CAPITOLO 1
La pericolosità criminale nelle teorie criminologiche
I Pericolosità sociale e delinquenti: alla radice dell’atto criminoso
Nel XIX secolo era generale convincimento che la delinquenza fosse
il risultato del diffuso comportamento delle classi più povere. Questa è
l’epoca della crescita e del consolidamento del capitalismo industriale più
selvaggio, con uno sfruttamento della mano d’opera oggi inimmaginabile:
mancano le garanzie più elementari per gli operai, l’assicurazione e la
previdenza, i sindacati sono fuori legge, i salari irrisori. Tutti questi fattori
sociali così sfavorevoli “rappresentano un importante incentivo alla
delinquenza, talché nella cultura dominante a quell’epoca, che era la
cultura borghese, andò affermandosi il concetto di classi pericolose”.
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“Il tumultuoso sviluppo industriale aveva attirato dalle campagne grandi masse di proletari che erano
costretti a vivere in condizioni miserrime e ai limiti della sopravvivenza. L’urbanizzazione vedeva le città
popolarsi di una popolazione contrassegnata in molta parte da miseria, ignoranza, alcolismo, prostituzione
e delinquenza. È in questo periodo che va prendendo piede una interpretazione dei fenomeni criminosi
come direttamente causati dalla povertà”. Sul punto, si veda PONTI G., Compendio di criminologia,
Cortina, Milano, 1999, p. 85.
Le persone che fanno parte di queste classi sono considerate
“individui degenerati e carichi di vizi, privi di volontà e di iniziativa”:
viene loro attribuita la colpa dell’incapacità ad uscire dalla povertà e dalla
dilagante criminalità che autogenerano.
A garantire la validità di tutto ciò contribuisce in modo significativo
la filosofia del “darwinismo sociale” che applica al campo sociale le teorie
di Darwin in merito all’evoluzione della specie e alla selezione naturale.
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Bisogna attendere quasi un secolo affinché gli studiosi del crimine si
rendessero conto che la maggior concentrazione di criminalità nelle classi
più povere non era dovuta esclusivamente alle precarie condizioni di vita
delle classi medesime . In effetti , i reati più perseguiti e puniti (furti,
rapine, vagabondaggio, ubriachezza molesta, reati da strada, violenze sulle
persone, maltrattamenti in famiglia, incesti e quella che oggi è chiamata
“microcriminalità”) risultavano concentrati nelle classi povere in quanto le
classi abbienti , per i reati che li riguardavano maggiormente (economici,
delle imprese, falsità dei bilanci, truffe finanziarie, inosservanza delle leggi
fiscali) godevano, praticamente, di una quasi totale immunità.
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I delitti che non vengono perseguiti , infatti , non figurano nelle
statistiche giudiziarie della criminalità, creando, in questo modo, il c.d.
“numero oscuro” che rappresenta una percentuale di criminalità non
identificabile.
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Sin dal sorgere della Criminologia, le teorie che si sono proposte di
spiegare la criminalità e la devianza in genere si distinguono in due
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PONTI G., Compendio di criminologia,cit., p. 86.
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Sulla criminalità dei c.d. “colletti bianchi”, si veda tra i tanti SUTHERLAND E., La criminalità dei colletti
bianchi, Milano, Giuffrè, 1986; RUGGIERO V., Economie sporche. L’impresa criminale in Europa,
Giappichelli, Torino, 1996; DELLA PORTA D., Lo Scambio occulto: casi di corruzione in Italia,
Zanichelli, Bologna, 1992.
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Sul problema della “numero oscuro” tra gli altri MONZANI M., Imputabilità e pericolosità sociale: un
binomio da rivedere?, Scripta Web, Napoli 2009, pp. 112 e ss.
orientamenti secondo differenti scuole di pensiero spesso in posizione
antagonistica: l’indirizzo individualistico e l’indirizzo sociologico.
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Il primo, concentra il proprio studio sulla personalità del singolo
individuo delinquente ed individua le cause della criminalità nei fattori
endogeni: esso sostiene la predisposizione individuale alla delinquenza,
cioè la probabilità di commettere un crimine da parte di soggetti
individuati da certe caratteristiche. Il secondo, al contrario, muove dal
postulato che il reato non è un fatto individuale isolato ma un prodotto
dell’ambiente e incentra lo studio della criminalità sulla realtà socio-
ambientale, ricercando le cause della delinquenza in fattori esogeni: il
delitto è un fenomeno sociale generale, non eliminabile, ma modificabile
nella qualità e quantità col mutare del contesto sociale in cui si manifesta.
Queste teorie criminologiche hanno privilegiato un approccio, allo
studio della criminalità unifattoriale, fornendo una spiegazione causale che
non ha mai validità generale: “non possono illustrare le ragioni di tutti i
delitti ma solamente di alcuni; ragioni, in ogni caso, valide in certe
situazioni e non in altre.”
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Proprio allo scopo di considerare
congiuntamente l’individuo e il suo contesto sociale nascono tra gli anni
’50 e ’60 le teorie multifattoriali che si collocano nel filone della
criminologia del consenso, prive di contenuti ideologici e politici , ma che
privilegiano un approccio teorico dal contenuto il più possibile oggettivo.
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Per una più approfondita disamina delle teorie criminologiche si veda su tutti MANTOVANI F, Diritto
penale, Parte generale, Cedam Padova, 2007, pp. 597 e ss.
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PONTI G., Compendio di criminologia,cit., p. 143.
I.I L’indirizzo individualistico
L’indirizzo individualistico, come si è già accennato, individua le
cause della criminalità nei fattori endogeni, concentrandosi soprattutto sulla
personalità del singolo individuo delinquente. “Esso è andato
sviluppandosi: negli orientamenti fisico-biologici e in quelli psicologici
(psichiatrici e psicodinamici). La nota formula “delinquenti si nasce, non si
diventa” ne esprime le posizioni deterministiche estremistiche”.
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Al primo degli orientamenti, che approfondisce lo studio sui fattori
fisici del delinquente, sono riconducibili numerose correnti che hanno
esteso le proprie ricerche anche a settori diversi.
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Sicuramente le teorie che più di tutte hanno influenzato il pensiero
criminologico nel campo individualistico-antropologico sono quelle che
appartengono a Lombroso. Il suo merito è quello di avere esteso i metodi
della ricerca scientifica allo studio della persona autrice di reato e di aver
stimolato le indagini sui problemi della criminalità. Dopo Lombroso vi
sono studi che si orientano sui rapporti tra ereditarietà e delitto, ravvisando
nei fattori genetici le principali componenti della predisposizione alle
tendenze devianti (alcolismo, suicidio, malattie mentali, ecc.).
L’ipotesi per cui esisterebbero individui dotati, per ragioni genetiche,
di una sorta di “predisposizione innata al delitto” è oggi da considerarsi
improponibile.
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L’evoluzione delle teorie continua sino alla moderna
antropologia criminale che ha posto l’attenzione sui rapporti tra
costituzione e condotta criminale, passando dall’antropometria lombrosiana
7
MANTOVANI F, Diritto penale, cit., p. 599.
8
“Così sono stati studiati i rapporti tra salute o infermità fisica e criminalità. Mentre le indagini
statistiche, specie più recenti, non hanno evidenziato strette correlazioni tra cattive condizioni fisiche e
criminalità, studiosi, che hanno indagato su ampi numeri di casi individuali, sono inclini a considerare tali
condizioni come un non trascurabile fattore criminogeno nella misura in cui contribuiscono ad alterare
l’equilibrio psicologico del soggetto.” Sul punto, MANTOVANI F, Diritto penale, cit., p. 599.
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PONTI G., Compendio di criminologia,cit., p. 258; MANTOVANI F, Diritto penale, cit., p. 600.
alla tipologia costituzionalistica. Partendo dal principio che la
conformazione corporea (o costituzione fisica) è certamente legata a fattori
ereditari, e dal fatto che esiste un certo rapporto fra costituzione e
caratteristiche psichiche, gli autori di questa corrente di pensiero affermano
che la presenza di alcune di queste comporterebbe una sorta di
predisposizione alla delinquenza.
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Di Tullio (“padre della criminologia
italiana”
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) prende in considerazione, accanto al delinquente occasionale e
a quello psicotico, tre tipi di delinquenti costituzionali, che presentano
prevalentemente fattori ereditari condizionanti e una specifica struttura
psicologica. Nel dettaglio, il delinquente costituzionale a orientamento
ipoevoluto (così chiamato per l’insufficiente sviluppo delle caratteristiche
psichiche superiori) presenta anomalie morfologiche funzionali: scarso
sviluppo dell’intelligenza, della critica, della logica, la prevalenza di
pulsioni istintive egoistico-aggressive, la deficiente sensibilità morale, la
scarsa inibizione, la disposizione particolare per le reazioni impulsive. Il
delinquente psico-nevrotico è caratterizzato da dinamismi psichici di natura
nevrotica, mentre, i delinquenti costituzionali a orientamento psicopatico
che sono caratterizzati da anomalie del carattere e disturbi di personalità.
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Passando ad analizzare l’indirizzo individualistico-psicologico è
possibile individuare due principali indirizzi: psichiatrico e psicoanalitico.
L’indirizzo psichiatrico raggruppa quelle teorie che vedono nei
disturbi mentali il fattore scatenante delle condotte criminali, specialmente
nei casi più gravi o di recidiva, giungendo sino all’estrema posizione di
identificare la criminalità con l’anormalità psichica, ritenuta a base
10
Sull’argomento in particolare, DI TULLIO B., Antropologia criminale, Roma, 1940, p. 123.
11
Così viene definito in PONTI G., Compendio di criminologia,cit., p.261
12
PONTI G., Compendio di criminologia,cit., p. 261; MANTOVANI F, Diritto penale, cit., p. 602.