Reingegnerizzazione delle postazioni di assemblaggio dei mini escavatori in ottica WCM
1. Da Ford a Toyota al World Class Manufacturing
Il fordismo, cioè la combinazione tra studio metodico delle operazioni di montaggio
(taylorismo) e introduzione della catena di montaggio altamente meccanizzata, domina la
realtà industriale automobilistica fino agli anni 70 del XX secolo sia negli Stati Uniti che in
Europa. Henry Ford (1863-1947) nel 1913 riorganizza il processo produttivo della Model T
concentrandosi sulla riduzione del tempo di realizzazione che passa da dodici ore e otto
minuti (inizi del 1913) a un’ora e trentadue minuti nell’anno successivo. L’idea di
comprimere i tempi, grazie all’introduzione della classica catena di montaggio nella quale
sono realizzate le vetture grazie all’ausilio di macchinari meccanici automatici e operatori che
compiono poche azioni ripetitive, porta ad un rapido incremento di produttività del processo e
di conseguenza ad un abbassamento dei costi complessivi. Se si prende in considerazione
anche la situazione del mercato statunitense e gli stipendi degli stessi operai Ford si riesce a
spiegare l’incremento delle vendite e la diffusione della produzione di massa.
Proprio il mercato (e la sua globalizzazione) ha messo in luce gli svantaggi di un sistema
produttivo rigido come quello fordista. La riduzione della domanda, le sue variazioni e la
disomogeneità delle richieste del mercato, dovute al crescente numero di modelli disponibili e
personalizzazione del prodotto, hanno favorito la crescita e l’internazionalizzazione
dell’industria giapponese e principalmente della Toyota.
L’industria nipponica, infatti, era strutturata in maniera diversa e orientata, per determinati
contesti storici ed economici, ad una produzione più flessibile nella quale venivano realizzati
più prodotti, in piccoli lotti e con bassi tempi di setup tra una produzione e l’altra. Lo stesso
Taiichi Ono (1912-1990), ingegnere della allora Toyoda e padre della Toyota Production
System (TPS o lean manufacturing) nonché del Just In Time e della logica pull, attribuì
grandi meriti a Ford ma scrisse che il TPS era più adatto a periodi di bassa crescita
(economica).
Le differenze tra i due sistemi produttivi riguardano soprattutto la logistica e la dimensione
dei lotti produttivi. Grazie al sistema kanban “il processo successivo va verso un processo
precedente per ritirare le parti necessarie “just in time” (quando servono)”, si riesce quindi ad
eliminare la necessità di un magazzino, punto cardine del sistema fordista capace di slegare la
produzione dal mercato rendendola rigida e ottimizzabile come Ford ha fatto. Inoltre
l’eliminazione degli sprechi (muda) tramite kaizen (miglioramento continuo) assieme ad un
sistema produttivo flessibile hanno reso possibile la realizzazione di piccoli lotti. In realtà la
flessibilità del sistema produttivo giapponese non è solamente legata alle macchine ed ai
tempi di setup ma anche all’uomo, infatti le grandi imprese giapponesi sfruttano il concetto di
polivalenza del personale (che riesce a coprire più mansioni) e riescono ad impiegare un
ampio numero di personale stagionale, precario o part-time grazie anche alle politiche
riguardanti il diritto del lavoro vigenti in Giappone.
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Proprio a metà anni ’80 ci sono i primi studi riguardanti la TPS, riassunti nei tre più
importanti libri a riguardo:
• World Class Manufacturing: The Lessons of Simplicity Applied, Richard Schonberger
• The Machine That Changed the World, James P. Womack, Daniel T. Jones, Daniel
Roos
• Lean Thinking: Banish Waste and Create Wealth in Your Corporation, James P.
Womack, Daniel T. Jones
Sono quindi analizzati sia teoricamente che a livello applicativo concetti cardini quali:
- Il valore
- Il flusso del valore
- Il flusso
- La logica Pull
- La perfezione
Concetti che spiegano la necessità di tecniche quali il kanban, il JIT, il kaizen e l’ossessione
per i muda. Si parte quindi dalla comprensione del Toyota Production System e si arriva al
Word Class Manufacturing (WCM) che integra le logiche del JIT, Total Productive
Maintenance (TPM) e del Total Quality Management (TQM).
Nel 2005 il gruppo Fiat (oggi FCA) adotta il sistema WCM e lo sviluppa assieme a Hajime
Yamashina (professore emerito dell’università di Kyoto) uno dei massimi esperti di lean
production.
Il WCM si differenzia dalla lean production poiché alla base di ogni scelta e ogni progetto di
miglioramento (kaizen) vi è prima una dettagliata analisi economica (Cost Deployment) che
in funzione delle capacità e dei massimi benefici (in relazione ai costi) orienta e prioritizza le
attività da compiere. Le azioni quindi sono supportate da determinati dati chiari, realistici,
organizzati e supportate metodologicamente da “pilastri” tecnici di competenza. Il WCM,
infatti, è strutturato in venti pilastri, dieci tecnici e altrettanti manageriali, che “sorreggono”
l’intero sistema di gestione della produzione. I pilastri tecnici sono:
• CD Cost Deployment
• FI Focus Improvement
• PD People Development
• SAF Safety
• ENV Enviroment
• QC Quality Control
• LOG Logistic
• AM + WO Autonomous Maintenance - Workplace Organization
• EEM + EPM Early Equipment Management, Early Product Management
• PM Professional Maintenance
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I pilastri manageriali, supportano e gestiscono l’intero sistema produttivo in funzione dei
pilastri tecnici, essi sono:
• Management Commitment
• Clarity of Objectives
• Route Map to WCM
• Allocation of Highly Qualified People
• Commitment of Organization
• Competence of Organization
• Time and Budget
• Level of Detail
• Level of Expasion
• Motivation of Operators
Ogni pilastro ha un determinato obiettivo, in ottica del raggiungimento della perfezione,
s’introduce il paradigma “World Class Manufacturing = Zero” (fig. 1).
Figura 1: gli "zeri" del World Class Manufacturing
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Il percorso per il raggiungimento degli obiettivi è suddiviso in sette step che determinato piani
d’azione reattivi, preventivi e proattivi al progredire degli step. I tre approcci possono essere
così descritti:
• Approccio Reattivo: analisi delle condizioni di base e ripristino di esse
• Approccio Preventivo: analisi dei problemi e riduzione/eliminazione delle cause
• Approccio Proattivo: mantenimento e miglioramento degli standard raggiunti come
modalità applicative integrando i rischi riscontrati nella fase di analisi
L’avanzamento lungo gli step è anche chiamato “profondità” (fig. 2) e indica il maggiore
livello di dettaglio con cui si analizzano i problemi. Assieme al concetto di profondità c’è il
concetto di livello di “estensione”, infatti, ogni attività di pilastro si incentra inizialmente su di
un’area modello, ovvero una determinata zona (postazione o reparto), scelta in funzione del
pareto dei costi. In seguito alle analisi e ai miglioramenti apportati all’area modello si cerca di
estendere i progressi compiuti ad aree affini ed in seguito all’intero stabilimento, per poi finire
a tutti gli stabilimenti e anche ai fornitori.
Figura 2: livello di profondità ed estensione
Per valutare in modo obiettivo l’avanzamento e gli obiettivi raggiunti in ogni pilastro WCM,
periodicamente sono svolti audit con valutatori esterni allo stabilimento. A fine audit ogni
pilastro ottiene un punteggio da 1 a 5 e la somma di tutti i punteggi dei venti pilastri indica il
livello globale di attuazione del sistema WCM all’interno dello stabilimento (fig. 3).
Figura 3: sistema di valutazione WCM
Condizione Base
0-49
Bronzo
50-59
Argento
60-69
Oro
70-84
World Class
85-100
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2. I Pilastri Tecnici del WCM
2.1 Cost Deployment
Il Cost Deployment (CD) è una metodologia che consente di orientare le azioni e i progetti
rivolti alla riduzione dei costi e degli sprechi all’interno del programma WCM. Fornisce in
maniera scientifica e rigorosa gli strumenti utili alla collaborazione tra gli enti di produzione e
di finanza.
Il CD è una “bussola” che indica quali progetti intraprendere in funzione di una
prioritizzazione eseguita in base all’analisi e alla quantificazione economica delle perdite.
L’introduzione del CD consente di risolvere le criticità dei programmi di miglioramento quali
TPM, JIT, TQC, TIE che non prevedono una relazione diretta tra le attività svolte e la
riduzione dei costi. Infatti, se non si ha la capacità di valutare i benefici i programmi di
miglioramento posso risultare insoddisfacenti e non sostenibili nel tempo.
Innanzitutto bisogna chiarire e differenziare il concetto di “spreco” da quello di “perdita”.
Sono due termini collegati all’efficienza e all’efficacia:
∶
↓
∶
↑
L’efficienza indica il grado di “sforzo” che si effettua per raggiungere un determinato
obiettivo; quindi a parità di output, un input minore porta ad un efficienza maggiore.
Un eccesso d’input è quindi uno spreco, poiché si potrebbe raggiungere lo stesso obiettivo
con uno sforzo (e quindi una spesa) minore. L’efficacia invece indica la capacità di
raggiungere un determinato obiettivo da una condizione iniziale ben definita, quindi un input
costante; a parità di input quindi, sarà più efficace chi raggiungerà l’output maggiore
(guadagno più alto). Un output non raggiunto è quindi una perdita.
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La realizzazione del Cost Deployment avviene:
1.Attraverso lo studio delle relazioni fra i fattori di costo, i processi che generano costi e i vari
tipi di sprechi e perdite;
2.Cercando le connessioni fra riduzione di sprechi e perdite e la corrispondente riduzione di
costo;
3.Evidenziando se il know-how per la riduzione di sprechi e perdite è già disponibile o se
deve essere acquisito;
4.Mettendo in ordine di importanza i progetti di riduzione di sprechi e perdite a seconda delle
priorità derivanti da un’analisi costi / benefici.
5.Stabilendo infine il programma di riduzione costi anche per garantire il mantenimento dei
risultati raggiunti.
Bisogna sempre tener conto che sia gli sprechi sia le perdite sono sempre misurabili e quindi
quantificabili. Di conseguenza i programmi di riduzione costi da seguire saranno quelli
“concreti” anche definiti SMART (fig. 4):
Figura 4: il significato di SMART
Quindi, gli obiettivi da raggiungere saranno:
- Specifici: non ambigui, chiari e ben identificabili
- Misurabili: il completamento o meno deve essere univocamente e oggettivamente
definibile
- Raggiungibili: la difficoltà deve essere adeguata per stimolare l’impegno
- Relativi alla missione aziendale: concreti e orientati ai risultati
- Tempificato: definiti nel tempo, con una scadenza
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2.1.1 La metodologia del Cost Deployment in sette step
Di seguito sono mostrati i 7 passi in cui il CD si divide (fig. 5), la sua peculiarità è quella che
quasi ad ogni step è attribuibile una particolare matrice che permette di valutare sempre più
nel dettaglio e in maniera più appropriata quali progetti intraprendere.
Figura 5: i sette step del Cost Deployment
Quindi con rifacimento ai tre livelli di approccio avremo:
- Step 1-2-3, approccio reattivo: definizione di un “perimetro” economico, all’interno
del quale i costi sono quantificati, classificati e aggiornati in maniera adeguata (step1).
Per quanto riguarda i primi periodi d’introduzione del WCM non sarà possibile avere
tutti i costi quantificati, però sarà possibile avere una valutazione qualitativa, dai vari
esperti di ogni reparto, di quali sono le perdite più influenti. Col tempo (e con lo step4)
si avranno sempre più dati a disposizione. In seguito si passerà alla localizzazione
delle perdite tramite la matrice A (perdite/processi), per poi capire quali sono le
perdite causali e quelle risultati (relazione causa/effetto, matrice B).
Si potranno quindi già aggredire quelle perdite che in prima analisi sono le più
rilevanti e impattano su più reparti o sono causa di altre perdite.
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