1.2
Sull’Archeologia Industriale
definizioni e contenuti dagli anni ’50 agli anni ’70
In questo capitolo si compie un breve excursus delle principali definizioni
formulate sull’archeologia industriale evidenziando parole chiave che
rappresentano la metodologia di base di questa disciplina.
In sintesi la metodologia consiste nella catalogazione e conservazione degli
edifici industriali.
A questa metodologia alla fine degli anni Settanta, Borsi mosse delle critiche
importanti, in base all’assunto che l’azione di conservazione dovesse essere
ampliata includendo la pianificazione urbanistica e il riutilizzo sociale.
L’archeologia industriale si sviluppò rapidamente durante gli anni ’50 e ’60
in seguito alla crescente consapevolezza che edifici industriali, macchine e
interi paesaggi andavano scomparendo.
Furono in molti a notare questo veloce ritmo di cambiamento, a rendersi
conto che il rinnovamento industriale ed urbano che stava procedendo
nell’Inghilterra post-bellica distruggeva significativi resti del periodo della
Rivoluzione Industriale.
1
La definizione d’archeologia industriale entrò in circolazione a partire dagli
anni Cinquanta in Inghilterra.
1
Cossons N., La conservazione del nostro passato industriale, in A.A.V.V., Archeologia
industriale, atti del convegno internazionale di Milano 24-26-6-1977, Clup, Milano, 1978, p.
30.
La formulazione fu data a Manchester da Michael Rix che pubblicò un
articolo in “The Amateur Historian” nel 1955 sulla necessità di preservare i resti
dell’industrializzazione prima della loro completa scomparsa.
Agli esordi della disciplina i personaggi più in rilievo furono Donald Dudley,
Kenneth Hudson, e Michael Rix..
Nel 1963 R.R. Green sulla rivista “The Industrial Archaelogy Country Down”
scrisse sulle competenze dell’archeologo industriale: “in breve l’archeologo
industriale si deve occupare della catalogazione e dello studio dei resti del
primo industrialesimo specie quelli dei secoli diciottesimo e diciannovesimo,
che non sono stati ancora oggetto di studio. Il metodo dello studio
dell’oggetto e della catalogazione e perfino dello scavo nel luogo
opportunatamente scelto fa rientrare la materia nella disciplina
dell’archeologia industriale come una sua branca, anche se i risultati
ottenuti sembrano interessare maggiormente gli storici della tecnologia e
dell’economia”
2
.
Nel 1967 nella stessa rivista Michael Rix pubblicò: “l’archeologia industriale
può essere definita come catalogazione in determinati casi conservazione
ed interpretazione dei luoghi e delle strutture della prima attività industriale
specialmente dei monumenti della Rivoluzione Industriale”
3
.
E’ evidente che per gli inglesi questa catalogazione ha un enorme portata,
dato che serve a documentare un periodo storico fatto di grandi e rapide
innovazioni tecnologiche, in un ambito in cui può vantare un primato
assoluto.
A rafforzare questa idea, gli edifici industriali vennero definiti monumenti
industriali.
Nel 1972, R. A. Buchanan, nella stessa rivista definì il concetto di monumento
industriale:”la definizione di monumento industriale può essere interpretata
molto ampiamente fino ad includere tutti i resti del processo industriale e
dell’industrializzazione: ad esempio case, luoghi di ritrovo, chiese per la
classe operaia. L’archeologia industriale è un campo di studi che s’interessa
2
Negri A., Negri M., L’archeologia industriale, Casa Editrice D’Anna, Messina, 1978, p. 8.
3
Ibidem, p. 9.
dell’investigazione, dell’esame della catalogazione, e in alcuni casi, della
conservazione dei monumenti industriali inoltre essa tende a collocare
l’importanza di questi monumenti nel contesto della società e della
tecnologia”
4
.
5
Da questa definizione di Buchnam, deduco un tentativo di ampliare il raggio
di azione della catalogazione: includere il monumento industriale ma
anche il suo contesto.
Nel 1973 Arthur Raistrick sempre nella stessa rivista scrisse : “la disciplina
dovrebbe rivestire il ruolo di strumento di indagine delle testimonianze di
tutta l’attività produttiva umana indipendentemente dalla fase storica”
6
.
Ritengo che le definizioni di Buchanan e Raistrick siano rilevanti in quanto il
primo estende i confini della catalogazione al contesto e il secondo estende
i confini dell’arco temporale nel quale includere i resti dell’industrializzazione.
Ovvero, mettiamo che stiamo catalogando un tipico lanificio del primo
Ottocento, questo perderebbe significato se non fosse posto in relazione al
fiume, alla vita sociale ed abitativa del luogo, alla storia politica ed
economica.
Il monumento industriale è un segno sul territorio e nella sua configurazione
esprime l’ingresso sconvolgente dell’industrialesimo nel rapporto tra gli
uomini e tra gli uomini e le cose. L’archeologia industriale è uno strumento
di ricerca tramite il quale, osservando i fatti concreti, si possono avere
maggiori informazioni sullo sviluppo industriale.
4
Ibidem, p. 10.
5
Mi è sembrato interessante dopo aver letto le definizioni riportate sull’archeologia
industriale chiedersi perché il manufatto edilizio dismesso venga definito monumento
industriale. Mi è parso innovativo nominare monumento industriale un oggetto la cui
importanza non deriva dall’autore ma dalla testimonianza di una memoria storica.Il
monumento industriale è un manufatto edilizio nel senso materiale ma è al contempo un
fatto sovrastrutturale perché è stato un componente reale attivo della struttura economica
del luogo e prodotto di un’ideologia.Soffermarsi sul monumento significa anche vederlo non
solo come oggetto ma anche come struttura storica, cioè come un insieme di “opere
d’arte” nel senso ingegneristico.Ad esempio una ferrovia non offre soltanto un ponte o una
stazione significativa, ma è una struttura storicamente motivata dalla necessità di un
collegamento e porta ad una modificazione sistematica del paesaggio, caratterizzato da
una determinata tecnica della costruzione.In sintesi possiamo usare il monumento
industriale come testimonianza di un segno sul territorio. Così trovo giustificato definire questi
manufatti edilizi dei monumenti industriali, nel rispetto della storia tecnologica, sociale,
culturale prodotta dall’uomo.
6
Ibidem, p.12.
L’interesse che crebbe intorno a questa disciplina fu tale che iniziarono a
formarsi associazioni con lo scopo di “promuovere lo studio e incoraggiare
l’adozione di sistemi per la documentazione, la ricerca, e la conservazione”
7
degli edifici industriali.
L’Italia si mosse verso questa disciplina a partire dai primi anni Settanta.
Alcune critiche alla metodologia anglosassone vennero mosse da studiosi
come Borsi
8
il quale sosteneva che l’operazione di analisi non poteva
rimanere circoscritto al singolo monumento industriale ma doveva
connettersi alla pianificazione urbanistica e al riutilizzo sociale, cioè,
secondo Borsi, possiamo pure accettare il termine di monumento industriale,
la sua salvaguardia, la sua presenza come testimonianza di una storia
passata, ma non possiamo pensare che questo non sia inglobato in una
realtà più complessa. Un monumento industriale è un contenitore, ma a sua
volta è contenuto in un ambito urbanistico territoriale.
Come si è visto l’archeologia industriale prevede fondamentalmente una
catalogazione e conservazione del sito industriale; ma la mancanza di fondi
rende spesso inattuabili molte proposte di recupero. Viceversa, se come
Borsi fece notare, la proposta di conservazione è inglobata in un piano
urbanistico di riuso le possibilità di riuscita del recupero aumenta in quanto
l’area viene rivitalizzata e reinserita come parte integrante della realtà e non
come fatto isolato.
7
Hudson K., Archeologia industriale, Una nuova scienza riscopre le origini della civiltà delle
macchine, Newton Compton Editori, Roma, 1979, p.135.
8
Negri A., Negri M., L’archeologia industriale, Casa Editrice D’Anna, Messina, 1978, p. 121.
1. 2. 1
T e r m i n i e i m p l i c a z i o n i
Nel reperire la bibliografia su questa disciplina, mi sono chiesta come termini
“archeologia” e “industriale”, almeno apparentemente antitetici, possano
coesistere, se con archeologia s’intende una scienza dell’antico e con
industriale ci riferiamo ad un aspetto economico produttivo e tecnologico
con finalità esclusivamente funzionali. Questa problematica era già stata
sollevata da Borsi nel ’78. Egli partendo dalla riflessione sui due termini,
spostò il problema dall’intervento puntuale di conservazione ad un discorso
più ampio: “il problema di riutilizzo o riciclaggio inseriscono i temi
dell’archeologia industriale nel vivo della pianificazione urbanistica”
1
.
Archeologia ha nel tempo rafforzato la sua importanza in quanto storia e
non scienza ausiliaria della storia.
E’ una particolare procedura per svolgere un’indagine storica come diceva
Bianchi Bandinelli ma il fine è il medesimo ovvero storia si, di grandi uomini,
di guerre, ma anche di popoli.
Le fonti dell’archeologia non sono scritte ma sono costituite dai materiali
che una civiltà ha prodotto, lasciato e accumulato e il suo obbiettivo è il
recupero e la conservazione di tutti quegli aspetti della vita e della civiltà
umana nel suo trasformarsi.
1
Borsi F., Introduzione all’archeologia industriale, Officina Edizioni, Roma, 1978, p. 9.
Il primato in ordine di tempo della rivoluzione industriale e la vastità dei siti
industriali dismessi legittima l’Inghilterra come la patria dell’archeologia
industriale.
Segue con i suoi impianti minerari, la Ruhr, paesaggio industriale per
antonomasia. Gli impianti minerari si spostavano in relazione sia allo
sfruttamento in profondità della vena carbonifera sia allo sviluppo di
tecniche che rendevano competitiva economicamente l’estrazione a
grande profondità. E’ noto infatti che le miniere erano nell’età paleotecnica
a cielo aperto. Tutte le aree concentrate sull’estrazione del carbone si
presentano caratterizzate non soltanto da una serie di impianti
abbandonati, ma anche da una modificazione organica del paesaggio, in
relazione all’accumulazione delle scorie e alla formazione di laghi artificiali
nelle zone di scavo.
A questi aspetti si deve aggiungere il sistema dei trasporti per via fluviale,
con le relative chiuse, le reti di canali, gli ascensori idraulici, ecc. che hanno
subito nel tempo una serie di modifiche in relazione allo sviluppo tecnico, un
elemento comune a tutta l’area carbonifera era quindi dato da questa
mobilità degli impianti e dalla sostituzione con altri di diversa scala.
La situazione in Italia è diversa, forse per certi aspetti più complessa, manca
sicuramente una scala territoriale, un’omogeneità storica, ed è quindi
necessario tenere presente le varie realtà di ogni paesaggio, specie nel
periodo pre-unitario,.
L’archeologia industriale non si può limitare alla ricerca ed all’individuazione
dei temi, alla loro catalogazione ed eventuale conservazione.
Il problema del restauro e della conservazione a secondo del soggetto sia
esso architettonico o paesistico dovrebbe coinvolgere all’interno della
propria disciplina delle metodologie interdisciplinari.
Il problema di riutilizzo o riciclaggio inseriscono così i temi dell’archeologia
industriale nel vivo della pianificazione urbanistica, così da ampliare
l’indagine dell’insediamento produttivo al suo contenitore alla sua “struttura
storica del territorio”.
2
2
Ibidem, 43.
1. 2 .2
Il dibattito negli anni ’70 e negli anni ‘80
Vengono qui di seguito riportati alcuni convegni ritenuti significativi
sull’archeologia industriale come momento di confronto fra studiosi a livello
nazionale e internazionale.
Quello che si ritiene il primo congresso internazionale sulla conservazione
dei monumenti industriali avvenne a IronBridge in Gran Bretagna del 1973;
quindici paesi parteciparono ai lavori.
Fino ad allora né in Europa né in altri parti del mondo era stata mai presa in
considerazione l’idea di rivolgere l’attenzione ai luoghi ed agli strumenti del
processo di industrializzazione.
Gli sporadici tentativi di preservare vecchie fabbriche, infrastrutture ed
abitazioni operaie, non avevano riscosso alcun consenso da parte degli
ambienti ufficiali.
Alla seconda conferenza internazionale per la conservazione dei
monumenti industriali del 1975 nella Repubblica Federale Tedesca a Bochun,
le attenzioni si concentrarono inizialmente sul territorio della Ruhr, nucleo
industriale della regione della Renania settentrionale e della Westfalia.
Suscitò attenzione la conservazione della sala macchine dell’antica miniera
di carbon fossile a Dortmund, che diventò un monumento d’importanza
nazionale e non fu smantellata dopo la chiusura del pozzo.
Si susseguirono altre conferenze: nel ’77 in Italia, nel ’78 in Svezia, nel’81 in
Francia, nell’84 negli USA e nel 87 in Austria.
Particolare rilevanza riveste il convegno del 1977 tenuto a Milano, in
occasione della mostra dedicata a San Leucio.
I promotori e partecipanti (a cominciare da Eugenio Battisti, il cui ruolo è
notevole in questo campo di ricerca), provenivano da musei, università,
centri di ricerca e organismi di tutela italiana e stranieri. Neil Cosson
1
nel suo
intervento fece rilevare l’importanza della conservazione dei siti archeologici
industriali come mezzo riabilitazione di zone abbandonate ma a suo avviso
l’importanza del recupero non era dettato dal luogo ma dalle sue
potenzialità.
Di questo parere fu anche l’intervento di Franco Minissi il quale poneva i
quesiti del perché, come e per chi intraprendere un’azione di recupero ma
riteneva primario che alla base di qualsiasi intervento stesse la vocazione o
l’attitudine dell’area ad essere convertita.
Altro convegno nazionale di rilievo si è tenuto nel 1981
2
a Bibbiena, durante
il quale emerse il riuso come possibile alternativa alla crescita urbana ovvero
il recupero del preesistente.
Il programma d’intervento di recupero proposto doveva essere impostato
sia per ricontestualizzare il complesso industriale nei confronti dell’intorno
urbano, sia per rifunzionalizzare manufatti e aree degradate.
Luciano De Licio
3
espose in sintesi il “piano quadro d’intervento” in cui
utilizzava procedimenti sia della pianificazione urbanistica che della
progettazione architettonica. Durante la fase di elaborazione del
programma d’intervento venivano individuati i seguenti criteri guida per le
operazioni di “riuso”:
-riconoscere il valore documentario da salvaguardare nei suoi caratteri
essenziali;
-ridefinire l’assetto delle relazioni spaziali e funzionali;
-operare la rifunzionalizzazione considerando i caratteri tipologici e costruttivi
del manufatto per salvaguardarne il valore documentario e operare il
“riuso”.
1
A.A.V.V., Archeologia industriale, atti del convegno internazionale di Milano 24-26-6-1977,
Clup, Milano, 1978, p. 30.
2
A.A.V.V., Archeologia industriale, i problemi del riuso, (a cura di) Renzi G., Mannucci M.,
Giugni M., atti del convegno nazionale di Bibbiena, biblioteca comunale, 20-22 marzo 1981,
Edizioni Badiali, Arezzo, 1982, p .92.
3
Ibidem, p. 30.
Il recupero si proponeva come un’azione di rinnovo nel contesto urbano
portando alla congruenza tra nuove funzioni e il singolo manufatto, alla
progettazione dei modi con cui operare la trasformazione funzionale, e alla
ridefinizione, di un nuovo assetto delle relazioni spaziali e funzionali tra le
parti di cui si compone l’edificio e tra questo e l’intorno.
1 . 3
S u l R e c u p e r o
Il recupero ha un raggio di azione più ampio se messo a confronto con
l’archeologia industriale. La procedura di catalogazione è sempre
importante, ma altri fattori e concetti vengono valutati utili ai fini di una più
corretta proposta di riconversione di un’area dismessa.
1
Il recupero
comunque tende vincolato a preservare il manufatto come “memoria
storica” di un luogo, di una società.
Afferma Russo
2
che il valore estetico ed architettonico di alcuni manufatti
costituisca una risorsa che può essere valorizzata dal recupero; la
trasformazione del manufatto edilizio dismesso deve avvenire avviene
mantenendo i caratteri di riconoscibilità e di appartenenza alla
“tradizione” del luogo, come insita testimonianza del valore culturale.
In questo modo il concetto di recupero e riuso delle aree dismesse supera
“una visione legata ai termini della tradizionale archeologia industriale,
incline al “culto” del manufatto ed alla sua sopravvivenza”
3
.
1
A tale riguardo ricordiamo i piani di recupero regolamentati dalla legge del 5 agosto 1978,
n. 457. L’art.27 tratta sull’individuazione delle zone di recupero del patrimonio edilizio
esistenze. E’ il comune che individua le zone, che per particolari condizioni di degrado,
ritiene opportuno il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico mediante (e questo è un
punto di rilievo) la conservazione, il risanamento, comunque con lo scopo di riutilizzare al
meglio il patrimonio stesso.
2
Russo M., Aree dismesse forma e risorsa della città esistente, Edizione Scientifiche Italiane,
Napoli, 1978, p. 96.
3
Ibidem, p.95.
Un’idea di recupero più complessiva, che istituisca un sistema di relazioni
con il territorio richiede una visione globale capace di trascendere dal
singolo edificio.
Secondo Russo il recupero dell’area deve basarsi sulle considerazioni degli
effetti di riequilibrio e di trasformazione su scala urbana e territoriale,
inquadrati in connessione con un’ampia definizione strategica dei valori.
Concepire l’esistenza della fabbrica dismessa come un flusso continuo nel
contesto urbano, valutare la sua permanenza come risorsa in grado di
generare una molteplicità di effetti, vuol dire superare la settorialità
dell’archeologia industriale.
Quest’ultima, nata nella sfera del restauro dei monumenti come già detto si
pone come disciplina di tutela e conservazione degli aspetti tecnologici e
tipologici prevalentemente dell’architettura, mostrando così i limiti di un
interesse settoriale.
L’azione del recupero risponde alla necessità di mantenere una delle tante
“memorie” del passato.
In questo caso l’insediamento dimesso, con le sue architetture, rappresenta
un monumento industriale alla tecnologia ma anche alle classi subalterne.
La fabbrica ha rappresentato un punto nodale della nascita di relazioni a
carattere economico e sociale.
Per quanto riguarda le relazioni a carattere sociale, Russo riporta la
definizione che nel 1929 El Lisitskij diede della fabbrica chiamata ad
assolvere un compito educativo nei confronti degli uomini che in essa
lavoravano quale “centro focale del processo di socializzazione della
popolazione urbana”
4
.
Il reperto industriale è un segno tangibile di una precisa fase della storia
umana e della sua cultura.
Le ricerche di analisi volgono al passato anche per cogliere quelle
trasformazioni dell’insediamento industriale che ha portato nel paesaggio
4
Ibidem, p. 97, tratto da: El Lisitskij La ricostruzione dell’edilizia industriale, in A.A.V.V., La
ricostruzione dell’Architettura in Russia, Vallecchi, Firenze, 1969.
circostante, modificando profondamente la spazialità del luogo e i
meccanismi di percezione.
Recuperare il manufatto di archeologia industriale rappresenta al
contempo un’occasione per innescare un processo di “riprogettazione”. La
riconversione dell’insediamento dismesso può essere una proposta di
inversione di tendenza, con l’obbiettivo di eliminare la contrapposizione tra
centro e periferia, tra città e campagna.
“Il manufatto dell’archeologia industriale può svolgere quell’azione di
generatore di trame e direzioni quali erano un tempo i conventi, i mercati , i
luoghi di scambio e di culto, al fine di inserire forme e contenuti di carattere
urbano nel luogo in cui si collocano”.
5
Così recupero del patrimonio industriale si propone di rivitalizzare e attribuire
nuove funzioni salvaguardando però la memoria e vigilando sui valori
dell’identità.
5
Le osservazioni sono riprese da: Breschi A., Archeologia industriale e progetto.
Documentazione e ipotesi d’intervento per l’area Ottocentesca del Mercato del Bestiame
e dei Macelli di Firenze. Ed. Associazione Intercomunale n.1, Firenze, 1983, p.15.