Premessa
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È opportuno sottolineare, per una comprensione più chiara del lavoro,
che nella presente trattazione i termini di impresa, organizzazione ed ente
saranno usati come sinonimi, poiché l’approccio qui discusso nacque
all’interno di un ambiente industriale dal quale è difficile separarlo ma del
quale ci serviremo per analizzare un ambiente alquanto diverso ma del tutto
simile nelle sue dinamiche interne.
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Parte prima
Analisi teorica
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CAPITOLO 1
Storia dell’approccio socio-tecnico
1. Introduzione
L’approccio socio-tecnico è uno strumento importante per studiare le
organizzazioni nelle sue varie sfaccettature. Permette, infatti, di considerare
fondamentale, all’interno di un processo di lavoro, non soltanto la
componente tecnologica, ma anche il fattore umano, ossia, la vita sociale
presente in un contesto organizzativo, quindi le relazioni umane tra i
membri, le relazioni con l’organizzazione, i processi inconsci sottostanti ad
un lavoro di gruppo e le aspirazioni e le aspettative dei singoli lavoratori.
Lo sviluppo di questo approccio ha rivoluzionato il modo di guardare
alle organizzazioni, non viste più come semplici sistemi di ingranaggi
finalizzati alla produzione, con l’uomo appendice della macchina, ma
contesti sociali ricchi di relazioni determinanti nei livelli di produttività.
A partire dalla fine dell’ ottocento, l'economia dei paesi industrializzati
conobbe una fase di espansione intensa e prolungata. In questo periodo,
l'indice della produzione industriale e quello del commercio mondiale
risultarono più o meno raddoppiati. Le industrie si trovarono a dover
soddisfare una domanda che sempre più assumeva dimensioni di massa.
Beni la cui produzione era stata fin allora assicurata solo dal piccolo
artigianato o dall'industria domestica cominciarono a essere prodotti in serie
e venduti attraverso una rete commerciale sempre più estesa e ramificata.
Le esigenze della produzione in serie per un mercato di massa spinsero le
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imprese ad accelerare i processi di meccanizzazione e di razionalizzazione
produttiva. Ciò spinse all’elaborazione di teorie che rivendicassero forme e
metodi di utilizzo pre-definito dei lavoratori e delle macchine, per un
risparmio dei tempi di produzione e quindi per un incremento della
produttività. Il lavoro venne, pertanto, scomposto in piccole parti,
permettendo l'introduzione di un vasto sistema di meccanizzazione, a cui il
lavoratore si affiancò, come uomo-macchina. Tale organizzazione del
lavoro, pur se ampliamente diffusa, ricevette svariate critiche, che
portarono successivamente all’elaborazione di nuove teorie.
A sviluppare una nuova modalità di analisi delle organizzazioni, fu in
particolar modo il Tavistock Institute, nato nell’ambito della Tavistock
Clinic
1
a Londra. Dopo il primo conflitto mondiale la Tavistock Clinic si
preoccupò di studiare gli effetti psicologici che la guerra provocava sui
soldati. All’Institute, che nacque dopo la fine della seconda guerra
mondiale, venne, invece, affidato dal Governo britannico il compito di
sviluppare processi che aiutassero la produzione. Dopo un attenta analisi
della situazione gli studiosi dell’Institute arrivarono alla conclusione che gli
approcci all’epoca predominanti ossia lo “Scientific Managemant” di
Taylor e lo “Human Relation”
2
” di Mayo erano inefficaci.
L’organizzazione scientifica del lavoro, infatti, si focalizzava
principalmente sulla componente tecnologica, considerando la
razionalizzazione di questa, l’unico modo per rendere più efficace il
processo di lavoro. Essa introduceva la scomposizione del lavoro in parti
elementari costringendo l'operaio a fare possibilmente una cosa sola con un
solo movimento. Il preciso risultato dell'applicazione di queste massime fu
la riduzione della necessità di pensiero da parte degli operai e la
1
La Tavistock Clinic fu fondata nel 1920. Si tratta di un’istituzione per la terapia psicoanalitica di
pazienti psichiatrici esterni.
2
Lo scientific management considera importante la razionalizzazione del lavoro per renderlo
efficiente, rendendo marginale il fattore umano che, invece è considerato fondamentale dalle teorie
dell’Human relation di Mayo
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eliminazione di ogni loro movimento superfluo. I lavoratori, quindi, persero
la possibilità di decidere sui modi di procedere del proprio lavoro.
L’approccio di Mayo mise in discussione i principi dello Scientific
Management considerando gli aspetti fisici e psichici un fattore
determinante nel rendimento del lavoro. Le relazioni dei lavoratori con
l’organizzazione, dei lavoratori tra di loro vennero considerate, dunque, la
chiave di volta per la produttività, che diminuiva a causa dei fattori
alienanti presenti nell’organizzazione scientifica del lavoro. Si arrivò, così,
alla convinzione che era necessario acquistare una maggiore conoscenza
sugli aspetti umani dell'industria e sugli effetti che essa ha sull'uomo. Alle
radici di tutto il movimento delle "relazioni umane" sta l'individuazione dei
rapporti tra gruppi di lavoro e direzione come uno dei problemi
fondamentali della grande industria. In sintesi dei due approcci, l’uno
enfatizzava troppo i processi tecnologici mentre l’altro si focalizzava solo
sulle relazioni.
Il risultato di questa presa di coscienza fu la nascita dell’approccio
socio-tecnico che si poggia sul concetto di ricerca-intervento, il quale
considera possibile il cambiamento solo quando gli attori sono
effettivamente coinvolti e quindi non passivi, ma parte attiva del processo
di ricerca e di cambiamento. Dunque con questo approccio si considerano
uniti e interrelati quegli aspetti che Mayo e Taylor avevano separato.
2. Nascita e sviluppi
Il cammino che ha portato allo sviluppo dell’approccio socio-tecnico è
stato difficile e travagliato. Le convinzioni preesistenti, le teorie vigenti
non lasciavano lo spazio a nuove elaborazioni che potessero migliorare la
produttività e innalzare il morale dei lavoratori, per far si che tutto il
processo produttivo fosse ottimizzato. Nonostante gli ostacoli incontrati
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l’approccio socio-tecnico, è riuscito, comunque a farsi strada e ad essere
considerato un approccio degno di attenzione e di applicazione.
2.1 Le prime esperienze nell’industria estrattiva del carbone
Nel 1948 il governo britannico, preoccupato per i bassi livelli di
produttività conseguenti il periodo postbellico, decise di istituire un
comitato per la produttività industriale, che comprendeva una commissione
per i fattori umani, il cui compito era di incentivare un migliore utilizzo
delle risorse umane.
L’appena nascente Tavistock Institute of Human Relations ottenne dei
fondi per l’implementazione di tre progetti, che avevano, appunto, il
compito di valorizzare la risorsa umana nel processo produttivo. Il primo
progetto aveva l’obiettivo di osservare le relazioni di gruppo e di cogliere le
sue dinamiche inconsce. Il secondo progetto fu uno studio dettagliato delle
relazioni interne in una singola organizzazione, allo scopo di migliorare la
collaborazione tra tutti i livelli del personale. L’ultimo progetto fu uno
studio condotto da Eric Trist sull’organizzazione del lavoro nell’industria
del carbone, che era, in quel periodo, la principale fonte energetica, ma la
cui produttività stava diminuendo.
La collaborazione dell’Institute con l’industria carbonifera aveva preso
avvio qualche tempo prima, quando la “National Coal Board”, l’Ente
Nazionale Minerario, che gestiva l’industria nazionalizzata, aveva chiesto al
Tavistock Institute di svolgere uno studio comparativo tra alta produzione-
alto morale e bassa produzione-basso morale. Tra i ricercatori che
condussero quella prima ricerca uno, Ken Bamforth, era ritornato dopo un
anno nelle industrie studiate, e aveva osservato gli effetti innovativi nel
lavoro pratico e organizzativo di quella prima ricerca intervento.
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La nuova organizzazione del lavoro - così come implementata,
osservata e successivamente analizzata - consisteva in gruppi autonomi con
ruoli interscambiabili e spostamenti e regolamentarizzazioni del loro lavoro
con un minimo di supervisione. Questo portò, quindi alle conclusioni che le
differenze nelle organizzazioni di gruppo riflettono, tra l’altro, motivi
inconsci, che influiscono sul lavoro.
“La trasformazione ha rappresentato un cambiamento di direzione nel
progetto organizzativo
3
”. Dunque fu smentita la concezione secondo la
quale tutte le organizzazioni dovevano conformarsi ai principi tayloristici e
considerare l’imperativo tecnologico l’unica modalità da seguire.
Ciò condusse Bamforth e Trist a riflettere su un nuovo paradigma di
lavoro, in cui il sistema tecnico e il sistema sociale fossero interrelati tra
loro e in cui fossero considerati elementi centrali:
¾
il gruppo di lavoro, piuttosto che il lavoratore individuale
¾
la regolazione interna del sistema
¾
la ridondanza delle funzioni piuttosto che delle parti
¾
la discrezionalità, piuttosto che i ruoli rigidamente prescritti
¾
il considerare l’uomo complementare alla macchina piuttosto che una
sua estensione
Tuttavia una Divisional Board – si tratta di un dipartimento della
National Coal Board - preferì non continuare nella ricerca, perché temeva la
redistribuzione del potere che necessariamente sarebbe seguita al nuovo
grado di autonomia concessa ai gruppi. Nonostante ciò gli studi
continuarono altrove.
4
In altre divisioni del “National Coal Board” furono introdotti i gruppi
autonomi e una nuova modalità di estrazione e spostamento del carbone,
che fornirono un’alta produttività, e ancor di più, una crescente
3
Cfr.Eric Trist, Introduction to Volume II, in The Social Engagement of Social Science. A
Tavistock Antology. Vol.2: The Socio-Technical Perspective, a cura di E.Trist e B.Murray,
University of Pensilvenia , 1993, pag. 37.
4
ibidem
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soddisfazione del lavoro. A questi successi si aggiunse una scuola di
formazione alla quale partecipavano gruppi di otto persone per una
settimana, per entrare a far parte del nuovo sistema produttivo. I membri di
questi gruppi incominciarono ad incontrarsi settimanalmente per
paragonare le loro esperienze. Questo modello di organizzazione del lavoro
non fu più ripreso per altri 12 anni, quando riapparve nel progetto
norvegese di democrazia industriale.
Un’altra ricerca venne fatta in un altro bacino carbonifero, dove
vennero sempre introdotti i gruppi autonomi e l’interscambiabilità dei ruoli.
Anche in questo caso i risultati furono soddisfacenti , fu perciò presentato
un rapporto al “National Coal Board”, il quale non discusse i risultati
poiché l’agenda politica presentava altre priorità.
Nel frattempo, il Tavistock, cercò le opportunità per sviluppare il
nuovo approccio in un altra cultura: l’India. Come nelle miniere, così
nell’industria tessile indiana le maggiori iniziative furono prese dai
lavoratori stessi. Questo esperimento è noto come l’esperienza di Ahmedab,
dal nome del villaggio indiano in cui si svolse la ricerca intervento. Questo
villaggio, in cui il Tavistock Institute fu chiamato a collaborare, era famoso
per la produzione di tessuti che erano prodotti da artigiani con metodi
tradizionali. Questa produzione ad un certo punto venne modificata con
l’introduzione di telai meccanizzati. L’obiettivo di questo cambiamento era
aumentare la produttività. In realtà la produzione non aumentò e inoltre ci
fu un effetto devastante sulle comunità locali. Ciò dimostra come un
cambiamento all’interno di un sottosistema, in questo caso tecnologico, crei
o produca cambiamenti nel sistema più ampio, quindi nell’ambiente
circostante. Perciò i ricercatori britannici introdussero una nuova
organizzazione del lavoro, modificando le relazioni tra i membri in
funzione della tecnologia. Introdussero ciò che fu chiamato il gruppo di
lavoro semi-autonomo, le cui caratteristiche erano che: