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Nello stesso periodo stabilisce rapporti di amicizia con N. Hartmann e H.
Heimsoeth.
Incomincia da questo momento il distacco dal neo-kantismo, considerato troppo
idealista. Ortega si avvicina alla fenomenologia di Husserl, di cui accetta il metodo ma
non il sistema.
Il metodo consiste in un nuovo approccio al mondo, un approccio “circostanziale” e
“prospettico” dove si parla di una realtà che, a livello epistemologico, si offre al
soggetto tramite una moltitudine di punti di vista individuali. L’approccio conoscitivo di
Ortega si distacca da qualsiasi concezione che proponga una conoscenza intuitiva delle
cose, così come proponeva la filosofia moderna, ed esprime la volontà di conoscere e
relazionarsi alle cose ed agli oggetti riducendoli a fenomeni eterogenei coglibili solo nel
presente e nel quotidiano.
Secondo Ortega la morale, la scienza, l’arte, la religione e la politica hanno smesso
d’essere questioni personali e devono lasciare spazio al campo d’azione della logica e
della responsabilità intellettuale. Nell’oggettività si perdono tutte le considerazioni
personali e nulla sfugge al confronto con le cose. La politica, l’arte e la scienza
interessano in quanto cose, oggetti.
Il vero momento di distacco tra la prima fase, giovanile, e la seconda è databile al
1914, con la pubblicazione delle Meditazioni del Chisciotte, alle quali si rifarà in parte
Verità e prospettiva, saggio del 1916 nel quale Ortega si schiera contro qualsiasi teoria
che proponga come falso il punto di vista individuale, visto che, al contrario, proprio
solo tramite il punto di vista individuale il mondo può essere guardato nella sua verità.
Le Meditazioni, come scrive lui stesso, sono “saggi di amore intellettuale. Mancano
completamente di valore informativo; non sono nemmeno epìtomi, sono piuttosto ciò
che un umanista del XVII secolo avrebbe chiamato ‘salvazioni’. In essi, partendo da un
fatto, un uomo, un libro, un quadro, un errore, un paesaggio, un dolore, si cerca di
condurlo per il cammino più breve alla pienezza del suo significato”
1
.
La seconda fase inizia proprio qui, con un’affermazione che stigmatizza il suo
pensiero e diviene il punto di partenza della speculazione filosofica orteghiana: “Io sono
io e la mia circostanza, e se non salvo questa non mi salvo nemmeno io”
2
.
1
J. Ortega y Gasset, Meditazioni del Chisciotte, Napoli, Guida, 1986, p. 31.
2
Ibi, p. 44.
6
Le piccole circostanze, alle quali non si presta attenzione, sono proprio le più
importanti, in quanto conferiscono e danno senso alla realtà con più forza e più intensità
delle grandi circostanze e delle grandi tradizioni culturali. Quindi nessun particolare, per
quanto minuzioso possa sembrare deve essere lasciato al caso.
Per «circostanza» Ortega non intende solo l’ambiente fisico nel quale nasciamo, ma
anche l’ambiente sociale e politico. Il luogo, il tempo e la società si impongono ad ogni
uomo già a partire dalla sua nascita. Ed è la Spagna la circostanza nella quale si muove
l’interesse di Ortega, la circostanza politica, incapace di far avanzare il paese, unita ad
un’arretratezza culturale nella quale si muove il popolo. E’ da questa prospettiva che
Ortega approfondisce lo studio della società sia in modo analitico, toccando tutti i nervi
scoperti che ne condizionano la stasi, che in modo antropologico tramite saggi quali
Spagna invertebrata del 1921 o Il tema del nostro tempo del 1923, saggio nel quale dà
un’interpretazione della realtà della vita in ferma opposizione al razionalismo, al
relativismo ed all’idealismo. Ortega si dedica inoltre all’impegno civile, politico ed
etico; infatti, oltre a delineare il panorama socio-politico, partecipa in prima persona,
tramite la pubblicazione di saggi sulle riviste e la fondazione di periodici e giornali.
Fonda la rivista “Spagna”, tiene conferenze in Argentina e dirige la “Biblioteca delle
idee del secolo XX”, dove vengono tradotti i maggiori pensatori contemporanei, tra cui
Frued, Husserl, Jung e Scheler.
Ortega punta ad una europeizzazione della Spagna, che può avvenire solo riducendo
il distacco che ha portato il resto dell’Europa ad emanciparsi dal mondo. E’ un distacco
soprattutto di tipo tecnico e scientifico; la scienza è infatti vista da Ortega come
elemento di sopravvivenza morale e materiale, capace di mettere le radici
nell’oggettivismo: la scienza si basa sul metodo e la verità non ha altra strada da seguire
se non quella della scienza.
La vita d’ogni giorno è vissuta come il campo d’azione filosofico più pregno di
significati, in linea con la fenomenologia, l’esistenzialismo e la filosofia analitica.
Proprio la filosofia analitica ha saputo trarre molti esempi dalle circostanze, con un
metodo che ci invita a retrocedere dal linguaggio altamente formalizzato a quello
comune. Ortega propone in tal senso una filosofia che si occupi delle cose piccole,
minuziose e secondarie messe in secondo piano. Di qui l’accusa alla filosofia
razionalista di voler cominciare a speculare dal punto più alto per occuparsi solo in
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seguito delle realtà quotidiane. Cartesio iniziava dall’io, Spinoza da Dio; Ortega inizia
invece dal quotidiano, dalla circostanza vissuta che permette di identificarsi
costantemente con le proprie azioni senza confonderla con l’individualismo.
La visione orteghiana della circostanza crea un ponte tra il mondo generalmente
riconosciuto come frutto del costante intreccio di fenomeni fisici chimici e biologici ed
il mondo visto con gli occhi della prospettiva e della circostanza di ciascuno. Ortega
non vuole risolvere il problema ontologico sul piano dell’astratto, in quanto l’unico
essere è quello concreto, in carne ed ossa.
Ogni uomo trova il senso della vita, della sua vita, in relazione alla propria
circostanza, accettandola e convertendola nella propria vocazione. L’essere reale è
legato al piano delle cose concrete e non di quelle astratte ed universali. Il conosciuto è
tratto dalla conoscenza fenomenica, mentre il non conosciuto deve essere estrapolato
proprio a partire dall’esperienza hic et nunc.
Salvare la propria circostanza significa darle senso tramite la cultura. Ma la cultura
si fonda sulla ragione, una ragione differente dall’accezione razionalista, in quanto il
tentativo razionale pretende di dare leggi alla vita, mentre al contrario è la ragione al
servizio della vita creando e chiarendo le proprie teorie, così da dare sicurezza alla vita.
Il razionalismo, con la sua disciplina puramente intellettuale, rappresenta un fallimento
sul piano effettivo.
Nel 1923 Primo de Rivera instaura la dittatura costringendo anche Ortega a diradare
le proprie pubblicazioni. Ma, la sua analisi continua a fotografare i cambiamenti politici
sociali ed artistici a lui contemporanei: nel 1924 scrive Sul fascismo, La
disumanizzazione dell’arte e ancora L’interpretazione bellica della storia, partendo
sempre dalle circostanze chiave del panorama europeo e spagnolo.
Frutto della speculazione filosofica ed antropologica, risulta in particolare il celebre
saggio La ribellione delle masse apparso nel 1930: un’attenta analisi storica, sociale e
politica, in cui Ortega affronta il problema dell’uomo in relazione al progresso
tecnologico e scientifico. Il saggio rappresenta il momento di passaggio alla terza fase,
anche se questa cronologicamente prende l’avvio in modo decisivo nel 1929, quando
Ortega pubblica Che cos’è filosofia. Questa terza fase si sviluppa infatti in un arco di
tempo che va dal 1928 al 1935, e segna il trapasso da una speculazione antropologica ad
un vivo e approfondito interesse per la metafisica.
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Heidegger e Dilthey sono i pensatori con i quali ora si cimenta, nel convincimento
che la filosofia debba occuparsi del problema dell’essere e che l’essere non sia né la
cosa pensata, né la cosa esistente in sé, bensì il legame che affiora dalla coesistenza
delle cose. Tra il 1932 ed il 1933 erano uscite Alcune lezioni di metafisica, che volevano
richiamare ad una ricerca dell’essere da parte dell’uomo, in quanto l’essere è l’unica
cosa che gli manca realmente. In una duplice prospettiva, quella della vita e quella della
ragione, la nostra vita e la nostra realtà sono la circostanza nella quale ci spostiamo,
mentre la ragione ci fornisce gli strumenti per codificare la realtà e per conoscere noi
stessi.
La ragione, nella ricerca dell’essere, si divide in due rami, la scienza e la filosofia.
Ma la differenza è che la scienza porta sempre a risultati concreti, ed ha un oggetto sul
quale speculare; la filosofia al contrario non cede alle lusinghe dei risultati, ma si
accontenta di sbagliare o di ottenere risultati che non sono certi, perché l’oggetto della
filosofia deve saziare una sete di conoscenza disinteressata o, come dice lo stesso
Ortega, “ludico-sportiva”. L’uomo, in qualità di animale razionale, ha sempre sete di
conoscenza, ma la conoscenza si divide in scienza e filosofia. Alla scienza è sempre
dato un oggetto e la ricerca scientifica porta a conclusioni esatte, mentre per la filosofia
l’oggetto non è dato ma è perennemente ricercato. Pur non arrivando sempre a
conclusioni esatte, la filosofia è l’unica che risponde alla vera sete di conoscenza in
quanto è disinteressata, è una scienza senza presupposizioni, e perciò la vera conoscenza
è sempre quella teoretica.
Ortega punta ad una continua applicazione della ragione alla vita, una vita intesa
come una serie di circostanze che condizionano e circondano l’individuo. Indaga, con
un taglio storico e sociologico, tutte le sfumature dell’esistenza e considera l’individuo
non in quanto essere isolato rispetto al mondo ma immerso nel mondo, secondo una
logica di tradizioni, di situazioni storiche e politiche, “credenze” e progettualità a livello
generazionale. E’ quindi compito della cultura dare un senso alla circostanza.
Di conseguenza la ragione si divide in due diverse prospettive: da una parte, la
ragione che affonda le radici nella tradizione, nel progresso, nello sviluppo storico, e
prende quindi il nome di Ragion storica; dall’altra, la ragione che, tramite il sapere e la
cultura, dà la possibilità all’uomo di codificare il mondo circostante, ossia la Ragion
vitale. Prende qui forma il progetto orteghiano di muoversi nel mondo all’insegna di un
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«Raziovitalismo», ossia d’una coscienza storica che sia allo stesso tempo unita ad un
sapere razionale.
Per entrare in tale prospettiva occorre riconoscere anzitutto che la vita è personale e
l’uomo agisce perché condizionato da una determinata circostanza; inoltre, che le
circostanze presentano determinate possibilità, che possiamo decidere di prendere o
meno in considerazione, attuando così la nostra libertà, e soprattutto che la vita di
ognuno non può essere delegata a nient’altro o a nessun altro. Queste affermazioni
possono essere in parte ritrovate nel saggio La ribellione delle masse, nel quale Ortega
affonda la sua critica contro il pericolo della massificazione della cultura e della morale,
della politica e del sapere tecnico e scientifico che si delinea nel secolo XX.
L’analisi orteghiana prende un taglio storico e sociale, lungimirante nell’ipotizzare
una partecipazione inconsapevole delle masse alla vita e soprattutto alle sue
innovazioni, in attesa di un riscontro materiale, che prenda forma nell’oggetto
tecnicamente creato. Il suo non è uno sguardo pregiudizialmente negativo, ma parte
dalla considerazione che qualsiasi successo o traguardo raggiunto in campo scientifico,
o qualsiasi conquista della ragione e della morale, non può essere proposto come un
semplice prodotto. L’uomo, immerso nella sua realtà, è erede di credenze e di tradizioni,
è erede di un capitale che può essere mutabile in quanto si trasmette nel tempo. Per
questo l’essere dell’uomo è mutabile e va studiato storicamente. Ed è un nostro diritto
anche poter perdere la nostra eredità: in analogia con la scienza biologica, le molecole
della storia sono le generazioni, che somigliano ad unità molecolare in cui la storia si
divide: “La generazione è un compromesso dinamico tra la massa e l’individuo; è una
varietà umana in cui le caratteristiche di date generazioni si differenziano dalle
caratteristiche delle altre generazioni. Le generazioni potranno discutere la ripartizione
della propria ‘eredità’, però non potranno certo discutere se questa eredità appartiene
loro o meno, in quanto stiamo parlando di credenze, di convinzioni”
3
.
La generazione, che è un concetto storico, si scontra con l’evoluzione storica che
non è lineare. Attualmente, in ogni momento storico, convivono tre generazioni: la
generazione emergente, la generazione nel pieno delle sue forze ed infine la generazione
destinata a scomparire storicamente. Tradizionalmente è la generazione successiva ad
3
J. Ortega y Gasset, El tema del nuestro tempo, Madrid, ed. Espasa Calpe, 1961, Colleción
Austral, pp. 14-15. Il testo non è stato ancora tradotto in italiano; la traduzione è mia.
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attuare un cambiamento rispetto alla generazione precedente, ma il cambiamento può
essere di due tipi: di tipo continuativo quando alla generazione più vecchia si adegua la
più giovane; o di tipo rivoluzionario, quando avviene un cambio radicale, una crisi per
cui le convinzioni o credenze, alle quali era aggrappata una generazione, cadono,
lasciando un vuoto da colmare. La soluzione consiste nell’azione, nell’agire, nel non
rimpiangere il passato, consapevoli che non si può tornare indietro.
Il cammino di Ortega si conclude nell’ultima fase, dalla fine degli anni Trenta fino
alla sua morte, 1955, una fase che è riconosciuta come “fase radicale”, condizionata
dalle circostanze politiche che segnarono la Spagna nell’ultimo quinquennio degli anni
Trenta, con l’esilio volontario e l’impossibilità di accedere ai mezzi di comunicazione in
patria. Egli è consapevole della forza della ragion storica e della sua funzione di mettere
in relazione le esigenze della ragione e della vita; è cosciente di aver intrapreso un
cammino nuovo ed incerto, sbarazzandosi delle teorie razionaliste e logiche.
Allo stesso tempo è convinto che il sapere e la cultura siano in crisi a causa
dell’avvento della tecnica e della scienza, o meglio del sapere tecnico e scientifico,
capace di dare risultati oggettivi, ai quali ci si affida ciecamente mettendo in secondo
piano il sapere del singolo e la realtà circostanziale di ciascuna persona, producendo
l’uomo-massa, l’umile consumatore del prodotto materiale. L’uomo-massa si definisce
come risultato del processo occidentale che nel secolo XX ha assolutizzato la ragion
pura, dandole una funzione prettamente strumentale. In questa sua critica Ortega si rifà
ad Husserl quando dice che le scienze hanno perduto la fede in se stesse, producendo il
“terrorismo dei laboratori”. In conseguenza di questo processo si dimentica che la
felicità è una dimensione che appartiene specificatamente alla cultura.
Tra il 1940 ed il 1942, l’uscita del libro Origine ed epilogo della filosofia pone
l’accento sul significato e sul ruolo della filosofia, che proprio in quanto parte integrante
della vita sociale dell’uomo non può essere relegata a mero studio didattico. Non si può
pretendere di fare una storia della filosofia, ma ogni filosofia, ogni pensiero, ogni idea
sono figli di una data circostanza. Il collegamento tra una dottrina e le successive
assume la funzione di dare inizio ad una tradizione, ma il passaggio fondamentale
consiste nell’accantonare ciò che vi è di sbagliato in favore di un nuovo pensiero e di
nuove idee in grado di conciliarci con le reali necessità degli uomini.
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Cronologia della vita e delle opere di
Ortega y Gasset
José Ortega y Gasset nasce a Madrid l’8 maggio 1883 da José Ortega Munilla e Dolores
Gasset.
Il padre era direttore del quotidiano “El Imparciàl”, fondato nel 1879 dal nonno
paterno. Ortega infatti affermerà ironicamente di “essere nato su una rotativa”.
Tra il 1891 ed il 1897 studia presso il collegio dei Gesuiti di Mitraflores a Malaga.
In questo periodo il 65% della popolazione è analfabeta, e la Chiesa cattolica,
appoggiata in toto dalla classe politica, gioca un ruolo fondamentale per quanto riguarda
la cultura e l’educazione, visto che la creazione del Ministero per la pubblica istruzione
è datato 1900.
Ma, nonostante questa frequentazione, Ortega ammetterà di aver perso lentamente la
sua fede cattolica proprio durante il periodo collegiale condizionato anche dalle letture
di Nietzsche e Renan.
Nel 1897 si iscrive alla facoltà di lettere e filosofia di Madrid laureandosi nel 1902.
Nel dicembre dello stesso anno viene pubblicato il suo primo articolo Glosas sulla
rivista “Vida nueva”.
Nel 1904 consegue il dottorato all’Università di Madrid discutendo una tesi di solo
cinquattotto pagine intitolata Los terrores del año mil.
Tra il 1905 ed il 1907 grazie al sostegno economico di una borsa di studio si reca in
Germania per approfondire e completare i suoi studi filosofici.
Si iscrive all’università di Lipsia e, successivamente, a quelle di Norimberga, Colonia e
Berlino.
Solo a Marburgo, però, può seguire i corsi universitari dei filosofi neo-kantiani, quali:
H. Cohen e P. Natorp, sotto la guida dei quali si avvicina al socialismo di ispirazione
kantiana di E. Bernstein.
Nello stesso periodo stabilisce rapporti di amicizia con N. Hartmann e H. Heimsoeth.
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Avvia inoltre un carteggio con M. de Unamuno, il più affermato filosofo spagnolo
contemporaneo.
Dall’ottobre 1907 inizia a collaborare sistematicamente con il quotidiano “El
Imparcial”.
Nel periodo febbraio-marzo1908 partecipa alla pubblicazione della rivista “Faro”.
A giugno è nominato professore di psicologia, logica ed etica nella Escuela Superior de
Magisterio, ed in agosto partecipa come indipendente al congresso del Partito socialista
operaio spagnolo.
Nel 1909 pubblica il saggio su Renan, e da questo momento inizia per Ortega un
periodo di presa di distanza e di riflessione dalle tesi neo-kantiane. Rompe con
Unamuno in quanto l’ideale otreghiano era di una europeizzazione della Spagna, al
contrario di Unamuno che puntava ad una spagnolizzazione europea.
Nel 1910 si sposa con Rosa Spottorno y Topete e, nel novembre dello stesso anno,
ottiene la cattedra di metafisica all’università di Madrid.
Il ruolo di accademico non gli impedisce di dare una svolta al propri orientamento
filosofico che lo induce a ritornare a Lipsia e confrontarsi in prima persona con la
“Critica della ragion pura” di Kant, anche se ciò, come egli stesso dirà, avrebbe
comportato “enormi difficoltà per una mente latina”.
Tra il 1910 ed il 1911, periodo che passa principalmente a Marburgo, inizia il suo
progressivo distacco dalle teorie neo-kantiane.
Nel 1912 partecipa come indipendente al congresso del Partito socialista operaio
spagnolo.
Nel 1914 crea la “Lega di Educazione politica” dove l’impegno politico si configura
come pedagogia sociale; pubblica il settimanale “España”, e, sempre a quell’anno si
deve la pubblicazione personale di “El Espectador. Personas, obras, cosas” di cui
usciranno otto volumi.
Quest’anno sarà di radicale importanza, pubblica le Meditazioni del Chisciotte, che,
come scrive lui stesso sono “…saggi di amore intellettuale. Mancano completamente di
valore informativo; non sono nemmeno epìtomi, sono piuttosto ciò che un umanista del
XVII secolo avrebbe chiamato “salvazioni”. In essi, partendo da un fatto, un uomo, un
libro, un quadro, un errore, un paesaggio, un dolore, si cerca di condurlo per il cammino
più breve alla pienezza del suo significato”.
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Pubblica Vieja y nueva politica, (Vecchia e nuova politica), con l’intenzione di criticare
il vetusto sistema politico spagnolo.
Nel 1915 con Azorìn ed Ugenio D’Ors, fonda la rivista “España”. Accetta l’invito
dell’Istituzione Culturale Spagnola e s’impegna in una serie di conferenze in Argentina
che lo terranno fuori dal continente fino all’anno successivo. Contemporaneamente esce
il primo degli otto volumi del “Espectador Personas, obras, cosas”.
Nel 1917 viene aspramente criticato per un suo articolo pubblicato sul “El Imparcial”,
articolo in cui condanna la costante intromissione dell’esercito spagnolo nella vita
pubblica.
Ne approfitta per lasciare il giornale e fondare con il fratello Eduardo e M. N. Urgoiti il
quotidiano “El Sol”.
Nel 1918 la casa editrice Calpe gli propone la direzione della “Biblioteca delle idee del
XX secolo” con il fine di tradurre e pubblicare opere di autori importanti quali Einstein,
Husserl, Freud, Jung, Sheler.
Nel 1921 pubblica il saggio “España invertebrata” che, composto come un bozzetto su
alcuni fatti storici, si rivela un vero e proprio atto d’accusa nei confronti della classe
politica e della società spagnola, colpevoli di non appoggiare e proporre una rinascita
culturale del paese.
Il 13 novembre 1923, Primo de Rivera, Capitano Generale della Catalogna, con il
silente appoggio del re Alfonso III e della borghesia conservatrice, dà il via al colpo di
stato che di fatto sancisce lo scioglimento delle camere, e, con l’intento di ristabilire
l’ordine in Spagna, sospende la Costituzione, scioglie i municipi locali e proibisce i
partiti politici.
Ortega prende posizione nei confronti della dittatura con un celebre articolo uscito su
“El Sol”, anche se la sua posizione rimarrà molto ambigua, visto che criticherà la
dittatura ma ammetterà che la situazione politica e sociale era matura per quell’epilogo.
Nel 1924 pubblica Kant e Ni vitalismo ni razionalismo, dove riafferma la teoria della
ragion vitale confutando numerose critiche che gli erano state rivolte.
Nel 1925 pubblica Sobre el fascismo, La deshumanizaciòn del arte, fondamentale
saggio estetico, e La interpretaciòn bélica de la historia.
Nel 1927 Mirabeou o el politico.