5
attesa e speranza di remissione; può anche essere vissuta in
maniera serena e tranquilla. Quando si è in vita si può ancora
scegliere come considerarla, dopo sarebbe troppo tardi. Si può
decidere di odiarla o di accettarla, ci si può arrendere ad essa
in maniera confidenziale o ribellarsi inutilmente evitandone il
pensiero. La morte è comunque sempre lì, quindi perché non
occuparsene quando si è in vita?
Oggi molto più che in passato ci si prende cura di se stessi
anche dopo morti. Non a caso è in continuo aumento il numero
di coloro che decidono di organizzare il proprio funerale
prepagando le spese od iscrivendosi a società per la
cremazione. Quindi sia che si voglia un funerale tradizionale
con loculo, tumulazione o inumazione, sia che si opti per una
più radicale soluzione, quale la cremazione, è il diretto
interessato che può occuparsene, evitando così problemi ed
incombenze ai parenti. L’organizzazione della propria morte
passa quindi sempre più sotto il controllo e la gestione
dell’individuo, a discapito della famiglia e della comunità, che
si vedono messe da parte. Nella società moderna la
pianificazione personale fa infatti perdere alla morte quella
ritualità familistica, che in qualche caso era anche comunitaria,
caratteristica del passato.
6
Attualmente la cremazione risulta essere tra le soluzioni
preferite, non tanto dalle persone che optano ancora in larga
percentuale per le sepolture classiche, quanto dalle politiche
ambientaliste, dalla logica funzionalista dello stato, nonché
dalle esigenze della vita quotidiana. I cimiteri sono sempre più
sovraffollati, le città in continua espansione, la popolazione –
specie italiana – in progressivo invecchiamento; c’è il rischio
di una sovrapposizione dei cimiteri con le città, per cui o si
riducono gli uni o gli altri, o c’è il rischio di esplodere. La
cremazione ovvierebbe a questo problema, dato che grazie ad
essa si ridurrebbero notevolmente gli spazi cimiteriali, anche
se è pur vero che in Italia vige ancora l’obbligo di conservare
comunque le urne cinerarie che raccolgono i resti del defunto
cremato in loculi cimiteriali, ma l’ingombro e lo spazio
occupato da una bara è sempre inferiore rispetto a quello di
un’urna. Probabilmente nel futuro far scomparire la salma,
soprattutto dalla vista, nel più breve tempo possibile sarà una
soluzione imposta, dettata dalla nostra stessa situazione e
società. La cremazione diverrà, ed in parte già lo è, specie in
alcune realtà specifiche come quelle delle metropoli, la
soluzione migliore. Secondo le SO.CREM essa soddisfa
inoltre esigenze di igiene, praticità e rispetto dell’ambiente; ma
7
questo è probabilmente un giudizio di parte. Oltre agli aspetti
formali e pratici la cremazione soddisfa inoltre la fantasia di
un’ipotetica comunione col fuoco e con tutto ciò che esso
rappresenta. La cremazione può far da sfondo alla visione di
un ricongiungimento con la purezza originaria, garantita dal
passaggio attraverso una fiamma purificatrice. Ogni colpa,
sbaglio o errore di vita viene cancellato, rimane nient’altro che
cenere, neanche una traccia, neanche un corpo, seppur in
decomposizione, neanche il corpo del reato. Fondamentale
all’interno del ‘discorso funebre’ è anche il corpo, legato alla
morte e, quindi, alla cremazione, in un rapporto triplice che li
fa divenire quasi parti di uno stesso processo e ciclo produttivo
– distruttivo. Perché si possa parlare ed effettuare una
cremazione è necessario che ci sia un corpo, ma non un corpo
qualsiasi, bensì un corpo morto, che diventa in questo modo il
corpus.
8
CAPITOLO 1
IL CORPO DELLA MORTE: IL CADAVERE
1.1 L’abiezione del cadavere (dai morti ai vivi)
L’intolleranza, l’inquietudine, la nausea ed il rigetto che
l’uomo prova al cospetto della morte – propria e altrui – la
rendono, da sempre, il grande escluso, il rimosso per
eccellenza, l’elemento perturbante che desta sospetto e timore.
La morte va infatti a destabilizzare la società fondata
sull’ordine, sul rigore, sul rispetto di norme e regole: essa
arriva di sorpresa, mina la comunità alla base, ne mette in forse
stabilità e durata; provoca disagio, difficoltà di reazione e di
presa di posizione; rappresenta la novità, lo sconosciuto e
quindi il pericolo che da questi deriva, poiché è al di fuori di
ogni classificazione e schema ordinati ed ordinari. Il suo posto
nella società deve essere trovato, deciso e stabilito dalla
società stessa, che la riassorbe al suo interno e la colloca entro
una situazione nota e conosciuta. Questi giudizi e pensieri
negativi fanno sorgere nell’uomo, lo spavento “[…] verso ciò
che lo minaccia e che gli pare venga da un fuori o un dentro
9
esorbitante, gettato al lato del possibile del tollerabile, del
pensabile.”
1
Il presunto pericolo, nonché l’inquietudine e
l’orrore da questo derivanti, nasce infatti da tutto ciò che è
imprecisato, caotico, informe, illimitato, disordinato,
destabilizzante, senza margini e confini precisi,
2
poiché “il
pericolo sta negli stati di transizione, semplicemente perché la
transizione non è più uno stato e non è ancora l’altro: è
indefinibile.”
3
I divieti ed i tabù che sorgono intorno alla morte
ed al cadavere hanno allora lo scopo di tener lontano
l’impurità, il pericolo ed il contagio provenenti proprio dagli
stadi di transizione e di passaggio, per permettere la
sopravvivenza del gruppo e del soggetto.
4
Il forte potere di
contaminazione della morte, coinvolgente in primis il
cadavere, lede infatti la società intera, la sua unità e continuità,
mina alla base la stabilità sociale, mettendola in discussione,
suggerisce eventuali anomalie e contraddizioni interne date
dall’indifferenziazione causata dall’irrompere dell’evento
drammatico.
5
La morte che rompe ogni schema stabilito,
infrangendo regole e consuetudini, rientra quindi tra gli
elementi che generano panico ed orrore ed ancor più tra quelli
1
Kristeva J., Poteri dell’orrore, Spirali, Milano, 1981, p. 3.
2
Cfr. Tartari M., La terra e il fuoco, Meltemi, Roma, 1996, p. 117.
3
Douglas M., Purezza e Pericolo, Il Mulino, Bologna, 1975, p. 159.
4
Cfr. Kristeva J., op. cit., p. 77.
5
Cfr. idem, p. 88.
10
che suscitano repulsione, nausea ed abiezione, specialmente
quando si concreta nell’immagine del cadavere.
6
La vita non tollera la morte, reagisce ad essa con
orrore, e l’uomo si ritrae terrorizzato, non solo di
fronte alla distruzione dell’essere, ma anche al
cospetto della putrefazione che restituisce le carni
morte al fermento generale della vita.
7
Le materie in fermentazione, fetide, vive, brulicanti, le quali
vengono solitamente associate alla “[…] carne degradata e
decomposta simile agli escrementi […]”
8
, evocando l’impurità
del cadavere, generano nell’uomo nausea, disgusto e
repulsione. La nausea è ciò che colora ‘il mondo’ di una tinta
tenue, di un sapore insipido, di un odore anonimo, ciò che fa
esistere le emozioni e gli stati d’animo, che li concreta alla
coscienza e contemporaneamente li fa apparire in lontananza.
9
Una tale nausea è lo sfondo per la produzione di “[…] tutte le
nausee concrete ed empiriche (nausea di fronte alla carne
marcia, al sangue fresco, agli escrementi, ecc.) che ci portano
al vomito.”
10
La nausea porta al disgusto del corpo,
nell’espressione del viso, nel tono della voce, nelle forme della
carne, poiché ogni cosa di esso si rivelerà sempre all’eccesso,
6
Cfr. idem, p. 3.
7
Di Nola A., La Morte Trionfata, Newton & Compton, Roma, 1995, p. 150.
8
Ibidem.
9
Cfr. Sartre J. P., L’essere e il nulla, Il Saggiatore, Milano, 1968, p. 419.
10
Ibidem.
11
al di fuori di sé, al di là dei propri limiti e confini: la voce sarà
troppo statica, l’espressione troppo fissa, la carne troppo
bianca “[…] nel carattere nauseabondo di tutte le carni.”
11
Il
disgusto sollevato dalla carne evoca l’immagine del corpo
morto, del cadavere in preda alla decomposizione, le cui carni
si rivitalizzano e paiono tornare a nuova vita a causa del
brulicar di insetti. La carne marcia, in via di disfacimento,
corrosa, dopo essere stata investita dal potere dirompente della
morte, suscita nell’uomo sensazioni spiacevoli associate alla
nausea, al vomito, a ciò che inquieta al solo pensiero. Le cose
che acquistano l’odore della carogna, della carne morta ed in
decomposizione, puzzano di decadenza e di pus, di esalazioni
e di vapori mefitici, tanto da far divenire l’uomo, uomo –
carogna, più simile al cadavere che non alla vita.
12
Perché “un
uomo […] in fondo è soltanto putrefazione in sospeso.”
13
La
punta massima per l’abiezione del cadavere, un di più rispetto
al rigetto per un corpo morto, un eccedenza che deborda dal
rifiuto di vedere e toccare la salma è infatti “la putrefazione:
luogo privilegiato della mescolanza, della contaminazione
della vita con la morte, della procreazione e della fine.”
14
11
Idem, p. 440.
12
Cfr. Artaud A., Il teatro e il suo doppio, Einaudi, Torino, 1968, p. 158.
13
Céline L. F., Viaggio al termine della notte, Dall’Oglio, Milano, 1978, p. 7 (cit. da
Kristeva J., op. cit., p. 162).
14
Kristeva J., op. cit., p. 170.
12
Essa, fulcro del rifiuto e del rigetto che portano poi
all’espulsione ‘dell’immondo’, viene celata allo sguardo dei
vivi: nascosta da abiti eleganti, mascherata da trucchi e belletti
che ricoprono la salma, murata dentro ermetiche bare e dietro
altrettanto ermetici loculi, fatta sparire avviluppata dal fuoco
della cremazione. Gli espedienti usati dall’uomo – specie
quello moderno – per aggirare la morte, mirano all’esclusione
dell’abietto, di ciò che spaventa repellendo, che inquieta
affascinando e che turba seducendo, dalla vista e dai pensieri,
dei vivi.
15
Se nel defunto – e nell’abiezione – c’è un miscuglio
di attrazione e repulsione, fascino ed orrore, mistero e rifiuto,
l’uomo moderno non è in grado di sopportarne la vista, il
contatto, l’odore, o quant’altro possa coinvolgere i sensi; egli
ha bisogno di allontanare da sé ciò che lo turba, ha bisogno di
rinchiudere entro confini certi e sicuri ciò che lo angoscia, sia
perché sente forte il timore che ciò che vede possa piacergli
troppo, attraendolo più del dovuto, sia perché non sopporta di
vedere il proprio destino riflesso negli occhi fissi ed immobili
– anche se chiusi – dell’altro. Il cadavere infatti non desta
preoccupazione e sospetto solo perché è un corpo abbandonato
dalla vita, statico, fermo, insensibile ed inerte, ma anche
15
Per un’analisi più approfondita sull’argomento si rimanda ai capitoli successivi.
13
perché è un corpo in divenire, soggetto a modificazioni
progressive, nel continuo rivolgimento delle sue carni e nel
sovvertimento del suo stato. “L’oggetto vacillante,
affascinante, minaccioso e pericoloso, si profila come non
essere: come […] abiezione […].”
16
Il cadavere, non essere
per eccellenza, diviene così il bersaglio preferito
dell’abiezione, abietto esso stesso, accentratore del disagio
sociale e del rifiuto collettivo. Nonostante oggi la cultura
moderna provi un forte sentimento di rifiuto e di rigetto nei
riguardi del cadavere – diverso, terzo, perturbante, incomodo,
mostro, che rompe gli schemi sociali, creando ambiguità,
incertezza, pericolo e caos –
[…] siamo immersi in un mondo dominato dagli
elementi del perturbante. Dappertutto vi sono
ripetizioni, creature di cui non si sa se sono vive o
morte, fantasmi che appaiono a esprimere false
minacce. Il familiare e l’estraneo si mescolano
[…].
17
Il perturbante è ciò che spinge l’organico verso l’inorganico, è
la pulsione di morte, è territorio di margine e di confine tra la
vita e la morte, è ciò che appare dietro il gesto infinito del
nascondere e dello svelare allo sguardo.
18
È ciò che spaventa
ed attrae, che allontana e, nello stesso tempo, attira, che si
16
Kristeva J., op. cit., p. 77.
17
Volli U., Fascino, Feltrinelli, Milano, 1997, p. 37.
18
Cfr. idem, pp. 40-41.
14
sottrae alla vista mostrando e si offre allo sguardo celando. E’
il diverso, il mostro, l’abietto, ma anche il conosciuto, il noto,
l’essere doppio ed ambiguo: è il cadavere che, rientrando in
entrambe le tipologie, emana un’ubiquità, figlia della
somiglianza piuttosto che della differenza, poiché esso “[…] è
il più prossimo, il quasi uguale, quello che non si differenzia,
la vertigine dell’identità[…].”
19
Gli stessi sentimenti si
provano e lo stesso potere – misto di attrazione e repulsione –
è esercitato dai segni impressi sul corpo, le iscrizioni sulla
pelle, che rendono un corpo diverso. Esse indirizzano ed
attirano lo sguardo, sottolineano una parte del corpo,
esaltandola, in esse si concentra il potere dell’erotismo, del
voyeurismo, della seduzione e contemporaneamente
dell’abiezione, del rifiuto e della sottrazione alla vista. La
pelle, schermo del corpo, è il confine di separazione e di
unione tra interno ed esterno, tra dentro e fuori, tra soggetto e
mondo, tra puro ed impuro; su di essa è possibile ritrovare i
resti, i nomi, le pieghe e le tracce della storia dell’individuo,
della cultura e della società.
20
Le tracce ed i residui del corpo
tendono infatti a venire a galla, ad emergere verso la
superficie, “[…] verso la pelle che porta il geroglifico
19
Kristeva J., op. cit., p. 209.
20
Cfr. Ricci P., Nomi, pieghe, tracce, Quattroventi, Urbino, 1994, p. 10.
15
impresso laddove la ‘voglia’ sul corpo del figlio inscrive il
desiderio di una madre […]”
21
, in questo modo la traccia si
traduce in scrittura del desiderio mancato, ma non mancante,
anzi ben presente, visibile e stampato sul corpo. Essi generano
confusione, caos e disordine, poiché travalicano le regole del
buon gusto per entrare in quelle dell’eccesso e dell’eccedenza
pornografica. I segni sul corpo sono un’aggiunta che marca e
sottolinea, un’iscrizione di sostanza e forma che attira lo
sguardo, permettendogli di indagare ed indugiare; essi inoltre
spiegano e leggono quella stessa confusione che provocano,
congiungendo in uno solo due flussi – esterno ed interno – che
passano attraverso la pelle.
22
Ma il confine non è mai netto e
preciso, i margini sono vacillanti ed insicuri, “[…] la porta
[…] rimane socchiusa. Si apre sempre una scappatoia (tra
l’entrare ed uscire) […]”
23
, tale da permettere lo scambio ed il
passaggio di flussi e di fluidi, nonché la contaminazione tra
dentro e fuori, tra mondo e soggetto.
Il cadavere spaventa ancor più della morte, poiché se la morte
è solo un’idea, un pensiero che passa attraverso varie fasi di
reazione, comprensione, accettazione o ribellione, il cadavere
21
Idem, p. 43.
22
Cfr. idem, p. 89.
23
Idem, p. 59.
16
è invece una presenza concreta, scomoda ed ingombrante.
Esso è la sintesi ultima di tutto ciò che l’uomo combatte
durante il corso della vita, dal quale si tiene lontano, con cui
non vuole avere a che fare, quello che scansa quando incontra,
poiché è fonte di impurità, contagio ed abiezione.
24
Gli umori, la sozzura, l’escremento sono quanto
della morte la vita sopporta a stento e a fatica. […]
I rifiuti cadono perché io viva finché di perdita in
perdita non mi resti nulla e il mio corpo cada intero
al di là del limite, cadere, cadavere.
25
Il cadavere, zona di limite, di margine e di confine del corpo, è
l’equivalente dei rifiuti corporei, poiché se essi invadono la
vita con la sozzura e la spazzatura, “[…] il cadavere, il più
disgustoso dei rifiuti, è un limite che ha invaso tutto”
26
, è un
elemento che provoca nausea, disgusto e vomito, è il massimo
dell’abiezione, ed è per questo un escluso, così come lo è tutto
ciò che, intaccando le frontiere, si pone ai margini ed al limite,
ai confini e sul bordo, diventando per questo borderline.
27
L’abiezione del cadavere – come di tutti i rifiuti – non è però
data dalla mancanza di pulizia, dall’eccesso di sporcizia o
dall’assenza di purezza, bensì dal suo trovarsi in una
situazione liminale, intermedia ed ambigua, dal suo turbare
24
Cfr. Kristeva J., op. cit., p. 5.
25
Ibidem.
26
Ibidem.
27
Cfr. idem, p. 116.
17
schemi e categorie imposte, dal suo sconvolgere gli schemi
sociali.
28
Esso rappresenta infatti
[…] la corruzione biologica, raffigurata come
attività vischiosa, brulicante e torbida, che non
produce una forma, un limite, una configurazione,
dotata di margini netti.
29
Il corpo morto è al di là di ogni rigida separazione e differenza,
non è anima, né intelletto, né vita, né forma, né limite, né
senso; è assenza di limite, di potenza, di caratteri, è il non
essere, un’immagine illusoria. Riassume in esso l’ambivalenza
e la dicotomia, esalta e riduce al contempo le differenze
interne, grazie al potere dell’omologazione.
30
Il suo essere
duplice lo rende un ‘oggetto’ di paura e di fascino: i limiti ed i
confini scompaiono, la frontiera perde la sua rigida
delimitazione, ambigua ed incerta diventa la separazione “[…]
fra lo stesso e l’altro, fra il soggetto dell’oggetto e […] fra il
dentro e il fuori.”
31
Il corpo morto è allora zona di limite, ma
anche di ambiguità, poiché, non separa né distingue
nettamente, ma mescola e confonde, imbroglia e minaccia
ponendosi al limite, ai bordi.
32
“L’abietto è bordato di
sublime.”
33
28
Cfr. idem, p. 6.
29
Tartari M., op. cit., p. 116-117.
30
Cfr. idem, p.117.
31
Kristeva J., op. cit., p. 213.
32
Cfr. idem, p. 12.
33
Idem, p. 14.