eventualmente positivi, si ritrovano riflessi nella performance
economica delle imprese.
Dalla RSI discende direttamente il discorso legato alla
rendicontazione non finanziaria delle azioni messe in campo dalle
imprese, ed anche in questo ambito, partendo da una definizione
semplice e piana di bilancio sociale – che viene definito come un
documento con il quale un’organizzazione presenta se stessa e rende
manifesti i suoi comportamenti socialmente responsabili e
apprezzabili, portando a conferma le testimonianze delle persone
direttamente coinvolte ed interessate – si prova ad approfondire
l’interessante problematica dei report non finanziari emessi su base
volontaria dalle imprese.
Il primo capitolo è dedicato, in particolare, all’introduzione
metodologica dei temi legati all’etica ed alla socialità d’impresa; alla
rendicontazione di tipo sociale nell’ambito delle aziende orientate al
profitto ed ai modelli di comunicazione che la dottrina e la tecnica
pratica presentano attualmente alle imprese, soffermandosi sulle
capacità informative di questi report.
Il secondo capitolo è tutto dedicato alla responsabilità sociale,
partendo dalla sua evoluzione nel tempo attraverso le differenti teorie
ed orientamenti che si sono succeduti ed arrivando ad introdurre la
5
teoria degli stakeholders. Il capitolo presenta un modello schematico
di approccio alle tematiche della RSI, utile per visualizzare
chiaramente ed in modo sintetico le aree dell’impresa interessate da
questo discorso e le spinte che contribuiscono alla sua diffusione; ci si
sofferma in particolare su una proposta di analisi dei costi e dei
benefici che la RSI comporta per le imprese.
Il terzo capitolo è dedicato alla rendicontazione sociale ed ambientale
non finanziaria, vista nell’ottica di strumento di comunicazione e
gestione di alcune variabili strategiche.
Si affronta il discorso tramite un’introduzione di massima
all’argomento, per poi passare ai modelli One Bottom Line e Triple
Bottom Line, ad una panoramica dei principali modelli italiani di
bilancio sociale ed a quelli internazionali di rendicontazione e
certificazione sociale; si approfondiscono due temi specifici, la
revisione esterna indipendente di questi reports e le certificazioni
ambientali. A conclusione si presenta una ricerca volta ad analizzare
in chiave strategica gli indicatori sociali più diffusi ed efficaci proposti
dagli standard setter nazionali ed internazionali.
Col quarto capitolo si è deciso di dedicare un approfondimento alla
relazione tra responsabilità sociale e PMI, analizzando sia la
propensione di queste ultime ad attuare azioni sociali, tramite una
6
ricerca specifica condotta sulle PMI italiane, sia indagando l’incidenza
della RSI sulla performance economica della PMI.
Si studiano i dati offerti da casi di studio di PMI che costituiscono
esempi di best practice nell’implementazione di attività sociali e nella
gestione strategica delle variabili ambientali, e che hanno dimostrato
buone performance economiche, relazionate e conseguenti alle
suddette pratiche.
7
Capitolo 1
Socialità, Impresa e Rendicontazione
SOMMARIO: 1.1 Socialità e Impresa – 1.2 L’etica aziendale, brevi cenni – 1.3 La socialità e lo sviluppo
sostenibile nella grande impresa di produzione – 1.4 Aspetti della comunicazione sociale – 1.5 Lo strumento
del bilancio sociale – 1.5.1 I soggetti interessati – 1.5.2 Considerazioni preliminari sull’evoluzione
informativa del bilancio sociale
1.1 Socialità e Impresa
In questo primo capitolo del lavoro si andranno ad analizzare e
commentare alcuni aspetti introduttivi di importanza fondamentale per
lo sviluppo successivo di tutta la trattazione. Si tratta di alcuni cenni
sull’istituto dell’azienda, la sua evoluzione nella dottrina italiana, ed
una breve introduzione allo strumento del bilancio sociale, così come
appare attualmente allo stato dell’arte nel nostro paese; nonché come è
strutturato a livello internazionale
1
.
Prima di passare alla trattazione dell’azienda, però, si crede
necessario fare alcuni accenni ad un tema di particolare ed attuale
1
Cfr. DE SANTIS G. – VENTRELLA A.M. Bilancio sociale dell’impresa, Franco Angeli, Milano
1980; pp. 1-3.
8
rilevanza: l’etica ed il suo rapporto col mondo dell’economia e
dell’impresa.
Numerosi studiosi si sono occupati negli anni di questa tematica;
alcuni provenienti dal ramo propriamente filosofico della materia,
altri, invece, hanno svolto indagini sul rapporto che c’è o che deve
esserci (più propriamente) tra etica e mondo economico, provenendo
da un background culturale più vicino al mondo dell’impresa (a titolo
esemplificativo citiamo su tutti Gianfranco Rusconi
2
e Claudio
Demattè
3
).
Storicamente si è molto dibattuto su quanto la ricerca del profitto
nell’impresa moderna sia una giustificazione per l’assenza di etica
propriamente detta, nella conduzione dell’impresa.
Spesso la dottrina si è divisa, contrapponendo su due opposte sponde
le imprese che nascono per fini lucrativi e quelle che invece hanno
nell’erogazione e nella mutualità l’oggetto sociale; attribuendo alle
prime solo ed esclusivamente fini economici e, di conseguenza,
escludendole da una gestione etica e morale.
Tra i fautori più accesi della distinzione tra agire imprenditoriale ed
agire sociale, si può sicuramente citare l’economista Milton Friedman,
2
RUSCONI G. Etica e Impresa. Un’analisi economico-aziendale, Clueb, Bologna, 1997; pp. 13 e
seg. e pp. 239 e seg.
3
DEMATTÈ C. Su tutti, articoli di introduzione a numero 2, anno 2002 pp. 3 e seg. e numero 2
anno 2004 pp. 5 e seg. di Economia & Management.
9
padre del monetarismo e premio Nobel (1976), che nel suo saggio del
1962 per la Chicago University Press, addirittura profetizzava scenari
di sventura per quelle nazioni che avessero accolto al loro interno il
germe della conduzione e direzione delle imprese capitalistiche volto
al sociale
4
.
Le parole di Friedman, appartenenti ad un contesto storico
radicalmente diverso dal nostro, sia per distanza cronologica sia di
framework socioeconomico, sono però un paradigma abbastanza
lucido e chiaro che descrive l’opinione, certamente legittima e tuttora
diffusa, che l’impresa con fine di lucro debba rendere conto del suo
operato solo ed esclusivamente agli azionisti ed allo Stato, inteso
come asettico legislatore.
Circa negli stessi anni in Italia, uno dei massimi studiosi di economia
aziendale, Pietro Onida, nel suo saggio sulla economicità, la socialità
e l’efficienza dell’impresa introduceva il concetto di benessere
comune, accompagnato alla socialità dell’agire imprenditoriale:
“Parliamo di ‘economicità’ per significare la conformità alla
convenienza economica, cioè alla convenienza giudicata e misurata in
termini di beni economici […]. Per ‘socialità’ intendiamo la
4
FRIEDMAN M. “Ci sono poche cose così pericolose per la nostra libera società, quanto
l’accettare, da parte dei dirigenti aziendali, il concetto di responsabilità sociale piuttosto che il
servire nel miglior modo possibile gli interessi degli azionisti della loro impresa” da Capitalism
and Freedom, Chicago, University Press, 1962; p. 133.
10
conformità al ‘bene comune’: il quale – si badi – non è soltanto
benessere comune, sebbene il benessere (economico) comune sia
condizione fondamentale del bene comune umano”
5
.
Da queste parole si può evidentemente evincere che il rapporto tra
economicità e socialità dell’impresa è duplice. Esso implica
valutazioni diverse, in ordine al fattore temporale individuato.
Il concetto di socialità, vale a dire di “benessere comune”, per
continuare ad usare il linguaggio di Onida, non sempre riesce a
coincidere puntualmente con quello di “economicità”, in quanto,
spesso, l’attività produttiva dell’impresa incide negativamente
sull’ambiente che la ospita.
Essa, pertanto, operando nel sistema sociale, deve tener conto degli
effetti che produce, limitando al massimo quelli negativi
6
, in modo da
evitare di compromettere la legittimazione ad operare nel dato
contesto.
Questo discorso può essere portato avanti anche adoperando l’ormai
classico concetto di equilibrio economico, per la valutazione dello
5
ONIDA P. Economicità, socialità ed efficienza nell’amministrazione d’impresa, in Rivista
Italiana di Ragioneria n. 3/4, 1961; p. 57.
6
Sul concetto di esternalità negative, sviluppato ed ampiamente dibattuto in microeconomia ed in
branche dell’economia d’impresa cfr. fra tutti: COASE R. 1960 per la formulazione della teoria
delle esternalità negative ed il loro abbattimento tramite i costi di transazione. Per una trattazione
accademica: VARIAN R. H. Microeconomia, Cafoscarina, Venezia 2002; pp. 523 e seg.
11
stato di salute dell’azienda, che spesso in economia aziendale è scisso
in equilibrio di breve ed equilibrio di lungo periodo
7
.
Nel breve periodo, infatti, se l’equilibrio economico dell’impresa è
oltremodo auspicabile (ricavi che superano i costi), è sicuramente
possibile che esso non sia puntualmente soddisfatto.
Si possono verificare periodi più o meno lunghi in cui, a causa di forti
investimenti o altri fattori congiunturali o di politica strategica, i costi
siano superiori ai ricavi.
Allo stesso modo, nel breve periodo, può capitare che l’operato
aziendale non sia perfettamente in linea con le scelte sociali che il
contesto in cui si opera attende; rompendo in tal modo l’equilibrio
economico-sociale.
Ciò cui l’azienda deve sempre tendere è l’equilibrio di lungo periodo,
sia in campo economico e finanziario, sia in ambito sociale.
Un’impresa che non ha prospettive di remunerazione del capitale
investito, proprio o di credito, infatti, non ha ragione di esistere ed in
poco tempo si vedrà espulsa dal mercato.
Allo stesso modo, l’impresa che non produce valore sociale a tutto
tondo e benessere comune per l’ambiente che la ospita, nel medio-
lungo periodo si troverà in condizioni di vita difficili, a causa della
7
Fra tutti, CAVALIERI E. – FERRARIS FRANCESCHI R. Economia Aziendale Vol. I – Attività
e processi produttivi, Giappichelli, Torino, 2005; pp. 47-55.
12
forte delegittimazione sociale
8
e della difficoltà di rinnovare i fattori
produttivi e le risorse strategiche aziendali (capitale di credito, operai
e impiegati, fornitori, clienti etc.).
Sintetizzando, si può dire che anche la ricerca del benessere comune
deve tenere conto dei vincoli di natura economica e se l’impresa, per
incrementare la propria legittimazione sociale e in prospettiva futura
quindi aumentare anche i ritorni economici, può tollerare momenti
negativi, deve sempre muoversi in un’ottica di equilibrio di lungo
periodo
9
.
Tale equilibrio di duplice natura garantisce, inoltre il mantenimento in
essere di una delle caratteristiche fondamentali per la definizione
stessa di azienda, almeno per come emersa in dottrina negli ultimo
decenni: la durabilità nel tempo
10
.
Un istituto, per essere chiamato azienda, infatti, necessita di una serie
di requisiti primari fondanti, due dei quali sono la coordinazione
sistemica e l’autonomia, ed il terzo è appunto la durabilità nel
tempo
11
.
8
CORTICELLI R. L’azienda: economicità e socialità in Rivista italiana di Ragioneria ed
Economia Aziendale n. 1, 1995; pp. 27, 37-47.
9
Vedi anche ONIDA P. sempre sui concetti di economicità, socialità e produttività dell’impresa,
in op. cit. 1961; p. 64 e ONIDA P Economia d’azienda, Giappichelli,Torino, 1965; p. 92.
10
DE SARNO M. Misurazione e comunicazione dei valori aziendali, Giappichelli, Torino, 2005;
p. 11.
11
DE SARNO M. op. cit. Supra, p. 13 e seg.: “Seguendo tale percorso cognitivo, la estrazione dal
complesso degli elementi identificativi aziendali […] conduce quanto meno alla individuazione dei
13