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alla perfezione, qualsiasi discorso. Aveva una buona motricità. Alcun
problema mentale. Si relazionava con i coetanei alla perfezione,
padroneggiando tutta quella serie di comportamenti che l’età, per qualche
misteriosa legge scritta nel codice dello sviluppo umano, richiedeva. Oggi,
parleremmo di buon adattamento sociale (e, relazionale). Lo rincontrai molti
anni dopo all’esame di patente automobilistica. Non solo se la prese come
tutti gli altri, ma reagì come un qualsiasi diciottenne. A quanto ne so, ora
lavora nel negozio del padre.
Ma allora qual era il deficit
3
? L’unico suo problema era che non avesse
granché voglia di studiare (ma quale studente ne ha?), e siccome, forse, la sua
famiglia non aveva molto tempo a disposizione per seguirlo, a maggior
ragione visto che il primo anno cominciò a frequentare con alcuni mesi di
ritardo per via di un incidente con la bicicletta occorso durante l’estate, ne
richiesero la presa in carico al sistema educativo nazionale (allora, non c’erano
ancora né la legislazione concorrente tra Stato e Regioni né l’autonomia scolastica né il
dirigente scolastico), venendo incontro ad un bisogno educativo speciale del figlio.
Ecco allora il nodo al quale vorrei prevenire con questa lunga digressione
memorialistica: l’unico elemento (tranne che nei casi di evidente incapacità)
che mette in allarme il sistema formativo è il rendimento scolastico.
Quel mio ex compagno di classe aveva solo un problema: difficoltà di
apprendimento a scuola. E per ridurre l’ostacolo che tale difficoltà poteva
comportare per il suo successivo sviluppo (fisico; mentale; affettivo; genetico;
morale; sociale; etc.)
4
si richiedeva (richiesta accordata allora, ma oggi, forse,
più difficile da esaudire) un intervento educativo più mirato, più adattato alla
singolarità del caso, una scuola, cioè, che abbia a cuore non il “programma” (o
la dignità delle singole discipline
5
o le prerogative del docente), ma il “successo
formativo” dell’alunno (quale che sia, e che tenga conto della specificità
singola), che tenga conto della pluralità delle intelligenze
6
. L’idea è cioè quella
seconda la quale, premesso che nessuna difficoltà può ostacolare il pieno e
completo sviluppo della persona umana
7
, il verificarsi di disturbi di apprendimento
è la spia della presenza di un problema (in precedenza non diagnosticato
3
Dice Trisciuzzi 2004
5
p. 31: «il termine handicap non ha una definizione univoca, poiché non designa
qualcosa di oggettivamente circoscritto, come una malattia specifica, ma indica un insieme di danni
(disabilità) fisici o psichici, o di situazioni (alterazioni) culturali o sociali. Handicap è un termine recente
(…) in precedenza si parlava di anormali, minorati (…), deficienti, cretini oppure, come nel noto libro di
Séguin, di idioti. Quest’ultimo è un termine dotto, che deriva dal greco: idios vuol dire privazione, quindi
idiota è colui che è privato o è mancante di qualcosa; nel caso specifico, di cultura o di intelligenza. E
quindi è sinonimo di deficiente». Invece, sulle classificazioni, secondo aspetti nosografici o eziologici v.
pp. 35 – 81.
4
Scrive efficacemente Trisciuzzi 2004
5
p. 65: «in un quadro del genere [importanza del prodotto, non del
processo] l’handicappato rappresenta il «prodotto mal riuscito», da rifiutare o almeno da rettificare. Se si
riuscirà ad evitare una visione tanto limitata e pericolosamente ristretta dell’idea di uomo, se si
considererà l’handicappato una persona – con tutti i crismi di una persona (capacità di sentire e bisogno di
amare, soprattutto) – solo allora sarà possibile integrare quella persona nel nostro mondo affettivo,
lavorativo, culturale».
5
Il problema è il seguente (Piazza 1996 p. 24): «sono più importanti le materie o la persona
handicappata?».
6
Lefrançois 1999 p. 190.
7
Art. 3 Cost.
9
perché non evidente a livello morfologico o perché non si sospetta da una
breve anamnesi parentale) che può pregiudicare il normale sviluppo del
soggetto, recando nocumento anche alla sua dignità, indebolendo la sua
autonomia e il suo “progetto di vita”.
Tuttavia, è bene distinguere tra un (generico e frequente) disturbo di
apprendimento, la cui causa va, in genere, ricercata nella motivazione
dell’alunno, nello stile familiare o, più semplicemente, in uno stile cognitivo
più lento (ma non patologico) rispetto ai coetanei, e un disturbo specifico di
apprendimento (DSA)
8
. È importante tale distinzione perché l’accertamento
dell’handicap, nel nostro sistema educativo
È stato associato all’assegnazione al bambino, per un numero variabile di ore, di un
insegnante di sostegno che si affianca all’insegnante di classe
9
Questo è accaduto con il mio ex compagno di classe: diagnosticato un
disturbo (specifico di apprendimento) si è ritenuto importante associargli un
insegnante di sostegno, che si affiancasse a quello disciplinare.
Il che corrisponde puntualmente alla funzione (astratta) di progetto pedagogico:
insieme di finalità coordinate fra loro da precisi rapporti di implicazione e di complessità
e costituite da componenti contenutistiche (disciplinari), scientifico – umane e deontiche
(valoriali)
10
Ma questa pratica (a parte, ovviamente, le altrettante ovvie ragioni di quanti
praticano questo mestiere, e di quanti hanno preso parte a corsi come il mio)
va davvero in favore dei soggetti in situazione d’handicap?
11
Non è eluso, com’è
facile vedere, il rischio (che resta assai concreto) dell’etichettamento del
soggetto disabile. In più, è apparsa, da quando sono state abolite le scuole
speciali e le classi differenziali, e si è cominciato a parlare di «classi comuni» e
di «integrazione», una procedura (forse, anche un intento) insoddisfacente in
quanto «condiziona una scelta educativa comunque discutibile (perché un
altro insegnante? Perché solo ai casi con handicap e non agli altri casi di
difficoltà di apprendimento?)»
12
. In realtà, però, «una scuola che integra bene è
una scuola che funziona bene per tutti gli alunni»
13
.
8
Cornoldi 1999 p. 29 e sgg.
9
Cornoldi 1999 p. 23.
10
Dalle Fratte 1992 p. 236.
11
Rispetto a le tante altre terminologie che in lingua italiana, per ragioni sulle quali non mi dilungo, usate
per riferirsi alla condizione dello “stare in una situazione d’handicap” (p.e. disabilità; diversabilità;
diversamente abile; soggetto H; etc.) quella che utilizzo ha il pregio di focalizzare l’attenzione su quanto
davvero conta nell’individuazione della condizione (e situazione) di svantaggio, quella, cioè, sulla quale è
chiamato ad intervenire l’insegnante di sostegno, oltre all’innegabile pregio di evitare definizioni ipocrite.
Ciò non toglie, comunque, che, una volta qui precisata la mia posizione, nel proseguo io non possa
utilizzare neutralmente anche gli altri termini.
12
Cornoldi 1999 p. 23.
13
Canevaro – Ianes 2003 p. 45.
10
Tuttavia, è possibile anche osservare come tale rischio, che costituisce il
senso della critica
14
appena citata, nasce nel momento in cui pensiamo al
rapporto educativo con soggetti in situazione d’handicap come se l’insegnante
di sostegno fosse l’insegnante dell’alunno disabile (da qui una sospetta
reduplicazione del personale docente all’interno della classe), e non di tutta la
classe
15
.
Infatti:
l’intervento con gli alunni in situazione di handicap pone all’insegnante problemi che, se
isolati dal contesto, rischiano di fargli avere una visione asfittica – o quantomeno riduttiva –
del rapporto (…) il rapporto insegnante-allievo handicappato non è una coppia simbiotica,
ma un processo-risultato inserito in un contesto ambientale che ha origini antiche e che attiene
a un rapporto più ampio tra scuola e società
16
Altrimenti, si finisce col dimenticare il (vero) ruolo dell’insegnante di sostegno:
«facilitatore dei rapporti tra l’interno (i colleghi) e l’esterno (soprattutto
famiglie e USL)»
17
.
Ciò suggerisce che se si vuol rimare fedeli al valore della svolta, introdotta
nel sistema educativo italiano, della «Commissione Falcucci» (1975)
18
, è bene
tenere a mente il fatto che
gli alunni non possono essere integrati con successo senza l’integrazione del personale e
delle risorse disponibili
19
In altri termini, per realizzare l’integrazione (a scuola prima, nella vita poi)
gli insegnanti di sostegno e tutti i loro colleghi devono lavorare insieme per raggiungere
l’obiettivo di una educazione e di un’istruzione efficaci e appropriate, dirette e realizzate per
tutti gli alunni
20
Una (buona) integrazione, allora, sarà quella in cui si ha un ambiente dove
14
Certamente Cornoldi si riferisce alla L. 104/92, la “legge quadro” in materia, ma è bene tener in conto
quanto dice Canevaro 2000 pp. 25 - 6: «la legge quadro ha conosciuto delle forti critiche, soprattutto nella
sua impostazione non coercitiva e non sanzionatoria; infatti è la legge del “si può e non si deve”, che non
prevede sanzioni per chi non osserva ciò che essa prescrive. Nonostante questi limiti, la legge 104 ha una
vastità di respiro che permette di capire quanto la stessa legislazione abbia recepito la prospettiva
dell’integrazione come possibilità che i soggetti con bisogni particolari abbiano uno statuto positivo che
permetta loro l’ingresso e la presenza continua nel tessuto sociale, e che consenta loro di coevolvere, cioè,
ancora una volta, di controllare e di essere controllati».
15
Come, invece, scrive chiaramente la L. 104/92, art. 13, comma 6.
16
Piazza 1996 p. 11. Corsivi miei.
17
Piazza 1996 p. 37.
18
Scrive Trisciuzzi 2004
4
p. 234: «il documento [Falcucci] segna la decisa presa di posizione verso
l’integrazione dell’handicappato e verso una didattica globale, ma specifica, a fronte di una scuola ancora
molto incerta. Viene confermata la tendenza, già in atto, ad abolire le classi differenziali come ripiego
all’incapacità di un certo tipo di scuola (…) il documento Falcucci ipotizza un modello di scuola che, di
fatto, sia funzionale a un modello di società più avanzato (…) inoltre propone una cultura in cui si
valorizzino valori personali».
19
Piazza 1996 p. 61.
20
Ibidem.
11
ciascun alunno si senta accettato, dove tutti siano uguali perché tutti diversi: un ambito
in cui ciascuno dà sostegno e ne riceve dai suoi compagni e dagli altri membri della
comunità scolastica
21
La presa in carico delle disabilità, allora, da parte della scuola (così come da
parte della comunità), deve uscire dalla logica (perversa) del sostegno per passare
a quella della «rete dei sostegni», dal «bisogno speciale di apprendimento» a
quello di «bisogno educativo speciale»
22
, dall’insegnamento standard
all’insegnamento personalizzato (sulla specificità del singolo alunno), dal Piano
Educativo Individualizzato al Progetto di vita
23
.
2. L’insegnante di sostegno.
Pinocchio andò a scuola. Figuratevi
quelle birbe di ragazzi, quando videro
entrare nella loro scuola un burattino!
24
La scuola dev’essere oggetto di cura
particolarissima da parte dello stato,
perché i suoi effetti si ripercuotono in bene
sulla società intera, sì che si potrebbe
anche dire che in questo senso scuola per
tutti significa scuola a vantaggio di tutti
25
L’integrazione scolastica ha come obiettivo lo sviluppo delle potenzialità della
persona in situazione d’handicap nell’apprendimento, nella comunicazione, nelle
relazioni, nella socializzazione
26
, puntando sull’importanza dell’autonomia
27
.
Allora, assume un ruolo centrale nella pianificazione di tutta la
programmazione educativa tanto rispetto ai soggetti disabili quanto rispetto ai
cd. normodotati la valutazione scolastica perché consente di legare la didattica al
percorso di sviluppo (possibile) di ciascun alunno
28
, monitorandone
costantemente l’andamento nonché le contemporanee dinamiche con gli altri.
Valutare gli alunni in situazione d’handicap (così come tutti gli altri) vuol
dire non parcellizzare il loro apprendimento in una votazione, ma (al
contrario) rendere possibile il miglior sviluppo del soggetto. Far ciò comporta
la presa d’atto che
Affinché l’inserimento dell’alunno in situazione d’handicap si trasformi qualitativamente
in integrazione, è necessario che gli obiettivi del profilo dinamico funzionale e le attività del
21
Ivi.
22
Ianes 2005.
23
Ianes – Cramerotti 2003 p. 395 e sgg.
24
Collodi 1979
5
.
25
Pareyson 2005 p. 82.
26
Art. 12, 3 comma, L. 104/92.
27
Art. 13, 3 comma, L. 104/92.
28
Pavone 2004
2
p. 43.