfida della leadership per amministratori delegati e consiglieri di
amministrazione). I firmatari si impegnavano a porre al centro della loro attività di uomini di affari
non più la crescita del profitto, ma «l’attenzione al sociale e alla minimizzazione di ogni impatto
negativo sulla popolazione e sull’ambiente». Il documento si chiudeva con l’affermazione: «I leader
di ogni paese, settore e livello devono lavorare insieme per lo sviluppo sostenibile e assicurare che i
benefici della globalizzazione si distribuiscano equamente». Ai responsabili delle direzioni strategiche
d’impresa del XXI secolo non bastava più essere solo “bravi” negli affari: dovevano operare anche per
essere accettati dalla società civile.
Vedasi anche il “Manifesto della Cittadinanza d’Impresa” in www.gruppodifrascati.it
9
Un contratto si dice incompleto quando le parti non sono in grado di specificare ex ante, cioè al
momento della stipula, data la loro complessità e variabilità, tutte le condizioni che devono essere
soddisfatte per onorarne i termini: tipico è il caso del contratto di lavoro.
10
Henry Ford (1863-1947), fondatore della Ford Motor Company. Introdusse il sistema di lavoro della
catena di montaggio utilizzata nella moderna produzione di massa.
Cap 1 La Responsabilità Sociale d’Impresa
6
ottenere una condotta eticamente irreprensibile produce l’effetto di erodere, nel
tempo, la forza delle motivazioni intrinseche degli agenti.
Quanto precede implica inoltre una considerazione di natura più
generale: uno schema di incentivo nasconde sempre una relazione di potere. È
evidente che una forma simile di espressione della relazione di potere è in ogni
caso preferibile a quella della coercizione attuata nelle epoche passate. Ma la
coercizione non è la sola alternativa possibile all’impiego degli incentivi,
perché vi sono la persuasione e il sostegno che proviene dall’approvazione
sociale. Gli incentivi cioè generano effetti diretti e indiretti. I primi sono
quelli che intervengono sull’interesse materiale, i secondi quelli che
influenzano il sistema motivazionale delle persone, per esempio
l’atteggiamento dei dipendenti verso il lavoro
11
. E la dimensione
motivazionale che gli incentivi sempre si portano dietro viene spesso
dimenticata. Studi empirici dimostrano che gli incentivi monetari riducono
sensibilmente il comportamento da corporate citizenship, perché fanno sì che il
contratto di lavoro da “scambio sociale” si trasformi in “scambio di mercato”
12
.
La conseguenza è che non solo lo sforzo, ma anche la lealtà nei confronti
dell’impresa da parte del lavoratore devono essere contrattati e remunerati
costantemente.
La RSI è invece un modo efficace attraverso cui l’impresa può utilizzare a
proprio vantaggio il meccanismo della persuasione nei confronti di coloro che
operano al suo interno: l’equità percepita incoraggia la cittadinanza d’impresa.
Se i collaboratori potranno osservare che i principi di equità giocano un ruolo
centrale nei rapporti fra impresa e stakeholders, essi arriveranno a concludere che
l’equità è un tratto dominante della cultura d’impresa e dunque che anche il loro
contratto di lavoro è equo, un contratto cioè basato sui principi dello scambio
11
S. Bowles, H. Gintis, M. Osborne, Incentive — enhancing preferences: personality, behaviour and
earning, «American Economic Review», 91, 2001.
12
J. Deckop, R. Mengel, C. Circa, Getting more than you pay for: organizational citizenship and
pay-performance plans, «Academy of Management Journal», 42,1999.
Cap 1 La Responsabilità Sociale d’Impresa
7
sociale. E il dipendente che è persuaso di essere trattato equamente tenderà a
ricambiare del pari, cooperando volontariamente
13
e finirà, nel tempo, con il
considerare questo comportamento come parte della sua identità.
Lo strumento degli incentivi classico appare oggi depotenziato perchè è
tramontata l’epoca del taylorismo
14
: se si esclude il lavoro di routine, che può
essere svolto dalle nuove macchine, la gran parte del lavoro è, oggi, di natura
specialistica, particolare e complessa. L’impresa che pensasse di servirsi dei
soli incentivi o, peggio, dei comandi per esercitare le funzioni di
coordinamento e di controllo fallirebbe nel suo intento
15
.
Due sono le categorie di regole morali che troviamo alla base della RSI:
quelle che possono essere concettualizzate nella forma di capitale umano
reputazionale, “il soggetto sa di dover incorrere in pesanti costi personali in
caso di trasgressione dalla norma”, e quelle la cui esecuzione dipende, invece, da
vincoli di natura interna, cioè dalla struttura morale della persona agente. Sono
queste ultime le regole morali che non possono essere sostenute dagli incentivi e
che tuttavia hanno la rilevanza maggiore. Tale duplicità di regole pone un serio
problema: mentre per far rispettare le regole morali della prima categoria è suffi-
ciente un sistema coerente di norme e funzionali sistemi sanzionatori in aggiunta
ad adeguati schemi di incentivo, per sostenere l’adozione della seconda categoria
di regole è necessario intervenire sulla costituzione motivazionale interna delle
persone, suscitando la loro adesione convinta a valori condivisi. Ciò accade
quando strumenti della RSI come il bilancio sociale, il codice deontologico, la
carta dei valori, ecc. vengono adottati non per ragioni strumentali, ma perché la
conformità ai principi dell’etica d’impresa viene considerata una fonte di
soddisfazione da parte degli operatori dell’impresa stessa.
13
H. Hollander, A social exchange approach to voluntary cooperation, «American Economic Review»,
80, 1990.
14
Frederick Winslow Taylor (1856-1915), ingegnere industriale statunitense, iniziatore della ricerca sui
metodi per il miglioramento dell’efficienza nella produzione.
15
E. Schlicht, Social evolution, corporate culture and exploitation, «IZA Discussion Papers», 651,
2002.
Cap 1 La Responsabilità Sociale d’Impresa
8
1.1.5 La teoria degli stockholders
Si è già ricordato che l’impresa non è mai stata considerata esente da
obblighi di natura sociale. La differenza tra le varie scuole di pensiero ha
riguardato piuttosto l’estensione e l’intensità del concetto di RSI.
La posizione più antica e diffusa è quella proposta e difesa dalla teoria
degli stockholders (azionisti) secondo cui la dimensione dell’eticità resta
esterna alla sfera di azione dell’impresa (e, più in generale, dell’agire
economico). Milton Friedman, fondatore, assieme a George Stigler ed entrambi
Premi Nobel per l’economia, della Scuola di Chicago, è il principale
rappresentante di tale influente corrente di pensiero. Nel suo Capitalism and
Freedom egli scrive: «Vi è una sola responsabilità sociale dell’impresa:
aumentare i suoi profitti. […] Il vero dovere sociale dell’impresa è ottenere i più
elevati profitti, ovviamente in un mercato aperto, corretto e competitivo,
producendo così ricchezza e lavoro per tutti nel modo più efficiente
possibile»
16
.
Il messaggio è chiaro: l’unica legittimazione etica, e perciò sociale, del
fare impresa è quella di mirare alla massimizzazione del profitto nel rispetto delle
regole dell’agire economico, regole che vengono fissate in sede politica.
Altrettanto chiara è la giustificazione di un tale precetto: poiché il profitto è
un indicatore sintetico dell’efficiente uso delle risorse, l’impresa che lo
massimizza fa il miglior uso possibile di risorse scarse, evitando sprechi e
distorsioni, e dunque contribuisce a creare, pur senza volerlo intenzionalmente,
«ricchezza e lavoro per tutti». In condizioni del genere, valore economico e
valore sociale si sovrappongono completamente: l’impresa è tanto più
socialmente responsabile quanto più opera guidata dalla sola motivazione del
profitto.
Una tale concezione è sostenuta dalla teoria dell’etica delle intenzioni.
Un’azione è definita moralmente buona quando è conforme a due regole: la
16
M. Friedman, Capitalism and Freedom, Chicago, Chicago University Press, 1962, p. 133.
Cap 1 La Responsabilità Sociale d’Impresa
9
regola prossima (la coscienza) e la regola remota (la legge). Il soggetto che,
riuscendo ad armonizzare la coscienza alla legge, si comporta di conseguenza, è
un soggetto che compie un atto moralmente buono. Solo le intenzioni
dell’operatore e non anche le conseguenze delle sue azioni sono rilevanti ai fini
della definizione di comportamento etico.
Il limite dell’etica delle intenzioni è quello di non tenere conto degli effetti
delle azioni individuali. Se un’attività, pur sostenuta da rette intenzioni, genera
esternalità, cioè conseguenze su altri soggetti, può accadere che un atto morale
soggettivamente lecito, secondo il criterio delle regole prossime e remote, sia
oggettivamente illecito per gli ulteriori effetti che genera a valle.
Una posizione teorica che, in tempi recenti, ha cercato di andare oltre i
confini dell’etica delle intenzioni è quella del “good ethic is good business”: il
comportamento etico contribuisce i n m o d o p o s i t i v o a l l a p e r formance
economico-finanziaria aziendale. È questa un’impostazione che prefigura
l’auto-interesse illuminato da parte degli operatori economici; non più la
massimizzazione del profitto nel breve periodo, ma una visione di lungo
periodo. Ciò significa che la responsabilità sociale entra come elemento della
funzione obiettivo dell’impresa e non più nel sistema di vincoli, come nella
teoria degli stockholders.
1.1.6 La teoria degli stakeholders
Una terza linea di pensiero, oggi molto diffusa, è quella condensata nella
teoria degli stakeholders, una teoria che risale agli anni sessanta del secolo scorso
e che ha trovato in Edward Freeman
17
il suo primo sistematizzatore. Grande è
stato l’impatto di tale linea di pensiero sia sul comportamento manageriale sia sul
piano degli assetti istituzionali. Per esempio, essa ha ottenuto formale
riconoscimento in U.K. nel 1973 da parte del CBICA (l’associazione degli
17
E. Freeman, Strategic planning: a stakeholder approach, Boston, Pitman, 1984 (II ed.).
Cap 1 La Responsabilità Sociale d’Impresa
10
industriali inglesi) e negli USA in 38 Stati
18
.
Le affermazioni degli artefici di questa teoria sono le seguenti: «Noi
sosteniamo che le sfide legali, economiche e morali dell’attuale teoria
dell’impresa [...] richiedano una revisione in prospettiva essenzialmente
kantiana. Il che significa che ciascun gruppo di stakeholder ha diritto a non
essere trattato come un mezzo orientato a qualche fine, ma che deve partecipare
alle determinazioni dell’indirizzo futuro dell’azienda»
19
. Ne deriva che il fine
dell’impresa non è la massimizzazione (sotto vincoli) del profitto, come è per la
teoria degli shareholders. Per quest’ultima, infatti, gli azionisti, essendo i
responsabili ultimi del destino dell’impresa, hanno diritto a una considerazione
diversa e più alta rispetto a quella degli altri portatori di interessi. Piuttosto,
«l’autentico fine dell’impresa, dal nostro punto di vista, è quello di operare
come veicolo per coordinare gli interessi degli stakeholders»
20
.
Compito del management è dunque quello di realizzare un
bilanciamento tra gli interessi di tutti gli stakeholders: «Il management è
portatore di una relazione fiduciaria che lo lega tanto agli stakeholders quanto
all’impresa come entità astratta. Esso è tenuto ad agire nell’interesse degli
stakeholders come se fosse un loro agente e deve agire nell’interesse dell’azienda
per garantire la sua sopravvivenza, salvaguardando le quote di lungo periodo di
ciascun gruppo»
21
.
Il fondamento etico di tale teoria è contenuto nell’etica della
responsabilità, formulata da Max Weber
22
all’inizio del secolo scorso e, in
18
J. Hanks, From the hustings: the role of the State with takeover control laws, «Mergers and
Acquisitions», 29, 1994.
19
W. Evan, E. Freeman, Ethical Theory and Business, Prentice Hall, Englewood Cliffs, 1988, p. 101.
20
Ibidem, p. 104.
21
Ibidem, p. 104.
22
Maximilian Carl Emil Weber (1864-1920), economista, sociologo, filosofo e storico tedesco. È
considerato uno dei padri fondatori del moderno studio della sociologia e della pubblica
amministrazione. L’opera più famosa è il saggio L’etica protestante e lo spirito del capitalismo
(1904/1905).