giudizio di legittimità costituzionale delle leggi; (è già in questa fase che la Corte farà
uso dello strumento delle sentenze interpretative).
La seconda fase va all’incirca dal 1965 agli inizi degli anni '70 ed è quella che
vede prendere corpo alla c.d. “guerra tra le due Corti”, nella quale i due organi si
confronteranno sul tema della spettanza del potere di interpretare la legge e sui
vincoli che ne derivano.
La terza fase viene individuata negli anni intercorrenti tra gli inizi degli anni '70
e la fine degli anni '80
2
, durante la quale si è giunto ad una stabilizzazione dei
rapporti tra le due Corti, alla luce dell’identificazione e della valorizzazione del ruolo
del diritto vivente.
La quarta ed ultima fase è quella che corre dagli anni '90 ad oggi, e che ha visto
un’evoluzione del rapporto tra le due Corti, approdato ad uno stadio più maturo di
confronto giurisprudenziale, che testimonia “il costante coordinamento e il reciproco
espresso riconoscimento delle rispettive funzioni esegetiche”
3
, nonostante non siano
mancati alcuni nuovi momenti di scontro.
Conviene fare anche riferimento ad un’altra impostazione, non diversa ma di più
ampio respiro, avanzata in dottrina che tende - grosso modo - ad individuare due
grandi fasi del rapporto sviluppatosi negli anni tra la Corte costituzionale e l’autorità
giudiziaria e che vede come discrimine tra la prima e la seconda il momento
fondamentale dell’eliminazione dell’arretrato, sì che si può individuare la prima fase
nel periodo che va dall’entrata in funzione della Corte fino alla fine degli anni '80 (e
2
Bisogna fin da ora evidenziare come tale periodo sia di fondamentale importanza per l’attività della
Corte Costituzionale, anche degli anni futuri, poiché è proprio in questi anni che la Corte riuscirà a
raggiungere l’obiettivo dell’eliminazione dell’arretrato che si era formato circa un decennio prima.
3
cfr.,
G. CAMPANELLI., Incontri e scontri, cit., 202.
quindi comprendente le prime tre fasi cui si riferisce la dottrina supra citata) ed una
seconda fase che va dagli anni '90 ad oggi
4
.
È proprio a quest’ultima fase che rivolgerò la mia attenzione nell’ambito di
questo studio, per fare il punto sull’evoluzione del rapporto tra le due Corti e per
mettere in evidenza i nuovi momenti di conflitto tra i due organi giurisdizionali.
1. Origini e storia (breve) di un rapporto conflittuale e sua evoluzione
Si vuole in questa sede spendere qualche parola per cercare di rendere
brevemente conto del rapporto tra le due Corti nella prima fase
5
, che le ha viste in un
primo periodo anche molto distanti, se non addirittura contrapposte, e poi via via
convergere verso posizioni “più concilianti”, grazie al richiamo alla nozione di diritto
vivente a mezzo della quale i due organi giurisdizionali sono giunti ad una vera e
propria collaborazione.
Il rapporto tra le due Corti ha cominciato a strutturarsi fin dall’inizio dell’attività
della Corte costituzionale, la quale, con la sua prima decisione
6
, previde la propria
competenza a giudicare - nell’ambito del giudizio incidentale di costituzionalità -
4
Si vuole qui fare riferimento all’impostazione seguita da R. ROMBOLI, Qualcosa di nuovo…
anzi d’antico: la contesa sull’interpretazione conforme della legge, relazione presentata al Convegno
“La giustizia costituzionale fra memoria e prospettive (a cinquant’anni dalla pubblicazione della
prima sentenza della Corte costituzionale), Roma 14 e 15 giugno 2006., il quale in realtà procede a
tale divisione in fasi del rapporto tra Corte ed autorità giudiziaria, al fine di analizzare il diverso
approccio che nel tempo c’è stato, da parte della Corte Costituzionale e dei giudici, nei riguardi
dell’applicazione conforme.
5
Si fa riferimento all’impostazione di cui supra adottata da R. ROMBOLI, Qualcosa di nuovo… cit.
6
Si tratta della, ormai celeberrima, sent. n. 1 del 1956, con la quale la Corte esclude la possibilità
di distinguere, all’interno del testo costituzionale, tra disposizioni programmatiche e precettive. È
bene chiarire come la Corte sia arrivata a tale conclusione – di fondamentale importanza per tutta la
sua attività futura, ma ancor di più per la penetrazione della Costituzione nella società e
nell’ordinamento – sulla base del principio del valore normativo della Costituzione.
anche sulle leggi anteriori alla Costituzione utilizzando la categoria-rimedio
dell’incostituzionalità (basata sulla valorizzazione del principio della lex superior),
ancorché senza rifiutare espressamente la possibilità di considerare abrogate le
disposizioni precedenti in contrasto con la Costituzione.
Per comprendere a pieno come abbia iniziato a svilupparsi il rapporto tra i due
organi giurisdizionali non può – guardando ai primi anni di attività della Consulta –
non farsi riferimento all’adozione-invenzione da parte di questa, del più versatile fra
gli strumenti di cui essa (tuttora) disponga, e cioè, le sentenze interpretative
(provvedendo da subito a precisare come di esse non sia rinvenibile traccia nelle
disposizioni legislative disciplinanti l’attività della Corte). Questa ha fatto da subito
ricorso alle sentenze interpretative di rigetto sulla base dell’affermazione per cui, nel
valutare la questione di costituzionalità sollevata in via incidentale dal giudice, non
poteva ritenersi vincolata all’interpretazione della legge seguita dal giudice, per cui
con questa decisione la Corte giunge ad una dichiarazione di infondatezza
respingendo, quindi l’eccezione di costituzionalità, ed indicando in motivazione
quella che secondo essa è l’interpretazione costituzionalmente corretta da seguire
7
. È
utile anche esplicitare che con tale presa di posizione la Corte superò la distinzione
tra il piano della legalità-legale ed il piano della legalità-costituzionale, presidiati il
primo dalla Cassazione ed il secondo dalla Corte costituzionale, distinzione della
quale si discuteva prima che essa cominciasse ad operare
8
. Nei primi anni di attività,
a mezzo del ricorso a tale tipologia di decisione, la Corte riuscì ad ottenere il
massimo risultato, nell’ottica della “defascistizzazione” dell’ordinamento e della
penetrazione in esso dei principi costituzionali
9
, in un contesto di preoccupante e
7
Si deve mettere in evidenza come la Corte abbia fatto ricorso immediatamente a quelle che, in
seguito, saranno conosciute ed indicate come sentenze interpretative di rigetto, già dalla sent. n. 8
del 1956, anche se la nota formula “nei sensi di cui in motivazione” verrà impiegata per la prima
volta l’anno successivo nella sent. n. 1 del 1957.
8
È notorio come tale impostazione – la quale se rigidamente interpretata avrebbe portato ad una
netta separazione tra l’attività di interpretazione della legge, riservata ai giudici comuni, e quella di
interpretazione della Costituzione, riservata alla Corte Costituzionale – sia legata all’espressione di
Mezzanotte “ai giudici la legge, alla Corte costituzionale la Costituzione”.
9
È questa un’attività che M. LUCIANI, Le funzioni sistemiche della Corte costituzionale, oggi, e
l’interpretazione “conforme a”, rielaborazione della relazione tenuta all’Università di Roma Tre il
18 maggio 2007 in occasione del Convegno “Il ruolo del giudice: le magistrature supreme”, tratto
riscontrata inerzia del Parlamento
10
, alla luce della quale una dichiarazione di
incostituzionalità avrebbe potuto creare una situazione di vuoto normativo, che si
temeva non sarebbe stata affrontata con la dovuta tempestività
11
.
Bisogna evidenziare l’atteggiamento assai tiepido della Cassazione di fronte alle
competenze della Corte costituzionale, tanto che all’inizio sono state molto poche le
eccezioni sollevate da questa e, spesso di fronte ad istanze di parte, la conclusione è
stata nel senso della manifesta infondatezza
12
; di converso, è stato rilevato
13
come in
un primo momento si sia creata una sorta di “alleanza” tra la Corte ed una parte
della magistratura (rappresentata dai giudici più giovani). Un momento importante
che testimonia la presa di coscienza, da parte della magistratura, dell’attività
interpretativa del diritto e del significato che la Costituzione poteva assumere
nell’interpretazione del diritto, è costituito dal congresso dell’ANM del 1965 tenutosi
a Gardone, nell’ambito del quale fu approvato un ordine del giorno in cui si
respingeva la pretesa di intendere riduttivamente l’interpretazione come “un’attività
puramente formalistica indifferente al contenuto ed all’incidenza concreta della
norma nella vita del paese”. I punti fondamentali di tale O.d.G. prevedevano che al
giudice spettasse applicare direttamente la Costituzione, oppure rinviare all’esame
della Corte quando non fosse possibile un’interpretazione “adeguatrice” delle leggi, e
da www.costituzioniregionali.it, fa rientrare tra le funzioni sistemiche svolte dalla Corte
costituzionale, e che più precisamente indica come la funzione di modernizzazione. In proposito, cfr.
anche A. PIZZORUSSO, Le stagioni della corte: la corte di oggi e quella del futuro, in AA.VV., La
Corte costituzionale compie cinquant’anni, in Foro it., 2006, V, 366, il quale parla di “lavoro
prezioso per modernizzare l’ordinamento giuridico”.
10
Memorabile è in proposito l’espressione di Calamandrei, il quale, riferendosi al disinteresse
delle forze politiche di maggioranza ad attuare la Costituzione, ebbe a parlare di “ostruzionismo di
maggioranza”.
11
v. infra (III, 1) circa i problemi posti dall’effetto delle sentenze interpretative di rigetto per il
giudice a quo e per gli altri giudici, e le varie soluzioni prospettate dalle dottrina, tra cui spicca
quella di Elia.
12
Per cogliere la gravità di tale impostazione inizialmente adottata dalla Cassazione, basta
riflettere sulla natura del modello italiano di giustizia costituzionale, che si caratterizza per essere un
sistema accentrato ad iniziativa diffusa, che quindi “punta molto” sulla sensibilità dei giudici comuni
e sulla loro iniziativa, tanto che un’illustre dottrina li ha definiti come i portieri della Corte.
13
R. ROMBOLI, L’applicazione della Costituzione da parte del giudice comune, in S. Panizza, A.
Pizzorusso, R. Romboli (a cura di), Ordinamento giudiziario e forense, vol. I, Edizioni Plus, Pisa,
2002, 257., ma v. anche MALFATTI E. – PANIZZA S. – ROMBOLI R., Giustizia costituzionale,
Giappichelli, Torino, 2003, 308.
comunque procedere ad interpretare le leggi in conformità ai principi costituzionali
14
.
In un primo momento, però, il monopolio dell’interpretazione conforme restò in
mano alla Corte, anche in ragione del fatto che i giudici di merito spesso la usavano
come “sponda”, per poter vincere le resistenze interpretative della Cassazione,
ancorata alla propria giurisprudenza e gelosa del suo ruolo di custode della
nomofilachia. Ed è stato proprio in relazione ad alcune vicende originate da sentenze
interpretative di rigetto a mezzo delle quali la Consulta indicava l’interpretazione
conforme per “salvare” le norme dalla dichiarazione di incostituzionalità, che le due
Corti sono arrivate allo scontro ormai noto come “guerra tra le due Corti”, in quanto
la Cassazione si rifiutò di seguire l’interpretazione suggerita dalla Corte
costituzionale, la quale nuovamente investita della questione non poté fare altro che
dichiararne l’incostituzionalità; la vicenda proseguì poi perché la Cassazione, a
differenza della Corte costituzionale, ritenne la sentenza di questa non applicabile ai
giudizi in corso
15
.
La situazione di guerra verrà in seguito superata per mezzo del richiamo, da
parte della Corte costituzionale, alla nozione di diritto vivente, ossia alla legge come
interpretata ed applicata dalla giurisprudenza, per cui la Corte ha parlato di “approdo
interpretativo pressoché incontrastato in giurisprudenza” o di “soluzione
interpretativa collaudata”. È stato chiarito come non sia quindi sufficiente una
pronuncia della Cassazione per far sorgere un diritto vivente, ma occorra anche una
giurisprudenza costante dei giudici di merito; in una prospettiva di apprezzamento
qualitativo degli orientamenti giurisprudenziali che vanno consolidandosi, è, però,
stato anche sottolineato il ruolo primario della Cassazione
16
. Il diritto vivente si pone
14
v. R. ROMBOLI, Qualcosa di nuovo… anzi d’antico., cit., 7, nota 20, ove è indicato il testo
completo dell’ordine del giorno.
15
v. amplius, R. ROMBOLI, L’applicazione della Costituzione, cit., 259-260.
16
v. in tal senso la tesi espressa da L. MENGONI., Diritto vivente, in Dig. disc. priv., vol. VI,
Utet, Torino, 1990, 449, il quale pone l’accento sulla prevalenza del criterio qualitativo rispetto a
quello quantitativo, per cui «è sufficiente anche una sola decisione della Corte di legittimità, in
presenza di interpretazioni contrastanti, per determinare il vincolo del diritto vivente, specie se
pronunciata a sezioni unite.» (corsivo aggiunto). Alla luce di tali impostazioni non possono non
sollevarsi perplessità legate alla necessità di riconoscere “pari dignità”, in regime di indipendenza ed
autonomia costituzionalmente tutelate, all’attività esegetica di ciascun giudice, che, infatti, è ritenuto
nel giudizio di legittimità costituzionale, secondo alcuni, come oggetto del
medesimo.
È interessante mettere brevemente in luce la prospettiva del giudice comune di
fronte al diritto vivente, della costituzionalità del quale dubiti: questi ha la possibilità
di superarlo a mezzo di una interpretazione conforme alla costituzione, oppure di
sollevare la questione di costituzionalità in relazione ad esso; in tal caso la Corte
potrà respingere la questione e dichiarare il diritto vivente conforme a Costituzione,
oppure dichiararlo incostituzionale
17
.
Alla luce dell’impostazione che ha avuto al suo centro la nozione del diritto
vivente, che ha avuto il pregio di far superare il momento di “guerra” tra le due
Corti
18
, si è parlato di “circolo virtuoso” tra la Corte ed i giudici comuni. Tale
sinergia ed il ricorso da parte dei giudici comuni allo strumento del ricorso in via
incidentale, hanno permesso alla Corte di operare nel nostro ordinamento esprimendo
entrambe le anime del giudizio di costituzionalità, sia quella astratta che quella
concreta, caratterizzando con una peculiarità propria ed esclusiva, il modello di
giustizia costituzionale italiano e, più in generale, il modello di ordinamento
giudiziario italiano, nel panorama internazionale.
– è questa la logica conseguenza della configurazione del potere giudiziario come potere diffuso –
legittimato alla proposizione di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato.
17
v. infra (II,3) circa la possibilità di superare il diritto vivente, che viene di recente configurato
come una variabile superabile.
18
v. in proposito, G. CAMPANELLI, op. cit., 240, il quale in relazione alla funzione di
stabilizzazione del rapporto tra le due Corti, svolta dal diritto vivente, nota che «la Corte
costituzionale, infatti, attribuendo una connotazione vincolante al diritto vivente, inteso quale
orientamento giurisprudenziale consolidato, alla cui formazione contribuiva appunto la Corte di
cassazione, ne riconobbe il valore nell’ambito del giudizio di costituzionalità, rinunciando da un lato
a proporre significati normativi differenti rispetto a quello consolidatosi nell’interpretazione della
Cassazione e valorizzando dall’altro il ruolo interpretativo della stessa e la sua funzione
nomofilattica».