IV
Nel secondo capitolo si è proceduto ad illustrare, quindi, il regime fiscale
della scissione, individuando le ragioni per le quali tale operazione venga considerata
neutrale ai fini delle imposte sui redditi, in applicazione del principio di
conservazione dei valori fiscalmente riconosciuti e della loro continuità nel tempo.
Oltre ad analizzare il trattamento fiscale delle differenze di scissione, sono
stati approfonditi ulteriori aspetti di carattere fiscale aventi ad oggetto, da un lato, la
disciplina prevista per i fondi in sospensione d’imposta e delle possibili alternative
offerte dal legislatore al fine di scongiurare l’immediata tassazione di tali fondi in
capo alla società beneficiaria, dall’altro, l’individuazione dei limiti, contenuti nella
normativa fiscale, in merito alla possibilità da parte della società beneficiaria di
riportare le perdite pregresse sostenute dalla società scissa nel periodo anteriore
all’operazione di scissione.
Infatti, in applicazione del principio civilistico secondo cui le società
risultanti dall’operazioni in oggetto subentrano in tutti gli obblighi e diritti della
società scissa, si verifica l’esigenza di trasferire, anche ai fini fiscali, le posizioni
soggettive di queste società consentendo loro sia di ricostituire eventuali fondi in
sospensione, sia di poter compensare le perdite subite prima dell’operazione con gli
eventuali redditi prodotti dal nuovo organismo produttivo.
In entrambi i casi la normativa fiscale si preoccuperà di stabilire limiti e
condizioni all’esercizio di codesti diritti al fine di evitare la diffusione di
comportamenti elusivi da parte dei contribuenti.
Nella trattazione del regime fiscale, si è dato nota anche delle novità
introdotte dalla Legge finanziaria 20081, tra le quali vi è la reintroduzione,
nell’ordinamento tributario, di un regime di imposizione sostitutiva finalizzato a
consentire il riconoscimento fiscale dei maggiori valori iscritti in bilancio in
occasione delle operazioni di conferimento, fusione e scissione.
Tuttavia, la scelta del regime di imposizione sostitutiva, come chiarito dalla
Relazione tecnica al disegno di legge, “è finalizzata ad ottenere il riconoscimento dei
maggiori valori dei cespiti iscritti in bilancio e non a tramutare la natura
dell’operazione da neutrale in realizzativa”.
1
Articolo 1, comma 46, Legge 27 dicembre 2007, n. 244 (c.d. Legge finanziaria 2008).
V
Nel terzo capitolo è stata posta particolare attenzione alla vigente normativa
antielusiva, di cui all’art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973, introdotta con il D.Lgs.
358/97, con la quale si è provveduto, a sostituire il previgente art. 10 della L. 408/90,
dimostratosi al riguardo assai carente nel contrastare i sempre più diffusi
comportamenti elusivi derivati da un distorto utilizzo delle operazioni straordinarie.
L’elusione tributaria, in generale, è un tema ampiamente dibattuto e molto
complesso, che provoca un notevole scompenso per le esigenze di gettito dello Stato
e, di conseguenza, per la collettività intera. Nonostante le norme su citate, però,
rimane ancora difficoltoso definire una normativa che possa contrastare
completamente tale fenomeno.
La dottrina economica2 sosteneva che l’elusione non è un “artificio ai limiti
della legalità”, ma un atteggiamento, un comportamento naturale dell’uomo, inteso
come soggetto economico propenso ad assumere i comportamenti che implicano il
“minor sacrificio”, per raggiungere il risultato perseguito e, in quanto tale, privo di
connotazioni negative.
Dal punto di vista giuridico, tuttavia, il fenomeno elusivo può portare a
conseguenze negative, dovute al suo “prendersi gioco” dei principi dell’ordinamento
tributario, creando disarmonie e distorsioni sul piano economico e sociale.
Oltre ad una diminuzione di gettito per l’Erario, l’elusione comporta
numerosi problemi di tipo sociale, data la violazione del principio costituzionale di
“capacità contributiva” contenuto nell’art. 53 della Costituzione: in presenza di un
medesimo risultato economico-patrimoniale, infatti, un soggetto si sottrae ai “giusti”
tributi, che altri, invece, pagano.
Il comportamento fiscalmente elusivo si misura nelle incrinature che
inevitabilmente offre un ordinamento giuridico, attraverso l’occupazione delle “zone
d’ombra” che separano le concettualmente meno sfuggenti aree dell’evasione e della
lecita pianificazione fiscale3.
La fantasia del contribuente, allo scopo di ottenere un risparmio d’imposta,
anche indebito, può spaziare in maniera esponenziale, costringendo il legislatore ad
“inseguire”, nel vero e proprio senso del termine, i comportamenti elusivi, attraverso
2
In particolare Adam Smith (LUNELLI, L’elusione tributaria, allegato n. 25 a “il fisco” n. 38/2003,
pag. 15357).
3
CHINELLATO, Codificazione tributaria e abuso del diritto, Padova, 2007, 164.
VI
la continua produzione di norme, generali o ad hoc, che vadano a contrastare i
diversi fenomeni ed il continuo riaggiornamento della nostra normativa antielusiva
“generale”.
L’elusione è un fenomeno di difficile repressione e le difficoltà nel debellarla
risiedono nella stessa natura del comportamento elusivo, che viene pensato, studiato
ed applicato per non incorrere nella violazione delle norme, come invece accade
nella fattispecie evasiva, ma nel loro aggiramento.
L’aggiramento comporta il pieno rispetto delle norme per quanto riguarda la
forma ed una loro lesione, invece, riguardo all’aspetto della sostanza.
La mancata violazione diretta delle norme e la messa in atto di un
comportamento del tutto lecito, non dovrebbero comportare, nei confronti dei
comportamenti elusivi, la previsione di sanzioni (almeno di tipo penale).
La nostra clausola antielusiva, l’art. 37-bis D.P.R. n. 600/1973 elenca, al terzo
comma, tutte le fattispecie considerate potenzialmente elusive. Per questo, essa viene
identificata come un principio antielusivo “a fattispecie predeterminate” (e non
come un principio antielusivo “generale”). Ciò, però, ha costituito, spesso, un limite
alla repressione dei fenomeni elusivi non codificati.
Alcune pratiche elusive, infatti, sono state perpetrate liberamente per anni,
data la loro mancata inclusione tra le operazioni potenzialmente elusive ricomprese
al comma 3, con un importante danno per le casse dello Stato4.
L’emanazione di tre sentenze della Corte di Cassazione che si riproponevano
di debellare i fenomeni in questione attraverso il ricorso ad istituti civilistici presenti
nel nostro ordinamento, quali la nullità del contratto per mancanza di causa (art. 1418
cod. civ.) e per contratto in frode alla legge (art. 1344 cod. civ.), hanno generato un
acceso dibattito fra dottrina e giurisprudenza.
Le varie scuole di pensiero si sono confrontate sulla possibilità di applicare al
diritto tributario gli istituti della nullità civilistica e di poter perciò estrapolare un
principio di portata generale dagli strumenti presenti nel nostro ordinamento.
Una simile previsione è stata, come vedremo, ampiamente confutata,
attraverso la dimostrazione delle incoerenze che lo strumento della nullità del
contratto possiede nei confronti del fenomeno elusivo, nonché della necessita di
4
Un esempio rilevante in questo senso ha riguardato i casi di dividend washing e dividend stripping,
molto diffusi all’inizio degli anni ’80 del secolo scorso.
VII
mantenere e non annullare gli effetti dell’operazione, in modo tale da garantire il
recupero dell’imposta elusa.
I tentativi di ricavare un principio antielusivo di portata generale, applicabile
in caso di necessità, qualora dovessero sorgere nuove fattispecie non “coperte”
dall’art. 37-bis, dimostrano che l’esigenza di contrastare tutte le fattispecie, anche
quelle nuove o non ancora sorte non si è ancora placata.
Basti pensare ad una recente sentenza5 con cui la Corte di Cassazione ha
espressamente riconosciuto l’esistenza nell’ordinamento interno di una norma
generale antielusiva, derivata dalla giurisprudenza comunitaria, che prescinde
dall’art. 37-bis6.
Anche questo intento è stato fonte di critiche.
D’altro canto una norma antielusiva a valenza generale è stata volutamente
evitata dal nostro legislatore, per il timore che un principio di tale portata potesse
essere fonte di applicazioni distorte, o di abusi da parte degli organi del nostro
sistema amministrativo finanziario, considerato non ancora maturo per una simile
responsabilità.
Il problema risiede perciò nel trovare un modo per conciliare la tipizzazione
delle fattispecie elusive - per cui ha optato il nostro legislatore - con l’esigenza di
contrastare i comportamenti elusivi messi in atto attraverso operazioni escluse dalle
fattispecie predeterminate, senza dover necessariamente introdurre una vera e propria
clausola generale antielusiva nell’ordinamento italiano.
La giurisprudenza comunitaria ha tentato di fornire una possibile risposta al
problema. Numerose sono state, infatti, le sentenze con le quali la Corte di Giustizia
Europea si è pronunciata in materia di abuso del diritto.
Con la sentenza Halifax7, in particolare, la Corte Europea ha definito per la
prima volta l’elusione, come espressione dell’abuso del diritto.
Dalla causa C-255/02 Halifax è emersa la correlazione con l’orientamento
della Corte di Cassazione italiana, secondo la quale, le operazioni attuate senza
perseguire uno scopo economico, devono essere considerate un abuso del diritto.
5
Vd. Corte di Cassazione, 29 settembre 2006, n. 21221.
6
Si segnala anche la sentenza della Commissione Regionale della Lombardia del 4 febbraio 2008, in
cui i giudici hanno riconosciuto all’art. 37-bis il carattere di clausola antielusiva con valenza generale
e la non esaustività, né tassatività delle operazioni elencate nel terzo comma.
7
Corte di Giustizia UE, sentenza 21 febbraio 2006, causa C-255/02.
VIII
Tuttavia, in dottrina, i dubbi rimangono per quanto concerne l’estensione del
campo di applicazione di tale concetto alle imposte sui redditi.
Infine, si è voluto concludere il presente lavoro, fornendo una panoramica dei
pareri del Comitato consultivo per l’applicazione delle norme antielusive (e delle
risoluzioni dell’Amministrazione finanziaria) relativi alle operazioni di scissione.
Nell’esprimersi sull’elusività di tali operazioni, il Comitato consultivo ha
fatto, implicitamente, emergere, negli anni, aspetti positivi ed elementi critici
caratterizzanti le scissioni, le quali sono state valutate positivamente oppure
qualificate come elusive, a seconda della presenza degli uni o degli altri.
Sebbene ciò possa sembrare d’aiuto nel porre in essere una scissione priva di
effetti elusivi, dall’analisi dei pareri del Comitato consultivo, si è riscontrata la
tendenza da parte del Comitato stesso a fornire soluzioni, spesso, equivoche e
contrastanti, al punto da limitare (se non escludere) la validità dell’istituto
dell’interpello agli occhi dei contribuenti, i quali potrebbero preferire l’effettuazione
dell’operazione di scissione, senza richiedere il parere preventivo del Comitato
consultivo, anche se questo iter potrebbe portar con sé il rischio di una contestazione
successiva.
1
Capitolo 1.
GLI ASPETTI CIVILISTICI DELLA SCISSIONE
1.1. La scissione: un istituto di recente introduzione.
L’istituto della scissione è stato introdotto nell’ordinamento civilistico
italiano con il D.Lgs. 16 gennaio 1991, n. 22, in attuazione della VI Direttiva della
Comunità Economica Europea in materia societaria. Prima di tale momento
l’operazione di scissione era un istituto non contemplato dal nostro ordinamento
giuridico.
La Riforma del diritto societario, attuata con D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, è
intervenuta sull’istituto della scissione apportando modifiche alla normativa
civilistica, collocata, inizialmente, nel Codice Civile, alla Sezione III, del Capo VIII,
del Titolo V, del Libro V, articoli da 2504-septies a 2504-decies.
Attualmente le disposizioni attinenti all’operazione di scissione sono
collocate negli articoli 2506 - 2506-quater del Codice Civile, i quali per quanto
attiene sia all’iter, sia alle forme di pubblicità dell’operazione, rinviano
prevalentemente a quanto disposto in materia di fusione. Ciò si giustifica per il fatto
che le due operazioni straordinarie (scissione e fusione) hanno effetti tra loro opposti,
ma, allo stesso tempo, speculari, nel senso che, mentre nella fusione diversi
patrimoni societari e diverse compagini societarie confluiscono in un organismo
unico, nella scissione, un unico organismo (patrimonio) viene suddiviso in diversi
organismi indipendenti con autonomo patrimonio ed autonoma compagine
societaria1. Inoltre, la scissione, a differenza della fusione, può attuarsi lasciando in
vita la società scissa (nel caso dell’operazione di scissione parziale), anche se con un
patrimonio decurtato.
1
Sull’importanza della distinzione tra scissione e fusione la dottrina si era espressa, ancor prima che
la scissione fosse introdotta nel nostro ordinamento o fosse regolata da norme tributarie. Tra gli altri:
D’ALESSANDRO, La scissione delle società, in Rivista del notariato, 1990, pag. 873 e ss.; LUPI,
Scissione di società, idee per una regolamentazione fiscale, in Boll. Trib. n. 22/1991.
2
La scissione è un’operazione straordinaria, con la quale si suddivide tutto o
parte del patrimonio di una società (scissa o scindenda), attribuendolo a una o più
società, preesistenti o di nuova costituzione (società beneficiarie o scissionarie).
Tuttavia, diversamente da una “cessione d’azienda” o di un “ramo” della
stessa, con la scissione, le azioni delle società beneficiarie sono attribuite
direttamente ai soci della società scissa, che continuano il rapporto sociale in società
diverse.
A differenza dell’operazione di conferimento, la scissione permette la
formazione di nuovi assetti e strutture societarie, senza necessariamente creare un
gruppo2. Anzi, con l’operazione di scissione, si tende a suddividere una certa realtà
aziendale fra i soci della stessa.
In sede di riorganizzazione d’impresa, tale operazione straordinaria può
costituire la premessa per:
• un’operazione di concentrazione: per esempio, la cessione di un
determinato ramo aziendale ad una società beneficiaria operante nel
medesimo settore;
• un’operazione di decentramento: per sfruttare vantaggi a livello
organizzativo, dovuti alle dimensioni ridotte dell’impresa, o per
ottenere agevolazioni statali previste per le società costituitesi in
determinate zone o, ancora, per ridurre le dimensioni di certi rami
aziendali improduttivi;
• la creazione di nuovi equilibri e responsabilità all’interno di un
gruppo familiare proprietario di un’impresa.
1.2. Le diverse forme di scissione.
Come per la fusione, la legge non offre una definizione vera e propria di
“scissione”, ma si limita a definirne l’oggetto, all’art. 2506, comma 1, del Codice
Civile: “con la scissione una società assegna l’intero suo patrimonio a più società,
2
Comunque, può venirsi a formare un soggetto economico costituito da una holding che detiene i
pacchetti azionari delle società scisse, conferiti dai soci stessi.
3
preesistenti o di nuova costituzione, o parte del suo patrimonio, in tal caso anche ad
una sola società, e le relative azioni o quote ai suoi soci”.
Il Codice Civile definisce la scissione attraverso l’elencazione delle forme
che tale operazione straordinaria può assumere, lasciando alla dottrina il compito di
delineare la natura giuridica di tale istituto.
In particolare, l’art. 2506 del Codice Civile, rubricato, per l’appunto, “Forme
di scissione”, definisce le forme della scissione distinguendo tra:
• scissione totale (o c.d. split up);
• scissione parziale (o c. d. spin off).
Con la scissione totale (split up), la società scissa cessa di esistere ed i soci
ricevono in cambio delle azioni o quote della società scissa, una quantità
proporzionale (o non) di azioni o quote delle società che hanno beneficiato della
scissione.
Peraltro, perché si abbia scissione totale, le società beneficiarie devono essere
più di una. In caso contrario, e cioè se la beneficiaria fosse una sola società già
esistente, si rientrerebbe nell’ipotesi di una fusione per incorporazione. Invece, se la
beneficiaria fosse una sola società e di nuova costituzione, si dovrebbe parlare di
trasformazione della società scissa e non di scissione.
Con la scissione parziale (spin off), la società che effettua l’operazione
continua ad esistere, seppur con un patrimonio ridotto, in seguito all’assegnazione
effettuata. Ai soci della società scissa vengono assegnate azioni o quote della o delle
società beneficiarie, in proporzione (o non) alla partecipazione già posseduta.
A differenza della scissione totale, la scissione parziale può essere attuata
anche con una sola beneficiaria, che può essere sia preesistente sia di nuova
costituzione.
In entrambi i casi, secondo la VI Direttiva europea (1982), l’operazione può
consistere in:
• scissione mediante incorporazione: il patrimonio viene assegnato a
beneficiarie già esistenti al momento della scissione, le quali
sottoscrivono un aumento di capitale per accogliere il patrimonio
netto trasferito dalla scissa; ovvero
4
• scissione con costituzione di nuove società: le società beneficiarie
vengono appositamente costituite per ricevere le assegnazioni relative
all’operazione di scissione (non esistendo in precedenza).
Sotto il profilo soggettivo3, invece, l’art. 2506 del Codice Civile distingue la
scissione in :
• scissione proporzionale;
• scissione non proporzionale.
La scissione è definita proporzionale quando, a tutti i soci della società
scissa, vengono attribuite azioni o quote della o delle beneficiarie nelle stesse
proporzioni rispetto alla loro partecipazione originaria.
La scissione è definita non proporzionale quando solo alcuni dei soci della
società scissa diventano soci di alcune beneficiarie (è richiesto il consenso unanime
dei soci) o quando la loro partecipazione al patrimonio delle beneficiarie risulta non
proporzionale a quella originariamente detenuta nella società scissa. Quindi, ad
esempio, ad uno stesso socio della scissa vengono assegnate partecipazioni in una
società beneficiaria con una percentuale più alta ed in un’altra con percentuale più
bassa.
Nel nostro ordinamento, la scissione può riguardare qualsiasi tipologia di
società4. Infatti, il Legislatore italiano ha ampliato l’ambito di applicazione che la VI
Direttiva aveva limitato alle sole società per azioni. Tuttavia, si deve rilevare la
mancanza di una procedura semplificata dell’iter, per le società di piccole dimensioni
e per le società di persone5.
3
Sotto altro profilo si possono distinguere:
• scissioni omogenee: avvengono tra società di persone o tra società di capitali;
• scissioni eterogenee: avvengono tra società di persone e società di capitali;
• scissioni progressive: prevedono il passaggio da società di persone a società di capitali;
• scissioni regressive: (caso contrario al precedente) prevedono il passaggio da società di
capitali a società di persone.
4
Le disposizioni introdotte con il D.Lgs. 16 gennaio 1991, n. 22 e confermate dal D.Lgs. n. 6/2003
permettono l’effettuazione della scissione da parte di tutti i tipi di società lucrative e cooperative.
5
La differenza per le società di persone, consiste solo nel regime di pubblicità delle delibere
assembleari e dell’atto di scissione.