7
Come sappiamo i mercati presentano un andamento ciclico, di conseguenza gli investitori sono
portati ad “avvicinarsi” ad un certo mercato nel momento in cui esso attraversa un periodo di
espansione e quando cioè vi è la reale possibilità di ottenere dei guadagni dall’investimento in talune
attività; mentre quando un determinato mercato entra in una fase di contrazione i soggetti sono
solitamente propensi ad uscirne. Ecco quindi che i fenomeni come le bolle rappresentano fedelmente
tale andamento, nei momenti di espansione infatti la bolla inizia a crescere sospinta dalla voglia dei
soggetti di entrare in un mercato e il cui operare spinge al rialzo i prezzi dell’attività oggetto della
bolla; ma non appena tali soggetti si accorgono che l’aumento dei prezzi non è giustificato da un
effettivo miglioramento dei fondamentali ma è dipeso sostanzialmente da fenomeni speculativi,
escono dal mercato liquidando le loro posizioni e di conseguenza la bolla si sgonfia. Tale fase può
coincidere con la fase di contrazione del sistema economico, se il suo andamento era strettamente
collegato all’esistenza della bolla. Molto spesso lo “scoppio” di una bolla determina l’emergere di una
crisi finanziaria, come nel caso dell’ultima bolla immobiliare americana, i cui effetti possono essere
molteplici e nella peggiore delle ipotesi potrebbe trascinare l’economia in una fase di recessione, che
spesso costituisce la fase finale del ciclo economico.
Come vedremo nel corso della trattazione, vi sono stati nella storia diversi episodi speculativi, che
hanno dato vita a delle vere e proprie bolle su determinate attività, dalla mania dei tulipani in Olanda
nel ‘600 fino alla recente bolla immobiliare americana di inizio 2000, a testimonianza del fatto che tali
fenomeni possono colpire indistintamente il mercato finanziario (come nel caso del crollo del’87 o la
bolla delle dot-com) e/o il mercato reale.
Proprio su quest’ultima bolla (quella immobiliare), che costituisce un tema di estrema attualità,
dedicheremo la parte terza del nostro elaborato, e ne metteremo in luce le condizioni che ne hanno
permesso lo sviluppo, così come gli effetti sui mercati reali e finanziari. Vedremo come le decisioni di
politica economica e monetaria delle autorità governative abbiano un’influenza diretta nel determinare
fenomeni come le bolle, e vedremo anche come il fenomeno immobiliare americano abbia avuto, alla
luce della stretta interconnessione tra il mercato reale e quello finanziario, effetti negativi e a cascata
sul sistema creditizio e in particolare sulle banche e le assicurazioni collegate al settore dei mutui
subprime, e come il caos generato su tale sistema si sia poi propagato anche sulla Borsa americana,
i cui indici dalla fine del 2007 hanno registrato pesanti perdite perdendo complessivamente (a valori di
ottobre 2008) quasi il 50% della capitalizzazione di borsa prima dell’inizio della crisi.
La “finanziarizzazione” del sistema economico internazionale e la globalizzazione dei mercati
finanziari mondiali hanno “favorito” una propagazione internazionale della crisi, che ha fatto sentire i
8
suoi effetti sulle Borse di tutto il mondo e quindi anche sui bilanci di società estere1 (banche,
assicurazioni, imprese); molte di esse sono state oggetto di salvataggi da parte dei governi, altre di
fusioni, altre ancora hanno dichiarato fallimento, a causa della morsa del credito (c.d. credit crunch)
determinata dall’esistenza nel mercato di asset “tossici” (MBS, CDO) creati ad hoc dalle istituzioni per
trasferire mediante cartolarizzazioni il rischio connesso ai prestiti subprime.Tale meccanismo ha
funzionato e ha reso possibili elevati profitti dall’investimento in titoli cartolarizzati (c.d. derivati) fino a
quando il mercato immobiliare americano era in espansione, poi l’aumento dei tassi di interesse da
parte della Federal Reserve e la correzione del mercato immobiliare americano alla fine del 2005 con
pesanti riduzioni dei prezzi delle abitazioni (a causa dello sgonfiamento della bolla), hanno reso più
difficile per i soggetti onorare il rimborso del mutuo e così sono aumentati i pignoramenti e le
ipoteche. Di conseguenza la maggior parte dei titoli derivati che erano stati messi in circolazione il cui
valore sottostante era costituito dai mutui, sono diventati privi di valore, con ripercussioni negative sui
bilanci di banche, società, assicurazioni, fondi pensione, hedge funds che su di essi avevano investito
attirati dagli alti rendimenti e che erano sempre più difficili da rivendere sul mercato, in quanto
nessuno si rischiava più di acquistarli.
Molti esperti del settore e illustri economisti si sono interrogati sulle possibili cause che hanno
determinato l’aumento dei prezzi degli immobili negli Stati Uniti, e dall’analisi da noi condotta sono
emerse due differenti posizioni una che individua in un miglioramento dei fondamentali la causa del
boom immobiliare americano e l’altra invece sostiene che il boom sia stato determinato
esclusivamente da operazioni speculative sul mercato stesso. Fondamentalmente vedremo come in
qualsiasi mercato sia sempre presente una componente speculativa che in qualche modo influenza i
prezzi di un’attività alimentando una bolla potenziale, però la differenza consiste nello spessore che
questa componente ha rispetto l’intero mercato. Noi cercheremo di capire se la bolla del mercato
immobiliare americano si sia trattata di una “bolla speculativa pura” o se si sia trattata comunque di
una “bolla razionale”, e se di quest’ultimo caso si tratta cercheremo di vedere se la correzione del
mercato dalla fine del 2005 era prevedibile analizzando indicatori economici e finanziari elaborati
dall’OFHEO e da Case/Shiller.
1
Con “estere” qui intendiamo le società che non risiedono nel territorio degli Stati Uniti.
9
Parte prima
La dinamica dei prezzi: anomalie e bolle
10
Introduzione
Nei mercati finanziari vengono scambiate attività finanziarie di diverso genere, tra operatori
sostanzialmente eterogenei, ad un prezzo determinato dall’incontro della domanda e dell’offerta.
In tali mercati operano soggetti con differenti disponibilità di capitali, propensione al rischio e
aspettative di rendimento (di breve o di lungo termine). Spesso il lato dell’offerta è rappresentato dai
risparmiatori, i quali dispongono di un eccesso di liquidità e sono quindi disposti ad investire i loro soldi
detenuti spesso sottoforma di depositi bancari (quindi liquidi) con l’intento di ottenere un extra
rendimento tramite l’investimento in attività finanziarie; mentre il lato della domanda è caratterizzato
principalmente dalle imprese e in via secondaria dallo Stato e dalle banche che rappresentano i
soggetti in situazioni di deficit monetario. Le imprese richiedono costantemente liquidità al mercato per
poter svolgere la loro attività, garantendo agli investitori un rendimento dalle somme prestate a titolo di
investimento.
Il modo prevalente attraverso cui le imprese si finanziano avviene mediante la richiesta di prestiti alle
banche le quali li concedono a fronte del pagamento di un interesse; oppure si finanziano mediante
emissione di obbligazioni che vengono sottoscritte dagli obbligazionisti a fronte del pagamento da
parte dell’impresa di un interesse a cadenza periodica e garantendo il rimborso del capitale a
scadenza. Queste due forme tipiche fanno parte della categoria della raccolta monetaria delle imprese
attraverso l’indebitamento. Altra forma con cui le imprese o meglio le società di capitali raccolgono
capitale è mediante l’emissione di azioni o titoli di credito, che vengono sottoscritte e acquistate dagli
investitori i quali assumono lo status di azionista della società, percependo in cambio dividendi
periodici qualora questi siano previsti dal management, oppure acquistano azioni con la speranza di
futuri aumenti del valore in termini di prezzo e poter ottenere così un guadagno (capital gain) dalla
vendita delle stesse.
Negli ultimi anni sono nati nuovi strumenti finanziari più complessi rispetto agli strumenti tipici
(obbligazioni e azioni) che hanno permesso una notevole espansione della raccolta monetaria delle
imprese, attirando sempre più investitori in cerca di profitti.
Uno degli strumenti più innovativi e più discussi degli ultimi anni sono stati i derivati. I derivati sono
titoli il cui valore si basa sul valore di mercato di altri beni o attività (azioni, indici, opzioni, valute, tassi
di cambio per citarne alcune) che ne costituiscono il sottostante. Le operazioni più frequenti sui
derivati, i quali vengono negoziati prevalentemente in mercati OTC non regolamentati, sono
l’arbitraggio, la speculazione e la copertura (hedging) (v. infra paragrafo 1.4).
11
Ritornando al ruolo dei mercati finanziari come canalizzatori dei flussi di capitale internazionali, è
necessario capire quali sono i meccanismi di formazione dei prezzi delle attività che vengono poi
scambiate nel mercato.
Dato il rendimento atteso, che per la teoria dei mercati efficienti deriva dall’attualizzazione di tutti i
flussi di cassa futuri presunti di ciascuna attività, si formano i prezzi dei vari titoli. L’andamento del
prezzo dei titoli nel tempo è di tipo oscillatorio perché si aggiusta continuamente ai cambiamenti nelle
aspettative degli investitori sull’andamento futuro della società oggetto di valutazione. Una particolare
attenzione viene posta in questa prima parte del nostro elaborato, al modo in cui si formano le
aspettative degli investitori, le quali sono influenzate da diverse variabili quali, particolari tipologie di
indicatori macroeconomici, notizie e report delle società emittenti, le caratteristiche degli emittenti
stessi, il comportamento degli altri investitori, ecc.
In molti casi, come vedremo ampiamente nel corso della trattazione, l’andamento dei prezzi sfugge a
qualsiasi logica razionale e assume la forma peculiare di una bolla speculativa, che consiste in uno
scostamento temporaneo e non permanente tra il valore attribuito dagli investitori ad un titolo e il fair
value o valore fondamentale dello stesso (v. infra capitolo 2).
Per questo motivo, e cioè il manifestarsi di fenomeni come le bolle, il mercato finanziario viene spesso
indicato come “economia-mercato virtuale” in contrapposizione con l’“economia-mercato reale” che si
fonda invece sui veri valori o fondamentali dell’economia. I prezzi dei titoli dovrebbero rispecchiare i
fondamentali (come l’andamento degli utili), ma nella realtà dei mercati finanziari come vedremo essi
sono spesso influenzati da altri fattori, che a loro volta influenzano la razionalità e il comportamento
umano.
Abbiamo qui ritenuto opportuno scindere in due capitoli la prima parte, dedicando un capitolo alla
spiegazione di come vengono valutati i titoli, qual è il loro andamento e quali sono le strategie di
investimento prima secondo la teoria dei mercati efficienti e poi riportando un paio di contributi
derivanti dal nuovo filone della finanza comportamentale. Il secondo capitolo invece ruota attorno al
concetto di bolla e verrà data una spiegazione dei vari tipi di bolle che possono presentarsi nei
mercati.
L’obiettivo del capitolo 1 è capire come si formano i prezzi dei titoli, quali sono i motivi per cui a volte i
corsi o rendimenti divergono dal valore fondamentale, e vedremo anche la dicotomia teorica tra coloro
che vedono nei titoli un andamento di tipo random walk e coloro invece che intravvedono una certa
razionalità negli scostamenti e sostengono l’esistenza di un processo naturale di mean reversion nel
lungo periodo.
12
Ci soffermeremo inoltre (paragrafo 1.4) sulle strategie che gli investitori possono utilizzare per “battere
il mercato”, tenendo in considerazione che nei mercati operano soggetti con una diversa propensione
al rischio, in relazione al rendimento atteso.
Concluderemo il primo capitolo con un accenno alle strategie proposte dalla finanza comportamentale
(paragrafo 1.5), che costituisce una novità nel panorama dei mercati finanziari e nella spiegazione
della loro dinamica nel tempo.
Lo scopo del capitolo 2 è innanzitutto di definire il fenomeno delle bolle finanziarie e vedremo poi nel
capitolo 5 come tali fenomeni siano stati frequenti nel corso della storia. Cercheremo di capire perché
gli scostamenti tra i prezzi e i valori fondamentali delle attività spesso degenerano in fenomeni come
le bolle, che rappresentano deviazioni temporanee durante le quali i prezzi raggiungono livelli così
elevati che non sono giustificati dai fondamentali.
Il nodo cruciale ruota attorno ai concetti di razionalità e irrazionalità e verranno elencati e discussi i
principali modelli di bolle che sono stati sviluppati nel corso degli anni da diversi autori e cercheremo
confrontandoli tra loro di mettere in luce somiglianze e diversità insite a ciascun modello.
13
Capitolo 1 – Prezzi di mercato e strategie di investimento
1.1 Il capital asset pricing model, come modello di equilibrio dei mercati finanziari.
A partire dalla dicotomia economia reale vs virtuale, ci viene da pensare se esista una qualche
relazione tra i rendimenti dei titoli e le variabili dell’economia reale.
I tipi di relazione che possono sussistere tra i rendimenti del mercato finanziario e le variabili
dell’economia reale sono essenzialmente di 4 tipi:
variazioni nell’andamento dell’economia reale (attività economica) possono comportare
variazioni sulle aspettative di rendimento degli investitori;
variazioni nel mercato finanziario anticipano variazioni nella dinamica dell’economia reale in
due casi: a) i rendimenti positivi o negativi delle attività finanziarie influenzando la ricchezza
complessiva influenzano anche le decisioni di produzione e di consumo, b) l’andamento del
mercato finanziario dipende dalle aspettative sul futuro andamento dell’economia, che se
razionali dovrebbero essere in grado di anticipare recessioni e/o espansioni;
può essere che economia reale e virtuale si influenzino a vicenda e in maniera simultanea, tale
per cui a variazioni nell’economia reale corrispondono variazioni nell’economia virtuale e
viceversa;
può essere che non esista alcuna relazione tra le due economie, cosa che peraltro non è ad
oggi mai stata verificata.
Sono stati compiuti una molteplicità di studi che hanno permesso lo sviluppo di vari modelli di pricing,
nel tentativo di fornire una spiegazione circa il meccanismo di formazione dei prezzi e la
determinazione dei rendimenti, e anche come modelli di rappresentazione dell’equilibrio generale dei
mercati.
Tali modelli sono utili agli investitori per gestire in maniera oculata i propri capitali, individuando titoli
con un rapporto rendimento-rischio accettabile e quindi in linea con la propensione al rischio
individuale di ciascun soggetto.
Noi qui ci soffermeremo solamente su uno dei più importanti modelli ovvero l’approccio del CAPM, in
ragione del fatto che esiste già una dettagliata esposizione dei vari modelli in numerose pubblicazioni
e in quanto, tale obiettivo esula dall’intento del nostro elaborato.
14
Il capital asset pricing model o CAPM di Sharpe (1964)2, Lintner (1965) e Mossin (1966) è un modello
di equilibrio dei mercati finanziari che ha segnato l’inizio dell’”asset pricing theory”3. Tale modello è
ancora oggi ampiamente utilizzato dalle imprese e dai gestori di portafoglio come misura del rischio e
della relazione tra rischio e rendimento (atteso) dei titoli azionari.
Tale approccio prevede che il rischio associato ad un titolo debba essere misurato in relazione ad un
portafoglio di mercato che comprenda oltre ad attività finanziarie anche altre variabili (quali il capitale
umano, il real estate, ecc.), anche se in realtà l’approccio classico considera le sole attività finanziarie.
Il CAPM è costruito a partire dalla teoria della frontiera dei portafogli sviluppata da Markowitz (1959) di
cui riprende tre ipotesi:
tutti gli investitori sono avversi al rischio e massimizzano la propria utilità attesa;
tutti gli investitori selezionano i propri portafogli in base al rendimento medio atteso e alla
deviazione standard dei rendimenti del portafoglio stesso, adottando quindi il criterio media-
varianza;
tutti gli investitori decidono sulla base di un orizzonte uni periodale.
Per frontiera dei portafogli si intende un qualsiasi insieme di portafogli che soddisfano un criterio di
razionalità nelle scelte di investimento degli operatori. Il modello assume che gli operatori siano
essenzialmente avversi al rischio e quando devono scegliere tra diversi portafogli, la loro scelta ricade
su quello a minima varianza e quindi a minor rischio a parità di rendimento atteso.
Il portafoglio scelto è quello per cui:
a) viene minimizzata la varianza dei rendimenti, dato il rendimento atteso
b) viene massimizzato il rendimento atteso, data la varianza
L’ipotesi di preferenza media-varianza è apparentemente sensata ma in realtà è limitativa, in quanto
essa implica delle restrizioni sulle differenti tipologie delle funzioni di utilità, che rappresentano le
preferenze degli operatori di mercato. Il fatto è che ciascun soggetto ha una propria funzione di utilità,
tale per cui operatori diversi possono trarre un diverso grado di soddisfazione o utilità dal “possedere
denaro” e di conseguenza avere un diverso rapporto rischio-rendimento, in relazione alla particolare
conformazione della frontiera efficiente.
2
"Capital Asset Prices: a Theory of Market Equilibrium Under Conditions of Risk" Sharpe, W.F.,
3
“The Capital Asset Pricing Mode: Theory and Evidence”, E.F. Fama e K. R. French
15
Il CAPM ipotizza che il profilo rischio-rendimento atteso di un portafoglio possa essere ottimizzato,
determinando un portafoglio ottimo, il quale presenta il minor livello di rischio (varianza o deviazione
standard) a parità di rendimento atteso. La soluzione di un tale problema di ottimizzazione porta alla
definizione della frontiera dei portafogli, e il portafoglio ottimale può o meno ricadere sulla frontiera
stessa.
Sharpe e Litner hanno integrato le tre precedenti ipotesi con altre quattro assunzioni:
l’orizzonte uni periodale adottato da ogni investitore è lo stesso per tutti gli investitori;
ogni investitore può investire oppure prendere a prestito senza nessuna limitazione a un
medesimo tasso privo di rischio che è uguale per tutti gli investitori;
gli investitori hanno aspettative omogenee circa i rendimenti attesi, le varianze e le covarianze
dei rendimenti attesi di tutte le attività rischiose nelle quali possono investire;
non esistono tasse, né costi di transazione o altre imperfezioni di mercato.
Un elemento importante è che, in base alle ipotesi aggiuntive, non solo gli investitori cercheranno di
sfruttare al massimo i benefici offerti dalla diversificazione tentando di ricavare la frontiera efficiente e
scartando qualsiasi altro portafoglio che non si trovi su di essa, ma soprattutto la frontiera efficiente
stimata sarà la stessa per tutti gli investitori, questo perché tutti gli investitori valutano i possibili
investimenti alternativi sulla base del medesimo orizzonte temporale (da t a t+1) e sulla base delle
stesse stime circa rendimenti attesi, varianze e covarianze delle attività finanziarie.
La figura 14 sintetizza le possibilità di investimento così come previste dall’approccio del CAPM.
Figura 1. Opportunità di investimento
4
“The Capital Asset Pricing Model: Theory and Evidence”, E.F. Fama e K. R. French
16
Dalla figura si può notare come la porzione della frontiera efficiente, in termini di rischio-rendimento,
nel caso di attività rischiose sia la porzione compresa tra “a e b” della frontiera di minima varianza
(abc). Una persona che voglia un alto rendimento (punto “a”) deve accettare anche un più alto rischio
misurato sull’asse delle ascisse e viceversa un soggetto con un’avversione al rischio maggiore si
posizionerà in un punto a sinistra del punto “a” accettando un più basso rendimento (il minimo
efficiente è rappresentato dal punto “b”). Se consideriamo anche la frontiera efficiente nel caso di
attività prive di rischio otteniamo un portafoglio che è una combinazione di un titolo privo di rischio e
un portafoglio di attività rischiose tangente nel punto T come previsto dal Teorema della separazione
di Tobin5. Una persona infatti potrebbe decidere di investire una frazione della propria ricchezza in
attività rischiose e la parte rimanente in liquidità ottenendo in cambio un tasso privo di rischio,
potrebbe altresì prendere a prestito capitali ad un tasso privo di rischio per finanziare l’investimento in
attività rischiose. In tal caso il rendimento di portafoglio sarà una combinazione lineare del rendimento
privo di rischio e del rendimento del complesso delle attività finanziarie rischiose. Per un dato livello
del tasso di interesse privo di rischio esiste soltanto un portafoglio ottimale (di minima varianza) che
combinato con la liquidità, consente di sostenere il minor rischio possibile e tale portafoglio è detto
portafoglio di mercato. Il contributo di James Tobin allo sviluppo della Moderna Teoria di Portafoglio
viene spesso trascurato, essendo lo stesso Tobin ricordato principalmente per la Tobin Tax. Tuttavia
Tobin, partendo dall’idea di Markovitz secondo cui la diversificazione tra attività rischiose riduce il
rischio complessivo del portafoglio, contribuì a un notevole perfezionamento della teoria chiedendosi
cosa succedesse in termini di rischio e di rendimento se si combinassero attività rischiose con attività
prive di rischio. I concetti che egli descrisse in “Liquidity Preference as Behaviour Towards Risk”, sono
conosciuti come “Terorema di separazione” separazione, per l’appunto dall’approccio di Markovitz il
quale distingueva nettamente la scelta se investire in attività rischiose o in attività risk-free. Tobin
diceva che se è possibile investire in un’attività priva di rischio, allora la frontiera efficiente deve tener
conto anche del punto Rf sull’asse delle ordinate. Questo evento, che allarga la regione ammissibile,
fa si che la combinazione efficiente di portafoglio sia determinata dal punto di tangenza tra la frontiera
efficiente e la tangente che passa per il punto Rf.
Il nucleo del CAPM è una relazione tra il rendimento di qualsiasi titolo (R
i
) e il rendimento del
portafoglio di mercato (Rm) che può essere espressa come:
)(RiE = ( )[ ]
imfmf RRER β−+ (SML)
5
Vedi per un’analisi più approfondita del teorema della separazione di Tobin in "Liquidity Preference as Behaviour Towards Risk" J. Tobin
17
tale per cui il rendimento atteso di un titolo è dato dalla somma del tasso privo di rischio più un premio
per il rischio, e β
im misura la sensibilità del titolo ad una variazione del portafoglio di mercato ed è dato
da:
β
im =
)(
),cov(
2 Rm
RmRi
δ
Matematicamente il β esprime il rapporto tra la covarianza dei rendimenti del titolo i-esimo e del
portafoglio di mercato e la varianza dei rendimenti di quest’ultimo e assume valori che oscillano
attorno allo zero. Misura l’attitudine del titolo a variare in maniera maggiore β>1 (titolo aggressivo) o
minore β<1 (titolo difensivo) dell’indice di riferimento. Inoltre misura l’attitudine del titolo a variare nella
stessa direzione β>0 o in direzione contraria β<0 dell’indice di riferimento. Il contributo dato dal
singolo titolo alla varianza dei rendimenti del portafoglio di mercato dipende non dalla varianza dei
rendimenti del titolo, ma solo dalla covarianza fra il suo rendimento e il rendimento del portafoglio di
mercato.
La relazione espressa tra il β (rischio sistematico del titolo o del portafoglio stesso) e il rendimento
dell’attività i-esima è sintetizzata dalla SML (figura 2).
Figura 2. Security market line
Dal grafico si può notare il rapporto tra rendimento e beta del titolo i-esimo. L’intercetta sull’asse delle
ordinate coincide con il tasso privo di rischio e ad ogni punto che giace sulla retta nel quadrante di
destra corrisponde un rendimento dato dalla somma tra il tasso privo di rischio e il risk premium.
Sull’asse delle ascisse il rischio è misurato dal beta e non dalla deviazione standard dei rendimenti
come nella CML (Capital Market Line), poiché per i titoli e per i portafogli non efficienti il mercato
remunererà solo e soltanto il rischio sistematico, mentre il rischio diversificabile deve essere eliminato
dall’investitore mediante appunto un’opportuna e diversificata composizione di portafoglio.
18
Una modalità alternativa6 per esprimere la relazione rendimento atteso-rischio ricavata dal CAPM è
quella di ragionare in termini di excess return (o premio al rischio), che consiste nel differenziale di
rendimento rispetto al tasso privo di rischio. Dall’equazione della SML si ottiene:
RfRiE −)( = [ ]RfRmEi −)(β
che significa che l’excess return di ogni titolo (parte destra dell’equazione) deve essere pari all’excess
return del portafoglio di mercato moltiplicato per il beta del titolo. L’excess return consiste nel premio
al rischio attribuito dall’investitore e sarà quindi proporzionale al rischio sistematico del titolo o del
portafoglio stesso.
Dopo aver derivato il modello, seppur nella sua versione base, e cercato di interpretarne il significato,
vediamo ora qual è la sua applicazione principale in finanza ovvero la valutazione delle attività
finanziarie.
Il CAPM fornisce un rendimento atteso E(Ri), che in realtà costituisce un tasso di sconto che serve a
scontare (attualizzare) i flussi di cassa futuri generati dall’attività in oggetto, data la rischiosità della
stessa. Ne discerne che un’attività rischiosa (β>1) verrà scontata ad un tasso più elevato rispetto ad
un’attività meno rischiosa (β<1), in quanto a fronte di un maggior rischio è richiesto un maggior
rendimento. Quindi tale situazione è coerente con l’ipotesi di base dell’approccio del CAPM, cioè
quella secondo la quale affinché un investitore detenga un’attività più rischiosa è necessario che il
rendimento atteso sia più elevato. Poiché il coefficiente beta riflette la sensibilità di un’attività
finanziaria rispetto a un rischio di mercato non diversificabile, il mercato stesso sarà caratterizzato da
un beta uguale a uno. Frequentemente indici di mercato caratterizzati da un’ampia composizione,
vengono utilizzati come proxy per l’intero mercato, in tal caso per definizione il loro beta sarà uguale a
uno. Ciò non significa che un indice di mercato costituisca a tutti gli effetti un portafoglio di mercato da
prendere come riferimento, e questa osservazione è stata utilizzata da Roll per contestare la validità
universale del CAPM. Per contro è altrettanto vero che un investitore che detenga una posizione in un
portafoglio ampio e quindi diversificato (quale potrebbe essere quello di un fondo comune) può
attendersi una performance in linea con quella di mercato.
Una volta determinato il rendimento atteso, i cash flow futuri dell’attività possono essere scontati e si
ottiene così il prezzo corretto dell’attività. Quindi in via teorica un’attività ha un prezzo corretto se e
solo se tale prezzo coincide con il prezzo ricavato dall’applicazione dell’asset pricing model ad un
modello di valutazione dei titoli, come per esempio il modello di Gordon (che vedremo più avanti). Se il
6
“L’economia nel mercato mobiliare”, P. Fabrizi, capitolo 10
19
prezzo di mercato è superiore al prezzo teorico si dice che l’attività è sopravvalutata (overpricing) e
viceversa se il prezzo di mercato è inferiore al prezzo teorico si dice che l’attività e sottovalutata
(underpricing). La prima attività è da vendere mentre la seconda attività è da comprare. Una tale
valutazione potrebbe essere compiuta anche sulla base dei rendimenti attesi e mediante il supporto
del grafico della SML. Infatti conoscendo i prezzi di mercato e avendo stimato il dividendo futuro “D” e
il tasso di crescita “g”, si potrebbe utilizzare la formula di Gordon per stimare il tasso di rendimento del
titolo, così se i rendimenti stimati sono maggiori rispetto a quelli che sarebbero giustificabili tenendo
conto dei beta, saremo in presenza di un titolo sottovalutato che conviene comprare e viceversa nel
caso in cui il rendimento stimato sia inferiore a quello di mercato.
Nonostante quest’approccio sia ampiamente utilizzato dagli operatori di mercato (analisti, gestori di
portafoglio, ecc.) tuttavia presenta dei limiti, che sono stati messi in luce dai modelli sviluppati
successivamente7, di cui noi ne riportiamo alcuni a mero titolo espositivo:
il CAPM ipotizza che un investitore richieda un rendimento atteso più elevato per un rischio
maggiore, e non ammette che un investitore accetti un rendimento minore, o un rischio
maggiore;
il CAPM ipotizza che tutti gli investitori abbiano la stessa idea sulla rischiosità e sul
rendimento atteso di tutte le attività finanziarie scambiate sul mercato (omogeneità degli
investitori);
il CAPM ipotizza l'esistenza di un tasso privo di rischio, a cui tutti gli investitori possono
investire e prendere a prestito illimitatamente;
è difficile stimare il β di un singolo titolo, meglio sarebbe poter stimare la rischiosità
implicita di un portafoglio di titoli, e un metodo utile è la regressione a due passi di Fama-
Mc Beth8 la cui esposizione non rientra nei fini del nostro elaborato;
qualunque test del CAPM sarebbe per Roll riconducibile all’ipotesi che il portafoglio di
mercato, il cui rendimento è indicato da Rm, appartenga alla porzione efficiente della
frontiera dei portafogli9. Ciò comporta che in realtà l’approccio dei CAPM non è
sottoponibile a verifica empirica generale, in quanto su di essa influisce la composizione di
portafoglio scelta dal soggetto che dovrebbe, per essere esaustivo, comprendere tutte le
7
Vedi sviluppi successivi della teoria dell’asset pricing in “The Capital Asset Pricing Model: Theory and Evidence”, di E.F.Fama e
K.R.French.
8
“The Capital Asset Pricing Model: Theory and Evidence”, di E.F.Fama e K.R.French
9
"A Critique of the Asset's Pricing Theory's Tests: Part I" R. Roll.
20
attività che sono suscettibili di essere scambiate sul mercato e non solo le attività
finanziarie.
1.2 Valori economici vs. prezzi di mercato.
Molto spesso i prezzi delle attività divergono dal valore corretto o valore fondamentale di mercato, che
è quel valore che viene solitamente calcolato, come visto in precedenza, mediante applicazione di
un’asset pricing model. Questo scostamento tra il fair value di un titolo e il suo prezzo reale di mercato
dipende da numerosi fattori, quali per esempio un’errata interpretazione da parte del pubblico degli
investitori del vero valore intrinseco di un’attività, oppure perché gli operatori seguono le mosse di altri
operatori (herding behaviour), oppure perché essenzialmente operatori diversi dispongono di
informazioni diverse sulla base delle quali formano le loro aspettative di prezzo (asimmetrie
informative).
Secondo gli economisti10 che basano le loro considerazioni sugli assunti di razionalità delle aspettative
e dei comportamenti, il prezzo di un’attività di solito coincide con il valore fondamentale, nel senso che
il prezzo deve per forza derivare da informazioni veritiere sul rendimento presente e futuro dell’attività
stessa e quindi qualsiasi scostamento dal fair value è una conseguenza del comportamento
irrazionale degli individui o di parte di essi.
Dal canto loro gli operatori finanziari rispondono che nella realtà vi possono essere degli scostamenti
di prezzo di un’attività dal valore fondamentale, senza che ciò implichi direttamente un comportamento
irrazionale da parte degli individui. Infatti i prezzi possono essere influenzati da fattori esterni purché
essi siano considerati rilevanti da alcuni operatori, quindi la razionalità del comportamento e delle
aspettative non implica necessariamente che il prezzo di mercato debba eguagliare il valore
fondamentale, possono esserci degli scostamenti razionali che danno vita a bolle razionali (v.infra par.
2.2.).
Innanzitutto degli scostamenti possono verificarsi perché vi sono degli individui (operatori) che
operano in free riding, si limitano cioè ad osservare ciò che gli altri operatori fanno o dicono perché
credono che tali soggetti siano degli investitori diligenti che analizzano costantemente l’andamento dei
titoli e che quindi si possa prendere per buono, senza bisogno di ulteriori indagini, il modo in cui tali
operatori si comportano.
10
“Efficienza e stabilità dei mercati finanziari”, G. Vaciago e G. Verga