9
all’organizzazione aziendale, ai sistemi informativi, ai sistemi logistici, alle formule
distributive.
Questa capacità di innovare si è espressa anche nella comunicazione, con la
proposta di messaggi di forte impatto che hanno segnato una rottura nei codici
espressivi tradizionali della pubblicità: ciò è ancora più significativo dal momento
che ha avuto luogo in un settore, come quello della moda, caratterizzato da
modalità di comunicazione piuttosto standardizzate e omologate.
Risulta quindi particolarmente interessante verificare se alle innovazioni
nella comunicazione pubblicitaria di Diesel e Benetton, già oggetto di numerosi
studi, si accompagni anche una concezione innovativa del ruolo delle relazioni
pubbliche all’interno della comunicazione d’impresa e della loro potenzialità nel
contribuire alla creazione di un’immagine di marca fortemente distintiva e
differenziata.
Il primo capitolo presenta l’approccio resource-based alla strategia
aziendale, secondo il quale le risorse e le competenze possedute dall’impresa sono
le fonti primarie del suo vantaggio competitivo e, pertanto, devono costituire la
base per la formulazione di una strategia aziendale in grado di assicurare il profitto
a lungo termine. Dopo la descrizione del modello del triangolo strategico, proposto
da Collis e Montgomery
1
, e del modello di Porter per l’analisi del settore,
l’attenzione si focalizza così sui modelli di analisi proposti da Barney
2
(lo schema
VRIO) e da Lipparini e Grant
3
(l’architettura delle competenze), accomunati
dall’obiettivo di individuare, tra le risorse e le competenze possedute dall’impresa,
quali sono quelle capaci di assicurare un vantaggio competitivo sostenibile, in
quanto costituiscono punti di forza difficilmente replicabili dai concorrenti.
La difficile replicabilità caratterizza spesso le risorse intangibili, che perciò
tendono ad essere critiche per il vantaggio competitivo. Queste risorse possono
essere considerate come composte di conoscenza e fiducia e dotate di meccanismi
di auto-generazione che ne accrescono il valore. Nel secondo capitolo vengono
quindi prese in esame tre fondamentali risorse intangibili: la cultura aziendale,
l’immagine aziendale, la marca. Relativamente a quest’ultima vengono trattati il
concetto di brand equity e le dimensioni che lo compongono: conoscenza (brand
awareness, brand identity, brand image), fedeltà, relazioni. Viene poi descritto il
1
Collis D. J., Montgomery C. A. (1999), Corporate strategy, ed. italiana a cura di Invernizzi G.,
McGraw-Hill Libri Italia, Milano.
2
Barney J. B. (1997), Gaining and Sustaining Competitive Advantage, Addison-Wesley Publishing
Company, USA.
3
Lipparini A., Grant R. M. (2002), “La gestione strategica delle competenze organizzative”, in Sviluppo
& Organizzazione, N. 192, Luglio/Agosto 2002, pagg. 19-31.
10
modello per l’accrescimento del valore della marca, proposto da Busacca
4
:
attraverso le fasi dell’accumulazione, dell’ampliamento e dell’attivazione la marca
diventa la risorsa più importante ed il vettore di sviluppo dell’impresa. La natura
semiotica della marca viene infine presentata, seguendo la proposta di Semprini
5
,
attraverso il concetto di mondo possibile.
Il terzo capitolo affronta il tema della comunicazione d’impresa, delineando
sinteticamente le diverse concezioni del ruolo che le relazioni pubbliche possono
svolgere al suo interno. Dopo aver visto il peso marginale che il marketing
tradizionalmente attribuisce alla funzione e la proposta di Invernizzi
6
di
suddividere la comunicazione d’impresa in tre aree distinte (comunicazione
interna, comunicazione di marketing, relazioni pubbliche), viene esaminata e
discussa la tesi provocatoria di Ries e Ries
7
, secondo la quale è alle relazioni
pubbliche, e non alla pubblicità, che spetta il ruolo più importante all’interno della
comunicazione di marketing, cioè quello della costruzione della marca. Il confronto
tra i vantaggi ed i limiti propri dei messaggi pubblicitari e di quelli delle relazioni
pubbliche è seguito da alcune considerazioni sulle modalità attraverso le quali
viene valutata l’efficacia delle PR e sul modo in cui la copertura mediatica negli
spazi editoriali interagisce con la comunicazione pubblicitaria.
Il rapporto tra moda e comunicazione è oggetto di analisi nel quarto
capitolo. La prima parte analizza l’evoluzione del modelli di consumo nel settore,
mentre la seconda evidenzia l’importanza dell’identità di marca in questo
particolare contesto, nel quale le componenti simboliche e comunicative svolgono
un ruolo di rilievo. Nella terza parte vengono prese in esame le forme attraverso
cui la moda è presente sui mezzi di comunicazione, particolarmente significative in
quanto il ciclo stesso dell’offerta del settore è strutturalmente legato alla logica dei
media. Vengono pertanto descritti i formati privilegiati ed i limiti delle modalità di
comunicazione pubblicitaria più diffuse nel settore, unitamente ai motivi grazie ai
quali la moda ottiene ampi spazi di tipo editoriale all’interno dei mezzi di
comunicazione di massa. Questa sezione si conclude con un accenno alle
problematiche di tipo deontologico derivanti dal cosiddetto “rapporto di scambio”
tra spazi pubblicitari e servizi redazionali, particolarmente accentuato nel settore.
4
Busacca B. (2000), Il valore della marca tra postfordismo ed economia digitale. Accumulazione,
ampliamento, attivazione, EGEA, Milano.
5
Semprini A. (1993), Marche e mondi possibili. Un approccio semiotico al marketing della marca,
FrancoAngeli, Milano.
6
Invernizzi E. (a cura di) (2001), Relazioni pubbliche. 1. Le competenze, le tecniche e i servizi di base,
McGraw Hill, Milano.
7
Ries A., Ries L. (2002), The Fall of Advertising and the Rise of PR, HarperBusiness, New York (USA).
11
L’ultima parte del quarto capitolo è dedicata, invece, ad una panoramica
generale sulle principali attività svolte dalle relazioni pubbliche, sottolineando,
dove necessario, gli aspetti specifici del settore moda.
Il quinto ed il sesto capitolo presentano, rispettivamente, i casi aziendali
Diesel e Benetton, ai quali viene applicato uno schema di analisi strutturato in
diverse parti.
La prima di queste prevede una presentazione generale dell’azienda, con la
descrizione della sua storia e del suo sviluppo, seguita dall’analisi della strategia,
attraverso l’applicazione del triangolo strategico di Collis e Montgomery, per
concludere con l’articolazione del sistema di offerta aziendale.
La seconda parte è dedicata all’analisi degli elementi che in passato hanno
contribuito alla costruzione della marca ed oggi continuano a influenzare la sua
immagine: il ruolo del fondatore, la comunicazione pubblicitaria, la politica
distributiva, unitamente ad altri fattori specifici dell’azienda di volta in volta
esaminata.
La terza e la quarta parte focalizzano l’attenzione sull’area aziendale che si
occupa delle attività di relazioni pubbliche, che costituisce il principale oggetto di
analisi di questo lavoro. Nella terza parte viene descritta la struttura di questa
area, la sua posizione nell’organigramma aziendale, la sua articolazione interna;
vengono inoltre elencate e riportate nel dettaglio le attività svolte dai singoli uffici
che la compongono.
La quarta parte presenta l’analisi di due dei più importanti processi sotto la
responsabilità delle relazioni pubbliche: il primo, la presentazione della collezione,
legato alla comunicazione di prodotto; il secondo, il lancio della campagna
pubblicitaria, relativo alla comunicazione istituzionale. Lo svolgimento di queste
attività viene descritto puntualmente attraverso mappature di processo che
evidenziano, fase per fase, quali uffici aziendali vengono coinvolti e quali sono i
contributi apportati da soggetti esterni all’impresa.
Sia il capitolo quinto che il capitolo sesto si concludono con l’individuazione
del ruolo che le relazioni pubbliche svolgono nella creazione del vantaggio
competitivo nel caso specifico, all’interno della strategia aziendale precedente-
mente descritta.
Il settimo capitolo sintetizza le osservazioni emerse nel corso dell’analisi dei
casi e le mette in rapporto con i problemi sollevati nei capitoli iniziali. Vengono
quindi riesaminati, alla luce di quanto avviene concretamente nelle aziende
oggetto di studio, il ruolo delle relazioni pubbliche all’interno della comunicazione
12
di marketing, il rapporto tra relazioni pubbliche e pubblicità, la divisione del lavoro
tra l’interno e l’esterno nello svolgimento dei compiti propri della funzione.
L’analisi puntuale delle attività e dei processi ha permesso, infine, di
individuare alcune competenze distintive proprie delle relazioni pubbliche, che
sono state analizzate in rapporto allo schema VRIO di Barney ed al modello di
Lipparini e Grant, allo scopo di verificare se siano effettivamente in grado di
contribuire alla sostenibilità del vantaggio competitivo aziendale.
13
Ringraziamenti
Desidero ringraziare Antonella Viero, Matteo Martignoni, Giacomo Nicolodi e
Silvia Rebuli, del Press & Publicity Office di Diesel; Federico Sartor, Veronica
Artuso, Francesca Barsotti, Emma Cole, Daniela De Luca, Sandra Gatti, Chiara
Gnes, Paola Innocente, Francesca Serena, Andrea Spedicato, Katherine Suarez,
Valentina Zoppas dell’ufficio Stampa e Comunicazione di Benetton Group, per il
tempo che mi hanno dedicato, per la grande disponibilità con cui hanno risposto
alle mie domande ed alle mie richieste, per il contributo dato alla revisione finale
dei casi aziendali. Questo lavoro non avrebbe potuto essere realizzato senza le
informazioni ed i materiali che mi hanno così ampiamente messo a disposizione.
Desidero inoltre ringraziare Antonella Viero, Silvia Rebuli, Elisa Da Lio,
Sandra Gatti, Andrea Spedicato, Paola Innocente per la fiducia che mi hanno dato
scegliendomi come stagista e per tutto quello che mi hanno insegnato.
14
CAPITOLO 1
L’APPROCCIO RESOURCE-BASED ALLA STRATEGIA AZIENDALE
1.1. La strategia
Lo sviluppo degli studi sulla strategia aziendale è relativamente recente ed
è tuttora in rapida evoluzione. Solo a partire dagli anni Sessanta, infatti, la
strategia aziendale si è definita come un’area di ricerca indipendente: il dibattito
terminologico e teorico in materia non è ancora giunto alla stabilizzazione propria
di discipline più mature. Vari autori hanno proposto diversi concetti e definizioni
per inquadrare il fenomeno strategico, che tuttavia si presenta ancora come
estremamente complesso e sfaccettato, difficile da racchiudere in una formula
unica e semplice.
Prima di essere mutuato nel campo economico, il concetto di strategia ha
avuto una lunga storia in ambito militare. Il termine stesso adoperato oggi ha le
sue radici nel lessico militare dell’antica Grecia: lo στρατηγός (stratēgòs), da
στρατός (stratòs, ‘esercito’) e άγειν (àghein, ‘condurre’), era il generale: colui che
comandava le truppe, valutava le forze proprie e del nemico, schierava i soldati sul
campo e ne coordinava l’azione.
L’analogia tra conflitto militare e concorrenza aziendale poggia sul fatto
che, in entrambi i casi, lo “stratega” ha il compito di individuare un modello di
ricerca del successo (che si tratti di vittoria militare o di profitto economico), tale
da mettere la sua organizzazione in grado di battere gli avversari, basandosi
sull’analisi delle condizioni ambientali e su un impiego efficiente ed efficace delle
risorse disponibili.
L’applicazione in campo economico del concetto di strategia è iniziata negli
anni Sessanta, in risposta alla crescente complessità delle imprese e dei mercati.
Diventava sempre più necessario, per le grandi aziende diversificate, lo sviluppo di
un piano complessivo di azione e gestione delle risorse orientato al lungo termine,
che garantisse efficienza e controllo del rischio.
Le esigenze manageriali hanno stimolato la ricerca di modelli strategici in
grado di restare al passo con i mutamenti del mercato: dalle tecniche decisionali
15
“scientifiche” per la pianificazione aziendale degli anni Settanta, ai metodi più
flessibili della ricerca del vantaggio competitivo
1
attraverso l’analisi della struttura
del settore e della concorrenza, sviluppati a partire dagli anni Ottanta
2
.
L’attenzione dei ricercatori e del management si è spostata
progressivamente, dalla fine degli anni Ottanta, verso l’analisi del ruolo delle
risorse, delle capacità e delle competenze come fonti primarie del vantaggio
competitivo e quindi come basi per la formulazione di una strategia aziendale in
grado di assicurare il profitto a lungo termine dell’impresa. Si delinea così, nel
corso degli anni ’90, un approccio alla strategia aziendale, definito resource-based,
che lega la performance economica ed il successo strategico alle risorse e
competenze possedute e alla capacità di sfruttare il loro potenziale, in un’ottica di
lungo periodo.
1.1.1. Alcune distinzioni
Una prima importante distinzione è quella tra i due livelli di base della
strategia di un’impresa: corporate strategy e business strategy
3
. Diversi autori, tra
i quali Grant
4
, aggiungono a questi anche un terzo livello di strategia, la strategia
funzionale.
Per corporate strategy si intende la strategia di gruppo, cioè la scelta dei
settori e dei mercati in cui competere, che ricade sotto la responsabilità del vertice
aziendale. A questo livello vengono prese le decisioni riguardanti la
diversificazione, l’integrazione verticale, le acquisizioni, l’allocazione delle risorse
tra diverse aree d’affari.
Il secondo livello, la strategia di business o strategia competitiva, è
finalizzato alla ricerca del modo di competere all’interno di un determinato settore
o mercato, allo scopo di stabilire un vantaggio competitivo sui concorrenti. Le
decisioni vengono prese a livello delle singole aree strategiche d’affari (ASA), in
genere organizzate in forma divisionale.
1
Grant R. M. (1999), L’analisi strategica per le decisioni aziendali. Concetti, tecniche, applicazioni.
Società Editrice Il Mulino, Bologna, pag. 218: «Quando due o più imprese competono all’interno dello
stesso mercato, un’impresa possiede un vantaggio competitivo sui suoi rivali quando ottiene in maniera
continuativa una redditività superiore (o quando ha la possibilità di conseguirla)».
2
Grant R. M. (1999), pagg. 27-33.
3
Collis D. J., Montgomery C. A. (1999), Corporate strategy, ed. italiana a cura di G. Invernizzi,
McGraw-Hill Libri Italia, Milano, pagg. 6-8. Airoldi G., Brunetti G., Coda V. (1994), Economia aziendale,
Il Mulino, Bologna.
4
Grant R. M. (1999), pagg. 34-35.
16
Il terzo livello individuabile è quello della strategia funzionale, che
comprende l’elaborazione e l’implementazione delle strategie di business
attraverso le singole funzioni operative dell’impresa.
Un’altra distinzione che è necessario tener presente è quella tra strategia
deliberata e strategia emergente
5
. I modelli teorici del processo di formulazione e
implementazione strategica tendono ad avere un approccio razionalistico, basato
sull’assunto implicito che il vertice aziendale sia in grado di valutare
obiettivamente l’impresa e l’ambiente in cui essa opera, scegliere gli obiettivi,
decidere la strategia migliore, implementarla efficacemente.
In realtà, le decisioni prese al vertice (strategia deliberata) sono soggette
alla razionalità limitata, a negoziazioni ed a compromessi; inoltre solo una parte
(circa il 30%) della strategia realizzata rispecchia effettivamente le decisioni. Alla
luce di questo, Mintzberg
6
introduce il concetto di strategia emergente, che si
riferisce all’insieme di decisioni prese di volta in volta dai manager. Questo
approccio tiene conto di molteplici caratterizzazioni del fenomeno strategico: la
strategia può essere un piano deliberato (plan) di azione per affrontare
determinate situazioni; ma anche uno stratagemma (ploy) per superare un
avversario con l’astuzia; uno schema coerente non intenzionale (pattern) che
emerge, nel corso del tempo, dal modo di agire dell’impresa; un posizionamento
(position) che definisce il modo di competere dell’azienda; infine, un punto di vista
(perspective) alla base della percezione che l’impresa ha di sé stessa e
dell’ambiente, in grado di influenzarne profondamente il comportamento.
Tra questi due approcci si continua a privilegiare quello razionale, l’unico
che permette di analizzare sistematicamente le ragioni del successo e
dell’insuccesso delle imprese. È utile, tuttavia, tenere presente anche il secondo, in
quanto in certi casi può essere più adatto a spiegare i comportamenti concreti
delle organizzazioni.
5
Grant R. M. (1999), pagg. 36-39.
6
Mintzberg V. H. (1994), The Rise and Fall of Strategic Planning, The Free Press, New York; tr. it.
(1996) Ascesa e declino della pianificazione strategica, ISEDI, Torino, citato in Barney J. B. (1997),
Gaining and Sustaining Competitive Advantage, Addison-Wesley Publishing Company, USA, pagg. 17-
21.
17
1.1.2. Il triangolo strategico
Non esiste un unico modello di strategia aziendale in grado di portare
automaticamente l’impresa al successo, non è possibile individuare nessuna one
best way che sia valida per tutte le imprese. È possibile però definire quali sono le
caratteristiche che una strategia deve avere per essere efficace nella creazione del
valore. Grant
7
individua quattro fattori alla base di diverse strategie di successo:
- obiettivi semplici, coerenti, a lungo termine, molto focalizzati;
- comprensione dell’ambiente competitivo e dei fattori di successo specifici;
- valutazione obiettiva delle risorse, con la capacità di sfruttare
efficacemente i punti di forza e di neutralizzare le debolezze interne;
- implementazione efficace, senza la quale anche la migliore strategia non
può funzionare.
Fondamentale per il successo è soprattutto la coerenza strategica: la
strategia deve essere coerente con gli obiettivi ed i valori dell’impresa, con
l’ambiente esterno, con le risorse e le competenze, con la struttura ed i sistemi
organizzativi. Il triangolo strategico, proposto da Collis e Montgomery
8
(fig. 1.1.),
è uno schema di analisi che individua i fondamenti della strategia aziendale e li
mette in relazione tra loro, evidenziando l’importanza della coerenza del sistema
per la creazione del vantaggio competitivo.
7
Grant R. M. (1999), pagg. 22-24.
8
Collis D. J., Montgomery C. A. (1999), pagg. 8-14.
Fig. 1.1.
Il triangolo della strategia a
livello aziendale.
Fonte: Collis D. J., Montgomery
C. A. (1999), pag. 9.
18
All’interno del triangolo, in posizione centrale, gli autori pongono due
elementi: il primo è la visione, il secondo è rappresentato da finalità e obiettivi. I
tre lati del triangolo invece sono costituiti da: risorse; aree strategiche d’affari;
struttura, sistemi e processi.
La visione ha un ruolo centrale nella formulazione e successiva
implementazione della strategia. Sebbene il profitto rimanga l’obiettivo dominante,
la visione esprime uno scopo più ampio, che ha motivato la fondazione
dell’impresa e ne ha sostenuto e plasmato lo sviluppo. Assume la forma di un
progetto ambizioso a lungo termine, non perfettamente delineato nei dettagli, che
esprime lo scopo ultimo dell’impresa e l’ambito all’interno del quale essa intende
operare. In questo senso può essere definita anche missione: un concetto che
include anche il contributo dell’impresa alla società ed il suo orientamento etico nei
confronti dei clienti e degli altri stakeholder
9
. La missione è in grado, in questo
modo, di stimolare e motivare i membri dell’organizzazione nel loro lavoro,
comunicando la direzione complessiva di marcia e legando l’attività aziendale a dei
valori di fondo condivisi.
La sua esplicitazione (mission statement) oggi tende a diventare sempre
più importante, dato l’incremento della complessità ambientale e dell’incertezza
sugli sviluppi futuri. Una visione chiara e di lungo periodo, non definita nei dettagli,
diventa sempre più indispensabile come catalizzatore delle energie aziendali verso
una meta comune.
Le finalità e gli obiettivi traducono la visione ad un livello meno astratto,
ponendo le basi per la sua realizzazione. Pur essendo sempre in linea con la
visione, sono orientati al breve e medio termine: si tratta di traguardi strategici
che l’impresa si propone di raggiungere e superare. Gli obiettivi sono target definiti
dal punto di vista quantitativo, mentre le finalità sono target definiti dal punto di
vista qualitativo. Insieme, forniscono un banco di prova per la valutazione
dell’efficacia delle strategie adottate: confrontare le performance attuali con gli
obiettivi fissati permette di vedere concretamente le eventuali discrepanze.
Le risorse (che verranno trattate in modo più approfondito al paragrafo
1.3) costituiscono il primo lato del triangolo strategico. Si tratta delle attività,
capacità e potenzialità di un’azienda, alla base della strategia aziendale e del
raggiungimento del vantaggio competitivo a livello di ASA.
10
Con il termine “stakeholder” (creato in opposizione a shareholder, ‘azionisti’) si intendono tutti i
portatori di interessi nei confronti dell’impresa: azionisti, dirigenti, dipendenti, clienti, fornitori,
istituzioni, pubblico.
19
Le aree strategiche d’affari (ASA), secondo lato del triangolo, sono
riferite sia ai settori industriali in cui l’azienda opera, che alla strategia competitiva
adottata negli stessi. Il legame tra attrattività del settore e redditività aziendale è
stato messo in evidenza dall’analisi di Porter
10
: è importante per il successo
aziendale valutare quali sono i processi economici alla base dei settori in cui si
sceglie di operare. In un’azienda diversificata occorre anche valutare
l’interconnessione (relatedness) tra le diverse ASA per sfruttare l’opportunità di
creare un rapporto sinergico tra i diversi settori, applicando strategie di carattere
analogo, basate sullo sfruttamento di risorse che possono essere condivise tra i
settori stessi.
Struttura, sistemi e processi rappresentano il terzo lato del triangolo
strategico, a carattere marcatamente organizzativo. L’implementazione efficace
delle strategie aziendali, infatti, si fonda sulla capacità dell’organizzazione di
mettere in atto le azioni necessarie al raggiungimento degli obiettivi, sotto la guida
della visione.
La struttura indica la divisione dell’azienda in unità differenti e
l’organizzazione formale in base alla quale vengono divisi i poteri nella gerarchia
aziendale. I sistemi costituiscono l’insieme delle politiche formali e delle routine
che guidano le scelte organizzative. I processi rappresentano gli elementi informali
delle attività di un’azienda, come la rete di relazioni interpersonali che
accompagnano il flusso del lavoro.
La combinazione armonica di questi cinque elementi in un sistema integrato
e coerente è, dunque, fondamentale per la scelta e la realizzazione di una
strategia efficace, in grado di garantire il raggiungimento di un vantaggio
competitivo.
Tra i cinque aspetti descritti, due, in particolare, vengono considerati
determinanti per la redditività aziendale: il settore industriale o ASA, che può
essere più o meno redditizio, e le risorse e competenze dell’impresa, centrali
nell’approccio strategico resource-based. È utile quindi analizzarli più nel dettaglio,
tenendo tuttavia sempre presente il loro legame necessario con gli altri tre
elementi del triangolo strategico.
10
Cfr. paragrafo 1.2.
20
1.2. L’analisi del settore
Il settore industriale in cui l’impresa opera va considerato l’ambiente di
riferimento principale, che è indispensabile monitorare. Altri fattori a livello macro,
come le tendenze generali dell’economia, i cambiamenti nella struttura
demografica, gli orientamenti politici e sociali ed altri elementi che vanno a
comporre lo scenario complessivo sono importanti per l’analisi strategica nella
misura in cui si prevede che possano determinare mutamenti nella struttura
attuale del settore e nelle minacce e opportunità future
11
.
Un settore industriale è formato da un insieme di imprese che producono
beni o servizi in concorrenza tra loro. Diversi settori hanno caratteristiche
strutturali diverse, le quali hanno un’influenza sistematica sul livello di redditività
medio delle imprese operanti nel settore. In altre parole, esistono settori la cui
struttura è più favorevole e permette alle imprese, in genere, di ottenere profitti
più elevati. Altri settori invece hanno una attrattività minore, in quanto i profitti
delle imprese che vi operano sono generalmente più bassi.
Lo schema più diffuso di classificazione e analisi delle caratteristiche
strutturali del settore è il modello delle cinque forze competitive proposto da
Porter
12
(fig. 1.2).
Le cinque forze comprendono tre fonti di competizione orizzontale
(minaccia di prodotti sostitutivi; minaccia di nuovi entranti; rivalità tra i
concorrenti nel settore) e due fonti di competizione verticale (potere contrattuale
dei clienti; potere contrattuale dei fornitori) in grado di mettere a rischio la
capacità dell’azienda di creare valore e di impadronirsi dei profitti generati dalla
sua attività.
Ognuna di queste forze competitive può avere diversi gradi di intensità: in
generale, maggior peso le cinque forze competitive hanno in un settore, minore è
la redditività delle imprese che vi operano.
11
Grant R. M. (1999), pagg. 74-75.
12
Porter M. E. (1980), Competitive Strategy: Techniques for Analysing Industries and Competitors, The
Free Press, New York; tr. it. (1982) La strategia competitive: analisi per le decisioni, Tip. Compositori,
Bologna.
21
Fig. 1.2. Lo schema delle cinque forze competitive di Porter. Fonte: Grant R. M. (1999), pag. 79.
1.2.1. La minaccia di prodotti sostitutivi
I prodotti sostitutivi sono quei prodotti che rispondono
approssimativamente agli stessi bisogni dei consumatori a cui rispondono i
prodotti dell’impresa considerata, ma con modalità diverse. La disponibilità di
prodotti sostitutivi influenza il prezzo che i consumatori sono disposti a pagare per
il prodotto dell’impresa, perché può incrementare l’elasticità della domanda.
L’impresa può essere costretta a non aumentare il prezzo del proprio prodotto
oltre un certo tetto, ottenendo così profitti minori, per evitare lo spostamento delle
preferenze del consumatore verso prodotti sostitutivi di prezzo inferiore.
La propensione degli acquirenti a considerare altri prodotti come sostitutivi
è quindi importante nel valutare il margine di manovra sul prezzo dell’impresa; ma
può rivelarsi anche molto difficile da individuare. Molti prodotti infatti soddisfano
più bisogni, combinati in modo complesso, che possono anche essere
diversamente articolati da consumatore a consumatore.
FORNITORI
CONCORRENTI DEL
SETTORE
Rivalità tra le
imprese esistenti
ACQUIRENTI
POTENZIALI
ENTRANTI
PRODOTTI
SOSTITUTIVI
Potere
contrattuale dei
fornitori
Potere
contrattuale
degli acquirenti
Minaccia
di nuove
entrate
Minaccia
di prodotti
o servizi
sostitutivi
22
1.2.2. La minaccia di nuovi entranti
Se le imprese operanti in un settore hanno una redditività elevata, la loro
performance economica positiva può stimolare l’ingresso nel settore di altre
imprese, attirate dalle possibilità di profitto. Tuttavia, l’incremento dell’offerta, a
parità di domanda, avvicina la struttura del settore alla concorrenza perfetta,
erodendo progressivamente i margini di profitto delle imprese.
La semplice minaccia di nuove entrate, anche senza effettivo ingresso di
nuove imprese concorrenti, può essere sufficiente a limitare i profitti delle imprese
consolidate: queste infatti sono costrette a non alzare i prezzi molto oltre il livello
competitivo, per non correre il rischio che profitti più elevati rendano il settore
attrattivo per nuovi concorrenti.
L’intensità della minaccia dei nuovi entranti dipende dall’esistenza e
dall’altezza delle barriere all’entrata, rappresentate da variabili strutturali che
incrementano i costi di ingresso nel settore. Nella maggior parte dei settori, le
imprese nuove entranti si trovano infatti in una posizione di svantaggio, rispetto
alle aziende consolidate, che può essere tale da scoraggiarne l’ingresso, se i costi
aggiuntivi necessari per entrare rischiano di superare i profitti attesi.
Esistono diversi tipi di barriere all’entrata
13
:
ξ Fabbisogno di capitale. In alcuni settori il fabbisogno di capitale iniziale per
affermarsi può essere tanto elevato da scoraggiare tutti gli operatori, escluse le
maggiori imprese. Tuttavia Barney
14
, a differenza di Grant
15
, ritiene che, in un
mercato dei capitali efficiente, il puro fabbisogno di capitale non costituisca una
reale barriera all’entrata, perché le imprese dovrebbero riuscire ad ottenere
finanziamenti sufficienti per avviare una nuova iniziativa imprenditoriale il cui
ritorno atteso sia positivo. Se si verifica una maggiore difficoltà dei nuovi entranti
nell’ottenere capitale da investire, rispetto alle imprese consolidate, questa
rifletterebbe altre barriere all’entrata esistenti, tali da pregiudicare l’esito positivo
dell’operazione.
ξ Economie di scala. Si ha un’economia di scala quando il costo medio
unitario di produzione diminuisce all’aumentare del volume di produzione, in
quanto una dimensione maggiore degli impianti consente un uso più efficiente
delle risorse coinvolte nel processo produttivo
16
. È possibile individuare, nella
13
L’elenco seguente delle barriere all’entrata è tratto da Grant R. M. (1999), pagg. 82-85, e da Barney
J. B. (1997), pagg. 68-83.
14
Barney J. B. (1997), pag. 81.
15
Grant R. M. (1999), pag. 82.
16
Grandinetti R. (2002), Concetti e strumenti di marketing, Etas Libri, Milano, pag. 11.