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INTRODUZIONE
L’informatica e i videogames, due passioni che mi caratterizzano fin da quando avevo
cinque anni. A quell’epoca mio padre iniziò ad insegnarmi come smontare e rimontare
un computer, come cercare di migliorarne il funzionamento e come risolvere eventuali
problemi che poteva presentare. Pochissimo tempo dopo, la prima console, un Sega
Master System e con lei il piacere di immergermi in un mondo fatto di avventure che
potevo plasmare a mio piacimento distogliendomi dalla realtà e iniziando a sognare.
Passavano gli anni e il mondo intorno a me cambiava, si evolveva. Io cambiavo e mi
evolvevo. Ciò non accadde però per il piacere che provavo nel lavorare su ogni tipo di
computer e tecnologia su cui riuscivo a mettere le mani. Lo stesso valeva per i mondi e le
avventure che vivevo attraverso i videogames e che spesso si rivelavano essere un aiuto
per i duri periodi che stavo vivendo.
Al pari di tanti giovani, dopo aver conseguito il diploma delle scuole superiori, non
sapevo cosa fare, non avevo ancora capito esattamente a quale lavoro avrei voluto
dedicare la mia vita e le mie energie e così iniziai a sperimentarmi e a mettermi in gioco
sfruttando ogni opportunità che mi si presentava. Fu per puro caso che iniziai a scrivere
alcune piccole recensioni dei videogames con cui giocavo e senza rendermene conto nel
2012 iniziai a collaborare come redattore per la testata Gametime. Non solo videogames
ma anche computer e tecnologia. Seguivo costantemente il suo ideatore e fondatore
apprendendo tutto ciò che potevo e nel 2014 mi imbattei nei primi dev-kit di Oculus Rift,
un visore per la realtà virtuale immersiva, innamorandomene all’istante.
Nel frattempo, nel mio tempo libero, iniziai a far volontariato in un canile e dal nulla i
suoi gestori mi proposero di occuparmi di un progetto di “terapia assistita” con delle
persone affette da disabilità fisica e mentale. Fu amore a prima vista! Mai avevo
sperimentato un piacere così immenso: la gioia di aiutare gli altri. Non ci volle molto per
capire che quella sarebbe stata la mia strada. Lasciai il lavoro, passai un anno intero a
preparare il test di ingresso per la facoltà universitaria di Educazione Professionale e
riuscii ad accedervi. Nel frattempo, le mie passioni erano sempre lì e con loro il naturale
desiderio di trovare il modo di sfruttarle in quello che sarebbe stato il mio lavoro.
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Sempre il fato, un giorno mi fece imbattere in un articolo in cui si parlava di come
attraverso la realtà virtuale era stato possibile diminuire la frequenza con cui si
manifestavano le allucinazioni in un gruppo di persone affette da schizofrenia. La ricerca
di come avrei potuto riunire la passione per i videogames, per l’informatica e il desiderio
di aiutare gli altri si era appena conclusa.
Durante il tirocinio del secondo anno cercai in tutti i modi di ottenere l’autorizzazione per
realizzare un progetto di realtà virtuale con gli utenti del servizio in cui mi trovavo. La
ricevetti e poche settimane dopo la sorella di uno degli utenti mi venne a cercare perché
il fratello continuava a dirle di aver volato sul dorso di un’aquila, di esser stato a bordo di
un’auto di Formula 1 e di aver corso una gara in moto. Voleva capire come ciò fosse stato
possibile e se avrebbe potuto munirsi anche lei degli strumenti che avevo utilizzato.
Era ormai ovvio che avrei cercato in tutti i modi di realizzare la mia Tesi di Laurea
sull’uso della realtà virtuale nell’ambito educativo.
Il tirocinio del mio terzo anno di università si è svolto presso il CD Settembrini e, come
era prevedibile, anche lì ho iniziato a progettare un’attività basata sull’uso della realtà
virtuale. Ne è scaturita un’attività basata sul modello biopsicosociale ed indirizzata a
pazienti affetti da disturbi d’ansia. L’obiettivo era duplice:
Cercare di indurre un cambiamento positivo sui disturbi d’ansia dei pazienti da
me individuati con l’équipe educativa;
Analizzare i limiti le potenzialità della realtà virtuale in ambito educativo,
riabilitativo e terapeutico.
Su consiglio degli psicologi del CD Settembrini per valutare il raggiungimento del primo
obiettivo mi sarei servito di un test chiamato STAI-Y.
Per raggiungere il secondo obiettivo mi sarei invece servito delle ricerche pubblicate fino
ad ora e di tutti i feedback che avrei ricevuto non solo dai pazienti ma anche dall’équipe
del servizio.
Senza quasi rendermene conto, la mia Tesi di Laurea era impostata!
Iniziando dalla storia della realtà virtuale immersiva, ho riassunto i principali studi che
mostrano come questo strumento può essere usato in campo educativo, riabilitativo e
terapeutico.
Una volta descritto il contesto in cui ho sviluppato il progetto principale su cui è basata
questa Tesi di Laurea, ho argomentato dettagliatamente tutta la ricerca. Dopo di che ho
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riportato ciò che è scaturito dal progetto di realtà virtuale che ho realizzato durante il
tirocinio del secondo anno e ho sfruttato quanto emerso in questi capitoli per analizzare i
limiti e le potenzialità della realtà virtuale. Limiti e possibilità che possono trovare
applicazione a seconda dei servizi e degli utenti ai quali la realtà virtuale può essere
proposta.
L’obiettivo di questo elaborato è quindi quello di:
1. Capire le potenzialità di questo strumento nell’ambito del lavoro educativo;
2. Capire quali possano essere le opportunità e le eventuali criticità di questa
tecnologia;
3. Capire se questo strumento sia riuscito ad indurre un cambiamento positivo sui
disturbi d’ansia dei pazienti individuati dall’équipe del CD Settembrini.
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CAPITOLO I
La realtà virtuale: nascita, sviluppo e funzionamento
“Studia il passato se vuoi prevedere il futuro” (Confucio
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)
L’idea di permettere alle persone di venir trasportate, attraverso vari espedienti e artifici,
in luoghi e situazioni non reali, non è recente ma risale a oltre due secoli fa. È nel 1800
che furono compiuti i primi passi di un percorso che avrebbe portato, nell’epoca a noi
contemporanea, a parlare di “realtà virtuale”. Termine oggi associato implicitamente a un
insieme di tecnologie, appartenenti all’ambito dell’informatica, che permettono di creare
nell’utente questo tipo di illusione, ingannandone i sensi. Per quanto l’etimologia del
termine rimandi invece a una generica “realtà simulata”, per mezzo di strumenti non
necessariamente di tipo informatico.
Ai fini di questa Tesi ci concentreremo dunque sull’espressione “moderna” di realtà
virtuale, occupandoci nello specifico di quella che viene definita “realtà virtuale
immersiva”.
1.1 REALTÀ VIRTUALE IMMERSIVA
In informatica esistono due tipologie di realtà virtuale (RV). La realtà virtuale non
immersiva e la realtà virtuale immersiva. La prima si concretizza nel porre l’utente
dinanzi ad un monitor, che agirà così da “finestra” sul mondo tridimensionale simulato,
con cui l’utente stesso potrà interagire attraverso delle apposite periferiche. L’esempio
più tipico sono i videogiochi. La realtà virtuale immersiva invece - come il nome stesso
ci suggerisce - punta a trasportare l’utente in un mondo virtuale, sfruttando allo scopo un
apposito visore o altri tipi di dispositivi funzionali ad ingannarne i sensi, per restituirgli
così l’illusione di trovarsi fisicamente in un’altra realtà. È la frontiera più affascinante
delle moderne tecnologie di simulazione basate su personal computer. Con applicazioni
che sfociano nei campi più disparati, dall’intrattenimento personale, alla medicina, al
lavoro in telepresenza, al turismo virtuale, fino all’ambito della psicologia o del
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Confucio: filosofo cinese vissuto tra il 551 a.C. e il 479 a.C.
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trattamento di fobie. Un percorso però lastricato di sfide, dal punto di vista tecnico e anche
sociologico.
I tanti campi di utilizzo uniti alla necessità di rendere questa tecnologia sempre più
fruibile in termini di costi e accessibilità spingono al limite la ricerca, portando a continue
evoluzioni e nuove scoperte.
L’oggetto di questa Tesi sarà la realtà virtuale immersiva, con le sue applicazioni.
1.2 LA STORIA
1.2.1 Dal 1800 al 1957, i precursori della realtà virtuale
Nel 1801 presso il Leicester Square fu realizzato a Londra il Panorama Rotunda. Si
trattava di un panorama a 360° realizzato all’interno di edifici particolari, con punti di
osservazione e luci prestabilite che creavano l’illusione di trovarsi in luoghi diversi da
quelli in cui si era realmente.
1.1 Panorama Rotunda
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Nel 1832 Charles Wheatsone ideò la stereoscopia, ossia una tecnica di visualizzazione di
immagini basata sulla visione binoculare dell’essere umano e capace di restituire
un’illusione di tridimensionalità. L’invenzione di Wheatstone, chiamata Stereoscopio e
che fu tra i punti cardine delle future evoluzioni delle tecnologie immersive, consisteva
in un sistema di specchi e prismi che permetteva appunto di osservare due versioni
leggermente differenti della stessa immagine. Nel 1858 David Brewster, che aveva
brevettato il caleidoscopio, migliora il progetto di Wheatstone, rendendolo più pratico.
Lo stereoscopio di Brewster era infatti una maschera dotata di lenti, simile a un binocolo,
attraverso cui osservare delle coppie di disegni collocate all’altra estremità
dell’apparecchio. La semplicità del progetto lo rese un successo commerciale. Pur
lasciando il campo aperto a ulteriori migliorie. Oliver Wendell Holmes ne realizzò infatti
una versione ancora più leggera ed economica, oltre che più luminosa. I moderni
dispositivi RV low cost basati su smartphone e Google Cardboard, sono da considerarsi
l’evoluzione di quel dispositivo.
Nel 1876 Wagner realizzò in Germania il Festspielhaus Theatre, che permetteva di
aumentare l’immersione offerta agli spettatori sfruttando sia il buio in cui immergeva i
partecipanti, che il particolare riverbero delle onde sonore emanate all’interno della sua
struttura. Una sorta di antenato del moderno “effetto surround”.
1.2 Festspielhaus