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Si è cercato poi di capire in che modo i principi del counseling possano risultare utili ad un
servizio di aiuto psicologico, nel caso specifico DisPlay, nonostante questo non si configuri
propriamente come servizio di counseling, ma intendendo il counseling come la forma di
relazione d’aiuto più studiata all’interno delle scienze psicologiche.
L’ultima parte del capitolo si focalizza invece sulla possibilità di applicare le tecnologie
all’intervento psicologico più in generale: sono stati affrontati i punti di forza e di
debolezza del counseling mediato rispetto ai vari strumenti disponibili, dalla relazione
d’aiuto on-line a quella via SMS.
Il secondo capitolo, intitolato “Comunicazione e nuove tecnologie”, analizza le nuove
tecnologie e la posizione di queste all’interno della nostra società. Più nello specifico, è
stato approfondito il modo in cui la comunicazione mediata dal computer ed il telefono
cellulare hanno influenzato la vita quotidiana e le interazioni tra esseri umani,
focalizzandosi in particolare sulle generazioni più giovani. Non solo la comunicazione è
stata facilitata dalle attuali tecnologie che hanno ad esempio reso gli individui reperibili
quasi in qualunque momento, ma ha anche conosciuto notevoli modifiche attraverso
l’introduzione di nuovi strumenti come la chat o le e-mail, e l’evoluzione di dispositivi
radicati da tempo nella vita delle persone, come il computer ed il telefono.
Il terzo capitolo, “Aspetti metodologici e il caso DisPlay”, consiste nell’analisi quantitativa
di un campione significativo di SMS ricevuti ed inviati dal servizio DisPlay ed è preceduta
da un’introduzione circa gli strumenti adottati (ATLAS.ti e l’analisi del contenuto), oltre
alla presentazione del servizio DisPlay.
Il quarto capitolo, intitolato “Analisi qualitativa: la dipendenza da DisPlay”, sviluppa
l’analisi qualitativa di un campione numericamente più ridotto di SMS, selezionati al fine
di approfondire il tema della “dipendenza” dal servizio che alcuni utenti hanno
manifestato. Nel dettaglio, sono state analizzate le modalità di contatto degli utenti e le
mosse linguistiche del servizio che possono incentivare o scoraggiare una relazione di
questo tipo.
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Capitolo primo
IL COUNSELING: TRA TRADIZIONE ED INNOVAZIONE
1- IL COUNSELING
1.1 - La nascita del counseling
Il counseling nasce negli Stati Uniti verso la fine degli anni ’40 e sono due i fattori che ne
agevolano lo sviluppo: la necessità di fornire un aiuto mirato ed efficace ai militari reduci
di guerra e la nascita della Psicologia Umanistica e del Movimento per il Potenziale
Umano, che propongono una nuova visione dell’uomo in cui acquistano rilievo aspetti
come la qualità delle relazioni, la libertà di scelta, la spinta creativa e progettuale
dell’individuo. Si rende quindi necessaria la nascita di una figura di riferimento specifica:
il counselor.
Il counseling risponde quindi ad esigenze di carattere sociale come il disagio esistenziale,
la perdita di punti di riferimento tradizionali, il continuo mutare della società, l’esigenza di
strumenti operativi veloci e flessibili (Orsi, sito visitato il 18-07-2007).
I primi a teorizzare un metodo per questa forma di intervento sono stati Rollo May, che
pubblica nel 1939 il libro L’arte del counseling e Carl Rogers che elabora le tecniche non
direttive all’interno dell’opera La terapia centrata sul cliente del 1951.
Un altro fattore di influenza sullo sviluppo del counseling si presenta negli anni ’60
nell’ambito della prevenzione in America, con il passaggio da un modello centrato sulla
malattia ad un modello orientato alla salute dell’individuo, in cui il concetto di prevenzione
assume un ruolo centrale.
Attorno agli anni ’70 il counseling inizia ad interessarsi degli adolescenti in seguito alla
necessità sempre maggiore di intervenire in questa sfera..
Dagli Stati Uniti il counseling prende piede rapidamente anche in Gran Bretagna, mentre in
Italia comincia a diffondersi solo attorno agli anni ’90.
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1.2 - Definire il counseling
Nella definizione di Burnett (1977, in Di Fabio, 1999), il counseling consiste “nell’abilitare
il cliente a prendere una decisione riguardo a scelte di carattere personale o a problemi o
difficoltà speciali che lo riguardano direttamente”.
Esso si concretizza in “un insieme di tecniche, abilità e atteggiamenti per aiutare le persone
a gestire i loro problemi utilizzando le loro risorse personali” (Reddy, 1987, in Di Fabio,
1999).
Compito del counseling è quello di “fornire al cliente l’opportunità di esplorare, scoprire e
chiarire dei modi di vivere fruttuosi e miranti ad un più elevato stato di benessere”
(definizione della BAC, Associazione Britannica di Counseling, 1985, in Di Fabio, 1999).
Più nello specifico, il suo obiettivo è di accrescere le capacità individuali di mettere in atto
comportamenti congruenti alle situazioni e di aiutare la persona nell’esplorazione dei
propri problemi, in modo che essa stessa possa decidere cosa fare (Fuligni, Romito, 2001).
A differenza della psicoterapia, che si focalizza sulla globalità della crescita, il counseling
richiede un cambiamento focalizzato su obiettivi precisi.
Esso rientra all’interno delle terapie umanistiche, che prevedono l’instaurarsi di una
relazione diretta tra paziente e terapeuta, basata sia sul codice verbale che su quello non
verbale. Nel 1951 Carl Rogers definisce il proprio metodo “centrato sul cliente”, per
sottolineare che tutta la costruzione del setting debba mirare ad approntare un clima di
accoglienza e disponibilità empatica in cui il paziente, sentendosi accettato senza
pregiudizi, possa attivarsi alla ricerca del suo vero Sé (Codispoti, Clementel, 1999).
Il concetto cardine è quello di realizzazione del sé: l’impostazione rogersiana riconosce al
cliente le potenzialità necessarie per risolvere i propri problemi, dopo averne raggiunto
piena consapevolezza. La vera rivoluzione portata da Rogers nell’intervento psicologico
consiste proprio in questo: il soggetto è attivo ed una volta compreso il suo problema, sarà
in grado di autodirigersi nella risoluzione di questo. L’attenzione non è quindi posta
esclusivamente sull’operatore e sulle sue competenze, come accade all’interno di altre
tipologie di intervento, ma soprattutto sul cliente e sulle sue potenzialità.
La relazione d’aiuto non consiste più nel fornire soluzioni all’individuo, bensì nel
facilitarlo nel processo di decisione responsabile, attraverso risposte di comprensione-
facilitazione da parte del counselor, nel pieno rispetto dei sentimenti, del vissuto, dei tempi
e delle decisioni della persona (Di Fabio, 1999). La comunicazione messa in atto dal
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counselor è di tipo non direttivo e il percorso della relazione di aiuto si indirizza verso
l’autonomia del soggetto, che acquisisce così una graduale consapevolezza di sé.
Il counseling si avvale della relazione per sviluppare nell’utente la consapevolezza,
l’accettazione della realtà, la crescita psicologica.
I termini “counselor” e “cliente” sono stati adottati da Rogers per indicare la libertà e la
responsabilità del soggetto che sceglie di farsi aiutare, che non verrà mai abbandonata nel
corso della ricerca di soluzioni alle proprie difficoltà.
Spesso il termine “counseling” viene erroneamente tradotto con il verbo “consigliare”; dal
punto di vista etimologico esso deriva dal latino “consulo”, ossia “venire in aiuto, aver cura
di”.
Lo scopo del counseling è dunque quello di dare al soggetto l’opportunità di esplorare,
scoprire e rendere chiari gli schemi di pensiero e di azione, per vivere più
congruentemente, vale a dire aumentando il proprio livello di consapevolezza, facendo un
uso migliore delle proprie risorse rispetto ai propri bisogni e desideri e pervenendo ad un
grado maggiore di benessere (Di Fabio, 1999). Più sinteticamente, le finalità del
counseling possono venire riassunte nell’espressione “aiutare le persone ad aiutarsi”.
La aree di cui generalmente il counseling si occupa sono quelle del conflitto, della
confusione mentale, dell’ambivalenza, del turbamento emotivo, in seguito a stress più o
meno violenti nei vari ambienti di vita in persone comunque ben integrate ed adattate
(Fuligni, Romito, 2001).
Il counseling si caratterizza per un numero ridotto di incontri, di durata piuttosto breve così
da focalizzarsi sul problema specifico e “contenere” entro limiti ben definiti la relazione tra
utente e operatore. La brevità dell’intervento si è dimostrata essere un elemento efficace
che in molti casi è addirittura da privilegiare. Tra gli elementi che determinano la buona
riuscita di una terapia di counseling riveste un ruolo centrale la capacità dell’operatore e la
qualità della relazione che si instaura con il cliente.
1.3 - La relazione d’aiuto
Rogers nel 1951 (in Di Fabio, 1999) ha definito la relazione d’aiuto come “una relazione in
cui almeno uno dei due protagonisti ha lo scopo di promuovere nell’altro la crescita, lo
sviluppo, la maturità ed il raggiungimento di un modo di agire più adeguato e integrato.
L’altro può essere un individuo o un gruppo. In altre parole, una relazione di aiuto
potrebbe essere definita come una situazione in cui uno dei partecipanti cerca di favorire in
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una o ambedue le parti, una valorizzazione maggiore delle risorse personali del soggetto ed
una maggior possibilità di espressione”. La specificità che la distingue dalle altre relazioni
umane è l’aspetto metacognitivo: per competenza d’aiuto si intende infatti la capacità di
dare vita ad una relazione umana in modo consapevole, controllato ed intenzionale,
padroneggiando razionalmente abilità “che sono un tutt’uno con ciò che si è” (Mucchielli,
1983, in Di Fabio, 1999).
Elementi centrali della relazione d’aiuto:
- Contatto psicologico, inteso come relazione interpersonale che si instaura affinché sia
possibile il counseling;
- Incongruenza, che consiste nella discrepanza tra l’esperienza reale e l’immagine di sé
che l’individuo ha quando si rappresenta tale esperienza. Quando il soggetto non ha
consapevolezza della sua incongruenza, allora si troverà in una condizione di
vulnerabilità, mentre quando ne è cosciente si genererà uno stato di tensione detto
ansia. L’incongruenza caratterizza il cliente;
- Congruenza, cioè la condizione sperimentata dal soggetto che consente di essere
liberamente se stesso nel corso della relazione e del colloquio. Il counselor si trova in
uno stato di congruenza;
- Comprensione empatica, ossia la capacità di sentire il mondo del cliente come se fosse
nostro, senza perdere mai di vista la condizione di “come se”;
- Accettazione positiva incondizionata: non vengono poste condizioni per l’accettazione
dell’altro, la persona viene apprezzata senza essere valutata, in quanto individuo unico,
specifico e distinto dagli altri. Essa implica l’assenza di qualunque giudizio e un
sincero interesse per l’altro.
- Comunicazione: fa riferimento al fatto che il cliente percepisca l’accettazione e
l’empatia che il counselor manifesta nei suoi confronti. Serve però attenzione per il
modo in cui tali sentimenti vengono comunicati e compresi.
Se queste condizioni sono presenti, allora secondo Rogers si verificherà una modificazione
costruttiva della personalità del cliente; altri autori successivi hanno affermato che questi
sei elementi sono necessari ma non sufficienti per la buona riuscita del counseling.
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2 - IL COUNSELOR
2.1 – Caratteristiche e competenze
Il counselor si delinea come un esperto di comunicazione e relazione, in grado di facilitare
il percorso di autoconsapevolezza dell’interlocutore (Di Fabio, 1999).
Ciò che conta non è tanto il saper fare, cioè l’aspetto tecnico, ma diventa prioritario il
saper essere: il counselor deve essere dotato innanzitutto di qualità umane (sensibilità,
genuinità, flessibilità, creatività, disponibilità, autonomia, deve essere accettante, non
giudicante, profondo e paziente). Per questo assunto Rogers è stato molto criticato ed in
particolare gli si rimprovera di aver sottostimato gli aspetti tecnici della preparazione del
counselor; di fatto egli ha però sempre sottolineato l’importanza di una formazione
specifica per gli operatori, anche se questa viene subordinata al possesso di qualità umane
innate.
Il counseling più praticato è di tipo non direttivo; questo modello consiste nel non guidare
l’utente, ma nell’aiutarlo a comprendere meglio la situazione vissuta come problematica e
a prendere decisioni per superare le difficoltà.
Due sono le abilità fondamentali richieste al counselor: l’ascolto attivo e l’empatia.
L’ascolto attivo
Nel counseling, l’ascolto non consiste solamente nel prestare attenzione a ciò che l’altro
dice; esso si caratterizza infatti per le sue capacità di comprensione. L’ascolto comprensivo
è stato definito in vari modi: attivo, empatico e non direttivo. Esso comporta la capacità di
riprendere o di riassumere ciò che l’interlocutore ha appena detto, ottenendo la sua
approvazione; si tratta di uno degli elementi più complessi da apprendere, poiché è sempre
presente il rischio di interpretare quanto detto dall’altro e di proiettare sulle parole del
cliente i nostri significati. Tale capacità non può essere inoltre disgiunta dall’osservazione
attenta e competente. Si parla quindi di centratura sul cliente: il counselor deve prestare
massima attenzione a ciò che il cliente dice e non dice, al modo in cui lo fa, a ciò che
esprime e a ciò che accade all’interno della relazione in quel preciso momento, limitando
al minimo le distorsioni soggettive. L’ascolto attivo comporta la centratura dell’attenzione
completamente sull’altro.
Essere centrati sulla persona significa prima di tutto focalizzare l’attenzione sul vissuto di
questa e non sui fatti, né sul significato razionale delle sue parole: l’interesse per l’altro
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deve prevalere su quello per il problema e soprattutto non vanno fornite valutazioni
oggettive di questo.
Secondariamente risulta fondamentale concentrarsi sul problema nei termini in cui esso è
vissuto dal cliente, così da favorire un processo decisionale autogestito.
L’ascolto attivo è reso possibile dalla tecnica della riformulazione: si tratta di una modalità
comunicativa di ascolto e di relazione che consiste nel ri-dire e nel ri-offrire all’emittente
la sua comunicazione, utilizzando le sue stesse parole o altre pertinenti, a seconda che si
voglia riformulare attingendo alle stesse parole, oppure in maniera più coincisa o più chiara
(Di Fabio, 1999). Perché una riformulazione sia coerente, è necessaria l’approvazione del
cliente; questo atteggiamento dimostra l’interesse del counselor di comprendere realmente
quanto comunicato dall’altro ed è garanzia di una corretta comunicazione.
Alcuni esempi: “mi pare di capire che …”, “se ho ben capito…”, “mi sembra che…”.
L’empatia
Secondo Rogers, l’empatia rappresenta la possibilità di entrare nel mondo di una persona
senza giudicarla. Si tratta di una capacità personale più che di un’abilità, costituita da
competenze emotive e cognitive. Essa è però un requisito fondamentale per partecipare in
maniera intima all’esperienza del paziente, pur conservandosi emotivamente indipendente
da questo.
L’empatia può essere definita come una risposta emotiva provocata dallo stato emotivo o
dalla condizione di un’altra persona e che è congruente con lo stato emotivo e la situazione
dell’altro.
Lo sforzo del counselor deve essere finalizzato a cogliere le sfumature emotive presenti
nella comunicazione verbale e non verbale, così da pervenire ad una comprensione
profonda, rispondendo anche al sentimento e non soltanto al contenuto intellettuale.
Un altro elemento centrale per la buona riuscita del counseling consiste nell’alleanza tra
operatore ed utente, all’interno della quale possano avvenire i cambiamenti necessari e
svilupparsi le capacità “potenziali” (Egan, 1975, in Fuligni, Romito, 2001). La
comunicazione verbale è la via principale attraverso cui si sviluppa tale alleanza, ma anche
la componente extra-linguistica riveste un ruolo importante. A livello linguistico i due
interlocutori devono cercare di sviluppare un significato condiviso, co-costruito, attraverso
il racconto del cliente e la “restituzione” del counselor.
La competenza comunicativa del counselor, sia a livello di conoscenza delle regole della
comunicazione, sia a livello applicativo, è fondamentale per l’efficacia del counseling. Da
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questo punto di vista, comunicare significa “agire sugli altri, modificando il loro spazio
cognitivo ed emotivo” (Fuligni, Romito, 2001).
Gli aspetti che caratterizzano una comunicazione efficace sono (Di Fabio, 1999):
- la maturità personale in grado di consentire al soggetto l’accesso alla consapevolezza
piena di ciò che sta sperimentando sul piano cognitivo, comportamentale ed affettivo,
praticando l’ascolto attivo;
- la capacità di monitorare l’espressione verbale e non verbale e di possedere quindi
un’elevata consapevolezza del linguaggio corporeo e della prossemica;
- la capacità di eterocentrismo;
- la capacità di penetrazione nei vissuti dell’altro, i cui requisiti principali risultano
l’osservazione psicologica, la capacità di neutralizzare i condizionamenti soggettivi,
l’ascolto comprensivo;
- la capacità di monitorare contemporaneamente sia la comunicazione verbale che non
verbale dell’altro per rilevarne congruenze ed incongruenze e per realizzare un ascolto
attivo;
- l’ attenzione costante a ciò che l’altro esprime sia nei confronti di se stesso che della
relazione e della stessa situazione comunicativa;
- la capacità di comunicare la propria empatia attraverso risposte empatiche;
- la capacità di automonotoraraggio e di autosservazione;
- la capacità di facilitare il meccanismo di chiarificazione attraverso la tecnica della
riformulazione;
- la capacità di osservare l’evoluzione del rapporto interpersonale nel tempo;
- la capacità di conduzione del colloquio nelle sue varie fasi e di un corretto sviluppo
dell’interazione.
Accanto alle abilità di base vi sono anche microabilità, ossia abilità di comunicazione
indispensabili per la costruzione della relazione: prestare attenzione, mantenere il contatto
visivo ed un tono di voce appropriato ecc.
Per poter entrare in relazione con l’altro al fine di aiutarlo, è essenziale che il soggetto sia
in grado di stare pienamente in relazione con se stesso, di ascoltare ciò che proviene dal
proprio corpo e dalla propria emotività, ciò che sta sperimentando nel qui ed ora, senza
nessuna cancellazione, distorsione, alterazione o manipolazione (Di Fabio, 1999).