4
dalle imprese per il miglioramento delle performance ambientali, come ad esempio la
certificazione in base alla norma internazionale ISO 14001/96 e la registrazione EMAS.
A loro volta le imprese saranno sempre più obbligate a compiere un salto di qualità
nella comunicazione e nella trasparenza delle proprie performance (economiche,
finanziarie, ambientali, sociali) poiché già oggi le banche, a fronte delle consistenti
sofferenze registrate negli ultimi anni, stanno rivedendo i criteri di valutazione e
concessione dei prestiti, al fine di individuare tutti i fattori che minano le condizioni di
equilibrio economico-finanziario dei soggetti richiedenti credito.
Da queste considerazioni appare evidente che per il sistema bancario l’analisi delle
variabile ecologiche sarà sempre più un elemento di fondamentale importanza per
valutare i diversi rischi che possano intaccare il valore di un’azienda affidata.
Inoltre il nuovo Regolamento EMAS oggi impone, alle banche che hanno ottenuto la
registrazione, di identificare e valutare anche gli aspetti ambientali indiretti, cioè quegli
aspetti che producono impatti derivanti da attività non gestite né controllate
direttamente dall’organizzazione in modo diretto e totale, ma che sono comunque da
essa influenzabili. Nell’ambito degli aspetti ambientali indiretti assumono
un’importanza determinante proprio quelli legati alle attività delle imprese clienti.
Tra queste, genera danni ambientali anche l’attività agricola. Questa, realizzandosi a
diretto contatto con l’ambiente, rappresenta certamente l’attività produttiva che più da
esso dipende ma che allo stesso tempo produce dei rilevanti impatti sulle numerose
componenti dell’ambiente naturale. Sono conseguenza dell’attività agricola le
molteplici trasformazioni delle specie vegetali e animali, i cambiamenti degli habitats,
l’inquinamento delle acque superficiali e profonde, l’irrazionale disboscamento e il
degrado dei suoli. Inoltre la gestione non perfettamente agevole o controllata dello
smaltimento degli scarichi liquidi, fangosi, o solidi (soprattutto quelli tossici o nocivi),
non opportunamente trattati, provenienti da attività industriali, agricole o urbane,
determina effetti negativi oltre che sul territorio anche sulla salute umana.
In questo scenario, i sistemi di rating ambientale di credito rappresentano oggi lo
strumento più innovativo a disposizione delle banche per ridurre il rischio ambientale
legato alla concessione dei finanziamenti, cioè per individuare e valutare
approfonditamente i potenziali impatti ambientali connessi all’attività dei soggetti
5
richiedenti credito. Allo stesso tempo questi strumenti consentono di rispondere
adeguatamente all’esigenza espressa dal Nuovo Accordo di Basilea di adottare nelle
banche nuovi e più analitici strumenti per la misurazione del rischio creditizio,
operativo e di mercato.
Questo lavoro si propone di analizzare lo scenario entro cui le tematiche ambientali
coinvolgono l’attività di erogazione del credito delle banche; in particolare l’attenzione
sarà concentrata sugli aspetti ambientali indiretti poiché, per il settore bancario, sono
decisamente più importanti rispetto a quelli diretti, a causa dei molteplici modi con i
quali gli istituti di credito interagiscono con il tessuto produttivo e commerciale.
Nel primo capitolo sarà fornita una definizione di sviluppo sostenibile, poiché questo
rappresenta il principio ispiratore di tutte le politiche di intervento a tutela dell’ambiente
adottate a livello nazionale, europeo e internazionale. Inoltre le banche assumono un
ruolo fondamentale per lo sviluppo sostenibile poiché, essendo al centro del sistema
finanziario, determinano quali imprese hanno accesso ai capitali e a quali condizioni. In
questo modo quindi possono influenzare e interferire con le scelte delle imprese in
modo da indirizzare le risorse verso le “attività più pulite”.
Nel capitolo successivo saranno esaminati i principali strumenti volontari di politica
ambientale (Sistemi di Gestione Ambientale, marchi ecologici di prodotto, ecc.),
adottati dalle imprese ed orientati allo sviluppo sostenibile, che traggono origine dalla
Conferenza di Rio del 1992 e introdotti successivamente da parte della Comunità
Europea, del governo e degli organismi di normazione volontaria. La scelta di fornire
un’ampia panoramica su tali strumenti volontari è motivata dal fatto che questi si stanno
diffondendo in tutto il mondo in alternativa a quelli finora adottati per lo sviluppo
sostenibile di carattere fiscale, tariffario e finanziario.
Le banche, quindi, devono riservare particolare attenzione a questi come ad altri
strumenti (bilanci ambientali, rapporti ambientali), poiché contengono importanti
informazioni sulle performance e sull’impegno ambientale delle imprese che vanno a
finanziare.
Nel terzo capitolo verrà descritto come la questione ambientale viene affrontata dalle
istituzioni finanziarie. In particolare verrà trattato il regime della responsabilità per
danno ambientale, che come tale può coinvolgere le banche al risarcimento dei danni
6
prodotti dalle imprese clienti. Sempre in questo capitolo saranno presentati anche i
principali rischi ed opportunità che l’ambiente può generare per gli istituti di credito e le
compagnie di assicurazione.
Un’altra parte della trattazione studierà in maniera più approfondita i modelli di rating
interno, fornendone una definizione e illustrando come questi si collochino nell’ambito
dei nuovi indirizzi internazionali di vigilanza. Saranno inoltre esposte le principali
disposizioni del Nuovo Accordo di Basilea, fonte di un vivace ed ampio dibattito tuttora
in corso, e descritte le fasi che caratterizzano la costruzione di un sistema di rating
interno, oltre che come queste incidono sull’assetto organizzativo di una banca.
L’ultimo capitolo infine descriverà come la variabile ambientale possa essere inserita
nelle tradizionali istruttorie di fido, al fine di misurare il rischio ambientale delle
imprese clienti. Verranno inoltre trattate le principali caratteristiche dei modelli di rating
ambientale creditizio, oltre ai maggiori vantaggi che l’impiego di questi strumenti può
produrre non solo per le banche ma anche per i clienti affidati.
A conclusione del capitolo saranno inoltre riportate le esperienze di alcune banche nella
valutazione del rischio ambientale della controparte nel processo di erogazione del
credito. In particolare sarà analizzato il sistema di rating ambientale creditizio di MPS
BancaVerde, la banca del gruppo Monte dei Paschi di Siena specializzata
nell’erogazione di finanziamenti alle imprese che operano nel settore dell'agricoltura,
dell’agroindustria e dell’ambiente, e che ormai da diversi anni si è impegnata ad
integrare la variabile ambientale nelle tradizionali procedure di affidamento attraverso la
costruzione di sistemi innovativi di misurazione del rischio ambientale delle imprese
affidate. MPS BancaVerde rappresenta inoltre la testimonianza concreta di come un
istituto di credito può operare a favore dello sviluppo sostenibile e dell’eco-efficienza di
tutti i comparti produttivi, attraverso la selezione dei progetti che presentano elevati
livelli di eco-efficienza, e l’incoraggiamento alle aziende ad affrontare innovazioni di
processo per rendere più compatibile la loro attività con l’ambiente.
7
CAPITOLO I
ECO RESPONSABILITA’ E SVILUPPO SOSTENIBILE
8
1.1 PREMESSA
Nel corso degli ultimi decenni i problemi di inquinamento e di deterioramento delle
risorse naturali si sono aggravati notevolmente e tutto ciò ha prodotto
un’intensificazione delle iniziative di politica ambientale, sia a livello nazionale che
internazionale.
Lo sviluppo sostenibile rappresenta oggi l’unica soluzione realistica di fronte al
notevole aggravarsi dei problemi ambientali ed alla crisi del rapporto tra sviluppo e
limitatezza delle risorse, salvo che non si vogliano sostenere alternative poco plausibili,
come lo sviluppo zero, ossia stravolgere le nostre abitudini di vita frenando il
consumismo e la crescita dei bisogni.
Il concetto di sviluppo sostenibile è molto vasto e comprende varie problematiche, quali
la crescita demografica, il degrado ambientale, la crescita del reddito, nonché il ruolo
delle istituzioni a livello nazionale ed internazionale. Lo sviluppo sostenibile, infatti,
non è qualcosa di automatico e spontaneo; sono necessarie delle appropriate politiche
pubbliche per favorire investimenti specifici nelle tecnologie ambientali, e la presenza
per le imprese di adeguati stimoli ad effettuare investimenti in prevenzione ambientale
provenienti dal mercato.
Prima di definire lo sviluppo sostenibile va definita però la sostenibilità, vale a dire: la
gestione di una risorsa è sostenibile se, nota la sua capacità di riproduzione, non si
eccede nel suo sfruttamento oltre una determinata soglia.
La sostenibilità ambientale è alla base del conseguimento della sostenibilità economica;
per lo sviluppo sostenibile è fondamentale il riconoscimento dell'interdipendenza tra
economia ed ambiente: danneggiare l'ambiente equivale a danneggiare l'economia.
A differenza del modello di sviluppo dell’economia classica, che concepiva la scienza
come uno strumento per dominare la natura e sfruttare le sue leggi, lo sviluppo
sostenibile si prefigge, al contrario, di creare un nuovo modello non tanto di crescita
quanto, appunto, di sviluppo.
9
1.2 LO SVILUPPO SOSTENIBILE COME ORIENTAMENTO STRATEGICO
DI FONDO
L’espressione sviluppo sostenibile è diventata molto popolare sul finire degli anni ’80
quando è emersa la consapevolezza a livello mondiale che le risorse naturali della terra
devono essere tutelate attraverso pianificazioni strategiche e che la natura ha un ruolo
fondamentale nell’economia.
Il percorso dello sviluppo sostenibile è iniziato negli anni ’70, quando per la prima volta
113 nazioni si sono incontrate a Stoccolma in occasione della Conferenza di
Stoccolma delle Nazioni Unite (1972) ed hanno adottato i primi principi di sviluppo
sostenibile (principio n.3), riconoscendo nella difesa e nel miglioramento dell’ambiente
“uno scopo imperativo per tutta l’umanità”, da perseguire insieme a quelli fondamentali
della pace e dello sviluppo economico e sociale mondiale.
La prima definizione è stata invece formulata nel rapporto della Commissione
Mondiale per l’Ambiente e lo Sviluppo nel 1987 (Rapporto Brundtland – “Our
common future”).
Il Rapporto Brundlandt
1
definisce lo sviluppo sostenibile come :
uno sviluppo in grado di soddisfare i bisogni delle generazioni attuali senza
compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri
bisogni;
un processo nel quale lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli
investimenti, l'orientamento dello sviluppo tecnologico ed il cambiamento
istituzionale sono tutti in armonia, ed accrescono le potenzialità presenti e
future per il soddisfacimento delle aspirazioni e dei bisogni umani
2
.
1
Nel 1987 la Commissione Mondiale sull’ambiente e lo sviluppo delle Nazioni Unite, sotto la presidenza
di G.H. Brundtland emanò il documento Our Common Future, noto anche come Rapporto Brundtland.
Nel Rapporto è contenuta la definizione ormai comunemente accettata di sostenibilità «meeting the needs
of the present generation without compromising the ability of the future generation to meet their own
needs».
2
In altri termini è sostenibile lo sviluppo che permette una crescita economica senza determinare una
diminuzione della disponibilità delle risorse naturali per le generazioni future.
10
Questa definizione di sviluppo sostenibile va oltre il bilanciamento dell’aspetto
economico con la conservazione dell’ambiente naturale; chiama infatti in causa tutte e
tre le dimensioni dello sviluppo: economica, ecologia e etica.
Figura 1 - La «triade» della sostenibilità
Questo significa che nella dimensione ecologica il cammino dello sviluppo è sostenibile
solo se vengono garantiti a lungo termine gli equilibri dell’ecosfera: le risorse
rinnovabili devono cioè essere usate in modo sostenibile e l’uso di risorse non
rinnovabili deve essere ridotto al minimo.
Per sostenibilità economica si intende invece alti livelli occupazionali, bassi tassi di
inflazione e stabilità nel commercio internazionale. Tutto questo oggi viene misurato
con il PIL ma, essendo questa grandezza inappropriata per rendere conto dei danni
recati all’ambiente e dei relativi costi per la collettività, si cerca di creare strumenti
nuovi come il PIL verde, in grado di “pesare” il degrado ambientale.
L’altra dimensione dello sviluppo sostenibile come abbiamo detto è quella sociale, che
ha a che fare con l’equità distributiva, con i diritti umani e civili, con lo stato dei
bambini e delle donne, con l’immigrazione e con i rapporti tra le nazioni. Non è raro
che, come accade in Italia, si manifestino gravi discrepanze interne tra Nord e Sud, tra
sviluppo e sottosviluppo, tra classi dominanti e minoranze etniche, spesso
accompagnate da gravi forme di criminalità anche a danno dell’ambiente.
Scopo dello sviluppo sostenibile è in definitiva quello di:
SOSTENIBILITA’
ECO-EFFICIENZA
ECONOMICITA’ SOCIALITA’
11
dare vita ad una società che sia in grado di conciliare la tutela dell’ambiente con
lo sviluppo sociale ed economico;
ottenere una più equa distribuzione delle ricchezze tra i popoli e tra le
generazioni.
Altro caposaldo dello sviluppo sostenibile è rappresentato dalla Conferenza delle
Nazioni Unite tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992, durante la quale vengono gettate le
basi per dare avvio ai programmi di risanamento ambientale del pianeta, vengono
enunciati i principi su cui impostare le politiche nazionali ed internazionali e vengono
posti in evidenza i problemi globali che coinvolgono responsabilità ed azioni di tutti gli
Stati.
SUD
GENERAZIONE
FUTURA
GENERAZIONE
ATTUALE
NORD
12
Da questa conferenza scaturiscono cinque importanti documenti:
la Dichiarazione di Rio sull’ambiente e lo sviluppo;
la Convenzione sul clima;
la Convenzione sulla biodiversità;
la Dichiarazione delle foreste;
l’Agenda XXI
3
.
Altri eventi salienti si sono verificati negli anni che seguirono la Conferenza di Rio, e
tra questi si ricordano:
nel 1997 il Protocollo di Kyoto sui cambiamenti climatici;
nel 1998 la Convenzione di Aarhus sui diritti all’informazione e alla
partecipazione ai processi decisionali;
nel 2000, a Montreal, il Protocollo sulla biosicurezza;
nel 2001, a Stoccolma, la Convenzione sulle sostanze inquinanti non
degradabili;
nel 2002, a Monterrey, la Conferenza sui finanziamenti per lo sviluppo.
Infine il Summit di Johannesburg svoltosi nel 2002, ha messo in evidenza come sia
particolarmente difficile e lento il cammino verso un vero sviluppo sostenibile: lo
dimostra il fatto che gli impegni che i vari paesi hanno preso nel 1992 nel Vertice di
Rio, a parte qualche isolato progresso a livello nazionale o regionale, non sono stati
mantenuti.
In particolare, nel Summit di Johannesburg venne sottolineata la necessità di passare
dalla individuazione dei problemi, dei metodi e delle strategie, all’effettiva realizzazione
di interventi sul campo non solo in termini ambientali in senso stretto, ma in termini di
concertazione, partecipazione e condivisione.
3
Agenda 21 è un documento di intenti ed obiettivi programmatici, sottoscritto da 180 governi di tutto il
mondo durante la Conferenza di Rio de Janeiro del 1992, finalizzato a invertire l’impatto negativo delle
attività dell’uomo sull’ambiente in cui si “…riconosce che operare verso lo sviluppo sostenibile è
principale responsabilità dei Governi e richiede strategie, politiche, piani a livello nazionale…”.
L'Agenda definisce attività da intraprendere, soggetti da coinvolgere e mezzi da utilizzare in relazione
alle tre dimensioni dello sviluppo sostenibile (Ambiente, Economia, Società).
13
Il Vertice di Johannesburg, conclusosi con la presentazione del Piano di attuazione e la
definizione di cinque nuovi targets
4
, ha confermato il ruolo fondamentale di Agenda 21
per la realizzazione dello sviluppo sostenibile.
In particolare, il capitolo 28 di Agenda 21 riconosce alle comunità locali un ruolo
decisivo nell’attuare le politiche di sviluppo sostenibile, tenuto conto che oltre il 45%
della popolazione mondiale vive in contesti urbani e che questa percentuale è destinata a
crescere fino al 63% nel 2030.
Gran parte dei problemi ambientali, sociali ed economici hanno infatti i loro effetti più
evidenti a livello locale, livello rispetto al quale, tra l’altro, i cittadini hanno una
conoscenza più reale dei problemi e delle soluzioni.
Sempre nel capitolo 28 si legge che “ogni amministrazione locale dovrebbe dialogare
con i cittadini, le organizzazioni locali e le imprese private e adottare una propria
Agenda 21 locale.” “Agenda 21 Locale è un processo multi-settoriale e partecipativo
per realizzare gli obiettivi dell’Agenda 21 a livello locale, attraverso la definizione e
l’attuazione di un Piano strategico di lungo termine che affronta le problematiche
prioritarie di sviluppo sostenibile a livello locale.”
Si tratta di uno strumento volontario al quale sono collegati una serie di strumenti
legalmente “vincolanti”, ovvero delineati da precise direttive comunitarie e nazionali, la
cui applicazione è di grande rilevanza in sede di pianificazione e progettazione, in
particolare per le grandi opere. Il riferimento va in particolare alla Valutazione
Ambientale Strategica (VAS)
5
e alla Valutazione di Impatto Ambientale (VIA)
6
,
quest’ultima ratificata da apposita direttiva comunitaria e da anni adottata nel nostro
Paese.
4
Alleviare la povertà, agevolare le opportunità offerte dalla globalizzazione, promuovere produzioni e
consumi responsabili, migliorare l’accesso all’energia e all’acqua potabile, ridurre i problemi sanitari
legati all’ambiente.
5
La Valutazione Ambientale Strategica è prevista dalla Direttiva Europea 2001/42/CE, dovrà essere
recepita dagli Stati Membri entro il 2004 e concerne la valutazione degli effetti di determinati piani e
programmi sull’ambiente naturale, in modo che tali effetti siano presi in considerazione e valutati durante
l’elaborazione dei programmi e prima della loro adozione.
6
La Valutazione d’impatto ambientale è stata introdotta dalla Direttiva comunitaria 85/337/CEE e
concerne la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati , quindi si
applica a singoli progetti di opere.
14
L’Agenda 21 Locale è dunque un documento che contiene gli impegni (in campo
ambientale, economico, sociale) che una comunità locale si assume per il 21° secolo, il
suo successo tuttavia è strettamente legato al grado di partecipazione e condivisione da
parte della comunità locale.
Il suo principale punto di forza risiede nella possibilità di definire in modo diretto e
partecipato il percorso da compiere per migliorare la qualità della vita, lo sviluppo
economico e l’ambiente, coinvolgendo, attraverso l’attivazione di un Forum
7
, tutti i
soggetti interessati. Si tratta dunque di una procedura fortemente adattabile alle
caratteristiche locali e personalizzabile in funzione delle problematiche specifiche.
I buoni risultati raggiunti in questi ultimi anni sono proprio riconducibili alla forte
partecipazione di tutta la comunità locale alla definizione delle strategie di intervento e
alla capacità degli enti locali di elaborare piani specifici in funzione delle problematiche
ambientali del territorio di riferimento.
Il punto di vista europeo
L’impegno dell’UE per lo sviluppo sostenibile è particolarmente rilevante, lo testimonia
la sua partecipazione sia al processo di preparazione dell’“Earth Summit” di Rio de
Janeiro che al processo attuativo delle convenzioni e dei protocolli che da Rio sono
scaturiti.
Lo sviluppo sostenibile è diventato uno degli obiettivi fondamentali previsti dal Trattato
di Maastricht ed i Consigli europei si sono sempre impegnati per integrare la protezione
dell’ambiente nelle politiche comunitarie.
Il percorso europeo sulla strada della sostenibilità è iniziato con il V Piano d’Azione
Ambientale ("Per uno sviluppo durevole e sostenibile" 1992-1999), proseguendo con il
Trattato di Amsterdam (1997) e con le indicazioni contenute nelle conclusioni dei
Consigli europei di Cardiff, Helsinki e Göteborg (1998-2001).
L’obiettivo del V Programma d’Azione era quello di introdurre principi innovativi nella
gestione della variabile ambientale, il tutto per favorire un rapporto nuovo tra imprese,
istituzioni e pubblico basato sulla trasparenza e sulla collaborazione reciproca.
7
Il processo di Agenda 21 Locale prevede sei passi fondamentali: l’attivazione del Forum, la
consultazione permanente, la definizione degli obiettivi, la redazione del Rapporto sullo Stato
dell’Ambiente, il Piano d’Azione Ambientale, il Reporting.
15
I principi di fondo erano essenzialmente due:
instaurare un rapporto non conflittuale con le imprese, sollecitando un loro
comportamento volontario verso la difesa dell'ambiente;
attivare la partecipazione del pubblico, individuando efficaci strumenti di
formazione ed informazione ambientale.
Questi principi si sono concretizzati successivamente nei due schemi di certificazione
ambientale EMAS (Eco-Management and Audit Scheme) ed Ecolabel, rispettivamente
disciplinati dai Regolamenti CE 761/2001 (ex 1836/93) e 1980/2000 (ex 880/92).
E' tuttavia con il Consiglio Europeo di Goteborg che, nel 2001, prende avvio la
Strategia europea per lo sviluppo sostenibile, secondo la quale gli effetti economici,
sociali ed ambientali di tutte le politiche devono costituire parte integrante del processo
decisionale. Questi principi sono confermati e ribaditi nel vertice del Consiglio Europeo
di Barcellona nel 2002, dove viene affermata l’importanza del VI° Piano d’Azione
Ambientale europeo in materia di ambiente, in quanto strumento essenziale per lo
sviluppo sostenibile nella prospettiva di Johannesburg.
Il VI° Piano d’Azione Ambientale europeo 2002/2010 “Ambiente 2010: il nostro futuro,
la nostra scelta” definisce la politica ambientale comunitaria fino al 2010, legandola a
quattro campi di azioni prioritari (cambiamenti climatici; natura e biodiversità;
ambiente, salute, qualità della vita; uso sostenibile delle risorse) e sostenendo la
promozione di Agenda 21 locale, l’intervento sul sistema dei trasporti, l’adozione degli
indicatori ambientali urbani.
Il Piano d’Azione pur concentrandosi sulle azioni e gli impegni che devono essere
intrapresi a livello comunitario, cerca di identificare anche misure e responsabilità che
spettano agli organismi nazionali, regionali e locali, nonché ai diversi settori economici.
Il programma sarà soggetto a riesame nel 2005, e sarà riveduto e corretto, ove
necessario, per dare riscontro dei nuovi sviluppi e delle nuove informazioni
eventualmente resesi disponibili.
16
La situazione italiana
Per quanto riguarda l’esperienza italiana bisogna ricordare l’adesione di molte imprese,
a partire dal 1991, alla “Carta delle imprese per uno sviluppo sostenibile”.
Tale adesione, dal punto di vista gestionale, ha significato per le imprese considerare la
gestione ambientale come una priorità al fine di migliorare continuamente le prestazioni
ambientali; formare e motivare il personale ad una conduzione ambientalmente
responsabile della propria attività; valutare e limitare preventivamente gli effetti
ambientali delle attività aziendali; orientare in senso ambientale le innovazioni
tecnologiche e la ricerca; dialogare con i dipendenti e il pubblico affrontando insieme i
problemi ambientali; orientare i clienti, i fornitori e subappaltatori nella gestione
corretta dei prodotti e dei servizi.
Il rispetto di questi impegni ha consentito alle imprese di raggiungere un certo grado di
compatibilità ambientale, che non implica automaticamente il perseguimento della
sostenibilità, per la quale occorre un impegno di tutta la comunità e in particolar modo
delle autorità pubbliche.
Prima della Conferenza di Rio de Janeiro l’Italia non aveva predisposto piani e strategie
per l'ambiente anche se aveva assunto impegni sia a livello internazionale che nei
confronti della CE, adottando norme di diritto interno nel campo della tutela delle
acque, dell'aria, della difesa del suolo e dello sviluppo delle aree protette.
Nel 1993, con apposita Delibera del Comitato Interministeriale per la Programmazione
Economica (CIPE), venne emanato un “Piano d’Azione per lo sviluppo sostenibile” in
attuazione dell’Agenda 21, e vennero ratificate le dichiarazioni di Rio sulla Biodiversità
(L. n. 124/94) e sui Cambiamenti climatici (Deliberazione CIPE 24/2/94).
Il documento CIPE di fatto era un esame dello stato di attuazione delle politiche
ambientali in atto nel paese e non apportava sostanziali novità nella politica ambientale
italiana.
Sempre in tema di sostenibilità, l’impegno italiano si è sostanziato, dal 2000 ad oggi, in
una serie di iniziative e contributi che hanno visto il coinvolgimento di diversi soggetti
quali: il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, il sistema APAT, ARPA,
17
ANPA
8
, il Governo centrale e locale, il Coordinamento Agenda 21; che hanno permesso
l’attivazione del percorso di Agenda 21 da parte di molte regioni italiane.
La Strategia di Azione Ambientale per lo Sviluppo Sostenibile in Italia è stata elaborata
dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio ed approvata con Delibera
CIPE 2/08/2002 n.57; si ispira al sopracitato VI° programma d’azione “Ambiente 2010:
il nostro futuro la nostra scelta” e a quegli obiettivi di piena occupazione, coesione
sociale, tutela ambientale sanciti dai Consigli Europei di Lisbona e Goteborg.
L’azione ambientale si articola in quattro grandi aree tematiche: cambiamenti climatici
e protezione della fascia dell’ozono; protezione e valorizzazione sostenibile della natura
e della biodiversità; qualità dell’ambiente e qualità della vita negli ambienti urbani e nel
territorio; gestione sostenibile delle risorse naturali.
Rispetto al passato, oggi l’intervento del legislatore fa registrare un’inversione di
tendenza. La normativa degli aiuti alle imprese ha abbandonato i meccanismi delle
agevolazioni a pioggia ed è passata a finanziare progetti mirati destinati allo sviluppo
sostenibile conformemente ai piani di politica nazionale e regionale. L’atteggiamento è
quello di premiare e rafforzare le imprese sane e potenzialmente in grado di assicurare
una crescita ed uno sviluppo sostenibile al tessuto economico in cui operano.
Va ricordato che da questo punto di vista particolarmente attive sono le regioni, le quali
si contraddistinguono per una produzione normativa il cui obiettivo è quello di favorire
le imprese private, gli enti locali e le società miste, attraverso programmi nazionali
cofinanziati dall’Unione Europea ed attuati dalle stesse regioni. Tra i principali
programmi ricordiamo il POR (Programma Operativo Regionale) per le zone
dell’Obiettivo 1 (Mezzogiorno), il PSR (Piani di viluppo Rurale) per le zone
dell’obiettivo 1 e 2 e il DOCUP (Documento Unico di Programmazione) per le zone
dell’obiettivo 2 (Centro-Nord). Questi ultimi acquistano un‘importanza particolare
poichè hanno come obiettivo la riconversione economica e sociale delle zone con
difficoltà strutturali del territorio, il tutto in un’ottica di sviluppo sostenibile, di
miglioramento delle condizioni di vita della popolazione e di creazione di nuova
ricchezza.
8
APAT - Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i servizi tecnici
ARPA – Agenzia Regionale Prevenzione e Ambiente
ANPA – Agenzia Nazionale per la Protezione Ambientale