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Intr oduz i one
Un mondo arcobaleno, che rappresenta l’orgoglio e rimanda ad un simbolo di pace, come
potrebbe mai farsi inondare dal colore tetro della violenza? La comunità LGBT+, che si è
affermata alla ricerca dell’uguaglianza, come potrebbe mai manifestare aggressività?
Eppure, la violenza può insediarsi in ogni dove e lo ho fatto anche all’interno di tale
comunità e nelle relazioni che si instaurano tra gli individui che ne fanno parte. Non è una
cosa accaduta all’improvviso, come un fulmine a ciel sereno; piuttosto è un fenomeno che,
probabilmente, è sempre esistito, ma che per molto tempo è stato più semplice ignorare.
L’idea di questa tesi nasce proprio con lo scopo di analizzare le informazioni che
sono presenti ad oggi in letteratura sul tema e, se possibile, acquisire nuove conoscenze.
Nello specifico, ho avuto l’opportunità di essere coinvolta in un progetto di ricerca
finalizzato a comprendere quali sono i fattori di rischio che incidono sulla possibilità di
subire o perpetrare Intimate P artne r V iole nc e nella popolazione LGBT+. Il mio lavoro si
focalizzerà sulla valutazione di alcune variabili specifiche.
Nel primo capitolo, farò una revisione della letteratura sul concetto di attaccamento,
partendo dalla teoria classica di Bowbly sull’attaccamento infantile, per arrivare a
descrivere in che modo gli stili di attaccamento che si instaurano durante le prime fasi della
vita influiscono sulle relazioni in età adulta, quindi anche e soprattutto sulle relazioni
romantiche. Andrò quindi ad analizzare l’attaccamento romantico all’interno delle coppie
tra persone dello stesso sesso e quali aspetti dell’attaccamento potrebbero costituire un
fattore di rischio per la costruzione di dinamiche violente.
Nel secondo capitolo descriverò il concetto di minority stre ss, cioè lo stre ss
derivante dallo stigma e dalla discriminazione percepiti in relazione al fatto di essere parte
di una minoranza, in questo caso specifico una minoranza sessuale. Si è già visto che il
minority stre ss può avere conseguenze significative sulla salute mentale e sul benessere del
singolo, ma il mio obiettivo è soprattutto quello di comprendere in che modo il minority
stre ss incide sul benessere di coppia.
Nel terzo capitolo descriverò il fenomeno dell’ Intimate P artne r V iole nc e, quindi le
diverse forme in cui può manifestarsi e le dinamiche che, generalmente, ne sono alla base,
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focalizzandomi nello specifico su quelle che sono le dinamiche che vanno a crearsi nelle
relazioni tra persone dello stesso sesso in cui è presente questa tipologia di violenza.
Infine, nell’ultimo capitolo presenterò il mio contributo, incentrato principalmente
sull’esistenza di possibili correlazioni tra le due dimensioni principali dell’attaccamento
(ansia ed evitamento), alcune fonti specifiche di minority stre ss, ed una forma di violenza
che potrebbe assumere caratteristiche particolarmente rilevanti nelle coppie tra persone
dello stesso sesso e che ancora risulta essere scarsamente indagata, cioè il ricorso a
comportamenti di isolamento per ottenere il controllo sul/la partner.
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Capi tol o 1 – Dal l ’attac c ame nto i nfanti l e al l ’attac c ame nto
r omanti c o
È raro che in natura gli atomi siano isolati. Se isolati, in genere, sono instabili e al fine di
stabilizzarsi tendono ad unirsi tra loro per formare dei legami chimici. In modo analogo, gli
esseri umani non sono adatti a vivere in solitudine e hanno bisogno di instaurare delle
relazioni gli uni con gli altri. Alcune relazioni durano per tutta la vita, mentre altre
terminano senza che se ne capisca appieno la ragione; alcune rimangono superficiali,
mentre altre sono più significative ed importanti. In ogni caso, la creazione così come la
rottura di legami affettivi, inconsapevolmente, ha degli effetti rilevanti sulla vita di ogni
singolo soggetto e soprattutto sul suo modo di percepire se stesso/a e gli/le altri/e e di
rapportarsi alla propria realtà sociale.
I primi legami affettivi nascono ovviamente all’interno del proprio nucleo familiare
poiché, nelle prime fasi della vita, è l’unica realtà con cui il/la bambino/a ha la possibilità
di interagire e confrontarsi. I membri della famiglia potrebbero essere in tanti ma, nel
momento in cui il/la bambino/a cercherà qualcuno che possa soddisfare un suo bisogno, in
genere manifestando il proprio disagio attraverso il pianto, non si accontenterà
indifferentemente della risposta di chiunque. Non è infatti sufficiente che quel bisogno
venga soddisfatto. Attraverso il pianto il/la bambino/a ricerca l’attenzione di una specifica
figura di riferimento (nella maggior parte dei casi la madre) con la quale ha instaurato un
legame emotivamente significativo, definito legame di attaccamento.
In un primo momento, si è ritenuto che l’attaccamento caratterizzasse solo il
rapporto madre-bambino/a, assumendo inizialmente che la predilezione del/la bambino/a
nei confronti della figura materna fosse dovuta unicamente al fatto che la madre era colei
che permetteva al/la bambino/a di soddisfare il bisogno primario della fame. Gli
esperimenti di Harlow sulle scimmie rhesus (Harlow, 1958), così come gli studi di Spitz
sulla deprivazione affettiva nei/lle bambini/e ospedalizzati/e (Spitz, 1945), hanno però
dimostrato che la relazione con la figura materna ha un significato molto più profondo, che
va al di là del nutrimento e delle semplici cure materiali fornite al/la bambino/a. La teoria
freudiana della pulsione secondaria, secondo cui la madre costituirebbe semplicemente un
“mezzo” per appagare i propri bisogni, non spiega infatti il comportamento delle scimmie
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rhesus, le quali prediligono la vicinanza del fantoccio-madre che fornisce calore piuttosto
che di quello che fornisce solo ed unicamente nutrimento (Harlow, 1958), e non spiega per
quale ragione i/le bambini/e ospedalizzati/e osservati/e da Spitz (1945), nonostante
venissero adeguatamente nutriti/e e curati/e, manifestavano più frequentemente ritardi
nello sviluppo rispetto ai/lle bambini/e accuditi/e dalle proprie madri.
Queste e molte altre osservazioni in ambito etologico (Lorenz, 1937; Harlow, 1958)
e psicologico (Spitz, 1945; Heinicke, 1956) e i quesiti cui hanno dato origine trovano
risposta all’interno della teoria dell’attaccamento, che porta a considerare il rapporto
madre-bambino/a non più come una semplice motivazione secondaria condizionata dalla
necessità di soddisfare dei bisogni primari, bensì come un sistema innato e universale che
ha un fine proprio, cioè quello di garantire la sopravvivenza del/la bambino/a, in
particolare, e della specie umana in generale.
L’attaccamento può essere dunque definito come la relazione che si instaura tra il/la
bambino/a e chi si prende stabilmente cura di lui/lei e si manifesta attraverso una serie di
comportamenti finalizzati ad ottenere la vicinanza con il c are giv e r (Bowlby, 1999). In
genere, la principale figura di riferimento per il/la bambino/a è la madre, anche se non è
necessariamente così poiché, in assenza di una madre, il/la bambino/a sarà comunque in
grado di costruire un legame di attaccamento con un soggetto sostitutivo. Inoltre, in realtà,
i legami di attaccamento che il/la bambino/a costruisce nel corso dei suoi primi anni di vita
sono molteplici e diversi tra loro, nonostante sia evidente una maggiore inclinazione per
una specifica figura di attaccamento rispetto ad un’altra (Bowlby, 1982).
Sebbene l’attaccamento sia stato studiato prevalentemente facendo riferimento al
periodo dell’infanzia, è lo stesso Bowbly (1982) ad affermare che “anche se
particolarmente evidente nella prima infanzia, il comportamento di attaccamento
caratterizza l’essere umano dalla culla alla tomba” (p. 136). Ciò vuol dire che il sistema di
attaccamento si sviluppa nell’infanzia, ma continua a far parte di noi per tutta la vita,
nonostante le sue manifestazioni cambino notevolmente; quindi, non è una caratteristica
peculiare dei legami affettivi infantili.
Nei paragrafi successivi approfondirò il tema dell’attaccamento in età adulta,
maggiormente rilevante ai fini di questo lavoro, ma ritengo necessario partire dalle origini,
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quindi dai primi studi che sono stati condotti per comprendere l’attaccamento infantile. È
infatti complesso parlare di attaccamento in età adulta e di attaccamento romantico se
prima non si vanno ad analizzare gli stili di attaccamento che hanno caratterizzato
l’infanzia del soggetto e che possono aver avuto un’influenza rilevante sulle sue relazioni
attuali.
1. B owl by e l a te or i a de l l ’attac c ame nto
L’autore maggiormente citato quando si parla di attaccamento è John Bowlby, considerato
il padre della teoria stessa. Bowbly ha infatti dedicato buona parte del suo lavoro all’analisi
della relazione madre-bambino/a, una tematica centrale per molti autori e molte autrici
psicoanalitici, ma che con Bowlby inizia ad assumere una prospettiva differente.
Il concetto di attaccamento comincia ad essere sviluppato da Bowlby negli
anni ’50, nello specifico quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) gli affida
l’incarico di condurre uno studio sulla salute mentale dei/le bambini/e orfani/e o privati/e
della loro famiglia (Bowlby, 1952). Così come era già stato osservato da Spitz (1945),
anche Bowbly, conducendo questo studio, constata che la carenza di cure materne (o di
un’altra figura di riferimento) o, ancor di più, la totale deprivazione affettiva possono avere
delle conseguenze molto negative sullo sviluppo del/la bambino/a e sulla sua salute fisica e
mentale. Sostiene dunque che le relazioni abbiano un ruolo fondamentale sin dalla nascita
e che, in particolare la relazione madre-bambino/a, sia essenziale per lo sviluppo.
L’idea centrale della teoria di Bowlby è che il/la bambino/a, essendo maggiormente
vulnerabile nei primi anni di vita, abbia una predisposizione genetica a sviluppare un
legame specifico con chi è in grado di prendersi cura di lui/lei e di garantire la sua
sopravvivenza.
Questa figura di riferimento, in genere la madre, dovrebbe costituire un porto sicuro
per il/la bambina/o stessa/o, cui fare ritorno in ogni momento di difficoltà o pericolo. Di
conseguenza, se separato dalla figura di attaccamento, il/la bambino/a manifesta una serie
di comportamenti più o meno prevedibili che sono espressione del suo turbamento,
suddivisi da Bowlby (1978) in tre fasi specifiche:
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· La fase della protesta (può durare alcune ore o anche dei giorni interi), in cui il/la
bambino/a attende in maniera speranzosa il ritorno della madre, manifestando un
grande disagio attraverso violente crisi di pianto che nessuna figura sostitutiva
riesce a far cessare;
· La fase della disperazione, in cui il/la bambino/a sembra aver perso le speranze
rispetto al ritorno della madre ed è poco responsivo/a agli stimoli esterni;
· La fase del distacco, in cui il/la bambino/a sembra essere del tutto disinteressato/a
rispetto alla figura materna.
In realtà, la separazione dalla figura di riferimento non ha queste conseguenze
prevedibili in ogni circostanza, poiché non sempre il c are giv e r è in grado di fornire
sicurezza al/la bambino/a, il/la quale dunque avrà delle risposte comportamentali alla
separazione, e poi al successivo ricongiungimento con la figura materna, coerenti con lo
stile di attaccamento specifico che ha sviluppato nei suoi confronti. Infatti, “[…] il tipo di
attaccamento mostrato da un bambino nei confronti della figura materna è in larga misura
conseguenza del tipo di cure materne ricevute” (Bowlby, 1999, p. 331), nello specifico
della sensibilità della madre ai segnali del/la bambino/a e della sua capacità di rispondervi
in maniera adeguata.
2. L a Str ange Si tuati on e i pr i nc i pal i patte r n di attac c ame nto
La posizione di Bowlby è coerente con le osservazioni effettuate da diversi/e autori/autrici
prima di lui, ma ad un certo punto si rende necessario un riscontro empirico a sostegno
della sua teoria. Ciò diventa possibile grazie all’aiuto della collega Mary Ainsworth, la
quale, dopo una serie di osservazioni effettuate in Uganda, sviluppa un paradigma
sperimentale definito “ Strange Situation”.
La procedura della Strange Situation è stata ideata al fine di valutare le differenze
individuali nella relazione madre-bambino/a. Ha una durata complessiva di circa 20
minuti, con episodi di 3 minuti ciascuno. Inizialmente, il/la bambino/a si trova in una
stanza insieme al c are giv e r. In seguito, nella stessa stanza, entra un estraneo che
interagisce sia con il c are giv e r che con il/la bambino/a. Ad un certo punto, il c are giv e r
esce dalla stanza e il/la bambino/a resta da solo/a con l’estraneo. Lo scopo essenzialmente
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è quello di osservare il comportamento che il/la bambino/a manifesta al momento della
separazione e, successivamente, al momento del ricongiungimento con il c are giv e r.
Secondo Schaffer ed Emerson (1964), il principale indicatore della qualità della
relazione di attaccamento sarebbe la maggiore intensità della protesta al momento della
separazione. In realtà, basandosi sulle osservazioni di alcuni/e bambini/e ganda, la
Ainsworth (1963, citata in Bowlby, 1999) afferma che
Alcuni di questi bambini […] che sembravano attaccati molto saldamente alla madre, protestavano
poco e non manifestavano un’intensa angoscia di separazione; l’intensità del loro attaccamento alla
madre si manifestava piuttosto nella tendenza a usare la madre come base sicura da cui partire per
esplorare il mondo e per espandere il loro orizzonte, includendovi anche nuovi attaccamenti. Il
bambino ansioso e insicuro può apparire più intensamente attaccato alla madre che non il bambino
felice e sicuro, al quale la presenza della madre sembra una cosa scontata. Il bambino che si
aggrappa alla madre, che ha paura del mondo e delle persone che lo popolano, e che non si
avventura a esplorare altre cose o altre persone, è più intensamente attaccato o forse è soltanto più
insicuro? (p. 320)
Da tali considerazioni si evince che, rispetto al criterio dell’intensità
dell’attaccamento (Schaffer & Emerson, 1964), è invece molto più rilevante la sicurezza
osservata nel/la bambino/a, sia nella relazione che al di fuori di essa.
Sulla base del comportamento manifestato dai/lle bambini/e nella Strange Situation,
focalizzandosi principalmente sulla dimensione della sicurezza/insicurezza, la Ainsworth
individua tre possibili pattern di attaccamento nella relazione madre-bambino/a:
· Attaccamento sicuro (Pattern B);
· Attaccamento insicuro-evitante (Pattern A);
· Attaccamento insicuro-ambivalente (Pattern C).
Nello stile di attaccamento sicuro, la madre è in grado di rispondere in maniera
adeguata ai bisogni del/la bambino/a e costituisce una “base sicura” per lo/a stesso/a. Ciò
vuol dire che il/la bambino/a si sente libero/a di esplorare l’ambiente in maniera tranquilla,
poiché sa che la madre sarà pronta ad accoglierlo/a nel caso in cui ne avesse bisogno. Si
crea dunque un buon equilibrio tra comportamento di esplorazione e comportamento di
attaccamento. Al momento della separazione, vi è una reazione fisiologica di protesta da
parte del/la bambino/a, il/la quale però piange molto meno rispetto ai/lle bambini/e con
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attaccamento insicuro. Al momento del ricongiungimento con la figura materna, il/la
bambino/a è felice del suo ritorno e mette in atto dei comportamenti finalizzati ad ottenere
il contatto fisico con la madre, per poi riprendere tranquillamente le proprie attività di
gioco ed esplorative.
Nell’attaccamento insicuro-evitante la madre è poco disponibile e responsiva,
raramente cerca il contatto fisico con il/la bambino/a e non gli/le fornisce sicurezza. Di
conseguenza, si osserva in genere che il/la bambino/a manifesta una grande autonomia e un
evitamento nei confronti della figura materna, poiché ha imparato che quest’ultima non è
in grado di rispondere ai suoi bisogni. Al momento della separazione non sembra
manifestare angoscia e al momento del ricongiungimento sembra essere del tutto
indifferente e disinteressato/a rispetto al ritorno della madre.
Nell’attaccamento insicuro-ambivalente la madre è, per l’appunto, ambivalente nei
confronti del/la bambino/a. Ciò vuol dire che, ad esempio, non fornisce calore e supporto
in risposta al pianto del/la bambino/a, cioè quando il/la bambino/a ne ha effettivamente
bisogno ma, al contrario, mette in atto comportamenti di accudimento quando il/la
bambino/a non lo richiede, ad esempio quando sta giocando ed esplorando l’ambiente in
maniera tranquilla. Dunque, è una madre che non ignora i bisogni del/la bambino/a, ma
non è in grado di rispondervi in maniera adeguata. Di conseguenza, anche il/la bambino/a
stesso/a inizia a manifestare un comportamento ambivalente nei suoi confronti, poiché ha
imparato che la propria figura di riferimento non è una base sicura su cui fare affidamento,
bensì è imprevedibile. Nella Strange Situation un/a bambino/a con attaccamento
ambivalente protesta in maniera eccessiva al momento della separazione, ma poi, al
momento del ricongiungimento, mostra comportamenti contraddittori; ad esempio, cerca la
vicinanza, ma allo stesso tempo manifesta rabbia nei confronti della figura materna.
L’attaccamento sicuro è, come si evince dalla sua denominazione, quello che
fornisce sicurezza al/la bambino/a, favorendone lo sviluppo nel miglior modo possibile.
Non tutti/e però sono in grado di assumere il ruolo di base sicura nei confronti dei propri
figli e delle proprie figlie, poiché condizionati dalle proprie esperienze di vita e dai propri
legami di attaccamento infantili. Di conseguenza, nonostante sia auspicabile sviluppare dei
legami di attaccamento sicuri, in certe condizioni diventa necessario mettere in atto delle
strategie che siano adattive rispetto a quella situazione specifica. Dunque, l’attaccamento
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sicuro è la prima strategia cui si fa ricorso ma, poiché costruire un legame con una figura di
riferimento è un bisogno fondamentale, se l’attaccamento sicuro non risulta essere
funzionale in quel caso specifico, si adottano delle strategie differenti che portano a
sviluppare un attaccamento insicuro, ma comunque garantiscono la sopravvivenza.
Infatti, “si pensa che i bambini si affezionino indipendentemente dal fatto che i loro
genitori soddisfino o meno i loro bisogni […]” (Cassidy, 2008, p. 5), quindi il/la bambino/a
sviluppa in ogni caso un legame di attaccamento nei confronti di chi si prende cura di
lui/lei, anche nell’eventualità in cui la persona che dovrebbe prendersi cura di lui/lei è in
realtà la fonte di ansia e pericolo (es. nei casi di genitori abusanti). Dunque, il legame di
attaccamento bambino/a- c are giv e r si sviluppa in ogni circostanza; ciò che cambia è la
qualità del legame stesso.
Partendo dalle osservazioni della Ainsworth e utilizzando il paradigma della
Strange Situation, Main e Solomon (1986) hanno individuato infatti un quarto pattern di
attaccamento, in aggiunta alle tre categorie identificate precedentemente: l’attaccamento
disorganizzato-disorientato.
L’attaccamento disorganizzato-disorientato sembra svilupparsi in genere nelle
situazioni in cui il c are giv e r rappresenta per il/la bambino/a una fonte di protezione e, allo
stesso tempo, una fonte di pericolo, ad esempio nei casi di un genitore maltrattante o
abusante oppure di un genitore che ha dei traumi irrisolti. Questa visione contradditoria
della figura di riferimento impedisce al/la bambino/a di organizzare uno stile di
attaccamento che sia coerente. Ciò vuol dire che il/la bambino/a manifesta dei
comportamenti incoerenti, disorganizzati e a volte bizzarri poiché, sostanzialmente, in
presenza di una potenziale minaccia, si attiva il sistema di attaccamento che spinge a
ricercare la vicinanza e il contatto con il c are giv e r; in questo caso però, poiché è lo stesso
c are giv e r a costituire una fonte di minaccia, in contemporanea al sistema di attaccamento
si attiva anche il sistema difensivo che porta a mettere in atto delle risposte difensive. Di
conseguenza, ad esempio, nella Strange Situation, al momento del ricongiungimento, il/la
bambino/a con attaccamento disorganizzato-disorientato cerca il contatto con il c are giv e r,
ma allo stesso tempo sembra essere timoroso/a ed impaurito/a dalla vicinanza con lo
stesso.