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Capitolo 1: Il paradigma classico dell’economia: da Adam Smith ai
neoliberisti
Nel mondo dell’economia esistono due visioni, due concezioni della conoscenza radicalmente
diverse. Come si vedrà in questo lavoro, la dialettica tra queste due visioni – che gli economisti
preferiscono denominare “paradigmi”, per sottolineare la loro natura quasi onnicomprensiva – ha
profondamente influenzato la storia dell’economia – e quindi dell’umanità – a partire, almeno, dalla
Rivoluzione industriale. A seconda del prevalere di uno o dell’altro paradigma, la società e la
politica hanno svoltato verso un certo sentiero di crescita , anche perché – come sosteneva Keynes –
“le idee di un politico non sono altro che la proiezione delle idee di qualche economista defunto
1
”
Anche se non bisogna semplificare eccessivamente, lasciando spazio ad un’interpretazione troppo
manichea della questione, non c’è dubbio che i due paradigmi partano da visioni economiche,
sociologiche e psicologiche estremamente divergenti.
La teoria economica standard (che di qui in poi definiremo classica) afferma che i mercati sono
razionali e che l’uomo agisce in base a considerazioni di efficienza. In altre parole, tali teorie
affermano che gli individui, nel prendere le decisioni economiche, si comportano razionalmente.
Tale razionalità altro non sarebbe che, stante la teoria dei mercati efficienti, la massimizzazione del
profitto individuale: ogni agente economico dispone di tutta l’informazione ed il prezzo altro non è
che l’incorporazione dell’informazione disponibile. Tuttavia, come si vedrà in maniera approfondita
in questo lavoro, queste considerazioni appaiono quantomeno azzardate. Gli ultimi decenni, e in
particolare l’ultimo quinquennio di grande crisi nel mondo occidentale, hanno fatto sorgere
numerosi dubbi circa i presupposti di razionalità dei mercati, e si stanno affacciando sempre nuove
teorie (afferenti all’area dell’economia comportamentale) che mettono in discussione i fondamenti
della teoria economica classica. L’individuo, lungi dall’ideal-tipo di massimizzazione dell’utilità
attesa e di razionalità immaginato da Adam Smith, sembra essere guidato da un coacervo di passioni,
di pregiudizi, asimmetrie informative e veri e propri “raptus” di irrazionalità che gettano una luce
ben diversa sulle vicende che hanno interessato l’economia mondiale nelle ultime decadi. Come si
vedrà nello svolgimento del lavoro, le crisi finanziarie non sono una prerogativa del XXI secolo:
esse esistono fin dalla comparsa della cartamoneta e, nel caso della crisi dei tulipani, anche prima.
Proprio per questo, seppur ci si soffermerà con dovizia sui temi cogenti dell’attualità della crisi, è
necessario partire da una prospettiva storica, per capire che i meccanismi psicologici sottostanti una
crisi sono i medesimi. Quando si volge lo sguardo ad una crisi di grandi proporzioni, come quella
1
KEYNES J. (2006), p.41
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dei mutui subprime che è stata la causa scatenante della Grande Crisi, è difficile sostenere che la sua
genesi sia unicamente imputabile ad un momentaneo malfunzionamento del sistema, ad una
temporanea incapacità degli operatori economici di elaborare razionalmente le informazioni.
Semmai, come sosteneva John Maynard Keynes (il cui nome ricorrerà molte altre volte durante la
trattazione), il mercato non è molto simile ad un cavallo a dondolo, quanto piuttosto ad un
“ottovolante impazzito”, capace di accelerazioni e frenate improvvise, coincidenti con il liberarsi di
“spiriti animali”- cioè di pulsioni irrazionali – che fanno apparire le teorie di razionalità illimitata
piuttosto utopiche. Il complesso di teorie e di studi che si oppongono alla visione classica dei
mercati e dell’economia è difficile da sintetizzare (in quanto vi convergono matrici psicologiche,
sociologiche, economico-comportamentali e perfino “antropologiche”), e sono quindi numerosi i
contributi da valutare. In ogni caso, nella tabella sinottica seguente, si può apprezzare un confronto
tra la visione classico-standard e quella che ho definito “alternativa”.
Fig 1: Confronto tra paradigmi
Nei prossimi paragrafi i temi accennati saranno approfonditi a dovere. Tuttavia, per iniziare ad
analizzare il paradigma classico, è necessario fare una premessa che è sottostante alle tabelle appena
viste. Affermare che i mercati siano razionali in quanto sommatoria delle azioni di individui che
agiscono in base a criteri di razionalità significa, in altre parole, asserire il principio della
regolamentazione interna. La regolamentazione è immanente al sistema: nasce da una libera
interazione tra liberi attori. L’ordine spontaneo che ne deriva è il migliore che si possa concepire,
poiché la massimizzazione del proprio interesse coincide con la massimizzazione del benessere
collettivo. Smith scrive: “Ogni individuo contribuisce necessariamente quanto può a massimizzare il
reddito annuale della società ... egli mira soltanto al proprio guadagno
2
” e in questo , come in molti
altri casi , egli è condotto da una mano invisibile a promuovere un fine che non entrava nelle sue
intenzioni . Nè per la società è un male che questo fine non entrasse nelle sue intenzioni.
Perseguendo il proprio interesse , egli spesso promuove quello della società in modo più efficace di
2
SMITH A. (2008), p.50
Teoria classica (Smith)
-Principio di razionalità assoluta;
-Rischio prevedibile
-Informazione perfetta
-Il prezzo incorpora perfettamente le
informazioni;
-Focus sull’efficienza
-Metafora della mano invisibile
Teoria alternativa ( Keynes)
-Principio di razionalità limitata
-Rischio imprevedibile
-Informazione imperfetta
-Il prezzo è spesso un’oscillazione
disallineata dalle informazioni
-Focus sull’emozionalità
-Metafora della reginetta di
bellezza
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quando intende realmente promuoverlo
3
”. Come si vedrà nei prossimi paragrafi, gli economisti
classici ritengono che la regolamentazione interna sia il criterio-guida attorno al quale organizzare i
mercati e le società, dato che ogni intervento esterno (da parte dello Stato, ad esempio) tende ad
alterare l’equilibrio naturale dettato dalla “mano invisibile”.
1.1) La teoria dell’equilibrio economico generale
La formalizzazione più riuscita del postulato di “regolamentazione interna” è senza dubbio la teoria
dell’equilibrio economico generale, per la quale il suo ideatore Kenneth Arrow fu insignito del
premio Nobel dell’economia nel 1972. L’obiettivo del contributo di Arrow è quello di dimostrare
come, a partire da scelte individuali razionali, si possa pervenire ad un equilibrio economico
collettivo che non necessita di aggiustamenti strutturali di rilievo e che si configura come privo di
sostanziale incertezza. Tale teoria esclude, in linea teorica, che possano avvenire dei “fallimenti” di
mercato e si pone in netta continuità con la tradizione smithiana: non solo distorcere il sistema della
concorrenza perfetta produce esiti inefficaci, ma altera in modo sostanziale la predisposizione
“naturale” degli individui ad assecondare solo ed esclusivamente il proprio self-interest.
Arrow, a premessa del proprio lavoro, cita la notissima costruzione teorica elaborata da Walras ad
inizio Novecento, nota come “paradigma walrasiano”
4
. Il concetto di mercato di concorrenza
perfetta è costruito da Walras come la rappresentazione ideale, senza attriti, del tipo reale del
mercato d’asta.
Per Walras l’asta altro non è che la rappresentazione semplificata di ciò che accade in tutti i mercati:
una libera interazione tra individui caratterizzati dai connotati dell’ “homo oeconomicus” (razionalità
assoluta, imperturbabilità, assenza di fattori emozionali nei processi economici) che produce un esito
di mercato sostenibile per tutte le parti in causa. La sommatoria di tutti questi esiti, in ogni mercato,
produce un “equilibrio concorrenziale generale”.
Secondo Walras l’equilibrio di concorrenza perfetta è la descrizione astratta di un modello
d’organizzazione fattibile, ma è anche il trionfo della ragione, in ottemperanza al credo positivista
dell’epoca. L’economia, in tale ottica, diventa una scienza “psichico-matematica” analoga alle
scienze fisico-matematiche, salvo il fatto che si occupa di grandezze psichiche al posto di grandezze
fisiche
5
.
Il modello di Arrow si inserisce in questa visione della realtà, approfondendo da un punto di vista
3
Ibidem, p.51
4
Fitoussi (2013), p.31
5
http://www.treccani.it/enciclopedia/walras_res-971b6318-8bb8-11dc-8e9d-0016357eee51_(Enciclopedia_Italiana)/
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logico-matematico ciò che Walras decenni prima supponeva teoricamente. Data l’alta complessità
concettuale e matematica del modello, in tale sede si accennerà solo alle sue conclusioni e alle strette
ipotesi restrittive.
Dato un insieme di mercati n in equilibrio, si afferma che tale equilibrio è frutto dell’ottimizzazione
congiunta di tutti gli agenti (consumatori e imprese) in base a precise funzioni obiettivo di utilità o
profitto (in coerenza con la visione secondo cui l’uomo economico massimizza la propria utilità a
scapito di qualsiasi considerazione basata su criteri di equità).
Il prezzo di equilibrio è il prezzo in cui l’offerta eguaglia la domanda: si presuppone, infatti, che ad
ogni livello di offerta esista un dato livello di domanda, cioè che l’offerta crei la propria domanda
(legge di Say
6
). La visione classica dell’economia tende quindi ad escludere che possano esistere
“crisi da domanda” – cioè crisi generate da una non sufficiente domanda aggregata di beni da parte
di consumatori, imprese e amministrazioni pubbliche – poiché ritiene che ad ogni livello di offerta
corrisponda necessariamente, per via dell’aggiustamento dei prezzi, una tale domanda. Il prezzo – e
quindi, in ultima analisi, il libero dispiegarsi degli scambi tra agenti economici razionali – è il
criterio ordinatore per determinare degli scambi di mercato efficienti; come si vedrà, non a caso, la
legge di Say è uno dei bersagli principali del paradigma keynesiano.
Ma l’ “offerta che crea la domanda” non è l’unica ipotesi restrittiva alla base dell’equilibrio generale.
Arrow elabora altre quattro ipotesi:
La tecnologia è vista come “esogena” al modello economico;
Le preferenze del consumatore sono esogene e i suoi comportamenti sono in linea con
quelli dell’ “homo oeconomicus”;
Tutti gli individui hanno una dotazione iniziale di beni che permette loro di sopravvivere
anche senza bisogno di compiere scambi di mercato.
Non esistono asimmetrie informative (tutto dispongono della stessa informazione)
La terza ipotesi è particolarmente gravida di conseguenze: per esempio, si prenda il mercato del
lavoro, che per Arrow è un mercato come tutti gli altri, governato dalla legge dell’equilibrio
concorrenziale. Esiste, quindi, sempre un prezzo del lavoro (salario) in cui domanda e offerta si
incontrano. I disequilibri si risolvono semplicemente con la libera interazione tra imprese e
lavoratori: allorquando vi è una problema di bassa offerta di lavoro – le imprese sono in crisi e
assumono poco – e di conseguente alta domanda di lavoro – i nuovi disoccupati cercano lavoro –
allora il salario si abbasserà fino a quando non si raggiungerà un nuovo equilibrio che consenta alle
6
Cfr http://it.wikipedia.org/wiki/Legge_di_Say
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imprese di massimizzare il proprio profitto e, congiuntamente, ai lavoratori di massimizzare la
propria utilità. La teoria classica non si preoccupa del fatto che il salario di equilibrio sia
effettivamente un salario di sopravvivenza, poiché premette che tutti gli agenti abbiano una
dotazione iniziale sufficiente per poter vivere anche senza dover lavorare. Inutile dire che una tale
conclusione sia chiaramente avversata dai keynesiani, che ne contestano la pura astrattezza.
Cionondimeno, come si vedrà nel prossimo paragrafo, i sostenitori dell’equilibrio economico
generale non hanno limitato la loro analisi ai soli mercati dei beni o del lavoro, ma hanno elaborato
una teoria coerente con l’assioma dell’homo “oeconomicus” anche nel campo dei mercati finanziari.
1.2) La teoria dei mercati finanziari efficienti
Si è visto come un sistema governato dalla concorrenza tenda ad un equilibrio stabile, ma cosa
accade nei mercati finanziari? Secondo l’ipotesi dei mercati efficienti, elaborata da Eugene Fama
(1970), i mercati finanziari sono anch’essi efficienti e, di conseguenza, la regolamentazione esterna
deve essere limitata al minimo. Il prezzo di equilibrio di una attività finanziaria riflette in modo
completo e continuo tutta l’informazione disponibile, posseduta in modo disomogeneo dai diversi
agenti del mercato, di modo da eliminare qualsiasi possibilità di extra profitto da parte degli agenti
che raccolgono direttamente informazione sul mercato rispetto a quelli che osservano, al contrario,
unicamente le oscillazioni del prezzo sul mercato di riferimento. Il prezzo di equilibrio aggrega
l’informazione posseduta dai singoli agenti e si adegua nel continuo all’arrivo di nuova
informazione.
Fama definisce tre livelli di efficienza informativa. Si ha efficienza in forma forte quando i prezzi
dei titoli riflettono tutte le informazioni rilevanti ai fini della valutazione del titolo: in questo caso tra
le informazioni rilevanti rientrano anche quelle strettamente confidenziali.
L'efficienza in forma semiforte si ha quando i prezzi riflettono tutta l'informazione disponibile,
limitando tale informazione a quella pubblica, quella comunicata dall'impresa, contenuta nei
documenti contabili, oppure divulgata da fonti pubbliche di informazione. L'efficienza in forma
debole si ha quando l'unica fonte informativa ai fini della valutazione del titolo è rappresentata dalla
serie storica dei prezzi passati, che risultano, tuttavia, non correlati (random walk).
In base alla teoria dei mercati efficienti, le bolle finanziarie – che si affronteranno nel seguito della
trattazione – sono eventi rari, se non impossibili: infatti, essendo l’informazione tendenzialmente
simmetrica, ogni attività finanziaria (azione, obbligazione, etc…) ha un prezzo pari al valore
attualizzato dei flussi di reddito futuri che questa attività genererà. Ogni operatore (trader) è in grado
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di stimare la redditività futura di un’azione, usando semplicemente le informazioni finanziarie
diffuse in maniera trasparente e chiara.
Inoltre, quand’anche si creasse una speculazione irrazionale basata su un’asimmetria informativa,
prima o poi sarebbe la maggioranza stessa degli operatori a “scoprire gli altarini”; in altre parole, il
mercato si auto-correggerebbe in caso di errore di valutazione.
1.3) Il ruolo superfluo delle politiche monetarie e fiscali: i neoliberisti
Stante quanto visto finora, risulta evidente che il paradigma classico dell’economia abbia una
visione decisamente critica dell’intervento pubblico nell’economia. Se i mercati sono in grado di
autoregolarsi e sanno anche gestire da soli eventuali errori e fallimenti, la regolamentazione statale
non può far altro che ostacolare il libero dispiegarsi delle forze invisibili della “mano” di cui parla
Adam Smith. Da qui nasce la diffidenza verso la pianificazione statale che tanti proseliti ha raccolto
soprattutto a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, quando il “neo-liberismo” ha trionfato nel
mondo anglosassone e ha fatto presa nelle università di mezzo mondo. Il neoliberismo, prendendo le
mosse dalla stagflazione
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degli anni Settanta (presentata come esito nefasto delle politiche di spesa
tipico del keynesismo), ha rispolverato un poderoso armamentario contro la “pianificazione statale”
in economia. Le politiche espansive - come l’aumento di spesa o la riduzione delle imposte - sono
presentati come rimedi peggiori della malattia: se per rilanciare l’economia lo Stato decide di ridurre
la tassazione, gli agenti economici - osservando la crescita del deficit di bilancio - invece di spendere
il reddito disponibile lo accantonano, prevedendo che l’anno seguente dovranno rimborsare
l’aumento di indebitamento pubblico dovuto al deficit di bilancio attuale.
Per quanto concerne le politiche monetarie, il discorso è simile: se la Banca centrale di uno Stato si
impegna in politiche aggressive di aumento della liquidità, tale aumento non avrà effetti benefici
sull’economia (se non marginali) poiché ingenererà un parallelo aumento dell’inflazione della
moneta, con rischi di una spirale inflazionistica. In breve, per i neoliberisti lo Stato deve limitarsi ai
seguenti obiettivi:
Liberalizzare il più possibile i settori non ancora aperti al gioco della concorrenza e
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Con tale termine si intende la situazione in cui sono congiuntamente presenti inflazione e stagnazione economica, cfr
http://it.wikipedia.org/wiki/Stagflazione