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Introduzione
Da qualche anno, presso la facoltà di Psicologia di Roma “La Sapienza”, viene
proposto agli studenti di elaborare un resoconto clinico del tirocinio pre-lauream
realizzato come relazione di tesi triennale . Resocontare l’attività svolta diviene
un’occasione non solo per tracciare i fili di congiunzione tra quanto studiato e
quanto esperito ma anche per provare ad utilizzare quanto studiato per riflettere e
leggere il contesto di tirocinio nel quale ci si è inseriti.
Il resoconto, essendo un tipo di narrazione che consente a chi racconta di
descrivere un’esperienza e le emozioni ad essa associate, permette di ri-
organizzare le relazioni vissute nel contesto e di ri-leggerle attraverso la propria
teoria di riferimento.
Grazie alla resocontazione ho potuto sviluppare una piena consapevolezza
sull’esperienza vissuta, destrutturare e ri-comporre pensieri dotati di senso,
inferire ipotesi sulla modalità di categorizzare la realtà, di simbolizzarla; ho potuto
individuare e ri-narrare le dinamiche collusive agite in riferimento alle proposte
relazionali del contesto.
Questo elaborato di tesi nasce dalle mie riflessioni sulla esperienza di tirocinio
pre-lauream che ho vissuto nella Comunità di Capodarco di Roma.
Il lavoro di tesi è suddiviso in quattro capitoli.
Nel primo capitolo, dedicato alla letteratura sul resoconto clinico, ho delineato
l’utilità del resoconto come strumento psicologico clinico, le sue caratteristiche e
la teoria di riferimento.
Nel secondo capitolo, dedicato alla Comunità di Capodarco che mi ha ospitata
nell’esperienza di tirocinio, ho descritto il tipo di struttura e gli obiettivi che si
pone, l’utenza alla quale rivolge i suoi servizi e la metodologia d’intervento.
Nel terzo capitolo, dedicato alla mia esperienza nella Comunità, ho illustrato il
primo giorno nella Comunità e le riflessioni successivamente generate ri-
pensando le modalità dell’istituzione del contratto in relazione al resto
dell’esperienza; ho anche descritto il ruolo di tirocinante che ho rivestito nella
Comunità e le funzioni ad esso associate.
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Nel quarto e ultimo capitolo ho esposto una riflessione critica sul funzionamento
dell’ente, sulla relazione dell’ente con l’utenza e sul ruolo del tutor nella
Comunità.
Nella parte conclusiva ho esposto alcune osservazioni e commenti sull’utilità che
ha avuto scrivere questo resoconto clinico per la mia formazione psicologico
clinica.
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CAPITOLO PRIMO
IL RESOCONTO CLINICO
1.1 Teorie di riferimento
La valenza del resoconto si basa innanzitutto sul “modello antropomorfico
dell’uomo”, che è una teoria dell’azione proposta da Harrè e Secord, (1972) la
quale afferma che l’uomo non solo è “agente” delle proprie azioni ma è anche una
persona che osserva, progetta e critica.
Fare resoconti della propria prassi quindi è una caratteristica delle potenzialità
umane e permette all’uomo di controllare l’esecuzione delle sue azioni e anche di
controllarne il controllo (Carli, 1986). Quindi l’uomo ha la capacità di elaborare
resoconti delle proprie azioni attraverso il controllo dell’azione mediante il
linguaggio, che serve al soggetto per descrivere il proprio operato e per
comunicare agli interlocutori il proprio punto di vista. La scrittura del resoconto
consente una riflessione sulle proprie azioni e di conoscere il comportamento
umano, l’azione e l’interazione fra le persone.
Harrè e Secord ci propongono la seguente definizione di azione: “Ogni volta che
qualcuno, sia egli attore o spettatore, fornisce un resoconto consistente di ragioni,
ciò che è, è stato, o sarà fatto costituisce un’azione”1 (1972 trad. p 223). Da questa
definizione si individuano le ragioni come fondamento della reciproca
implicazione tra azione e resoconto. Ciò significa che i motivi per cui si fa
qualcosa, le ragioni, rinviano all’intenzionalità intesa come tendere verso obiettivi
e a specifiche strutture inferenziali che mediano il passaggio dall’intenzione
all’azione; intenzionalità e strutture inferenziali hanno bisogno di categorie
culturalmente elaborate per descrivere attraverso il linguaggio i resoconti delle
proprie azioni e progettarle in anticipo. Intenzionalità, strutture inferenziali e
processi di categorizzazione possono essere compresi come elementi mentali, che
1
Harrè R., Secord P. F. (1972), The explanation of social behaviour, Basil Blackwell, Oxford [
traduzione it. La spiegazione del comportamento sociale, Il Mulino, Bologna, 1974].
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fondano la struttura psico-logica dell’azione e la possibilità di un suo resoconto
(Lancia 1990).
Un altro concetto fondamentale per le riflessioni sull’utilizzo del resoconto in
psicologia clinica è quello di pensiero narrativo proposto da Bruner (1991) che si
manifesta nelle situazioni in cui le persone cercano di comprendere la realtà che le
circonda. Attraverso il pensiero narrativo le persone interpretano la realtà e creano
storie basate sull’intenzionalità e la soggettività. Il contributo di Bruner è ancorato
alla teoria del costruttivismo di Hoffman (1983) e di Gill (1991) che vede la realtà
derivante da un processo di rappresentazioni mentali espresse attraverso il
linguaggio; ciò vuol dire che non esiste una realtà oggettiva e indipendente
dall’osservatore, ma è il soggetto stesso che costruisce la realtà attraverso un
processo di attribuzione di significati affettivi e personali in base alle situazioni
che di volta in volta si trova ad affrontare. Ogni costruzione narrativa è
influenzata dalla nostra storia personale, la quale a sua volta è influenzata dalla
cultura e dalle circostanze storiche in cui viviamo. “Il processo di narrazione in
quest’ottica viene visto come una vera e propria modalità cognitiva, tramite la
quale le persone elaborano la propria esperienza, conoscono il mondo,
acquisiscono il sistema di significati della propria cultura, mantengono la coesione
sociale e gestiscono la loro relazione con gli altri”2. In quest’ottica la vita sociale è
intesa come la risultante di costruzioni narrative socialmente condivise che la
cultura d’appartenenza, storicamente determinata, offre per interpretare la realtà.
Il modello delle rappresentazioni sociali (Farr, Moscovici, 1984), di matrice
psicosociologia, propone di individuare le modalità con cui le persone
attribuiscono significati alla realtà e agli eventi. Alla base di questo modello c’è
una concezione di uomo che assume un controllo attivo sulle proprie azioni e sul
proprio comportamento, entrambi diretti da un sistema di regole generate da
operazioni di categorizzazione sociale. Nel resoconto chi lo redige attua
continuamente delle scelte, categorizza la realtà in base al modello interpretativo
utilizzato, che gli permette di controllare e organizzare il testo in base a ciò che
vuole comunicare. Le rappresentazioni sociali hanno una duplice e integrata
valenza sociale e cognitiva: sono organizzatori della realtà, che permettono
2
Montesarchio G., Grassi R., Marzella E., Venuleo C. (2004), Indizi di colloquio, Franco Angeli,
Milano.
7
all’uomo di orientarsi nel proprio contesto d’appartenenza e di controllarlo, e
permettono la comunicazione tra i membri di una comunità attraverso codici di
scambio sociale e di categorizzazione condivisi: il linguaggio e l’azione.
Il modello delle rappresentazioni sociali funziona come sistema di comunicazione
che orienta il pensiero e l’azione individuale e dei gruppi sociali; difatti le
rappresentazioni sociali conferiscono significato agli eventi.
Attraverso la teoria psicosociale del rapporto individuo-contesto è stato possibile
descrivere i nessi fra sistemi cognitivi complessi degli individui e sistemi di
rapporti simbolici esistenti tra gli attori sociali. A questo proposito fondamentale è
il costrutto di collusione proposto da Carli e Paniccia (1981), che ha posto le basi
per l’elaborazione della teoria della tecnica di analisi della domanda (Carli,
Paniccia, 2003). La collusione è strettamente connessa con il concetto di
rappresentazione sociale, in quanto ciò che sostanzia la dinamica collusiva è la
simbolizzazione affettiva che è la risultante fra rappresentazione inconscia del
contesto e sistema percettivo. “Simbolizzare affettivamente significa dare senso
emozionale agli oggetti con i quali le persone entrano in relazione, quindi al
contesto”3 (Carli, Paniccia, 2003). La simbolizzazione affettiva viene assunta
collusivamente da chi condivide un medesimo contesto, cioè tende a creare una
rappresentazione inconscia comune del contesto stesso e crea le relazioni tra chi
condivide quel contesto. Si può individuare, in tal senso, la funzione
organizzatrice della collusione che ha la funzione di “meta modello regolatore
della cognizione/azione individuale”4 (Montesarchio, 1998, p. 95). La collusione
quindi orienta in modo significativo il pensare ed il pensiero viene creato nel
contesto e dal contesto, cioè dalle caratteristiche della relazione; pertanto il
modello della collusione ha come unità di analisi la relazione individuo-contesto e
non il singolo individuo.
Sia la collusione che le rappresentazioni sociali condividono il processo di
categorizzazione che consente di mettere in relazione idee, eventi, persone; grazie
alla scrittura del resoconto si può risalire al modo con cui si sono categorizzati e
rappresentati gli eventi e le azioni sociali di uno specifico contesto.
3
Carli R., Paniccia R. M. (2003), Analisi della domanda. Teoria e tecnica dell’intervento in
psicologia clinica, Il Mulino, Bologna.
4
Montesarchio G. (1998), Colloquio da manuale, Giuffrè , Milano.