2
amministrazioni
4
, e, per quanto ci riguarda in questa sede,
l’abrogazione del delitto di oltraggio
5
).
Riaffermata quindi la supremazia del principio di libertà rispetto
al principio di autorità, tutto sembrerebbe poter scorrere in maniera
pacifica. E invece il problema esiste. L’esperienza di ognuno di noi o
quanto meno la cronaca quotidiana ci pone non di rado di fronte ad
episodi di collisione tra libertà ed autorità nei rapporti tra cittadino e
Stato. Possiamo ipotizzare che ciò avvenga quando i mezzi approntati
dall’ordinamento per la tutela della libertà non risultino efficaci o vi
sia un’errata interpretazione della legge o una irregolarità
nell’esecuzione di un ordine o in generale quando non risulti corretto
l’uso del potere da parte di chi concretamente lo esercita. In parole
povere un conto è la teoria un conto è il concreto operare del pubblico
agente.
6
4
D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3; D. M. 31.05.94 e D. P.C.M. 28 novembre 2000, in G.U.
10 aprile 2001, Serie generale n. 84.
5
Art. 18, legge 25 giugno 1999, n. 205.
6
Il termine “pubblico agente” è stato efficacemente adottato dalla Severino Di Benedetto
per superare la partizione delle categorie dei soggetti sottoposti allo Statuto penale della
P.A. E’ preferibile indicare il soggetto che subisce la reazione come “agente pubblico”
piuttosto che come pubblico ufficiale. Tale ultima dizione, se giustificata alla stregua
degli articoli 192 e 199 del codice Zanardelli non trova più testuale riscontro nella vigente
normativa.
3
L’ordinamento giuridico vigente, peraltro, prende in esplicita
considerazione il problema nell’ambito dei delitti contro la Pubblica
Amministrazione, in particolare di quelli dei privati contro i pubblici
ufficiali e considera legittima la reazione del privato contro l’atto
arbitrario del pubblico agente.
Esplicitamente, infatti, l’art. 4 del D. L.vo Lgt. 14 settembre
1944, n. 288, così dispone : “Non si applicano le disposizioni degli
articoli 336, 337, 338, 339, 341, 342, 343 del Codice penale quando il
pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio ovvero il
pubblico impiegato abbia dato causa al fatto preveduto negli stessi
articoli, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni”
7
.
Con tale disposizione, dopo la caduta del fascismo, il legislatore
– così come si legge nella relazione ministeriale al D. L.vo Lgt. - ha
voluto prontamente ripristinare, in attesa della pubblicazione dei nuovi
codici penale e di procedura penale, “la regola già accolta negli artt.
192 e 199 del codice penale del 1889, secondo la quale il fatto non è
punibile quando il pubblico ufficiale ha dato causa al fatto stesso,
eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni”. E ciò
7
La norma, facente parte dei “Provvedimenti relativi alla riforma della legislazione
penale”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, serie speciale, del 9 novembre 1944, n. 79,
entrò in vigore “nel giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella <<Gazzetta
Ufficiale>> del Regno”, limitatamente – si intende – alla parte dell’Italia liberata.
4
nell’intento di riaffermare “le nostre tradizioni giuridiche le quali
intesero sempre di garantire la pubblica autorità nell’esercizio dei suoi
poteri, ma solo quando essa agisce nei limiti stabiliti dalla legge, in cui
trovano la loro misura i diritti ed i doveri d’ogni cittadino”.
8
L’aver riprodotto in forma pressoché pedissequa quanto sancito
nel Codice Zanardelli ha trascinato con sé ed anzi rinfocolato tutte le
questioni controverse e agitate dalla dottrina del tempo
9
, ora in
aderenza ora in contrasto con la giurisprudenza, sovente con
osservazioni tuttora valide e condivisibili. Tra le questioni
controverse, allora come oggi, c’è quella della natura stessa della
fattispecie in esame: scriminante o causa di non punibilità?
8
Archivio Centrale dello Stato , Verbali del Consiglio dei Ministri , Luglio 1943 –
Maggio 1948, a cura di ALDO G. RICCI, vol. III, Governo Bonomi, pag. 198 e segg.
9
Per la dottrina del tempo: E. PESSINA, Elementi di diritto penale, Vol III; L. MAJNO
Commento al Codice Penale Italiano, vol. I, Torino 1915; G. CRIVELLARI –G.
SUMAN, Il codice penale per il Regno di Italia, vol.VI, Torino 1895; V. MANZINI,
Trattato di diritto penale italiano, vol. V, Torino 1921.
5
§ 2. Elementi della fattispecie.
La fattispecie in esame, così com’è configurata dalla lettera
dell’art. 4 del d. L.vo Lgt. 1944, n. 288, postula: una condotta del
pubblico agente, l’arbitrarietà della stessa, il nesso di causalità tra la
condotta e la reazione del privato. La reazione a sua volta può
consistere in un’aggressione verbale o fisico–materiale rivolta verso il
pubblico agente.
La sua ratio è stata ravvisata, da autorevole dottrina
10
, nella
necessità di garantire la libertà dei privati contro gli eccessi dei
funzionari; essa, altresì, si fonda sulla considerazione che sarebbe
iniquo punire comportamenti che rappresentano una naturale reazione
psicologica a gravi scorrettezze commesse proprio da chi, per la
posizione che occupa, più di ogni altro sarebbe tenuto al rispetto della
legge.
In questa linea altra dottrina
11
ha ravvisato la ratio dell’istituto
nell’esigenza di tener conto della posizione psicologica del privato che
10
F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale,Parte speciale II, Milano 2001, pag. 378 e
ss; V. MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, vol. V, Torino, 1982, pag. 399 e
segg.
11
FIANDACA – MUSCO, Diritto penale, parte speciale, Bologna 2001, pag. 230;
R. RAMPIONI, Reazione ad atti arbitrari del pubblico ufficiale, Dig. Disc. Pen., vol XI,
UTET 1996, pag. 359.
6
si ritenga vittima di una pubblica prevaricazione e quindi nel
riconoscere il suo diritto a non doverla subire passivamente; in
definitiva, quindi, la ratio consiste nella tutela dei diritti della
personalità, segnatamente nella tutela del diritto alla libertà morale,
diritti della personalità il cui fondamento costituzionale è
riconducibile all’art. 2 Cost.
Altra dottrina
12
, invece, ha ravvisato la ratio non tanto nella
prevalenza del principio di libertà su quello di autorità, quanto
nell’esigenza del ripristino di un riequilibrio del loro rapporto che è
stato interrotto dall’invadenza del pubblico ufficiale nella sfera privata
del cittadino: il fondamento della norma consisterebbe, quindi, nel
riconoscere una causa di giustificazione della reazione del privato,
riconoscimento originato dalla necessità di ricostituire, a seguito
dell’atto arbitrario del pubblico ufficiale, il rapporto Stato-individuo
sulla base del reciproco contemperamento delle rispettive aree di
competenze sociali e giuridiche.
Per altro verso non va dimenticato che la fattispecie in esame si
colloca nell’ambito della disciplina “dei delitti dei privati contro la
pubblica amministrazione”: per essa l’oggetto specifico della relativa
12
G. VAIRO, La ratio della reazione legittima all’atto arbitrario del pubblico ufficiale,
Riv. Polizia 1986, pag. 38 e segg.
7
tutela è l’interesse ad uno svolgimento ordinato, decoroso ed efficace
dell’attività funzionale delle persone che esplicano attribuzioni di
interesse pubblico
13
.
13
ANTOLISEI, op. cit., pag. 268 e segg.
8
C A P. II
CENNI STORICI
§.1. La presenza del principio di resistenza in normative risalenti
Risalendo nel tempo ed allargando i confini del nostro ordinamento
possiamo trovare spunti di tali principi, se non vogliamo scomodare
Diocleziano e Massimiano
14
, già nella Magna Charta del 1215,
segnatamente là dove si stabiliva in modo analitico il complesso dei
doveri del funzionario e se ne ammetteva la personale responsabilità
in ordine alla legalità dei suoi atti
15
. Un principio di resistenza quindi
non ancora espressamente previsto ma che permeava già l’intero
sistema.
Per quanto riguarda la legislazione francese importanti
riferimenti si colgono nella Costituzione del 1793, che all’art. 11
proclamava “ tout acte exercè contre un homme hors des cas et sans
les formes que la loi détermine, est arbitraire et tyrannique; celui
14
Nella legge De Jure Fisci in Codex Justinianus, libro X, 5 è sanzionato che si possa
impunemente resistere all’ufficiale che voglia occupare a favore del fisco beni privati
senza legittimo ordine. Vedi F. Carrara, Programma del Corso del Diritto criminale ,
parte speciale, vol. V, Firenze 1911, pag. 450.
15
R. VENDITTI, La reazione agli atti arbitrari del pubblico ufficiale, Milano, 1954,
pag. 30.
9
contre lequelle on voudrait l’executer par la violence, a le droit de le
repousser par la force”
16
; e all’art.35 aggiungeva “ Quand le
gouvernement viole les droits du peuple, l’insurrection est, pour le
peuple et pour chacque portion du peuple, le plus sacré des droits et
le plus indispensable des devoirs”.
Nella stessa linea il codice penale del 1791, mentre nel codice
del 1810 e nella Costituzione del 1814 non si rinviene più traccia
alcuna di tali principi di legalità, in sintonia con il mutato assetto
politico istituzionale. E talmente era cambiata l’atmosfera che quegli
studiosi che, come il Bavoux, professavano la dottrina della resistenza
ricevettero l’accusa di avere eccitato il popolo alla rivolta
17
.
Per un mutamento anche della dottrina e della giurisprudenza
occorrerà aspettare la rivoluzione del 1830.
In relazione al sistema tedesco
18
, i codici penali anteriori al 1870
adottarono in materia varie soluzioni. Alcuni (tra cui il bavarese del
1813 e il prussiano del 1851, l’austriaco del 1852 e quelli sassoni del
1855 e 1868) non si occuparono del problema né direttamente né
16
Les Constitutions de la France depuis 1789, Flammarion, 1995, pag.81; VENDITTI,
op. cit., pag. 27.
17
F. CARRARA, Programma del corso di diritto criminale, Parte spec., vol V, Firenze
1911, pag. 446.
18
VENDITTI, op. cit., pag. 25 e segg.; E. MORSELLI, La reazione agli atti arbitrari del
pubblico ufficiale, CEDAM, 1966, pag. 98 e segg.
10
indirettamente adottando di conseguenza una impostazione assolutista.
Altri invece (come il codice degli Hannover del 1840) accennarono al
problema rinviando però tutto alla disciplina della legittima difesa;
altri ancora (quello sassone del 1838, quello altemburgo del 1841,
quello della Turingia del 1850 e bavarese del 1861) assunsero una più
precisa posizione scriminando indirettamente la resistenza agli atti
illegittimi attraverso l’introduzione del requisito della legittimità
dell’atto nella fattispecie del delitto di resistenza e violenza.
Già attraverso questo breve excursus appare di facile deduzione
l’equazione: istituzioni liberali - ammissibilità della resistenza del
privato avverso l’agire arbitrario del pubblico funzionario. E in
definitiva la sua ragione di scelta politica. Così da una concezione di
tipo totalitario la quale subordini l’individuo allo Stato non può
derivare un assetto giuridico che possa consentire la liceità della
ribellione, della resistenza all’agire ingiusto del funzionario.
E dove il principio di libertà individuale e quello della sovranità
del diritto ebbero tradizionalmente buon gioco, autori
19
, già nel XVIII
secolo, oltre a propugnare con forza il diritto di resistenza all’arbitrio,
poterono affermare la dottrina della equiparazione del pubblico
19
W. Blackstone, Commentaries on the Laws of England, vol. I (Of the rights of
persons), Oxford, 1765 – ed. a cura di Stanley N. Katz, The University of Chicago Press.
11
ufficiale in stato di abuso ad un qualsiasi privato. Con tutti i corollari
del caso.
12
§.2. L’istituto nei codici preunitari e nel codice Zanardelli
Con riferimento al nostro ambito territoriale e al periodo antecedente
l’unificazione nazionale, possiamo constatare che nei codici preunitari
non esisteva una norma che sancisse in maniera esplicita il principio
in questione.
Non si può peraltro affermare che nella sostanza tali principi non
esistessero. Così ad esempio il Codice Penale del Regno delle Due
Sicilie del 1819 sanciva nell’articolo 178 che per il reato di resistenza
occorreva che gli individui, contro cui si reagiva, operassero
legalmente; la legge toscana del 1811 affermava che le operazioni
della forza pubblica dovevano fondarsi o sul mandato dalle leggi ad
essa accordato o sul mandato speciale della medesima; il cod. pen. del
1853 nulla disponeva sulla reazione agli arbitrii, disciplinando però
con molta ampiezza nell’art. 43 la legittima difesa; i codici sardi del
1839 e 1859 lasciavano impregiudicata la questione e nulla
disponevano né indirettamente né direttamente, seguendo in ciò
l’esempio del codice parmense del 1820, di quello lombardo-veneto
del 1852 ed estense del 1855.
Con l’unificazione dell’Italia la questione, dopo ampio e
approfondito dibattito, venne espressamente affrontata e risolta nel
13
1889 dal codice Zanardelli con gli artt. 192 e 199
20
. Ma non fu una
soluzione immediata né facile. Infatti in sede di lavori preparatori si
discusse a lungo se adottare la formula in uso presso alcune
legislazioni straniere (ispirate al codice penale francese del 1791
21
e di
altri codici, tra cui, innanzi tutto, quello germanico del 1872)
inserendo nella fattispecie del reato di resistenza il requisito della
legittimità del comportamento del pubblico ufficiale (vedi
commissione Mancini del 1886), oppure seguire un diverso sistema
prevedendo separatamente una apposita scriminante.
Prevalse la seconda soluzione in quanto non si volle correre il
rischio di attribuire al privato un diritto di sindacato sulla legittimità
degli atti della pubblica amministrazione. Tale soluzione, su proposta
20
VENDITTI, op. cit., pag. 31.
Codice Zanardelli : Art. 192: Quando il pubblico ufficiale abbia dato causa al fatto,
eccedendo, con atti arbitrari, i limiti delle sue attribuzioni, non si applicano le
disposizioni degli articoli precedenti.
Art. 199: Le disposizioni contenute negli articoli precedenti non si applicano quando il
pubblico ufficiale abbia dato causa al fatto, eccedendo, con atti arbitrari, i limiti delle sue
attribuzioni.
21
Code pénal, 6 octobre 1791, Quatrième Section du Titre Premier, Article Premier
“Lorsqu’un ou plusieurs agens préposés, soit à l’exécution d’une loi, soit à la perception
d’une contribution légalement étabilie, soit à l’exécution d’un jugement, mandat, d’une
ordonnance de justice ou de police; lorsque tout dépositaire quelconque de la force
publique, agissant légalement dans l’ordre de ses fonctions, aura prononcé cette formule
Obéissance à la loi;
Quiconque opposera des violences & voies de fait, sera coupable du crime d’offense à la
loi, & sera puni de la peine de deux années de détention.”, in Collection Générale del
Loix, Tome Sixième, Paris, M.DCC.XCII.
14
del Pessina, si riversò poi nell’art 184 del progetto Zanardelli del
1887
22
e passò sostanzialmente immutata negli articoli 192 e 199 del
codice penale del 1889. Cosicché oltraggio, resistenza e violenza
venivano ad essere scriminati quando il pubblico ufficiale avesse dato
causa, con il proprio comportamento, ai fatti costituenti il contenuto
dei delitti in questione.
22 L’articolo proposto dal Pessina, così recitava “Le disposizioni contenute nel presente
capo non sono applicabili nel caso in cui il pubblico ufficiale o la persona legittimamente
incaricata di un pubblico servizio sia uscita, con atti arbitrari, dalla cerchia delle sue
legittime attribuzioni”, in MORSELLI, op. cit., pag. 23, nota 16.