6
Questo tipo di approccio mi ha permesso di analizzare questa forma
organizzativa calata, “embedded” all’interno di un specifico contesto
istituzionale-storico, evidenziando le peculiarità e le
caratteristiche in relazione a questo specifico contesto di
riferimento.
Nel primo capitolo ho, di conseguenza, introdotto e approfondito la
branca della sociologia economica al cui interno è nato e si è
sviluppato l’approccio neo-istituzionalista i cui principali
esponenti sono Powell e DiMaggio.
Tale approccio mi ha permesso di analizzare il mondo delle
organizzazioni e delle forme organizzative, considerando il contesto
isituzionale in cui sono “embedded” e, di conseguenza, l’influenza
che esso ha sull’agire degli attori organizzativi e delle
organizzazioni stesse.
Ho preso in considerazione, dunque, tale contesto con le sue
componenti cognitive, valoriali e normative evidenziando le influenze
che queste ultime hanno sull’azione organizzativa.
Nel secondo capitolo ho, poi, cercato di analizzare ed approfondire
il tipo di interazione presente nei contesti sociali contemporanei
tra organizzazioni e cornici istituzionali.
Ho analizzato attraverso quali sistemi simbolici e di significato, le
istituzioni sociali ed economiche, presenti in determinati contesti
storici e spaziali, hanno contribuito al diffondersi di forme
organizzative.
Ho proposto, dunque, un accenno teorico alla teoria organizzativa,
cercando di comprendere le logiche che “vivono” all’interno delle
organizzazioni, e, di conseguenza, influenzano e condizionano il loro
agire e la loro sopravvivenza.
Ho cercato di comprendere come le forme organizzative
“istituzionalizzano” i sistemi di significato, i “miti
razionalizzati” presenti nel contesto istituzionale, che fa da
cornice al loro agire, e, di conseguenza, come gli attori
organizzativi “cristallizzano” tali sistemi di riferimento
7
all’interno delle loro menti, “trasformandoli” in idee, credenze-
convinzioni, ideologie specifiche, capaci di creare pressione,
indirizzando il loro agire verso determinate direzioni.
Ho cercato di comprendere quali sono appunto questi sistemi di
riferimento, che istituzionalizzati nelle menti degli attori
organizzativi, indirizzano le decisioni, le scelte organizzative in
determinate direzioni piuttosto che altre.
Dopo aver proposto questo quadro teorico generale, nel terzo
capitolo, ho focalizzato la mia attenzione su di una forma
organizzativa specifica, che richiama, al suo interno, il “modello
del servizio”.
Sto parlando della “logica del servizio” come forma organizzativa.
Ho così cercato di descrivere la nascita e lo sviluppo di tale logica
all’interno della nostra società e, in particolare, ho analizzato
attraverso quali specifici sistemi di riferimento, “miti
razionalizzati”, istituzioni presenti nel determinato contesto
storico e spaziale, da me considerato, hanno condizionato e
indirizzato il diffondersi di questa specifica forma organizzativa
che richiamano appunto il “modello del servizio”.
Il terzo e il quarto capitolo sono appunto focalizzati sulla
descrizione di questa “logica del servizio”, sulla sua nascita e
sviluppo nella storia, sui suoi tipi di applicazione all’interno di
organizzazioni produttive, ma anche pubbliche, come può essere
un’istituzione.
Al fine di indirizzare il lavoro di ricerca, all’inizio del quinto
capitolo, ho creato due tipologie ideali di “logica del servizio”,
che si rifanno ad altrettante logiche:
1. “aziendalistica”;
2. “relazionale”.
Attraverso l’utilizzo di queste concettualizzazioni, nella parte
empirica di questo lavoro, ho potuto focalizzare la mia attenzione su
di un’Amministrazione pubblica locale, al cui interno è stato avviato
8
un processo di innovazione organizzativa (costituzione
dell’Istituzione per i Servizi Educativi-Culturali e Sportivi ISECS),
nel tentativo di esplorare e comprendere quali sistemi di
significato, quali cornici istituzionali hanno orientato le decisioni
e le scelte effettuate dagli amministratori, verso determinate
direzioni, in un contesto storico e spaziale specifico.
Ho cercato di comprendere cosa c’era nella mente di quegli attori
organizzativi nel momento del cambiamento organizzativo (costituzione
dell’ISECS), quali “miti razionalizzati”, creando pressione nel
contesto specifico considerato hanno fatto da cornice alle scelte
organizzative.
Ho cercato di comprendere cosa intendano, tali attori, per “logica
del servizio”, al fine di poter ricondurre la loro “idea” ad una
delle tipologie ideali illustrate precedentemente, o comprendere se
le componenti di una o dell’altra tipologia si “fondano” all’interno
della loro idea di logica del “servizio”.
Nel corso dell’indagine ho utilizzato un metodo di indagine
qualitativo, sia per il tipo di approccio utilizzato (cognitivo/neo-
istituzionalista) che per il tipo di tema indagato e i fini
conoscitivi (organizzazioni e miti razionalizzati).
Nella parte empirica ho così effettuato indagini d’archivio
all’interno dell’Ente comunale e ho utilizzato l’intervista semi-
strutturata per “interrogare” i testimoni “artefici” del cambiamento
organizzativo (amministratori), al fine di comprendere cosa ci fosse
“nelle loro menti” , nel momento in cui hanno avviato il processo di
innovazione organizzativa.
Dare voce alle molteplici opinioni e alle diverse prospettive degli
attori coinvolti in questa ricerca, consentire ad ognuno di loro di
manifestare il proprio punto di vista, significa, secondo me favorire
la realizzazione di una ricchezza culturale che garantisce una
garanzia di libertà, di pensiero e di espressione.
9
Assolvo infine con piacere il dovere di ringraziare la professoressa
Barbara Giullari, che in questo anno mi ha sempre seguito con
attenzione ed interesse.
Non posso dimenticare inoltre l’Ente comunale di Correggio, che mi ha
permesso di svolgere la ricerca in piena libertà, fornendomi tutta la
documentazione necessaria, e lasciandomi la possibilità di
intervistare gli attori, da me ritenuti, significativi.
Infine vorrei ringraziare la mia famiglia che mi è stata vicino e mi
ha sostenuto durante tutto il percorso di studi, e durante questo
lavoro di ricerca e i miei più cari amici.
10
CAPITOLO 1. EVOLUZIONE DEL NEO-ISTITUZIONALISMO NEL TEMPO
1.1. L'approccio sociologico all'analisi dei fenomeni economici
1.1.1 Sociologia economica e paradigma economico
Al fine di cogliere la specificità del punto di vista adottato nel
corso di questo lavoro è opportuno illustrare dove si colloca la
sociologia economica rispetto allo studio dei fenomeni economici, e
di conseguenza, quali sono le principali dissonanze dal paradigma
economico imperante.
Il punto di partenza risiede nella convinzione che i fenomeni
economici non devono essere intesi come un campo di indagine
esclusivo dell'economia, ma come oggetto di un'indagine
interdisciplinare.
In questa prospettiva la sociologia economica interpreta i fenomeni
economici, ossia le attività connesse alla produzione, alla
distribuzione, allo scambio e al consumo di beni e servizi
utilizzando cornici di riferimento e modelli esplicativi offerti
dalla teoria sociologica generale.
Partendo dalle concezioni di alcuni autori classici, come vedremo nel
prossimo paragrafo, la sociologia economica ha potuto sviluppare un
autonomo e originale approccio sociologico alla vita economica.
Proprio questi autori, nella formulazione delle loro riflessioni,
partono dalla critica del paradigma economico classico, ritenuto una
visione riduzionistica e strumentale della vita economica.
Storicamente il paradigma dominante dell'economia si è via via
affermato grazie alla sua capacità di 'semplificazione' della
complessità sociale pervadendo ogni visione del mondo e della vita
sociale.
Tuttavia verso gli anni '70 del Novecento si giunge ad una nuova fase
storica della sociologia, dove essa non è più subordinata
all'economia per quanto riguarda l'analisi e lo studio dei fenomeni
11
economici.
In particolare, l'approccio sociologico supera la visione
riduzionistica ed economicistica della vita economica e considera
fattori prettamente non economici per spiegare il funzionamento della
vita economica.
In questo modo argomenta il radicamento sociale, culturale , politico
e cognitivo dell'azione economica e il suo costitutivo essere immersa
nel contesto relazionale entro cui si produce.
Continuiamo questa riflessione cercando di evidenziare come
l'approccio sociologico allo studio dei fenomeni economici tenta di
uscire dal riduzionismo degli assunti del paradigma economico,
introducendo una serie di nuove variabili indipendenti:
- la posizione sociale dell'attore;
- il significato simbolico dell'azione;
- l'accesso alle informazioni differenziato per gli attori;
- il condizionamento delle istituzioni sociali e politiche;
- le diverse forme di razionalità;
- il condizionamento della routine, ossia di tutti quei meccanismi
dati per scontato dagli individui durante lo svolgersi delle loro
azioni; assumendo una visione maggiormente globale rispetto al
paradigma economico dominante (Borghi, 2004). L'approccio sociologico
critica il riduzionismo degli assunti della disciplina economica,
asserendo che l'uomo reale è ben più complesso del modello proposto
dalla teoria economica, perchè calato in un contesto storico,
territoriale, relazionale ben preciso che lo influenza e che pertanto
non può corrispondere all'attore isolato della teoria economica.
L'approccio della mainstream economics ,definito anche paradigma
dell'azione razionale (RAT), infatti, si può riassumere nel modo
seguente:
– il mercato e le azioni in esso compiute dipendono solo da vincoli
da esso stesso espressi ( è un mercato autoregolantesi);
– l'attore individuale ( con preferenze date e non influenzate da
altri attori) ed il principio di massimizzazione delle utilità sono
12
sufficienti per spiegare tutta la gamma dei comportamenti umani;
– le altre dimensioni sociali sono variabili dipendenti.
La prospettiva della sociologia economica ha indotto ad abbattere uno
dei capisaldi della teoria economica, ossia l'estensione del modello
di comportamento economico (lo scambio di mercato) all'intera società
(Monaci,2004); infatti in tale contesto l'esistenza di altre forme di
scambio veniva interpretata come un fenomeno residuale destinato a
scomparire con lo sviluppo della società capitalistica.
Contrariamente la sociologia economica riconosce:
ξ la natura sociale (istituzionale) dello stesso scambio di mercato
ξ l'esistenza di altre forme di regolazione dell'economia
(redistribuzione e reciprocità);
ξ l'azione economica come incorporata (embededd) in reti di relazioni
interpersonali e in una cornice culturale- istituzionale da cui
viene influenzata;
ξ l'economia e le istituzioni economiche come costruzioni sociali.
E' evidenziata dunque l'origine sociale e storica dei fenomeni
economici (Weber 1961).
Il mercato perciò non è sorto spontaneamente e non è di conseguenza
capace di auto-regolarsi, ma si situa in un contesto culturale e
sociale specifico entro il quale le relazioni sociali hanno un ruolo
fondamentale nella determinazione delle regolarità economiche. In
sintesi, seguendo l'approccio sociologico, il mercato è dunque frutto
di condizioni istituzionali regolative.
L'economia è 'plurale': il mercato è una delle sue componenti
principali ma non l'unica.
E' una costruzione sociale, e per funzionare abbisogna di meccanismi
di regolazione di natura etica, sociale e governativa (Etzioni,
1991). Il mercato è dunque un'istituzione sociale, e come tale non
potrebbe funzionare se non fosse regolato socialmente, “se non
attivato, sostenuto, compensato da una rete costituita da specifiche
istituzioni sociali “( Bagnasco, 1988: 189-190).
13
Lo scambio di mercato è facilitato dai processi sociali e culturali
che dotano gli attori di quei saperi condivisi ( ossia norme, valori,
simboli) che consentono loro di dare senso alle situazioni e al modo
in cui ritengono di dover agire (Gullien et al., 2002).
La sociologia economica sostiene la natura plurale dell'embeddedness
dell'azione economica, cercando di superare le limitazioni della
teoria dell'azione razionale RAT (collegata all'economia neoclassica)
insistendo sulla natura processuale dei fenomeni socioeconomici. Non
meno importante per il superamento della RAT, è l'accento sulla
centralità della dimensione pratica dell'azione : l'azione non è
mossa solo da un calcolo, non c'è la ricerca di un meglio assoluto
bensi' risente della quotidianeità e della routine della vita sociale
(Borghi 2004).
Questo argomento verrà via via affrontato e approfondito lungo il
corso di questo capitolo.
1.1.2. La Nuova Sociologia Economica: lo scenario attuale
Ora cercherò di approfondire una ramo relativamente nuovo della
sociologia economica.
Nel 2000 Mark Granovetter, sociologo statunitense, ripropose un
dibattito da lui gia' “rivitalizzato” verso la metà degli anni
ottanta (1985), affrontando importanti problemi riguardanti lo studio
dei fenomeni economici attraverso gli strumenti metodologici propri
della sociologia. Inaugurò così un filone di studi che assumeva il
nome di Nuova Sociologia Economica (NSE). Sulla scia degli effetti
provocati dalla NSE, oltreoceano, nel contesto europeo si presentò
l'occasione di riprendere un filone di studi a lungo trascurato,
raccordandone i contenuti agli aspetti della società contemporanea.
Per parlare di “rinascita” di questa “branca” della sociologia
generale, ha pertanto senso collocarsi nel contesto statunitense,
dove la teoria funzionalista di Parsons aveva egemonizzato per anni
l'intera disciplina sociologica, e di conseguenza, aveva paralizzato
14
l'analisi sociologica dei fenomeni economici, decretando
definitivamente il ruolo secondario della sociologia rispetto alla
scienza economica.
In Europa la sociologia economica ha proprio i suoi padri fondatori
tra gli autori classici: Marx, Weber, Durkheim, Simmel, Polanyi e fin
da allora non ha mai smesso di interpretare ed analizzare la natura
dell'azione economica, anche se nel tempo ha assunto posizioni
subalterne rispetto alla scienza economica e ai modelli teorici
proposti da questa disciplina. In Europa si può dunque parlare
piuttosto di “ripresa” di tale disciplina, soprattutto in conseguenza
alla evidente inadeguatezza dei modelli teorici della teoria
economica classica (La Rosa 2004). Infatti, all'inizio degli anni '70
in concomitanza con profondi cambiamenti nell'economia e nel lavoro
dei paesi industrializzati, balzano agli occhi alcuni fenomeni che si
presentano come anomalie ( Magatti, 1991) alla luce del paradigma
economico dominante:
- il successo dei distretti industriali
- l'economia informale
- il dualismo economico
- le contraddizioni della disoccupazione
per citare le più discusse (Salvati,1993).
Dopo aver dato un veloce sguardo al contesto culturale
ed ad alcuni fenomeni economici presenti in tale contesto, i quali
hanno permesso l'avvento della sociologia economica, ora passo a
focalizzarmi sull'ambito specifico di tale disciplina.
La NSE applica la prospettiva sociologica ai fenomeni economici: essa
comporta “ l'applicazione delle categorie, delle variabili e dei
modelli esplicativi della sociologia al complesso delle attività che
riguardano la produzione, la distribuzione, lo scambio e il consumo
di beni e servizi scarsi” (Smelser, Swedberg, 1994: 3).
15
Tale definizione riconosce a tale disciplina due capacità:
- la capacità di cogliere i presupposti sociali dell'organizzazione
economica
- la capacità di indagare le conseguenze sociali delle trasformazioni
economiche.
Centrale in questo campo di studi è proprio questo doppio movimento,
già indagato da Polanyi, dall'economia alla società e dalla società
all'economia. La sociologia economica, perciò, è volta a studiare
sia “l'emergere, il consolidarsi e il mutare dei comportamenti
istituzionali, o quegli aspetti di essi che hanno rilevanza nel
determinare la struttura delle attività volte alla produzione e allo
scambio di risorse”, sia “l'influenza esercitata sui comportamenti
istituzionali da parte delle attività economiche” (Gallino, 1972:41),
laddove con “comportamenti istituzionali” si intendono, nel senso
weberiano, le norme, i valori, i modelli di comportamento, i sistemi
di significato stabilizzati e legittimati socialmente che consentono
il dispiegarsi dell'azione sociale.
Quando nel 1985 Granovetter,inaugurando il dibattito sulla sociologia
economica, introdusse il concetto di embeddednes, apportò una vera e
propria “svolta teorica” in questa disciplina. Con tale nozione,
coniata da Karl Polanyi, il sociologo statunitense intendeva
affermare come l'economia fosse strutturalmente embeddednes , ossia
“incastonata” nella società, ed incorporata in una rete di relazioni
sociali che la plasmano. L'economia stessa si rivela essere un
fenomeno sociale, perciò occorre considerare l'azione economica come
azione sociale.
Ogni fenomeno economico è socialmente costruito e dunque non può
essere compreso senza fare riferimento ai saperi condivisi, ai
simboli, alle strutture istituzionali, alle reti di relazione
intersoggettive che gli danno forma (Gullien et al.,2002).
16
All'interno di questa “ripresa”, la NSE ingloba la cosiddetta svolta
micro
1
(approfondita nel paragrafo seguente) di derivazione
fenomenologica. Vengono presi in considerazione, perciò, i processi
attraverso i quali si giunge ad attribuire significato alla realtà
nella quale si è immersi. La realtà, secondo questa ottica , è
costruita socialmente attraverso le relazioni intersoggettive degli
individui, coinvolgendo tutti i livelli istituzionali di una società
complessa. Adottando questa ottica, fondamentale è l'attribuzione di
senso che ognuno da al proprio agire a partire dalla specificità di
un delimitato contesto economico, sociale e culturale.
1.1.3 I filoni principali della NSE
Dopo aver sinteticamente esplorato l'ambito d'indagine della nuova
sociologia economica, scorriamo ora i suoi due approcci fondamentali
per poi focalizzarci su uno di questi il quale sarà l'ambito di
studio di questa ricerca:
– l'approccio strutturalista ( Mark Granovetter)
– il neoistituzionalismo (P. Di Maggio. W.W. Powel).
L'approccio strutturalista si focalizza principalmente sulle reti
relazionali intersoggettive alla base dell'agire individuale.
1 La definizione "svolta micro" è un demarcazione per conglobare due approcci
filosofico-sociali che si focalizzano principalmente sulle interazioni tra gli
individui e sullo studio del quotidiano al fine di comprenderne la "costruzione
sociale". Nella recente crisi della scuola sociologica di stampo funzionalista,
la quale aveva posto l'accento sull'istituzionale, si è perciò guardato verso
questi due orientamenti: la fenomenologia, sorta in Germania all'inizio del
secolo per opera di E. Husserl e A. Schutz, per poi essere svilluppata dalle
opere di P. Berger e T. Luckmann e l'etnometodologia il cui rappresentante più
autorevole fu Garfikhel . E' però solo verso i primi anni '60 che la sociologia
occidentale (struttural-funzionalismo) legata alle istituzioni entra in crisi,
per lasciare spazio a questi nuovi approcci del sociale. Tali orientamenti
intendono il mondo come qualcosa di ordinato, composto da oggetti definiti e
circoscritti, considerati come realtà a sè stante, da noi indipendente, come
mondo "dato per scontato". Questo mondo è percepibile solo sulla base di
precedenti elaborazioni concettuali, formazioni di categorie interpretative,
"tipificazioni" per usare un termine di Schutz. L'insieme di questa tipificazioni
in cui l'uomo vive è socialmente relativo, e costituisce la struttura del suo
mondo. Tale struttura è come data dall'esterno e va compresa come una "realtà"
che sorge attraverso l'interazione tra gli individui, quindi una realtà
intersoggettiva.
17
L'azione economica è, perciò, significativamente influenzata da tali
network di interazioni co-costruite dagli attori.
L'approccio neoistituzionalista si focalizza principalmente
sull'importanza del contesto istituzionale e sulla conseguente
influenza che esso ha sull'agire dei soggetti. E' il contesto
sociale e culturale che con le sue componenti cognitive e normative
condiziona i comportamenti individuali e, di conseguenza, anche
l'azione economica (Borghi 2002). La cultura è, in questo approccio,
una variabile fondamentale.
Entrambe gli approcci condividono:
– Il radicamento sociale dell'azione economica: “azione economica
come azione sociale”;
La critica alla visione iposocializzata dell'attore (caratteristica
dell'approccio economico) e parallelamente a quella ipersocializzata
(caratteristica dell'approccio struttural-funzionalista di Parsons);
– L'idea dell'attore come attore in relazione, calato in una rete di
relazioni sociali che influenzano il suo agire, ma non lo
determinano completamente;
– La teoria dell'azione di tipo costruttivista, di matrice
fenomenologica ed etnometodologica in base alla quale gli individui
rappresentano la realtà attraverso un processo intersoggettivo (La
Rosa 2004).
18
1.2 L'economia come processo istituzionale: il ruolo delle
istituzioni nella spiegazione del rapporto tra economia e società
1.2.1.Il concetto di istituzione
Per comprendere come l'economia possa essere considerata un processo
istituzionale occorre capire innanzitutto cosa è un'istituzione, per
poi comprenderne il ruolo all'interno del rapporto tra economia e
società.
Che cosa sono le istituzioni?
Secondo le regole dell'argomentazione scientifica è opportuno che
l'oggetto di cui si parla sia ben chiaro dall'inizio.
Ma con le istituzioni la faccenda è più complicata.
C'è innanzitutto il problema della grande eterogeneità di approcci,
dunque anche di definizioni, che affollano il campo degli studi
istituzionali in diverse discipline e con diversi ambiti di
applicazione.
La parola istituzione attiva discorsi che attingono a vocabolari
diversi tra loro anche incongruenti.
C'è parecchia confusione: ma questa confusione va considerata come un
fattore rilevante per identificare il nostro oggetto.
Ota De Leonardis nel suo libro sulle istituzioni “ Le istituzioni:
come e perchè parlarne” (2001) attiva un interessante percorso
indiretto di avvicinamento al tema delle istituzioni procedendo
attraverso una semplice esercitazione: un elenco di oggetti cui
associare la nozione comune di istituzione.
L'Autrice riesce in questo modo a creare una scatola degli attrezzi
ancora molto grossolana, ma ricca di nozioni e argomenti a proposito
di istituzioni, cui corrispondono alcune proprietà istituzionali.
L'esercitazione inizia richiamando il livello intuitivo, ossia le
cognizioni immediate che tutti noi abbiamo della nozione di
istituzione, allo scopo di costruire un elenco di oggetti cui
possiamo attribuire il titolo di istituzioni.
19
L'elenco è il risultato delle immagini che ci vengono in mente quando
pensiamo alle istituzioni. Il primo riferimento è alla vita pubblica
e agli ambiti sociali in cui essa si svolge.
Innanzitutto lo Stato, e, focalizzando meglio anche gli apparati da
cui esso è costituito: la pubblica amministrazione nelle sue diverse
istituzioni.
Ma anche le istituzioni politiche, per esempio quelle che
caratterizzano un regime democratico.
E non solo: parliamo di istituzioni anche riferendoci al diritto,
l'impalcatura di leggi su cui la vita pubblica si regge, a cominciare
dalla Costituzione.
Se lo sguardo si volge oltre il sistema politico-istituzionale verso
la società l'elenco si allunga.
Pensiamo alla famiglia.
Ancora, non ci riesce difficile pensare anche alla Chiesa quale una
istituzione.
Basta poi qualche cognizione sociologica per concordare sul fatto che
anche la scuola, l'ospedale, il tribunale sono senz'altro
istituzioni.
Anche le teorie scientifiche sono istituzioni.
Già Durkheim diceva che il linguaggio con cui definiamo il mondo che
ci circonda è anch'esso un'istituzione sociale.
Proseguendo si osserva come anche la vita economica sia ricca di
istituzioni.
Il mercato stesso è considerato come un'istituzione fondamentale
della società moderna.
Dopo aver illustrato questo elenco Ota De Leonardis cerca di andare
alla ricerca di qualche definizione di istituzione e l'impressione è
di una grande eterogeneità di oggetti e di campi di applicazione.
Questa eterogeneità è così ampia e vistosa da far sorgere il dubbio
che questa nozione, volendo significare troppe cose diverse tutte
insieme, non significhi in realtà nulla.
Non è così.