5
Un discorso a parte meriterebbe invece l’analfabetismo di ritorno o il fatto che
i saperi scolastici hanno vita breve per la maggior parte degli scolari, ammesso
che ne abbiano una.
Ad ogni modo ricerche di vario titolo hanno dimostrato come la
scolarizzazione sia stata sempre connessa con il destino della società di
appartenenza. Ma se questo fatto costituisce sovente una novità, soprattutto
tra i non addetti ai lavori i quali hanno negli occhi, o nella loro passata
esperienza scolastica, la mera autoreferenzialità del pianeta scuola, ad un
approccio olistico ciò non appare per nulla un’affermazione originale. Infatti
una società costa di differenti livelli ed elementi, a vario titolo tra di loro
connessi in reti di funzioni e di significati, la cui unione dà luogo a quella che
noi chiamiamo società. Ignorare questo aspetto vuol dire astrarre la scuola dalla
società, e considerarla come un universo a sé stante, fine a sé stesso. In realtà
la società è qualcosa di più che la mera somma dei suoi elementi costitutivi,
altrimenti non si comprenderebbe come mai la sua evoluzione non sia
predittiva sulla base della conoscenza del suo stato precedente. Il suo
funzionamento è, infatti, ormai sempre più complesso e non il semplice
effetto della concatenazione tra sue parti. In questa maniera una società è
paragonabile ad un sistema, ovvero ad un insieme di elementi legati tra loro da
una relazione esplicante una certa funzione. In questa accezione oscuro ci
appare dire quale possa essere lo scopo o il senso della società. Eppure,
valendoci di un altro registro, assumendolo a mo’ di metafora, potremmo
definire la società come un “testo”.
In effetti ciò è parzialmente dimostrato dalle riflessioni antropologica e
psicologica le quali mostrano come il soggetto viva in e produca un certo sistema
di valori e significati.
6
Un membro del consorzio civile, infatti, quando nasce si trova <<gettato>>
in una rete di valori e significati antecedenti alla sua nascita ma che comincia
subito a negoziare e costruire
4
. In tale prospettiva i singoli elementi, così come
i singoli individui, non hanno proprietà o esistenza autonome le une dalla
altre, ma tutti fanno parte di una “forma di vita” di un contesto storico, sono
un testo in cui parti e tutto intrattengono un rapporto di senso dinamico e
mutevole.
Pertanto se la teleonomia della società, salvo quanto è ravvisabile nella
riflessione hobbesiana della società primitiva come bellum omnium contra omnes, e
della corrispondente teoria psicologica dell’homo homini lupus, esula dalle nostre
possibilità speculative e dai nostri intenti, più abbordabile appare rispondere
alla domanda perchè una società, una qualunque società, prescindendo dal suo
grado di sviluppo, decida ad un certo momento di dotarsi di un sistema
educativo e di esigere dai suoi membri più giovani una scolarizzazione minima
di almeno un decennio.
A dire il vero è sempre più in voga il concetto di educazione permanente o di
educazione degli adulti, che i critici detraggono perché a loro dire consistente
nell’occupare individui che altrimenti non avrebbero altro da fare.
Nel rispondere alla domanda di cui sopra, valiamoci della riflessione
sociologica. Durkheim sostiene che un gruppo anomico perché rifiuta qualsiasi
legge o canone, anche al suo stesso interno, non è in grado di perpetuarsi e
quindi alla lunga si estingue. Diversamente accade, ad esempio, per un gruppo
anarchico il quale rigetta sì il potere ma non un ordinamento al suo interno.
Tale corpus di regole gli garantisce durata nel tempo. Questo fatto è ancor più
vero per i gruppi organizzati quali sono le società.
4
Innegabile è qui il riferimento alla monumentale opera di M. Heidegger, Essere e tempo, Longanesi,
Milano, 1999.
7
Ad un certo momento quindi la società si dà un’istituzione, ovvero passa al
consolidamento temporale, di sé e del proprio futuro. È come dire,
analogamente all’arte che in ogni sua manifestazione non fa altro che
esorcizzare il tempo della scomparsa, il timore della morte, vivendo quello
stato plasticamente definito da Kierkegaard come malattia per la morte, e che
Heidegger ha definito come angoscia o connotazione emotiva della vita dell’uomo
5
,
caratterizzata per l’appunto dall’esistere con la spada di Damocle del potere,
da un momento all’altro, non esistere più. La società esorcizza il timore della
sua scomparsa e muovendo contro eventuali disordini al suo interno e
preparando il suo futuro.
Il primo aspetto non ci interessa e compete alla sociologia, il secondo ci
riguarda più da vicino. Infatti una società si garantisce un futuro educando e
preparando all’assunzione di responsabilità lavorative chi, essendo giovane, è
impreparato a padroneggiare un testo sconosciuto, mutevole e complesso.
Prioritario è a quel punto l’allevamento dei giovani membri della società, la
messa a punto di un impriting che insegni a muoversi da sé in società. In realtà
la scuola fa più di questo oltre che essere, da dieci anni a questa parte una
risorsa insostituibile al conflitto generazionale latente prodotto dall’azione tra
la curva geriatrica della popolazione e l’esaurimento dei posti di lavoro.
Inoltre, dovendo educare chi di colpo si trova immerso in un universo di sensi
e significati, alla fusione degli orizzonti, tra il suo e quello della realtà esterna
6
,
la scuola deve anche svolgere compiti di acculturazione, disciplinamento, costruzione
simbolica, costruzione di genealogie di appartenenze, etc.
5
Cfr. M. Heidegger, cit.
6
Questo aspetto lo mutuo da H. G. Gadamer,Wahrheit und Methode, Mohr, Tubingen, 1960. trad. di
G. Vattimo, Verità e metodo, Bompiani, Milano, 1983.
8
Basti ricordare, ad esempio, il noto detto, attribuito a D’Azeglio, <<fatta
l’Italia, bisogna fare gli italiani>> la scuola si è così fatta carico della
formazione nazionale di un insieme complesso e vario di popolazioni di
diversa estrazione sociale, chiamati a muoversi in un nuovo orizzonte
simbolico. In questo senso è parzialmente vero quando dice Althusser che la
scuola è il principale apparato ideologizzante di Stato venendo a sostituire in ciò la
funzione sin qui svolta dalla letteratura. Ma questo non è un caso. Infatti
complicandosi sempre più la società che, tra XIX e XX secolo diventa “di
massa”, si poneva l’esigenza di costruire un corpus unico di valori etici, culturali
e mentali verso cui la semplice lettura dell’Iliade o di Pinocchio non bastava
più. La risposta unanime fu la costruzione di un sistema educativo unico per
tutti e che coprisse gran parte di quella che gli psicologi chiamano l’età evolutiva,
originariamente dai sei ai quattordici anni, oggi, coerentemente a opzioni
pedagogiche ritenute più avvertite, e che trovano accoglienza governativa, dai
cinque ai diciotto anni, intravedendo già l’estensione ad un diploma
universitario di primo livello.
Ma si tratta di un fenomeno già presente nell’antica Grecia. Infatti là
formazione si diceva paideia, che è molto più della semplice istruzione, è
quell’insieme di pratiche che coniugano istruzione e cultura. Quest’ultima è da
intendere in senso lato, come l’insieme degli aspetti e degli elementi che per
Durkheim, ad esempio, costituiscono l’<<anima collettiva>> di un popolo.
D’altra parte la società greca è quella della polis che si costruisce attorno alla
dicotomia paideia / barbaros istituente il fenomeno del riconoscimento come
“appartenente” o “estraneo” (barbaro) alla medesima comunità.
9
Stando all’antropologia, il cui oggetto di studio è eminentemente la cultura, e
i suoi processi, quest’ultima istituisce genealogie, identità e appartenenze
7
.
Ragion per cui le società si sono opposte, e diversificate tra loro in base a
coppie oppositive come quella sopra citata che tiene conto di uniformità
“culturali” o mentali. Peraltro abbiamo avuto Gemeischaft e Gesellschaft (Tönnies
1887), solidarietà meccanica e solidarietà organica (Durkheim 1893), pensiero prelogico
e pensiero logico (Levy – Bruhl, 1971), pensiero concreto e pensiero astratto (Levi –
Strass, 1964), società chiusa e società aperta (Popper), olismo e individualismo
(Dumont, 1991), irrazionalità e razionalità, società fredde e società calde, oralità e
scrittura (Goody). Ma si tratta di reificazioni dovute al metodo stesso
dell’antropologia più che a fatti veri e propri.
Al contrario, un relativismo culturale, avvertito dal contemporaneo politeismo
dei valori (Weber), e delle sfide della complessità, apre il mito della cultura
identitaria al pluralismo, alla diversità, al concetto di ibridazione culturale giacché
dati puri non esistono e i frutti puri impazziscono
8
. Decostruendo, pertanto, il
mito dell’identità collettiva, la cui scomparsa fa compiangere della Loggia
9
della “morte della patria” e suggerisce a Zagrebelsky la messa a punto di una
nuova trama semiotica che produca un lessico civile
10
minimale per tutti gli
italiani, l’aspetto mitopoietico della scuola va qui accantonato per riferirci
esclusivamente ai suoi aspetti sociali.
7
Per una breve introduzione all’antropologia e alle sue problematiche, vedi AA. VV. , Dal tribale al
globale. Introduzione all’antropologia, Mondatori, Milano, 2002.
8
Cfr. J. Clifford, I frutti puri impazziscono, Bollati Boringhieri, Torino, 1993.
9
Cfr. E. G. della Loggia, La morte della patria, Laterza, Roma – Bari, 1998.
10
Cfr. G. Zagrebelsky, Lessico civile, Introduzione a: P. Scoppola, 25 Aprile. Liberazione, Einaudi,
Torino, 1995.
10
Sulle funzioni della scuola ci avvarremo pertanto della sociologia
dell’educazione la quale ci viene in soccorso e ci dice che, innanzitutto e per lo
più, tre sono le macro – funzioni della scuola (Brint, 2002
2
): 1) trasmissione dei
saperi; 2) socializzazione; 3) selezione sociale
11
.
Queste funzioni si svolgono in relazione al legame tra istruzione e possibilità
lavorative. A tal fine si consideri, ad esempio, la tabella seguente che riporta i
dati sull’occupazione e il titolo di studio conseguito in Italia
D’altro canto il legame tra curricolo e futuro sociale era già chiaro dai tempi
di Alessandro Magno, secondo Williams le trasformazioni curriculari si sono
legate all’influenza di determinati gruppi sociali, volti alla promozione di una
determinata ideologia. Egli sostiene che il gruppo sociale della nobiltà
appoggia un’ideologia generalista, volta a sostenere una politica educativa che
attivi corsi non professionalizzanti, incentrati sulla coltivazione della cultura,
del carattere e sulle capacità di giudizio.
11
Cfr. S. Brint, Schools and Societies, Thaousands Oaks, California, Pine Forge Press, 1998; trad. it.
Scuola e società, Il Mulino, Bologna, 2002
2
.
11
Un ceto mercantile, al contrario, appoggia un’ideologia specialista volta
all’attivazione di corsi professionalizzanti, incentrati sulla formazione a
determinate occupazioni e posizioni. Un gruppo sociale di “riformatori”
sostiene, invece, un’ideologia democratica volta alla politica educativa che
estenda a tutti la possibilità di diventare <<Optimates>>. Infine, un gruppo
sociale di “pianificatori sociali” sostiene un’ideologia utilitarista volta a
sostenere corsi di formazione professionale di livello inferiore, incentrati sulla
preparazione per lavori richiesti dall’economia e dallo Stato
12
.
L’avvicendamento di tali gruppi sociali al potere spiega l’evoluzione dei
curricoli.
A fini esemplificativi riportiamo di seguito un esempio delle percentuali
delle singole materie, e quindi la loro importanza, nel curricolo primario per i
paesi presi in considerazione da Meyer et alia per la loro ricerca comparata tra
sistemi educativi dei principali paesi del mondo:
12
Cfr. R. Williams, The Long Revolution, London, 1961; trad. it. Offiicna, Roma, 1980.
12
Ma continuando così finiremmo col fare, e non è nostro compito, una storia
della scuola
13
.
Dopo aver detto quanto ci sembra importante in proposito ed
imprescindibile, ci limitiamo a suggerirne l’opportunità.
Per quanto, invece, ci interessa più direttamente ci occuperemo della scuola
italiana e dei suoi progetti di riforma successivamente, dei fondamenti psico –
pedagogici e didattici dell’insegnare (sub § 2) e in seguito della professione
docente (sub § 2.3) e delle tecnologie didattiche (sub § 2.4) nella scuola di
oggi. D’altra parte assai importante ci appare oggi il parere di Geertz il quale,
seppur in un ambito del tutto differente, sosteneva la necessità di non dire
“cosa” una scienza sia, ma “come” funzioni. Scriveva per l’appunto, scalzando
il paradigma definizionista delle scienze moderne e il dogma metafisico
dell’essenza
14
(ousia) di una disciplina o anche della scienza, nel 1973 (1987):
“Se volete capire che cosa sia una scienza, non dovete considerare anzitutto le sue teorie e
le sue scoperte (e comunque non quello che ne dicono i suoi apologeti): dovete guardare cosa
fanno coloro che la praticano, i suoi specialisti
15
”
Analogamente per capire “cosa” una scuola sia, e “a cosa” serva, è
importante vedere “come funziona” e “cosa fanno” i suoi specialisti, docenti,
utenti e pedagogisti, e non definirla, al contrario, a – storicamente.
13
In proposito rimandiamo soltanto al pioniere E. Becchi, I saperi dell’educazione, la Nuova Italia,
Firenze, 1987.
14
Per tale dogma rimandiamo soltanto al suo momento iniziale in Aristotele, Metafisica, Bompiani,
Milano, 2000.
15
Cfr. C. Geertz, The Interpretation of Cultures, New York, Basic Books, 1973; trad. It. Interpretazione
di culture, Il Mulino, Bologna, 1987, p. 41.
13
Eppure continuiamo ad essere del parere che capire come nasce e come funziona
nel tempo, ci consentirebbe di capire come funziona oggi. Tuttavia è innegabile
che ciò esula dalla nostre possibilità.
Ragion per cui ci limitiamo alla semplice indicazione della necessità di una
storia della scuola e ne forniamo solo una rapida presentazione, limitandoci a
quella italiana.
14
1.1 BREVE STORIA DELLA SCUOLA ITALIANA
Poche sono le date significative nel tentare una ricostruzione della scuola
italiana, in coerenza con quanto detto e con le esigenze espresse in § 1. In
proposito vediamo subito come la prima legge in materia scolastica sia la
Legge Casati (1859). Dopo l’unificazione del Regno d’Italia (1861),
l'ordinamento scolastico del Regno di Sardegna fu esteso, nel 1877, al tutte le
scuole pubbliche e private del territorio nazionale.
Oltre a fissarsi l'obbligo scolastico a quattro anni (a cominciare dal sesto
anno d'età), esso istituì il quinquennio della «istruzione elementare» comunale (poi
divenuta statale nel Novecento) e la «istruzione secondaria», distinta in:
- ginnasio (cinque anni) e liceo classico (tre anni);
- istituto tecnico (industriale, commerciale, o agricolo), della durata di quattro
anni;
- "scuola normale" (tre anni), per formare gli insegnanti elementari.
Nel 1896 venne istituita la "scuola complementare" triennale femminile,
preparatoria alla "scuola normale". Dagli inizi del Novecento, l'obbligo
scolastico fu portato gradualmente fino al dodicesimo anno d'età.
Dal 1904, anno della «Legge Orlando», l'istruzione elementare fu estesa a sei
anni (comprensivi del cosiddetto «corso popolare») per gli studenti che non
accedevano all'istruzione secondaria (gli altri sostenevano un "esame di
maturità").
15
Esistono, poi, influenze extra – politiche sottere a particolari scelte. Ad
esempio, per influenza della pedagogia positivista, non si impartiva
l'insegnamento della religione cattolica, ma si dava importanza a quello
tecnico-scientifico e psicologico.
Inoltre venne istituito anche un "liceo moderno", nel quale venivano
potenziati gli insegnamenti delle lingue moderne e delle materie scientifiche,
poi trasformato, nel periodo fascista, in "liceo scientifico".
Il vero e primo scossone, di rilievo, a tale assetto scolastico. Venne dalla
Riforma Gentile che, a capo del Ministero dell' educazione nazionale, emanò
una radicale riforma scolastica (composta di ben ventidue provvedimenti
legislativi), la quale, ispirata ai principi dello «stato etico», siamo d’altronde in
piena età cooperativista, determinò quanto segue:
- la frequenza della scuola materna restò facoltativa;
- la scuola elementare (un ciclo di tre anni e uno biennale) fu improntata
all'attivismo pedagogico di G. Lombardo Radice;
- l'obbligo scolastico fu esteso fino ai 14 anni (questo provvedimento, però,
non fu applicato in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale, in
quanto l'onere della spesa era affidato agli enti locali);
- la "scuola normale" fu trasformata in istituto magistrale, con un corso
inferiore quadriennale e uno superiore triennale;
- vennero istituiti i ginnasi-licei, in numero limitato (ognuno con un'apposita
legge) e con non più di mille alunni ciascuno. Il loro compito era quello di
formare l'élite socio-politica;
- nacquero le scuole artistiche;
- le "scuole complementari" furono riformate, finalizzandole alla formazione
del ceto medio impiegatizio (vi si introdusse l'insegnamento del latino, di
modo che gli studenti, dopo aver superato un esame integrativo, potessero poi
passare al ginnasio);
16
- le scuole agrarie, industriali e nautiche non rientravano nell' ordinamento
statale;
- venne imposta l'adozione di libri di testo conformi al modello approvato dal
Governo;
- le scuole d'istruzione tecnica comprendevano: quelle a indirizzo agrario,
industriale-artigiano, commerciale; le scuole professionali femminili, triennali;
le scuole di magistero professionale per la donna, biennali; gli istituti tecnici
(con sezioni: agraria, industriale, nautica, commerciale-ragionenria, per
geometri).
Tralasciando le minuzie, e concentrandoci sull’organizzazione curriculare
proposta, e sul nesso scuola – società, precedentemente messo a fuoco,
consideriamo il seguente schema relativo alla riforma Gentile: