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  INTRODUZIONE
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INTRODUZIONE 
Il tema delle pensioni nel nostro paese è sempre stato un 
argomento delicato, sia perché la situazione normativa si è più 
volte modificata in poco più di un decennio, sia perché le 
conseguenze politico-sociali connesse ai cambiamenti del 
sistema pensionistico - specie dopo la recente riforma Fornero-
Monti - sono sotto gli occhi di tutti e il rischio di valutazioni 
polemiche è quasi inevitabile
1
. Sembra pertanto opportuno dare 
a questo lavoro una impostazione che lo renda meno sensibile 
alle scelte contingenti delle parti sociali - Governo, sindacati, 
Confindustria, pensionati - e che gli conferisca invece una 
natura, per così dire, “storico-metodologica”, senza trascurare 
gli aspetti normativi e fiscali tecnicamente rilevanti al fine di 
valutare i cambiamenti in atto.  
Ben prima del manifestarsi dei sintomi della crisi economico-
finanziaria globale attuale, l’invecchiamento della popolazione e 
la trasformazione dei sistemi economici nazionali hanno posto 
da tempo una sfida ai sistemi pensionistici tradizionali ed hanno 
costretto a rivedere la distribuzione delle risorse tra “attivi” e 
                                                 
1
 L. Pelliccia, Le nuove pensioni, Maggioli, 2011
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“non attivi”, nonché hanno indotto a ridefinire il contratto 
implicito in materia pensionistica tra le generazioni e quindi tra 
queste e i governi. 
In rapporto ai valori europei la spesa sociale nel nostro paese 
appare fortemente sbilanciata a favore delle pensioni e, 
prospetticamente, estremamente facile a raggiungere livelli di 
difficile sostenibilità per lo stretto legame fra sistema 
pensionistico e invecchiamento della popolazione
2
. Se da un lato 
la durata media della vita degli italiani si è allungata, da un altro 
il tasso di natalità si è notevolmente ridotto e - secondo le 
statistiche della Commissione Europea, in Italia il rapporto tra 
coloro che hanno più di 60 anni e la popolazione attiva 
(compresa tra i 20 e i 59 anni) - continuerà ad aumentare dal 
39,5 % del 1995 al 53 % nel 2015, fino a raggiungere il 79,7% nel 
2035
3
. 
Dagli studi in materia si evince chiaramente che il sistema 
previdenziale pubblico italiano, che già oggi evidenzia un 
significativo squilibrio, in futuro sarà messo a dura prova dal 
                                                 
2
 L. Trenti – R. Roncati, Sistema pensionistico e distribuzione tra le famiglie, in “Economia 
& Lavoro”, Marsilio Editori, Padova, n. 1, gennaio – marzo 1999, pag. 24 – 25. 
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 G. De Caprariis, Ridurre il peso della previdenza pubblica, in “Studi e note di Economia”, 
quaderno 6, Banca Toscana, 2001, Pag.74
6 
 
rispetto degli onerosi impegni assunti in passato. Il 
finanziamento dei bisogni dell’età anziana di una generazione, 
effettuato con il trasferimento di risorse da altre generazioni, 
non è più sostenibile e ai bisogni dei padri non potranno più 
provvedere solo i sempre meno numerosi figli. 
Sotto la pressione di queste profonde trasformazioni 
demografiche, accompagnate dal bisogno di risanare il deficit di 
bilancio e dalla necessità di rimodellare la “macchina pensioni”, 
si era già fatto ricorso nei primi anni novanta, con la 
realizzazione di due riforme molto importanti,  nel 1992 la 
cosiddetta Riforma Amato (D.Lgs. 30/12/1992 n.503) e nel 1995 
la cosiddetta Riforma Dini (Legge n.335 del 8/8/1995) che, pur 
con timidezze e lacune, hanno messo in moto un processo 
irreversibile tendente a: 
a) rifondare le basi economico-finanziarie del sistema 
previdenziale; 
b) ripristinare l’uniformità di trattamento tra gli assicurati, 
riducendo il potenziale redistributivo del sistema; 
c) incentivare la previdenza privata mediante opportuni 
trattamenti fiscali ad essa favorevoli.
7 
 
Inoltre, per limitare la spesa pubblica, si era posto un limite agli 
“aggiustamenti” delle pensioni, indicizzandole sulla base dei 
prezzi e non dei salari; le opportunità per accedere alle pensioni 
di anzianità furono ridotte e l’incremento dell’età pensionabile 
accelerato. È possibile caratterizzare la riforma Amato 
(approvata a ridosso della crisi valutaria del 1992) come più 
determinata dalla necessità di correggere gli squilibri finanziari, 
e quindi più drastica nei “tagli”, e la riforma Dini come più 
motivata dall’obiettivo di modificare l’impianto complessivo del 
sistema e pertanto più innovativa nel “disegno” istituzionale
4
. 
Analizzate congiuntamente, le due riforme
4
sono interpretabili 
come un deciso aggiustamento nella direzione di un sistema 
previdenziale finanziariamente più equilibrato, meno distorto 
dal punto di vista redistributivo, e più “impermeabile” a un suo 
utilizzo a fini di consenso elettorale
5
. Il passo successivo, che in 
seguito apparve necessario fare, fu quello di associare allo 
schema pensionistico pubblico una forma di previdenza 
integrativa, privata a capitalizzazione (“fondi pensione”), 
                                                 
4
 Cfr. F. R. Pizzuti, Note sulla riforma del sistema pensionistico, in “Economia & lavoro”, 
n.4. Marisilio Editori, Padova, 1996 
5
 M. Antichi, Riflessioni sulla sostenibilità a regime della riforma del sistema pensionistico 
prevista dal disegni di legge governativo, in “Commissione Tecnica per la spesa pubblica. 
Documenti” n.10 Luglio, 1995, pag. 56-57
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ottenendo un mix che potesse garantire - anzi, nel lungo tempo 
migliorare - il livello del rischio. 
Infatti se analizziamo le differenti voci presenti nel Bilancio dello 
Stato, notiamo che la spesa per le pensioni costituisce la 
categoria più importante nella spesa pubblica al netto degli 
interessi, poiché ne assorbe circa un terzo. Non a caso sono stati 
continui i richiami a livello internazionale che invitavano l’Italia a 
ridurre la pressione fiscale mediante la riduzione delle aliquote 
dei contributi sociali e dei principali tributi erariali, 
implicitamente indicando che tale obiettivo dovrebbe essere 
finanziato con la riduzione della spesa per le pensioni. 
Attualmente le prestazioni pensionistiche sono indicizzate 
parzialmente ai prezzi; la spesa cresce perché cresce il numero 
dei pensionati e perché le nuove pensioni tendono ad essere di 
importo superiore a quelle che cessano. Tendenzialmente, 
quindi, la spesa per le pensioni cresce qualche punto 
percentuale in più dell’inflazione e, in condizioni di sviluppo 
normale dell’economia, un po’ meno del PIL. Se poi alla spesa 
previdenziale si aggiungono anche le altre voci di spesa 
sostenute dallo Stato, si evidenzia uno scenario prospettico sulla
9 
 
finanza pubblica che, senza azioni esplicite di contenimento, 
rende impossibile raggiungere due imprescindibili obiettivi per il 
risanamento dell’economia nazionale: quello della riduzione del 
deficit di bilancio pubblico e quello della riduzione della 
pressione fiscale. Per conseguire entrambi gli obiettivi e, 
soprattutto, per avere riduzioni della pressione fiscale, alla quale 
sia possibile associare effetti di sviluppo della produzione che 
rendano compatibile l’economia italiana con i parametri europei 
- specie nell’attuale situazione di crisi economica generale - 
occorrono interventi significativi sulla spesa pubblica, e la spesa 
per le pensioni è considerata senza dubbio il candidato 
principale per interventi che producano risparmi di spesa 
immediati ma anche nel medio lungo periodo
6
. 
La cosiddetta crisi del sistema pensionistico oltre ad essere uno 
dei principali argomenti del dibattito di politica economica, non 
è, peraltro, una prerogativa esclusivamente italiana. L’aumento 
delle prestazioni ed i problemi per il loro finanziamento sono 
fenomeni diffusi e dibattuti nella generalità degli altri paesi 
industrializzati e, anche se con gravità variabile da paese a 
                                                 
6
 G. De Caprariis, Ridurre il peso della previdenza pubblica,in “Studi e note di Economia”, 
quaderno 6, Banca Toscana, 2001, Pag.74.
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paese, la necessità di riformare in senso restrittivo i sistemi 
pensionistici pubblici è apparsa comune alla maggior parte dei 
paesi a economia avanzata, dove da tempo si riscontra la 
presenza di analoghe circostanze di tipo strutturale, quali 
l’invecchiamento della popolazione e la progressiva 
“maturazione” dei sistemi pensionistici pubblici, che esercitano 
effetti negativi sui bilanci delle gestioni
7
. 
Con questo lavoro si cercherà, innanzitutto, di far chiarezza sulla 
evoluzione strutturale più recente del sistema pensionistico 
italiano e in particolare si prenderà in esame l’incidenza del 
sistema pensionistico sulla spesa pubblica e sul PIL (Prodotto 
Interno Lordo). Infatti, per meglio capire ed evidenziare l’entità 
della spesa pensionistica sull’intera economia del Paese, non ci 
si può limitare alla sola incidenza della spesa pensionistica sulla 
spesa pubblica, ma si rende necessario analizzare anche il 
rapporto spesa pensionistica/PIL, visto che in tutte le analisi 
economiche il PIL viene ancora considerato come l’indicatore 
principale della dimensione del sistema economico di una 
nazione. Si è partiti dall’anno 2000, che è stato assunto come 
                                                 
7
 Cfr. R. Holzmann, Pension policies in Oecd Countries: background, trend and 
implications, in “Journal of public policies”, vol. 9, n.4,1989
11 
 
anno-analisi per quanto riguarda le diverse voci che 
compongono la spesa pensionistica, e si è esaminata 
l’evoluzione della spesa nei cinque anni successivi alla riforma 
Dini (1995).  Più dettagliatamente, il capitolo primo contiene 
una analisi della struttura di partenza del sistema pensionistico, 
e indica le cause che hanno messo in crisi il sistema 
pensionistico pubblico e hanno reso necessaria la svolta operata 
dalla riforma Dini. Nel secondo capitolo si illustreranno le linee 
principali delle riforme Amato e Dini e i cambiamenti significativi 
che esse hanno apportato al sistema; si passeranno poi in 
rassegna gli altri interventi legislativi in materia, che hanno 
continuato a perseguire gli stessi obiettivi delle prime due 
riforme, approfondendone l’impianto innovativo (riforme Prodi, 
Maroni, Prodi-Damiano, Sacconi-Brunetta, Tremonti), fino a 
giungere alla più recente riforma Fornero-Monti, che - sotto la 
pressione di una congiuntura economico-finanziaria 
straordinariamente difficile e con un consenso politico-sociale 
altrettanto straordinario - ha operato dei cambiamenti 
strutturali avvertiti di fortissimo impatto sociale. Nel capitolo 
terzo si esamineranno gli elementi che concorrono a definire il
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“sistema pensionistico” come tale con particolare riguardo allo 
sviluppo della “previdenza complementare” e del sistema 
pensionistico “misto”, nonché i dati iniziali sulla struttura della 
spesa per le pensioni e le caratteristiche dei beneficiari delle 
prestazioni. Nel quarto capitolo, infine, si eseguirà l’analisi del 
regime di tassazione dei redditi da pensione, classificandoli in 
relazione ai fini fiscali. L’analisi si soffermerà poi sui modelli di 
trattamento fiscale dei fondi pensione, che - attraverso 
l’incentivazione fiscale -  costituiscono il nodo strategico della 
soluzione al problema della crescente spesa previdenziale. Lo 
studio proseguirà con l’analisi del profili fiscali dei fondi di 
investimento, dei trust e del TFR. Lo studio delle particolari 
differenze tra il regime fiscale delle prestazioni in forma di 
rendita e quello delle prestazioni in forma di capitale, nonché 
l’analisi delle principali problematiche degli aspetti 
internazionali della fiscalità previdenziale completeranno 
l’esame del regime fiscale italiano in materia pensionistica.