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Introduzione.
Il processo di secolarizzazione in ambito economico ha prodotto una netta
separazione tra religione, che nutre e alimenta lo spirito, ed economia, che
riguarda gli aspetti prettamente materiali del vivere sociale. Tale
distinzione ha avvalorato l’idea di autonomia e di autoreferenzialità del
sistema economico regolato da leggi proprie e indipendenti dall’influenza
di dottrine di natura etica, politica e religiosa. Tale processo di
laicizzazione del concetto di economia si è sviluppato nel XVIII secolo in
seguito alle teorie sviluppate da Bernard de Mandeville e da Adam Smith.
Attraverso un provocatorio poema satirico, Mandeville si pone la seguente
domanda: per avere una società economicamente prospera, occorre che gli
individui che la compongono siano virtuosi? All’interno del poemetto
l’autore descrive la vita di una società di api, resa opulenta e prospera dai
traffici dei suoi abitanti, ciascuno dei quali si sforza di soddisfare le
proprie passioni, guidato esclusivamente dall’interesse privato.
Nonostante la prosperità, favorita dall’arte politica dei governanti, le api
non la smettono di alimentarsi, ipocritamente, dei vizi che inevitabilmente
si diffondono. Così Giove, esasperato, decide di intervenire, esaudendo il
loro desiderio di moralizzazione. Il risultato è che nella nuova società, in
cui regnano la frugalità e la temperanza, le attività e i commerci si
bloccano, le api si impoveriscono e rimangono in poche, esponendosi così
alla conquista da parte dei nemici esterni. La morale della favola, con cui
Mandeville conclude, è chiara nel suo significato: «Cessate dunque di
brontolare: soltanto i pazzi si sforzano di far diventare onesto un grande
alveare. Godere dei piaceri del mondo, essere famosi in guerra, e pure
vivere in pace, senza grandi vizi, è una vana utopia dell'intelletto. Frode,
lusso e superbia debbono esistere fino a quando ne cogliamo i benefici.
La fame è una piaga spaventosa, non c'è dubbio, ma senza d'essa, chi
9
digerisce e gode di buona salute? Non dobbiamo il vino alla vite misera e
contorta che, fin quando cresceva liberamente, soffocava le altre piante e
dava solo legna, ma ci allietò del suo nobile frutto quando fu legata e
potata? Così il vizio diventa benefico quando è sfrondato e corretto dalla
giustizia. Anzi, se un popolo aspira a essere grande, il vizio è necessario
allo Stato quanto la fame per mangiare. La virtù da sola non può far vivere
le nazioni nello splendore; coloro che vorrebbero far tornare l'età dell'oro
insieme con l'onestà debbono accettare le ghiande».
1
In conclusione,
dunque, i vizi privati garantiscono il benessere pubblico: se non vi fosse il
lusso molte merci non sarebbero prodotte, se non vi fosse l’invidia non si
desidererebbe di essere più ricchi degli altri e quindi diventare
imprenditori o mercanti, e così via. Se volessimo ritornare all’età dell’oro
dell’antichità, conclude Mandeville, dovremmo al tempo stesso accettare
di vivere di ghiande, come i nostri progenitori, rinunciando al benessere e
al progresso.
Smith dal canto suo in “La ricchezza delle Nazioni” affermava che:
«Dirigendo una particolare industria in modo da produrre il maggiore
valore possibile, l’individuo persegue solo il proprio guadagno, ed egli è,
in questo come in molti altri casi, guidato da una mano invisibile a
promuovere una finalità che non è parte delle sue intenzioni (…).
Ricercando il proprio interesse egli promuove frequentemente quello
dell’intera società, più efficacemente di quando accadrebbe se nell’agire
si proponesse di seguire l’interesse generale»
2
Tuttavia, l’attuale crisi economica e finanziaria ci mostra chiaramente su
quale pericoloso sentiero ci si venga a trovare quando morale ed etica
1
MANDEVILLE B., La favola delle api, ovvero vizi privati e benefici pubblici, Boringhieri, Torino, 1961,
p. 36.
2
SMITH A.; La ricchezza delle nazioni, Newton Compton Editori, 2008, p.245
10
vengono esclusi dall’economia. Le popolazioni sono sempre più soggette
alla precarizzazione, la globalizzazione ha inoltre amplificato i fallimenti
e le diseguaglianze prodotte dalle istituzioni socio-economiche e dalle
politiche locali. Alla luce di tali considerazioni una domanda sorge
spontanea: è possibile realizzare un sistema economico-finanziario basato
su principi etici come quelli della fratellanza e della solidarietà?
È sulla base di tali riflessioni che ho deciso di centrare il mio lavoro di tesi
sull’economia e finanza islamica. In modo particolare l’obiettivo che
intendo perseguire è quello di osservare come i principi etico-religiosi
prescritti dalla Sharia (la legge islamica) hanno influenzato lo sviluppo e
l’organizzazione del sistema economico-finanziario islamico, un sistema i
cui principi cardini sono quelli della giustizia e dell’equità. Il
raggiungimento di tale obiettivo presuppone un’adeguata conoscenza
dell’Islam e dei principali divieti coranici su cui si fonda il sistema
finanziario Shariah-compliant (ribā, ghārar e maysir) ma anche di quei
principi non direttamente connessi all’economia, ma che tuttavia ne
influenzano lo sviluppo e l’organizzazione: il principio del tawhid, unicità
di Allah, e del khilafah, vice reggenza sui beni materiali che sono stati
messi a disposizione dell’essere umano. Tali principi permettono di
comprendere come la cultura islamica abbia sostituito il concetto di “homo
economicus” con quello di “homo islamicus”, il credente responsabile
spinto nelle sue azioni dalla volontà di onorare Allah e di garantirsi la
salvezza nell’Aldilà. Per questo motivo i teorici, musulmani e non,
ritengono che l’azione dell’operatore musulmano debba essere analizzata
assumendo una diversa prospettiva di “successo” e tenendo in mente una
funzione temporale che consideri anche la vita ultra terrena. L’economia
islamica si basa dunque su valori etici ed ha come obiettivo quello di
realizzare una struttura sociale egualitaria. Particolarmente cara all’Islam
è l’equa distribuzione della ricchezza. Il Corano afferma che Allah ha
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creato ogni cosa nella giusta quantità per soddisfare i bisogni di ogni
essere umano. Tuttavia, poiché tali risorse appartengono in ultima istanza
a Dio, e poiché tutti gli uomini sono chiamati a svolgere il ruolo di
khilafah, è importante che tali risorse vengano utilizzate in modo equo ed
efficiente, per poter garantire a tutti (generazioni presenti e future) di
godere di uno standard di vita accettabile per poter soddisfare i bisogni
propri e della propria famiglia. La scarsità delle risorse è, invece, frutto
dell’avarizia e del desiderio di accumulazione; da ciò ne consegue che il
monopolio e lo sfruttamento incontrollato delle risorse sono estremamente
proibiti dall’Islam. Un altro principio cardine è l’eguaglianza fra gli
uomini, così come aiutare chi ha bisogno senza spettarsi nulla in cambio.
L’Islam incoraggia i credenti al lavoro, al guadagno economico e
all’investimento. Per i musulmani gli affari sono importanti ma devono
essere intrapresi nel nome di Allah e recare beneficio alla comunità:
l’uomo d’affari non deve essere motivato solo dal profitto, ma anche dal
desiderio di servire la sua comunità. Tuttavia, i musulmani non possono
intraprendere qualsiasi attività lavorativa, ma solo quelle coerenti con i
principi dettati dalla Sharia. Infatti, la legge islamica distingue tra ciò che
è consentito (halal) da ciò che invece è vietato (haram). In particolare
l’Islam vieta tutte quelle attività che comportano incertezza, speculazione
e il pagamento d’interessi come ad esempio l’attività bancaria e
l’assicurazione convenzionale. Tutto ciò ha importanti riflessi sulla
strutturazione del sistema economico-finanziario in quanto pone la
necessità di realizzare un sistema alternativo a quello convenzionale.
Il lavoro svolto è diviso in quattro capitoli e seguono un procedimento
deduttivo: nel primo capitolo si traccerà il pensiero economico islamico
attraverso l’analisi delle fonti sacre e giuridiche. Si delineano inoltre gli
obiettivi che si pone l'Islam nella sfera economica e vengono evidenziate
le regole e gli obblighi fondamentali che vigono all’interno del sistema.
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Successivamente nel secondo capitolo verranno illustrati nel dettaglio la
struttura e le regole dei contratti commerciali più importanti e il
funzionamento della banca islamica, evidenziandone le peculiarità rispetto
alla banca convenzionale. Verrà trattato inoltre il ruolo dell'arbitrato e dei
consigli consultativi sciaraitici.
Nel terzo capitolo verranno illustrate le caratteristiche del mercato
islamico dei capitali e in particolare il funzionamento delle obbligazioni
islamiche (sukuk) e dei fondi comuni islamici.
Infine, il quarto capitolo affronterà il sistema delle assicurazioni islamiche
denominato Takaful e si cercherà di comprendere quali vantaggi può
fornire lo sviluppo delle assicurazioni per i fedeli e per le istituzioni
islamiche.
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CAPITOLO I
ECONOMIA E FINANZA ISLAMICA: LE FONTI GIURIDICO
RELIGIOSE
1.1Introduzione.
L' Islam non indica una religione, nel senso che si dà a questa parola in
occidente, ma è «una concezione del mondo onnicomprensiva in un cui ha
un ruolo determinante la dimensione del sacro»
3
. L'Islam regola ogni
aspetto della vita quotidiana del credente, e di conseguenza anche ciò che
riguarda la sfera economica. Interviene sul valore e sullo sfruttamento
delle risorse naturali, indica le linee guida in materia di eredità, tassazione
e attività bancaria. Il Corano costituisce la fonte primaria di tali principi,
esso è seguito dalla Sunna (cioè gli atti e i detti del profeta Maometto),
dalla Ijmà (il consenso dottrinale degli studiosi religiosi) e dalla Qiyàs (il
ragionamento analogico). Queste fonti sono aperte all’interpretazione, ma
i principi economici contenuti nel Corano sono immutabili in quanto
espressione della volontà di Dio. Di conseguenza i valori economici
basilari da esso indicati sono immutabili, eterni e indiscutibili. Il Libro
Sacro condanna l'usura, l'alea, i guadagni smodati e le frodi e indica
l'elemosina come pratica fondamentale del credente, al pari della preghiera
del digiuno e del pellegrinaggio alla Mecca.
4
Insieme all'elemosina
3
CAMPANINI, M. - MEZRAN,K: Arcipelago Islam : tradizione, riforma e militanza in età
contemporanea, Roma ; Bari, Laterza, 2007, cit. p IX
4
Il Corano fissa con chiarezza quali sono gli obblighi fondamentali per un credente musulmano. Essi
sono comunemente chiamati i cinque pilastri dell'Islam, e sono: la testimonianza di fede, la
preghiera, il pagamento dell'imposta coranica (zakāt),il digiuno durante il mese di Ramadan,Il
pellegrinaggio a La Mecca almeno una volta nella vita per tutti quelli che siano in grado di
affrontarlo.