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L’ultima parte di questo capitolo è stata dedicata ai fratelli gemelli, che costituiscono una fratria a
sé stante con peculiarità pregnanti; la loro inclusione in questa sezione del lavoro è dovuta al fatto
che anche il legame gemellare si gioca sia sull’asse della “simmetria-somiglianza” che su quello
della “complementarietà-differenza”.
Il terzo capitolo si pone come una riflessione sugli aspetti e sugli eventi di vita che possono
incidere sulla natura dei legami fraterni. Vengono analizzati eventi “stressanti” come la presenza di
un membro malato all’interno della fratria, la morte di un fratello, situazioni di ambiguità sessuale
che sfociano in agiti incestuosi, le possibilità e gli approcci terapeutici.
La trattazione di tali argomenti è strutturata longitudinalmente in modo da poter evidenziare gli
effetti diversificati di tali eventi su ogni età e periodo di vita.
Questa prima parte teorica si chiude con l’analisi dell’evoluzione delle relazioni fraterne nell’età di
mezzo e anziana. Il ciclo di vita deve attraversare tutte le sue fasi per essere completo, pertanto il
presente lavoro si è aperto con le relazioni tra bambini e si conclude con la vita degli anziani e con
l’incontro della morte come evento normativo.
L’approfondimento è quindi mirato ad offrire una panoramica sulle conoscenze acquisite
relativamente all’ambito dei fratelli e su eventuali nuovi percorsi di ricerca.
La prospettiva centrale che ha guidato questo lavoro è stata quella di considerare il
sistema fraterno come una totalità unica, ma, al tempo stesso, composta da membri differenti e
irriducibili al sistema stesso.
L’individualità della persona deve essere salvaguardata, così come l’attenzione alle dinamiche
interattive e relazionali che si sviluppano entro il sistema apportando modificazioni che si
ripercuotono sul tutto e sulle parti.
L’iscrizione della fratria all’interno di una matrice di natura familiare giustifica pienamente
l’attenzione per il contesto allargato della famiglia, che è determinante nello sviluppo e nel
mantenimento dei legami tra i figli. Pertanto, sono stati presi in considerazione anche i rapporti tra
legami verticali e orizzontali, per definirne i reciproci effetti.
Il “contesto relazionale” funge da cornice orientativa per l’analisi delle tematiche analizzate: la
nozione-sfondo fa riferimento alla relazione come ad un luogo-sistema primario e vitale di crescita
ed evoluzione, entro il quale si genera, si sviluppa e si mantiene la vita.
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Per fornire una visione completa, si è ritenuto importante riflettere anche sul versante opposto:
l’assenza, il rifiuto, il congelamento dei legami si pongono come base per l’involuzione, la
chiusura, l’irrigidimento e la negazione dei processi vitali.
La duplicità delle esperienze e la poliedricità delle dinamiche scatenate dagli eventi restano,
pertanto, costanti punti di riferimento nella valutazione dei legami fraterni e nell’osservazione della
loro complessità.
Oltre ad individuare i processi che legano le relazioni tra fratelli, si è ritenuto importante
anche delineare i fattori che rendono le relazioni le une diverse dalle altre.
Da qui è nato l’interesse per la valutazione di tutte le variabili intervenienti nei legami fraterni che
possono condizionarne l’evoluzione.
L’asse della differenza appare centrale in questo lavoro, in quanto un obiettivo era quello di
smitizzare credenze fuorvianti sulla presunta similarità dei fratelli. Inoltre è sufficiente ricordare che
la “differenza” è ciò che genera la vita, il confronto-scontro, l’arricchimento, la crescita e
l’individuazione. Negarla significherebbe soffocare la natura umana.
La seconda parte della tesi esplora, dunque, un particolare settore relativo alle fonti di
differenziazione nella fratria, ossia l’incidenza che l’ordine di nascita può avere sulle modalità
comportamentali e relazionali dei bambini.
Data l’impossibilità di effettuare osservazioni “ceteris paribus” alle stesse condizioni e nello stesso
ambiente per un campione sufficientemente ampio di fratelli, la ricerca sul campo è stata effettuata
su un gruppo di pari all’interno di un asilo con classi omogenee per età. L’obiettivo è verificare se
le competenze relazionali acquisite dai bambini in famiglia e nell’interazione quotidiana con i fratelli
siano esportate anche ad altri contesti di socializzazione, primo fra tutti quello con i propri
coetanei.
La natura paritaria e allo stesso tempo conflittuale delle interazioni fraterne può offrire occasioni
per apprendere abilità di negoziazione, regolazione degli affetti e controllo comportamentale,
bagaglio utile in qualsiasi scambio umano.
Tutte le acquisizioni evolutive sviluppate all’interno della fratria fanno sempre riferimento ad
interazioni tra bambini relativamente vicini per età, mentre questo non accade per i figli unici, che
non hanno a disposizione tale possibilità all’interno del nucleo familiare: si presuppone, quindi,
l’esistenza di differenze evidenziabili a livello comportamentale.
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A livello concettuale la variabile “indipendente” resta l’ordine di nascita relativo di ogni bambino,
anche se naturalmente non è possibile operare analisi in termini di causalità lineare.
Questo studio non prevede il controllo di possibili variabili di disturbo, inoltre non ricorre all’uso
di gruppi di controllo; un ulteriore limite della ricerca riguarda l’impossibilità di avere un campione
omogeneo per sesso e ordine di genitura, dato il piccolo numero iniziale di bambini a disposizione
e la restrizione imposta successivamente dai consensi negati dai genitori per le videoregistrazioni.
Questo, pertanto, si propone come un lavoro esplorativo di approfondimento di alcune aree
comportamentali salienti in relazione alla posizione che i figli occupano all’interno del nucleo
familiare.
L’intento della ricerca osservativa è, essenzialmente, quello di evidenziare la presenza di eventuali
aspetti pregnanti nelle modalità relazionali ed interattive dei bambini che possano avere qualche
legame con l’ordine di genitura.
Da un’altro punto di vista, questo lavoro assume anche una connotazione di tipo didattico-
formativo, in quanto permette l’applicazione sul campo di metodologie, strategie e conoscenze;
diviene, pertanto, un momento di concretizzazione di una parte di quello che si è appreso nel
proprio percorso di studio.
Ricerche basate sul confronto e sull’integrazione di più metodologie, nel futuro, dovranno
comunque chiarire in modo più esaustivo l’effettiva influenza di questa variabile tanto discussa e
poco studiata.
Questo rinnovato interesse per le relazioni fraterne può forse preludere ad una futura “nascita
scientifica” dei fratelli e del mondo che si portano dietro da secoli, senza aver mai potuto dargli
sufficiente voce ed espressione.
CAPITOLO 1
INTERAZIONI TRA BAMBINI
Un uomo gira tutto il mondo in cerca di quello che gli occorre,
poi torna a casa e lo trova.
George Moore
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1.1 UN CONFRONTO FRA RELAZIONI TRA PARI E
RELAZIONI TRA FRATELLI
Le interazioni tra bambini sono fondamentali nel corso dello sviluppo, soprattutto in
considerazione del fatto che esse si strutturano già in età estremamente precoci.
Tra i 4 e i 7 mesi i neonati mostrano un vivo interesse l’uno per l’altro mettendo in atto articolate
configurazioni oculo-motorie per raggiungere un coetaneo, anche in assenza di oggetti; queste
abilità costituiscono i precursori delle future competenze interattive e relazionali adottate nel
gruppo dei pari e con i fratelli (Montagner et al., 1993).
Queste esperienze di contatto con un altro bambino (inteso come soggetto a pari livello di
competenze) costituiscono anche il fondamento della conoscenza di sé e partecipano alla
costruzione dello spazio personale e del proprio schema prossemico (D’Alessio, 1988).
La funzione dell’oggetto a lungo dibattuta non deve dunque essere considerata come una
“conditio sine qua non” per lo sviluppo delle interazioni sociali tra bambini (Emiliani et al., 1985;
Montagner et al., 1994), ma come una variabile situazionale, la cui presenza favorisce interazioni
finalizzate alla sua condivisione, la cui assenza seleziona un compagno come focus interattivo.
Nel primo caso si parlerà di funzione cooperativa, organizzata attorno ad uno specifico compito
con suddivisione di ruoli e determinazione di regole, mentre nel secondo si avrà lo sviluppo di una
funzione interpersonale, centrata sulle dinamiche interne alla relazione in atto (Aureli et al., 1987).
Con la conquista del linguaggio, i comportamenti di sollecitazione, minaccia, offerta, ecc.,
acquisiscono un nuovo status diventando segnali: in tal modo essi mediano i processi interattivi,
conducendo alla formazione di legami coesivi e allo sviluppo d’interazioni cooperative e non
agonistiche (Montagner et al., 1994).
A partire dalle osservazioni di queste esperienze, i ricercatori evolutivi si sono accorti che i
complessi sistemi interattivi che si sviluppano tra bambini si traducono in vere e proprie relazioni.
La creazione di un mondo di conoscenze ed esperienze condivise e l’interazione prolungata sono
determinanti per la formazione di legami stabili.
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“Gli studi longitudinali sullo sviluppo delle concezioni di amicizia nell’infanzia e nell’adolescenza
mettono in evidenza una progressione evolutiva che si snoda tutta sulla dimensione del
<<condividere>> in un continuum che dagli oggetti esterni (giochi, interessi) incorpora
progressivamente sempre nuovi elementi del mondo interno (pensieri, sentimenti).” (Emiliani &
Carugati, 1985, p. 237).
L’amicizia, dunque, si sviluppa precocemente e può giocare un ruolo supportivo anche per i più
piccoli, in quanto si configura come un contesto gratificante in cui i bambini si aiutano
reciprocamente a sviluppare determinate capacità.
Il possedere amici con i quali spartire le esperienze diminuisce, inoltre, il fenomeno del rifiuto
all’interno del gruppo dei pari e facilita l’acquisizione di competenze sociali.
La presenza di amici sembra essere un buon predittore dell’adattamento positivo a scuola nei
primi anni delle elementari (Ladd, 1990).
La percezione che il bambino ha di sé stesso dipende dall’accettazione all’interno del gruppo dei
pari e viene modificata in base ai rinforzi positivi o negativi che il bambino riceve, in modo diretto
o indiretto, dai suoi coetanei (Boivin & Bégin, 1989).
I cosiddetti bambini “rifiutati”, ad esempio, mostrano di avere un’autoimmagine di sé negativa,
legata ad una bassa autostima; gli effetti combinati del comportamento sociale e dello status
negativo all’interno del gruppo possono contribuire a limitare le possibili esperienze sociali del
bambino, deprivandolo di opportunità utili per praticare e raffinare le sue competenze e per
rafforzare la sua autostima (Boivin & Hymel, 1997).
Inoltre, indipendentemente dallo status all’interno del gruppo dei pari, i bambini senza amici sono
più solitari, mentre i bambini attivamente rifiutati sono a rischio per lo sviluppo di comportamenti
antisociali e aggressivi, abbandono scolastico precoce, disordini psichiatrici e problemi di
adattamento psicologico (Parker et al., 1987; Dunn & McGuire, 1992).
E’ tuttavia improbabile, in questi casi, che siano esclusivamente le relazioni con i pari a
determinare esiti evolutivi negativi: più facilmente si può ipotizzare la presenza a monte di un
problema comune, che influisce sui comportamenti diretti agli amici e sul futuro adattamento
psicologico dei bambini.
Ciò non nega il valore supportivo delle relazioni sociali con gli amici, che possono, in condizioni di
vulnerabilità, mediare e attenuare gli effetti negativi di deprivazioni o stress.
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Per i bambini appare molto saliente giocare insieme a compagni preferenziali, condividere attività
piacevoli e aprirsi all’altro: essi si confidano, si supportano emotivamente e creano un mondo di
fantasie condiviso (Bigelow et al., 1992; Mendelson et al., 1994).
Proprio in virtù di queste caratteristiche, il legame amicale può avere un’incidenza positiva sullo
sviluppo, rendendo i bambini più sensibili e incrementando la preoccupazione per l’altro,
fondamento dei comportamenti di tipo prosociale (Di Blasio & Camisasca, 1995).
La capacità di tollerare e risolvere i conflitti, la condivisione di giochi di finzione, la fiducia
reciproca, l’intimità sembrano essere fattori determinanti nella scelta e nel mantenimento delle
relazioni amicali (Vespo, 1991).
Le interazioni con i pari possono essere immaginate come un continuum con gradazioni continue: il
grado di associazione, affetto e coinvolgimento che caratterizza ogni diade di bambini è variabile e
determina il tipo di relazione possibile.
Sembra, infatti, che il grado d’intimità e la stabilità del legame siano gli elementi chiave per
distinguere l’amicizia dalle relazioni con i pari; inoltre gli amici, se paragonati ai “non-amici”,
mostrano di seguire ed applicare più regole riguardanti il comportamento prosociale, la
facilitazione sociale, il trattamento dei sentimenti, delle informazioni e del conflitto (Bigelow et al.,
1992).
Le relazioni fraterne sono state spesso associate a quelle amicali, in quanto assolvono
simili funzioni: ad esempio, per il ruolo che svolgono nel processo di socializzazione, nel fornire
supporto e compagnia, nello sviluppo cognitivo e morale.
Gli studi sul conflitto socio-cognitivo e sugli effetti della destabilizzazione delle strategie solutorie
abbondano in questa direzione, mostrando come l’interazione tra bambini, non necessariamente di
pari età, risulti proficua sul piano dell’apprendimento cognitivo e dello sviluppo di competenze
socio-linguistiche. (Marchetti & Gilli, 1995; Zucchermaglio & Pontecorvo, 1995).
Le modalità di apprendimento sviluppate nelle interazioni tra bambini (amici, fratelli) sarebbero
essenzialmente il tutoraggio (un bambino insegna ad un altro più inesperto), l’apprendimento
cooperativo (un gruppo di bambini inesperti si riuniscono per risolvere un problema), la
collaborazione tra pari (due novizi sono posti di fronte ad un problema di cui non hanno alcuna
conoscenza) e le attività spontanee di tipo imitativo.
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Le modalità di apprendimento, comunque, si delineano in modo più specifico nel contesto della
fratria, perché, grazie al loro bagaglio di esperienze condivise, i fratelli appaiono più consapevoli
delle rispettive differenze, limiti, capacità e pertanto diventano insegnanti più accorti e più direttivi
(Pérez-Granados et al., 1997). Si è anche potuto osservare che i bambini in presenza di
compagni più grandi e dei fratelli tendono a fare più richieste e domande ai fratelli e ad imitarli di
più. Questo potrebbe essere spiegato come un effetto della maggior intimità e familiarità che i
bambini hanno con i loro fratelli (Emiliani & Carugati, 1985; Azmitia & Hesser, 1993).
D’altronde le interazioni con i pari si giocano prevalentemente sull’asse dello scambio reciproco,
quindi in pattern complementari, con una minor quantità di richieste rispetto a quelle rivolte ai
genitori o ai fratelli maggiori (Baumgartner et al., 1989).
Anche le situazioni conflittuali sono state considerate come un’arena nella quale sperimentare e
consolidare abilità relazionali a vari livelli; tuttavia il confronto fra conflitti fraterni e tra pari mostra
che le forme e le dinamiche sono, per alcuni aspetti, differenti.
A differenza delle relazioni amicali, tra fratelli si evidenzia maggior tolleranza verso i
comportamenti aggressivi e la manifestazione di emozioni negative; inoltre il sesso dei fratelli
sembra essere poco pregnante nella scelta delle modalità di gestione e risoluzione del conflitto
(Raffaelli, 1991, in Dunn et al., 1992, p. 91).
Relazioni amicali e relazioni fraterne risultano essere importanti, perché coinvolgono interazioni
intime, diverse rispetto a quelle dei genitori, più o meno stabili ed emotivamente intense.
Nonostante ciò, si possono evidenziare notevoli differenze: i legami fraterni sono imposti,
irrevocabili e coinvolgono sia sentimenti positivi che negativi, in quanto sono fortemente
ambivalenti. Infatti, essi si strutturano all’interno della famiglia e come altre relazioni familiari non
sono liberamente scelti; l’appartenenza allo stesso nucleo familiare e la grossa mole di tempo
trascorso con i fratelli determinano legami caratterizzati da forte gelosia, invidia e controllo, aspetti
che non sono presenti nella stessa misura nelle relazioni amicali (Bigelow et al., 1992).
Date le differenze di età, sesso e ordine di nascita e ruolo, le interazioni fraterne appaiono, inoltre,
come più differenziate e meno egualitarie rispetto al gruppo dei coetanei, dove le competenze
sono ad un livello paragonabile e le funzioni vengono maggiormente spartite (Emiliani & Carugati,
1985).
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E’ anche probabile che i fratelli manifestino l’aiuto e i loro affetti in modo meno diretto rispetto
agli amici o anche in modo strumentale, in quanto sanno che possono sempre contare sull’altro e
che la relazione viene mantenuta al di là dell’interazione diretta; l’appartenenza allo stesso sistema
familiare funge da elemento sovradeterminato che garantisce la sopravvivenza del legame fraterno
in qualunque circostanza (Floyd, 1995).
L’appartenenza ad una fratria si configura come una condizione di unione permanente, un insieme
di legami interiorizzati che nel tempo si trasformano, ma non mutano nella sostanza, anche se nel
corso dello sviluppo viene promossa la differenziazione tra i suoi membri.
Gli amici, infatti, vengono scelti in base alla condivisione di esperienze, credenze ed interessi e le
relazioni amicali evidenziano una maggior reciprocità rispetto a quelle fraterne, che pur restando
importanti, promuovono l’indipendenza dei suoi membri (Pulakos, 1989).
Un’ipotesi accreditata, proposta da alcuni ricercatori di matrice “social learning”, sostiene
che i bambini generalizzano le modalità comportamentali apprese in famiglia. Naturalmente non si
tratterebbe di un processo d’influenza unidirezionale: la famiglia si struttura come un “frame”
all’interno del quale vengono sviluppate determinate competenze e determinate modalità
relazionali che costituiscono il bagaglio di ogni bambino; questi modelli operativi internalizzati
andranno poi ad interagire con le esperienze di vita, con le relazioni instaurate e con la personalità
di ogni membro della fratria.
Ad esempio, esistono prove del fatto che i bambini aggressivi nei confronti dei propri fratelli
avranno con maggior probabilità problemi anche con i pari al di fuori del contesto familiare, anche
se questo non attesta il valore causale del ruolo dei fratelli nell’eziologia del comportamento
aggressivo (Dishion, 1986, in Dunn et al., 1992, p. 86).
Nell’interazione con i pari possono essere messi in atto gli stessi pattern comportamentali adottati
in famiglia, ma è anche possibile che vengano attivati pattern di tipo compensatorio.
Ci sono poi ricercatori che avvalorano anche la tesi opposta, sostenendo che in caso di difficoltà
nelle relazioni amicali i fratelli possono fornire un contesto affettivo fortemente compensatorio. I
bambini isolati nell’ambito del gruppo dei pari ottengono livelli di supporto relativamente alti
all’interno della relazione fraterna, che viene sentita come più confortevole e affettuosa; tuttavia, le
stesse osservazioni non sembrano valere nel caso dei bambini aggressivi, i quali non riescono a
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sfruttare le potenzialità insite nel legame fraterno, se non in particolari condizioni (East & Rook,
1992).
Stocker & Dunn (1990) evidenziano come, di fatto, questa presunta esportazione di
caratteristiche dai legami fraterni a quelli amicali sia più complessa di quanto si sia ritenuto. Le
precedenti esperienze nelle relazioni, le credenze, le aspettative reciproche sui comportamenti
variano notevolmente da persona a persona; la combinazione unica di queste caratteristiche e
degli aspetti temperamentali diminuisce la possibilità di trovare legami tra relazioni amicali e
fraterne.
Inoltre, anche le norme della società e le prescrizioni comportamentali dettate dalla cultura di
appartenenza (circa il “dover essere” dei legami fraterni o delle amicizie “migliori”) contribuiscono
ad incrementare le differenze, diminuendo, ancora la probabilità di evidenziare associazioni tra
queste due tipologie relazionali (Stocker & McHale, 1990 in Stocker et al., 1990, p. 228)
Un’altra possibilità esplicativa è quella che propone l’isomorfismo tra i comportamenti adottati
nelle relazioni intime, fraterne o anche amicali, e la diversificazione dalle interazioni occasionali e/o
continuative con il gruppo dei pari, inteso come gruppo meno intimo (Dunn & McGuire, 1992).
Stocker & Dunn (1990) hanno riscontrato associazioni significative tra alcune dimensioni delle
relazioni fraterne e quelle considerate le amicizie migliori riconducibili alla qualità intima e diadica
di entrambi i rapporti. Le ricercatrici specificano, tuttavia, che questo non attesta direttamente
l’esportazione di modalità apprese in famiglia e che nella loro ricerca erano presenti nelle relazioni
amicali anche pattern di tipo compensatorio.
Risulta, quindi, importante considerare anche il percorso opposto, ossia l’influenza che le relazioni
amicali possono avere sui legami fraterni: i bambini possono apprendere, anche durante il gioco
con gli amici, competenze interattive che saranno trasferite nel contesto della fratria.
Non è da escludere la possibilità d’interferenze di varia natura tra questi due ambiti relazionali: le
relazioni amicali potrebbero configurarsi in alcuni casi come compensatorie rispetto a relazioni
fraterne deboli o eccessivamente asimmetriche, oppure l’intensità del legame fraterno potrebbe
coinvolgere a tal punto i bambini da disincentivare la ricerca e l’interazione con amici (Mendelson
et al., 1994).
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Esistono, tuttavia, ancora risultati contrastanti su questa problematica: una possibile linea per la
futura ricerca potrebbe essere quella di studiare non tanto il rapporto tra relazioni amicali e
fraterne in sé, quanto aspetti più specifici di queste relazioni.
Ad esempio le possibili combinazioni di età, sesso, temperamento e prescrizione di ruolo tra
fratelli potrebbero rendere ragione delle diverse reazioni dei bambini all’interno del gruppo di pari.
I bambini potrebbero avere facilità o difficoltà nelle interazioni con gli amici, in base a precise
aspettative nei confronti degli altri, tarate sulle relazioni con i fratelli (Mendelson et al., 1994)
Può accadere così che un bambino ultimogenito si aspetti che siano gli altri a prendere l’iniziativa
e ad essere direttivi, visto che così è stato abituato dai suoi fratelli, mentre una femmina
primogenita può essere pronta ad organizzare i giochi o a mostrarsi protettiva verso gli altri,
mostrando disappunto se gli altri non la assecondano.
Non è possibile operare un bilancio complessivo che propenda a favore di una tipologia
di relazioni, in quanto, pur condividendo alcuni aspetti i legami fraterni, le relazioni amicali e quelle
tra pari svolgono ruoli e funzioni differenti.
Le diverse caratteristiche che le contraddistinguono rendono ragione delle loro peculiarità e della
loro necessaria coesistenza: nessuna può, infatti, fungere da sostituto per le altre.
Le relazioni fraterne, nonostante il forte coinvolgimento che determinano, non devono e non
possono sovrapporsi in modo assoluto alle interazioni con i pari e alle relazioni con gli amici.
La fratria funziona principalmente su base diadica e preclude alcune forme interattive di tipo
gruppale, che possono invece essere esperite nel gruppo dei pari.
Il fatto di non possedere fratelli non costituisce, tuttavia, necessariamente uno svantaggio
evolutivo, in quanto ci sono per i figli unici altri vantaggi e altre condizioni obiettivamente
favorevoli.
Di conseguenza, oltre a cercare di individuare i processi che legano queste tipologie di relazioni e
le eventuali influenze reciproche, si potranno nel futuro delineare i fattori che rendono i rapporti
individuali gli uni diversi dagli altri.
Il percorso evolutivo di ogni bambino sarà tanto più ricco quante più figure di riferimento avrà e
quante più relazioni forti potrà instaurare con gli altri; ogni contesto interattivo e relazionale è
un’occasione unica di sperimentarsi, disvelarsi e conoscersi: e questo non vale solo nei confronti
degli altri, ma soprattutto rimane un’esperienza unica rivolta a sé stessi.
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1.2 DINAMICHE RELAZIONALI TRA FRATELLI IN ETA’
EVOLUTIVA
La relazione fraterna ha inizio quando un fratello diviene consapevole dell’esistenza
dell’altro; solitamente questo accade alla nascita quando il più grande entra per la prima volta in
contatto con il neonato, ma può iniziare virtualmente anche prima se i genitori lo preparano
all’evento già durante la gravidanza.
Fornari (in Brunori, 1993, p. 121) ha definito il rapporto fraterno come un codice caratterizzato
da una struttura relazionale paritaria che si può manifestare attraverso atteggiamenti di
collaborazione o di competizione, intendendo per codice “un insieme di regole che sono alla base
della relazione tra le persone e ne regolano gli scambi affettivi”.
La condivisione di esperienze in famiglia avvicina i fratelli e promuove una reciproca capacità di
comprensione, che non necessariamente viene veicolata da una comunicazione esplicita
(Ainsworth, 1992).
Infatti, il legame fraterno si configura come l’interdipendenza tra due individui in interazione
continua (azioni, comportamenti verbali e non verbali), che finisce per influenzare i sentimenti, le
credenze, le conoscenze e gli atteggiamenti dei soggetti coinvolti.
La notevole quantità di tempo trascorsa nelle interazioni con i fratelli è una fonte inestimabile di
arricchimento reciproco in molti settori dello sviluppo.
I fratelli sono fondamentali nella sperimentazione di stili relazionali, di modelli di socializzazione, di
modalità di gestione del conflitto, del gioco di finzione (Youngblade & Dunn, 1995) e nello
sviluppo di comportamenti prosociali e cooperativi (Dunn, 1992), nello sviluppo del linguaggio
(Oshima-Takane et al., 1996), nell’acquisizione di abilità sociocognitive, nella comprensione delle
emozioni (Begun, 1995) e di concetti legati alla teoria della mente (Perner et al., 1995).
Fratelli e sorelle possono, inoltre, essere una notevole fonte di sostegno, compagnia e aiuto sia a
livello strumentale, sia emotivo (Furman & Buhrmester, 1985; Dunn, 1986).
I principali processi tramite i quali vengono sviluppate le varie competenze sono il modellamento e
l’imitazione seguita da risposte di feedback.
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Sembra dunque che ci sia una sorta di adattamento da parte dei fratelli maggiori alle competenze
dei minori, per poter meglio interagire con loro: d’altra parte i fratelli più piccoli presto si
identificano con i maggiori, che fungono da modelli di crescita e di confronto.
L’ordine di nascita e le aspettative di ruolo ad esso legate influiscono sul comportamento e sulle
modalità relazionali che i fratelli manifestano: i fratelli maggiori, più spesso i primogeniti, ad
esempio esprimono maggiormente affetti positivi rivolti ai fratelli più piccoli, forniscono maggiori
cure, sostegno, attenzioni e sono più tolleranti (Brody et al., 1987).
Gli ultimi nati, da un lato sono più coccolati e vezzeggiati, ma dall’altro non possono vivere
l’importante esperienza d’insegnamento ai fratelli minori, in quanto dopo di loro non c’è nessun
bambino più inesperto; questo può essere un notevole svantaggio, in quanto la possibilità di
affrontare la complessità di una mente meno matura della propria può essere una esperienza molto
formativa, soprattutto sotto il profilo dello sviluppo intellettuale (Dunn & Plomin, 1997).
Un’altra variabile strutturale di notevole importanza è il sesso dei fratelli: Furman & Buhrmester
(1985) e Pulakos (1990) riportano che le donne si sentono molto più coinvolte degli uomini nelle
relazioni fraterne, dialogano di argomenti più intimi, scrivono più lettere. Nelle famiglie di soli
maschi, inoltre, i rapporti appaiono come i più distanti in assoluto, mentre nelle famiglie con delle
sorelle la qualità dei legami migliora, proprio grazie alle presenze femminili.
E’ stato anche scoperto che i bambini di una certa età con un fratello o una sorella dello stesso
sesso tendono ad essere portatori, in misura maggiore, delle caratteristiche tipiche degli stereotipi
sessuali, per cui si trovano più in sintonia nelle loro interazioni rispetto a quanto accada nelle diadi
miste (Dunn, 1986). Questa dinamica può anche dipendere dal comportamento materno: infatti la
madre nella crescita tende a trattare i bambini in maniera più coerente se sono dello stesso sesso,
anche se non sempre è così, perché la madre modella il suo comportamento anche sulla base del
sesso degli altri eventuali figli.
Questa complessità non sembra presente, invece, quando i bambini sono ancora molto piccoli:
non si riscontrano, infatti, differenze nel comportamento dei bambini con i fratelli o le sorelle.
L’intervallo intergenico costituisce un ulteriore elemento che determina la qualità delle relazioni:
fratelli molto vicini per età probabilmente giocheranno di più insieme, condivideranno gli stessi
interessi, faranno esperienze più simili, potranno vivere alcune particolarità tipiche delle coppie
gemellari.
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Helen Kock sostiene che, quando la differenza d’età è compresa tra i due e i quattro anni, tutte le
dimensioni fondamentali della relazione fraterna, come affetto, competitività, rivalità, modellamento
si accentuano; quando i fratelli sono più distanti, tendono a giocare meno insieme e si instaura un
rapporto d’insegnamento che viene facilmente accettato anche dai più piccoli (Dunn, 1986).
Se l’intervallo di età è invece ampio, il fratello maggiore ha già alle spalle una buona parte del suo
percorso di vita e può facilmente divenire un sostituto genitoriale, oppure può lasciare la casa dei
genitori e creare una situazione tale per cui il fratello minore vive quasi come se fosse figlio unico.
Nel caso, forse più frequente, in cui ci sia una distanza di qualche anno tra i fratelli, possono
rendersi evidenti alcune disparità legate alla dominanza, alla leadership, al controllo, all’affetto
manifestati dai bambini: questo può dipendere dal carattere dei fratelli o dalle naturali
disuguaglianze dovute alla diversa maturazione e alle diverse competenze sviluppate.
Il polo affiliazione-distacco emotivo è fondamentale nella strutturazione delle relazioni fraterne che
possono essere fonte di notevole arricchimento personale, come anche elemento di frattura
insanabile. Cicirelli (1995) sostiene che i fratelli sono potenti agenti di socializzazione l’uno per
l’altro; tra fratelli sono sempre in atto processi di confronto che conducono a continue valutazioni
reciproche: antagonismi, critiche, competizioni sono ulteriori stimoli per la differenziazione fra sé e
gli oggetti esterni (Bank & Kahn, 1975), per l’evoluzione dei rapporti e per la strutturazione della
personalità.
Talvolta anche il diverso aspetto fisico dei fratelli è oggetto di ammirazione, invidia, gelosia, in
quanto questo elicita particolari reazioni negli amici, nei genitori, nei partner, spesso determinanti
per l’accettazione della persona coinvolta.
Il confronto si articola su due dimensioni: quella privata, rivolta alla valutazione di aspetti costitutivi
del proprio sé in rapporto all’altro e quella sociale più esplicita, che mette in gioco la
consapevolezza che l’altro ha un’opinione e un’immagine di noi. Questa duplicità è molto
importante perché può essere utile per giungere a spiegare alcune delle discrepanze che esistono
nel rapporto fraterno.
Infatti non tutti i bambini esperiscono e concettualizzano il rapporto con i fratelli allo stesso modo:
ci sono diversità caratteriali, comportamentali, di abilità di cui i bambini devono tenere conto; la
sintonia affettiva reciproca, la disponibilità, la simpatia sono elementi che determinano la qualità del
legame e, in larga parte, anche il senso di autostima e di competenza di ogni bambino.