3
Introduzione
Come
giustamente
argomentato
anche
da
illustri
teorici
nel
corso
d el
XX
secolo,
il
«diritto»
rappresenta,
in
larga
misura,
il
frutto
di
processi
di
negoziazione
al
cui
interno
svolgono
un
ruolo
essenziale
i
mercanti,
i
proprietari,
i
protagonisti
di
attività
imprenditoriali
e
ogni
singolo
operatore
economico.
Lo
stesso
Karl
Marx,
a
suo
modo,
percepì
il
diritto
quale
sostanziale
“sovrastruttura”
di
rapporti
economici,
giungendo
alla
conclusione
che
solo
il
concretizzarsi
di
business
solidi
e
indipendenti
potesse
porre
le
basi
sociali
necessarie
all’affermarsi
degli
stessi
diritti
umani.
Vi
sarebbe,
dunque,
un
rapporto
molto
netto
tra
lo
sviluppo
delle
relazioni
economiche
e
l’instaurazione
di
una
società
retta
dal
rule
of
law.
Altrettanto
correttamente
Lon
L.
Fuller
sostenne
che
il
diritto
emerge
da
un
processo
di
creazio ne
e
scoperta,
e
quindi
si
sviluppa
con
particolare
facilità
«entro
una
società
di
negoziatori
commerciali».
L’attitudine
a
comprendere
e
soddisfare
le
pretese
altrui
è ,
insomma,
un
tratto
caratteristico
del
“mercante”,
ed
è
proprio
la
sua
presenza
radicat a
all’interno
dell a
società
che
può
favorire
il
perfezionamento
degli
ordini
legali .
Anche
alla
luce
di
quanto
premesso,
pare
dunque
imprescindibile,
in
questo
preciso
momento
storico,
il
riferimento
all’irruzione ,
e
al
conseguente
consolidamento ,
del
”fenomeno
Cina”
sulla
scena
economica
internazionale
tutte
le
volte
in
cui
si
parla
di
economia,
di
mercato
e
di
diritto.
Ogni
giorno
i
rapporti
economici
tra
il
nostro
Paese
e
la
Repubblica
Popolare
Cinese
diventano
sempre
più
frequenti
e
complessi ;
quotidian amente
le
aziende
italiane
s ono
spesso
costrette
a
relazionarsi
con
la
realtà
di
questa
titanica
“fabbrica
del
mondo” .
Ebbene ,
da
più
parti,
ci
si
interroga
se
sia
“legittimo”
–
e
in
che
senso
–
ampliare
sempre
più
i
nostri
rapporti
economici
con
un
Paese
pur
sempre
dominato
da
un
regime
ancora
in
gran
parte
illiberale
e
da
( seppur
apparenti)
forti
contraddizioni.
La
Cina
è
sicuramente
un
nuovo
e
potente
competitor
ma
nello
stesso
tempo
un
nuovo
e
immenso
mercato.
In
pochi
decenni
ha
compiuto
i
passi
che
il
“vecchio
continente“
ha
costruito
in
due
secoli.
4
L’apertura
verso
l’esterno,
i
semi
del
capitalismo
e
il
riposizionamento
dell’egemonia
comunista
hanno
rappresentato
passi
obbligatori
per
realizzare
un’economia
socialista
di
mercato.
Senza
ombra
di
dubbi o
la
Repubblica
Popolare
Cinese
ha
allestito
la
macchina
economica
a
più
rapida
crescita
sul
pianeta;
ottenendo,
infatti,
uno
sviluppo
annuo
di
più
del
7
per
cento
del
PIL,
a
partire
dal
1991,
ha
attirato
su
di
sé
l’ attenzione
del
mondo
intero
per
una
inco nfutabile
buona
ragione:
sembra
quasi
che
non
ci
sia
modo
di
fermare
la
corsa
di
questo
gigante
“ drago ”
del
lontano
oriente.
D’altra
parte
la
rapida
ascesa
economica
e
industriale
della
Cina
ha
irrevocabilmente
alterato
il
preesistente
equilibrio
del
comm ercio
internazionale,
degli
investimenti
e
dei
modelli
di
produzione,
sia
a
livello
globale
che
locale;
r agion
per
cui
molte
delle
economie
mondiali
stanno
cercando ,
negli
ultimi
anni ,
di
ritagliarsi
una
posizione
privilegiata
nelle
future
tappe
dell’espon enziale
crescita
di
questo
immenso
Paese.
Gli
obiettivi
politici
della
RPC
sono
chiari:
continuare
sulla
strada
delle
riforme
nata
con
la
“ Politica
della
Porta
Aperta ”
di
Deng
Xiaoping
alla
fine
degli
anni
’70,
al
fine
di
realizzare
il
“socialismo
di
libe ro
mercato”,
così
come
sancito
dall’Assemblea
nazionale
del
popolo
nel
marzo
del
1993.
Un
simile
concetto
trae
forza
dalla
pur
evidente
constatazione
che
alcuni
strumenti
economici,
a
lungo
etichettati
come
capitalisti,
sono
in
realtà
neutrali
e
possono
e ssere
impiegati
per
favorire
la
crescita
economica
del
Paese.
Socialismo
e
libero
mercato
non
sono
in
contraddizione
perché
il
mercato
non
porta
necessariamente
al
capitalismo
e
anche
nelle
economie
capitaliste
vi
sono
forme
di
pianificazione
economica.
Nel
1993
sono
stati
emendati
otto
articoli
della
Costituzione
cinese,
dando
dignità
costituzionale
al l’idea
di
socialismo
di
libero
mercato
e
salvando
il
ruolo
guida
del
Partito,
che
deve
necessariamente
guidare
il
processo
di
riforma.
L’adesione,
poi,
all’O rganizzazione
Mondiale
del
Commercio
(WTO),
nel
dicembre
2001,
ed
il
negoziato
che
l’ha
preceduta
(WPR),
costringendo
il
legislatore
cinese
a d
una
vigorosa
riforma
in
senso
liberale
del
regime
del
commercio
estero,
hanno
impresso
un’ulteriore,
forte
e
deci siva
accelerazione
a
questa
tendenza.
Una
conseguenza
sistemica
dell’adesione
alla
comunità
internazionale,
che
attiene
direttamente
alla
sfera
giuridica,
è
l’introduzione
nel
sistema
cinese
di
alcuni
principi
fondamentali
–
quali,
in
particolare,
l’unifor mità
normativa,
la
trasparenza,
la
parità
di
5
trattamento
e
il
controllo
giurisdizionale
sugli
atti
della
pubblica
amministrazione
–
che,
non
soltanto
sono
estranei
alla
tradizione
giuridica
nazionale
cinese,
ma
in
qualche
caso
potrebbero
confliggere
seriam ente
con
alcuni
degli
elementi
strutturali
del
sistema
politico giuridico
socialista
della
RPC.
Analogamente,
la
storia
del
mercato
azionario
è
una
delle
tante
storie
dell’ex
Celeste
Impero
che
prendono
il
via
dal
processo
di
riforma
e
dagli
sforzi
compiu ti
per
l’apertura
e
la
transizione
all’economia
di
mercato.
A
maggior
ragione
dopo
l’ingresso
della
Cina
ne lla
Wto,
il
mercat o
interno
dei
valori
mobiliari
ha
assunto
sempre
maggiore
rilevanza
e
considerazione,
alla
stregua
di
un
enorme
contenitore
che
at trae
investimenti
da
ogni
parte
del
mondo.
A
questo
straordinario
evento
ha
fatto
seguito,
in
effetti ,
un
periodo
cruciale
per
l’innesco
di
un
complesso
processo
di
riforme
e
il
consolidamento
di
molte
leggi
e
regolamenti
cinesi,
peraltro
tutt’ora
pienamen te
in
atto,
che
in
uno
col
processo
di
apertura
e
l’impressionante
crescita
economica,
hanno
rappresentato ,
e
rappresentano
ad
oggi ,
un’opportunità
senza
precedenti
per
il
mercato
dei
capitali
internazionale.
Orbene ,
a
distanza
di
circa
otto
anni
da
questa
epocale
svolta
la
Borsa
di
Shanghai
inizia
a
influenzare
prepotentemente
i
listini
dell’intero
globo,
pur
ammettendo
l’ancora
indiscussa
leadership
di
Wall
Street.
Il
mondo
vive
una
"sindrome
cinese"
a
causa
della
crisi
finanziaria
che
ha
svelato
la
vulne rabilità
dell'occidente
e,
conseguentemente,
enfatizzato
le
potenzialità
della
Cina.
Negli
ultimi
dieci
anni
altri
mercati
azionari
emergenti
(Brasile,
Messico,
Russia,
la
stessa
India)
hanno
conseguito
risultati
forse
migliori
della
RPC;
m a
l'attesa
che
il
Regno
di
Mezzo
debba
costituire
per
il
ventunesimo
secolo
ciò
che
gli
Stati
Uniti
hanno
rappresentato
per
il
ventesimo
affascina
e
seduce
anche
un
imprecisato
numero
di
risparmiatori
“ fai da te ”:
n on
è
un
caso,
difatti,
che
la
Borsa
più
amata
da gli
inve sti tori
italiani
che
negoziano
Etf
(Exchange traded
fund )
sia
proprio
quella
del
Dragone.
La
Borsa
cinese
(incluse
Shenzhen
e
Hong
Kong)
vale,
secondo
le
rilevazioni
della
Federazione
mondiale
delle
Borse
(Wfe),
qualcosa
come
5.500
miliardi
di
dollari,
più
dei
3.300
miliardi
di
Tokyo
e
poco
meno
della
metà
di
New
York
(12.600
miliardi);
è
già
divenuta,
quindi,
la
seconda
al
mondo
per
capitalizzazione
e
ora
comincia
a
mandare
dei
segnali
forti
e
chiari
sul
suo
peso
nelle
valutazioni
economico finanziarie
deg li
operatori
6
mondiali:
negli
ultimi
due
anni
lo
Shanghai
Composite
Index
ha
anticipato
i
risultati
delle
chiusure
dell'indice
Standard&Poor's
nell'80%
dei
casi
(nei
sei
anni
precedenti
la
correlazione
era
stata
di
un
modesto
45% );
basterebbe
forse
dire
che
Petrochina
è
per
capitalizzazione
di
Borsa
la
società
più
grande
al
mondo
(oltre
2mila
miliardi
di
dollari ;
più
di
Exxon
Mobil).
Visto
da
questa
prospettiva,
il
mercato
azionario
cinese
varrebbe
già
il
14,4%
dei
listini
azionari
mondiali.
Ma
le
cose
stan no
esattamente
così?
Se
si
prende
in
esame
l'indice
Msci
World
All
Country
–
che
considera
il
flottante
(cioè
le
azioni
effettivamente
scambiabili
sul
mercato)
ed
esclude
i
mercati
di
Shanghai
e
Shenzhen,
perché
non
liberamente
accessibili
agli
investitori
istituzionali
–
si
scopre
che
il
peso
dedicato
alla
Cina
è
soltanto
il
2,2
per
cento:
meno
della
Svizzera
(3,3%),
del
Canada
(4,4%)
o
dell'Australia
(3,1%),
tanto
per
fare
qualche
esempio ,
e
niente
di
lontanamente
paragonabile
al
42,2%
di
Wall
Street.
Dif ficile
stabilire
da
che
parte
stia
la
ragione.
Resta
però
il
fatto
che
gli
indici
elaborati
da
Morgan
Stanley
vengono
quotidianamente
utilizzati
dai
gestori
internazionali
per
costruire
i
portafogli:
osservato
da
questo
punto
di
vista,
il
potenziale
della
Borsa
“rossa”
appare
effettivamente
enorme.
Pare
del
tutto
inequivocabile,
quindi,
il
segnale
di
una
maggiore
integrazione ,
congiunta
ad
un
peso
sempre
crescente
del
Paese
nell'economia
internazionale.
Non
lascia
dubbi
neanche
la
diversificazione
del
siste ma
cinese,
intenzionato
a
non
relegare
la
propria
forza
allo
stereotipo
di
una
gigantesca
macchina
di
produzione
per
la
committenza
straniera.
La
crescita
della
Borsa
di
Shanghai
sta
ad
indicare
che
anche
la
finanza
è
considerata
ugualmente
importante
qua nto
l'economia
reale;
pare
insomma
che
persino
il
partito
comunista
più
grande
e
potente
del
mondo
abbia
capito
l’importanza
dei
mercati
finanziari
per
lo
sviluppo
di
un
Paese
;
non
si
può,
cioè,
prescindere
dalla
raccolta
di
credito
garantito
alle
imprese
proveniente
da
un
mercato
mobiliare
solido
ed
efficiente.
Ma
se
il
quadro
è
così
roseo,
che
cosa
sta
causando
la
riluttanza
degli
investitori
istituzionali
del
resto
del
mondo
dal
versare
il
loro
denaro
in
borse
cinesi?
Quali
sono
i
fattori
che
comunque
l imitano
la
crescita
della
Cina
in
questo
ambito?
E
quali
sono
le
soluzioni
a
questi
problemi
per
portare
un
maggiore
beneficio
per
le
persone
in
Cina
e
nel
resto
del
pianeta?
Il
mercato
azionario
cinese
è
attualmente
una
piazza
emergente
con
enormi
potenzi alità,
anche
a
livello
globale,
e
dà
un
valido
contributo
alla
stabile
crescita
economica
dell’intera
7
nazione.
Però,
alla
stregua
di
ogni
altra
piazza
finanziaria
emergente,
capace
di
attirare
flussi
di
capitali
da
tutto
il
mondo,
collocata
al
centro
di
un 'economia
in
forte
crescita,
è
capace,
al
tempo
stesso,
di
innescare
vertiginose
salite
e
precipitose
discese,
con
gli
investitori
che
tendono
a d
ottenere
i
massimi
guadagni
a
breve
e
che,
non
potendo
fare
troppo
affidamento
sui
cosiddetti
“indicatori
ogge ttivi”,
tendono
a
seguire
i
comportamenti
del
“branco”.
A
minare
ulteriormente
la
credibilità
del
sistema
si
annoverano
le
tonnellate
di
pubblicità
negativa
riguardo
a:
insider
trading,
corruzione,
manipolazione
dei
bilanci
societari
e
scarsa
trasparenza
nella
governance
delle
imprese,
su
cui
i
media
hanno
sapientemente
“ricamato”
le
paure
degli
investitori.
Ma
vi
è
di
più:
l'esistenza
di
partecipazioni
non
negoziabili,
infatti,
che
ha
rappresentato
fino
a
poco
tempo
fa
oltre
il
60%
dei
titoli
messi
sul
m ercato ,
è
stato
il
più
grande
ostacolo
allo
sviluppo
dell’azionario
cinese.
In
effetti,
a
causa
della
pressante
immanenza
nell'economia
cinese
della
cultura
comunista,
molte
società
quotate,
erano
una
volta
direttamente
proprietà
del
governo;
in
parte,
lo
stesso
governo
detiene
ancora
oggi
una
quota
di
maggioranza
in
molte
di
queste
aziende.
Non
si
sottace
che,
ad
oggi,
in
molti
investitori
aleggi
il
dubbio
circa
una
possibile
futura
tentazione
per
il
governo
di
fare
un
passo
indietro
e
riprendersi
il
contr ollo
delle
società
dismesse ,
lasciando
potenzialmente
gli
investitori
in
una
situazione
finanziaria
nettamente
svantaggiosa.
Oltretutto,
come
accade
in
molti
altri
paesi
in
via
di
sviluppo,
la
Cina
in
tutti
questi
anni
ha
comunque
attuato
severe
restrizion i
alla
partecipazione
straniera
nel
suo
mercato
dei
capitali,
non
solo
negli
investimenti
di
portafoglio
estero,
ma
anche
in
titoli
connessi
a
società
di
intermediazione
mobiliare
straniere.
Fino
a
poco
tempo
fa,
la
prassi
cinese
di
regolamentazione
dei
m ercati
finanziari
è
stata,
quindi,
molto
restrittiva ,
non
solo
rispetto
ai
paesi
membri
dell'Organizzazione
per
la
cooperazione
e
lo
sviluppo
economico
(OCSE),
che,
se
non
altro,
possono
vantare
competenza
e
consolidata
esperienza
operativa
nel
settore ,
ma
anche
nei
confronti
degli
altri
Paesi
asiatici
limitrofi .
Oggi,
tuttavia,
la
questione
sulle
partecipazioni
straniere
pare
merit evole
di
una
parziale
rivisitazione
poiché
la
Cina
avendo
assunto
oneri
di
notevole
portata
orientati
nel
senso
di
una
maggiore
apertura,
proprio
al
momento
della
sua
adesione
all'Organizzazione
mondiale
del
commercio
(OMC),
abbia
conseguentemente
adottato
alcune
misure
atte
ad
onorare
tali
impegni.
Sforzi
recenti,
infatti,
includono
l'emanazione
di
una
serie
di
nuove
8
regole
che
permettono
alle
imprese
straniere
di
investire
in
quote
di
mercato
interno,
in
passato
riservate
esclusivamente
ai
cittadini
cinesi ,
così
come
la
possibilità
di
acquisire
e
di
fondersi
con
società
quotate
sul
mercato
domestico.
A
onor
del
vero,
i n
una
visi one
più
ampia,
questi
sforzi
sembrano
ispirati
non
solo
dall’esigenza
d i
un
pedissequo
ottemperamento
degli
obblighi
contratti
in
sede
OMC
ma
anche
da
un
sincero
riconoscimento
del
fatto
che
una
più
ampia
partecipazione
straniera
possa
elevare
il
livello
g enerale
delle
competenze
nei
mercati
dei
capitali
della
Cina,
così
come
accelerare
il
processo
di
privatizzazione
delle
aziende
di
Stato
e
la
creazione
di
un'economia
di
mercato
basata
sulle
imprese
private.
Per
altro
verso,
nonostante
le
lodevoli
dichiar azioni
d’intenti,
n elle
limitate
aree
in
cui
la
partecipazione
estera
è
stata
consentita,
le
istituzioni
straniere
sono
tuttora,
di
fatto,
escluse
dallo
sfruttare
appieno
i
loro
diritti
concessi
dalle
stesse
leggi
cinesi
e
dagli
str umenti
giuridici
interna zionali.
Attualmente
le
autorità
sono
coinvolte
in
una
serie
di
azioni
per
correggere
la
situazione.
Il
processo
di
riforme
ha
portato
e
porterà
indubbi
miglioramenti
alla
struttura
esistente,
le
operazioni
di
Borsa
in
Cina
sembrano
uscite
dalla
prima
fas e
pionieristica,
t uttavia
la
strada
da
percorrere
è
ancora
molto
lunga
e
tortuosa.
Evidentemente,
indispensabile
supporto
per
questa
storia
di
continua
crescita
costituirà
nel
prossimo
futuro
l’impegno
politico
dei
vertici
governativi
nazionali
e
la
guida
della
China
Securities
Regulatory
Commission.
Alla
luce
del
contesto
politico,
economico
e
giuridico
pocanzi
sommariamente
prospettato
nasce
un
progetto
di
ricerca
finalizzato
a
carpire
vincoli,
ma
anche
opportunità
per
l’investitore
straniero,
che
derivan o
dall’ordinamento
di
un’economia
che
solo
negli
ultimi
due
decenni
del
’900
si
è
gradualmente
aperta
agli
investimenti
provenienti
dall’estero .
Obiettivo
dichiarato
del
presente
lavoro
è
quello
di
descrivere
e
analizzare
criticamente
i
regolamenti
esisten ti
in
materia
di
partecipazione
straniera
nel
mercato
azionario
cinese.
A
cominciare,
quindi,
dalla
descrizione
dello
sviluppo
dei
mercati
finanziari
in
Cina,
seguita
da
una
dettagliata
introduzione
all ’evoluzione
del
mercato
e
al
suo
regime
normativo,
s i
esplora
conseguentemente
la
prospettiva
di
un’ulteriore
liberalizzazione
e
di
un
generale
auspicabile
miglioramento
del
sistema
cinese
di
regolamentazione.
Si
espongono,
quindi,
i
principali
aspetti
problematici
delle
forme
di
partecipazione
straniera
nel
mercato
dei
capitali
cinese,
corredati
da
un’ampia
analisi
critica
delle
“trappole”
giuridiche
che
9
potrebbero
palesarsi
innanzi
agli
invest itori
esteri,
tra
cui:
la
gravosa
e
ambigua
cultura
di
regolamentazione;
le
frodi
di
mercato
associate
alla
riforma
delle
aziende
di
Stato;
la
mancanza
di
una
effettiva
promozione
di
un
solido
sistema
di
corporate
governance; …
fino
a
giungere
a
dimostrare
la
concreta
sterilità
della
tutela
giurisdizionale
degli
azionisti
di
minoranza.
Si
presentato
infine
alcune
raccom andazioni
per
i
neofiti
operatori
del
mercato
cinese,
nonché
auspicabili
e
urgenti
prospettive
di
riforma
che
potrebbero
fare
della
Cina
e
del
suo
sistema
finanziario
un
imprescindibile
punto
di
riferimento
per
l’economia
globale,
pur
sempre
nel
doveroso
r ispetto
degli
obblighi
assunti
al
tempo
della
tanto
agognata
adesione
alla
World
Trade
Organization .
10
Capitolo
1
IL
CAMMINO
DI
UN
PAESE
EMERGENTE:
LA
CINA
E
IL
RUOLO
DEI
MERCATI
FINANZIARI
1.1 I
mercati
dei
capitali
nello
sviluppo
economico
All’interno
de l
dibattito
teorico
1
(e
delle
molteplici
verifiche
empiriche)
2
sul
tema
dei
legami
funzionali
fra
crescita
dei
sistemi
economici
e
sviluppo
del
settore
finanziario,
pare
prevalere
abbastanza
nitidamente
la
tesi
che
ammette
l’esistenza
di
un
nesso
causale
tra
sviluppo
del
sistema
finanziario
e
crescita
dell’economia
nel
suo
complesso,
o,
quanto
meno,
l’idea
che
riconosce
una
certa
contestualità
dei
due
fenomeni.
In
buona
sostanza,
i l
mercato
finanziario
rappresent erebbe,
ad
oggi ,
un
elemento
indispensabile
p er
la
crescita
e
lo
sviluppo
delle
imprese
e
quindi
dell’intero
sistema
economico
di
un
Paese;
meglio
detto
in
altre
parole:
un
mercato
finanziario
sviluppato
ed
efficiente
aument erebbe
la
disponibilità
di
risorse
per
quelle
imprese
capaci
di
presentare
progetti
d’investimento
e
business
plans
profittevoli.
Più
specificatamente,
la
facilità
di
accesso
al
finanziamento
esterno,
l’efficienza
degli
intermediari
e
dei
mercati
e
la
disponibilità
di
molteplici
strumenti
di
finanziamento
cre erebbero
condizioni
in
grado
di
stimolare
lo
spirito
imprenditoriale
promuovendo
la
crescita
e
lo
sviluppo
economico.
Considerando,
poi,
le
dinamiche
competitive
delle
moderne
economie
di
mercato,
questo
1
Nell’ambito di tale dibattito sono emerse, nel corso del tempo, due posizioni in contrasto. Da un lato
Schumpeter (1912) sottolineava l’importanza dell’intermediazione finanziaria per le decisioni di investimento e,
più tardi, Gurley e Shaw (1955) ribadivano l’importanza della canalizzazione dei flussi finanziari attraverso gli
intermediari finanziari, mentre Goldsmith (1969), McKinnon (1973) ed altri, collegavano il loro ruolo alla
crescita, tesi sostenuta successivamente da molti altri economisti. D’altra parte, studiosi dell’economia dello
sviluppo come Meier e Seers (1984) , nonché Lucas (1988) ritenevano sopravvalutata l’importanza degli aspetti
finanziari per lo sviluppo. Come ricorda Levine (2004,p.1), è rimasta famosa l’affermazione della Robinson
(1952) secondo la quale “ where enterprise leads finance follows”
2
Sul
piano
empirico
sono
state
numerose
le
verifiche
volte
ad
analizzare
l’esistenza
di
un
nesso
ca usale
fra
evoluzione
del
settore
finanziario
e
sviluppo
economico.
Ricordiamo,
ad
esempio,
Atje
e
Jovanovic
(1993),
King
e
Levine
(1993
a
e
b),
Levine
ed
altri
(
2000),
Beck
ed
altri
(2000).
Mentre
tali
verifiche
individuano
generalmente
una
relazione
che
procede
dalla
finanza
alla
crescita
e
non
viceversa,
si
riscontrano
situazioni
diferenti
a
seconda
dei
diversi
paesi
ed
una
importanza
relativa
dei
mercati
o
delle
banche
sempre
in
relazione
al
caso
specifico .
11
profilo
assume
una
valenza
ancora
maggiore;
le
imprese,
infatti,
sono
oggig iorno
spinte
verso
una
crescente
competizione
internazionale
che
determina
a
sua
volta
un
progressivo
aumento
del
fabbisogno
di
risorse
per
finanziare
l’espansione
dimensionale
e
poter
competere
con
successo
sui
mercati
di
tutto
il
mondo.
In
questo
quadro,
ad
esempio,
le
offerte
pubbliche
iniziali
(IPO
‐
Initial
Public
Offering )
assumono
un
ruolo
centrale,
rappresentando
lo
strumento
cardine
attraverso
cui
le
imprese
ricorrono
al
mercato
per
ottenere
capitali
e,
allo
stesso
tempo,
la
principale
forma
di
dis investimento
dei
soggetti
finanziatori
fornitori
dell’ equity
(capitale
sociale)
all’avvio
delle
imprese
(tipicamente
i
venture
capitalist ).
Come
opportunamente
sostenuto
da
Levine
(1997)
3
l’esistenza
dei
sistemi
finanziari
è
giustificata
dalla
necessità
di
attenuare
gli
effetti
negativi
prodotti
da
asimmetrie
informative
e
costi
di
transazione,
facilitando
l’allocazione
delle
risorse.
In
tal
senso
il
grado
di
sviluppo
di
un
sistema
finanziario,
unitamente
ad
altri
fattori
istituzionali,
costituiscono
elementi
fondamentali
per
comprendere
la
propensione
delle
imprese
a
quotarsi
e
le
stesse
performance
delle
imprese
quotate,
in
quanto
rappresentano
variabili
che
condizionano
in
modo
rilevante
il
funzionamento
e
le
possibilità
di
crescita
di
tutto
il
sistema
economico.
In
estrema
sintesi,
quindi,
non
v’è
alcun
dubbio
sull’assunto,
poc’anzi
esposto,
che
un
settore
finanziario
funzionante
sia
condizione
essenziale
per
la
crescita
economica
generale,
per
favorire
il
risparmio,
aiutare
l'allocazione
delle
risorse,
f ornire
protezione
contro
eventuali
rischi
sistemici,
svolgendo
un
significativo
ruolo
di
responsabilità
nel
creare
e
gestire
il
credito.
Anche
i
mercati
finanziari
possono
essere
annoverati,
dunque,
con
giusto
merito,
tra
le
cause
della
crescita
economica
degli
ultimi
due
secoli;
la
stessa
rivoluzione
industriale
non
sarebbe
stata
possibile
senza
lo
sviluppo
simultaneo
di
essi
4
.
Analogamente
la
Banca
Mondiale,
nel
suo
periodico
World
Development
Report ,
confermando
questa
tesi,
3
Levine R. (1997), Financial Development and Economic growth: Views and Agenda,Journal of Economic
Literature, pp. 688-726
4
Hendrik Van Den Berg, Economic Growth And Development 290- 291 (2001) (citando John Hicks, A Theory Of
Economic History (1969)) Dal punto di vista di Hick la rivoluzione industriale è stata caratterizzata da un
determinante uso di macchinari e altri beni strumentali, possibile solo attraverso il sostentamento proveniente da
investimenti di grandi dimensioni. "Tali investimenti, a loro volta, hanno richiesto la mobilitazione di una grande
mole di risparmio, che sarebbe stata impossibile senza la creazione di liquidità garantita dalle attività finanziarie”.