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In particolare si nota come l’asse degli studi di cinema si sia progressivamen-
te spostato nel corso degli anni dall’Europa all’America: infatti gli studi sul
linguaggio cinematografico sono nati in Russia e a Praga, la filmologia in Francia ed
in Italia ed infine gli studi di comunicazione negli Stati Uniti.
La percezione di un film è ritenuta molto importante proprio perché consente di stu-
diare il problema della percezione contemporaneamente da più punti di vista, con
l’ausilio di più discipline che interagiscono tra loro.
Inoltre durante la percezione di un film si verificano vari fenomeni che permettono
di accostare il cinema all’esperienza onirica, all’inconscio o alla psicoanalisi, in mo-
do molto più immediato che con la letteratura o il teatro. E’ proprio il legame diretto
tra cinema ed inconscio a farne un campo privilegiato per gli studi sulla percezione.
Inoltre va considerato il rapporto tra cinema e pubblico, che rende la percezione
filmica importante anche per la sociologia, per gli studi di comunicazione e persino
di marketing. Infatti si parla di industria cinematografica.
Infine uno stesso film può essere percepito in maniera differente, da persone diverse
e a seconda di determinate condizioni, quali :
1. AMBIVALENZA DELL’IMMAGINE un’immagine può avere più di un
significato e quindi di un’interpre-
tazione.
2. CONDIZIONI GENERALI DI PERCEZIONE
3. PROIEZIONE E IDENTIFICAZIONE
4. EFFETTI DELLA PERCEZIONE croyance, suggestione e catarsi.
5. OSTACOLI ALLA PERCEZIONE angoscia cinematografica e para-
noia.
pagina 4
1. IL DIVERSO SIGNIFICATO DELLE IMMAGINI :
AMBIVALENZA
Un imperatore
1
cinese domandò un giorno al primo pittore della sua corte di
cancellare la cascata che questi aveva dipinto a fresco sul muro del palazzo,
perché il rumore dell'acqua gli impediva di dormire.
Noi, che crediamo al silenzio degli affreschi, siamo affascinati, e vagamente
inquietati, da questo aneddoto. La sua logica ci sfida, e tuttavia questo aspetto
del meraviglioso risveglia nelle nostre profondità un sospetto assopito: come
una storia intima, più dimenticata che perduta, che ancora ci minaccia. Ma
da così lontano. La Cina, dopo tutto, l'Altro dell'Occidente... queste insonnie
non sono delle nostre parti.
Leon Battista Alberti, il grande architetto del Rinascimento fiorentino, dice-
va che «A
2
chi ha la febbre giova notevolmente l'avere davanti agli occhi pit-
ture raffiguranti sorgenti e ruscelli. […] Se talvolta durante la notte in letto, il
sonno si dilegua, proviamo a richiamare alla memoria le acque purissime di
qualche sorgente […] e infine placidamente ci addormentiamo».
Leon Battista Alberti è uno dei teorici che
3
hanno definito l'ideale umanisti-
co. Ecco qualcuno che è più compromettente. E cosi l'uomo ragionevole del
XV secolo credeva ancora molto nelle sue immagini per comprenderle. L'ac-
qua dipinta che disturbava il cinese, calmava il toscano. In entrambi i casi fi-
gurativi, una presenza attraversa la rappresentazione; la freschezza dell’onda
contemplata passa nel corpo contemplativo. L’acqua delle fonti non è però
1
DEBRAY RÉGIS, Vita e morte dell’immagine, Una storia dello sguardo in Occidente, Il
Castoro, 1999, Premessa, pp. 15 .
2
LEON BATTISTA ALBERTI, Dell’architettura, 1452, Libro IX, 4, Il Polifilo, Milano,
1966, vol. II, pp. 804-806.
3
DEBRAY RÉGIS, ibidem.
pagina 5
benedetta.
4
Dal visto al vedente, al di fuori degli spazi liturgici e di ogni le-
game sacramentale, lo sguardi assicura una comunicazione delle sostanze.
L'immagine funziona come mediazione effettiva. Come è stato possibile que-
sto? E che cosa è cambiato nel nostro occhio perché l'immagine di una sor-
gente non possa più dissetarci, e quella di un fuoco riscaldarci?
Tali questioni sono forse meno anodine di quanto non sembri. Sono due aned-
doti, sì, ma che smuovono in noi vertigini molto antiche. Spettro, riflesso,
doppio o sosia continuano a conservare non più il terrore, ma un tenace alone
di equivoco. Come se lo statuto incerto dell’immagine non cessasse di far va-
cillare le nostre supreme certezze.
Questo passo esemplifica chiaramente il fatto che la stessa immagine possa
venir percepita in maniera diversa, o pure opposta, a seconda di chi la guarda.
L’imperatore cinese infatti ha una percezione negativa della cascata, perché è
convinto che il rumore dell’acqua gli impedisca di dormire. Ovviamente l’im-
magine di una cascata dipinta non produce nessun rumore, ma l’imperatore ci-
nese è convinto del contrario. La percezione dell’imperatore cinese è distorta
dalle sue convinzioni, o meglio illusioni, che lo portano a credere che un’im-
magine possa produrre un rumore fastidioso.
Invece per Leon Battista Alberti l’immagine della cascata è gradevole ed ha
l’effetto positivo di farlo addormentare. Infatti consiglia a chi soffre di inson-
nia di farsi dipingere una cascata sulla parete della propria camera.
L’immagine è la stessa, una cascata dipinta su di una parete, ma produce degli
effetti diversi, perché ad essa vengono associati sensazioni e ricordi diversi.
4
DEBRAY RÉGIS, Vita e morte dell’immagine, Una storia dello sguardo in Occidente, Il
Castoro, 1999, Premessa, pp. 15.
pagina 6
Già da questo esempio si evince che la nostra percezione non è solo un fat-
to biologico, meccanico cioè, ma anche un’operazione psicologica che è
suscettibile di variazioni da individuo ad individuo.
Nel momento in cui un’immagine viene riflessa dall’occhio, essa viene al con-
tempo interpretata dai neuroni del cervello e questo processo è condizionato
da vari fattori: la nostra percezione infatti non è solo oggettiva, non è una me-
ra riproduzione della realtà, ma è anche un processo psicologico inconscio, di-
verso a seconda degli individui. Le persone sono a loro volta condizionate dal-
le esperienze personali e dalla cultura dell’epoca e della società in cui vivono.
Da queste prime considerazioni si può rapidamente concludere che la perce-
zione è al contempo OGGETTIVA E SOGGETTIVA :
- OGGETTIVA perché il nostro occhio fotografa un’immagine e questo è
un fatto biologico, uguale per tutti gli uomini (tranne cie-
chi, daltonici ed altre persone con disturbi della vista ) ;
- SOGGETTIVA perché il cervello interpreta l’immagine ricevuta e questo
processo ha dei condizionamenti sociali, culturali e varia
a seconda dell’individuo, che ne è più o meno cosciente.
Lo stesso tipo di approccio verrà applicato nei capitoli seguenti alla percezio-
ne di un film, in quanto anche la percezione di un film è al contempo un fatto
oggettivo e soggettivo, oggettivo perché dipende da fattori biologici uguali
per tutti gli uomini, e soggettivo perché varia da individuo ad individuo.
Inoltre persone diverse percepiscono diversamente uno stesso film, ma anche
si indirizzano verso film diversi e per motivi diversi.
Verranno pertanto illustrate le diverse teorie dei filmologi, psicologi e stu-
diosi della comunicazione che si sono occupati di questo aspetto.
pagina 7
2. LA FILMOLOGIA
La filmologia è una disciplina che studia l’atteggiamento dello spettatore nei
confronti del film, ossia il rapporto tra spettatore e film.
La storia del cinema, invece, ha per oggetto il film stesso.
La filmologia è una scienza di tipo eclettico, e si avvale pertanto di contribu-
ti di discipline diverse, quali: storia del cinema, semiologia, sociologia, an-
tropologia, psicologia e psicofisiologia della percezione.
Si possono individuare tre livelli fondamentali di studi sulla filmologia:
1) PERCETTIVO che studia come vengono recepite le immagini;
2) PSICOLOGICO come vengono elaborate nella nostra mente;
3) CULTURALE la comprensione degli spettatori di quello che succede.
I tre livelli sono interconnessi, anche se agiscono su piani diversi.
Dai tempi della prima sala di proiezione di Edison, quando il cinema rappre-
sentava una novità, il cinema era considerato specie in America il passatem-
po dei poveri, mentre i ceti sociali più alti preferivano il teatro.
All’epoca la letteratura sul cinema aveva spesso un taglio radicale e teorico.
Fino ad allora si studiava il cinema solo dal punto di vista estetico, come fat-
to cinematografico e filmico.
I fatti cinematografici riguardano tutto ciò che compone la produzione del
film, (messa in scena, regia, scenografia, distribuzione nelle sale).
I fatti filmici invece si attengono a quanto si vede sullo schermo.
Era
5
il tempo dei Delluc, degli Epstein, dei Balàzs, degli Ejzenštejn, del ci-
nema muto, delle teorie sul montaggio-sovrano e della cine-lingua di Vertov.
Era il cinema del découpage classico.
5
METZ CHRISTIAN, Semiologia del cinema, trad. it. di A. Aprà e F. Ferrini, Garzanti,
Milano, 1972, pp.31. (originale Essais sur la signification au cinéma, Klincksieck, Paris,
1968).
pagina 8
All’epoca veniva data grande importanza al regista ed al montaggio.
La situazione si era modificata già nel 1910, quando Georg Klein aveva pub-
blicato un catalogo dei film educativi e progressivamente il cinema era
diventato uno strumento di educazione e di cultura.
Ovunque erano sorti centri di ricerca, come presso l’università di Birmin-
gham in Inghilterra, e soprattutto l’Institut de Filmologie presso la Sorbona
di Parigi nel 1947.
Fu proprio un gruppo di studiosi della Revue Internationale de Filmologie,
(1947-1962), tra cui Gilbert Cohen-Séat e Etienne Souriau, a fondare nel
1946 la filmologia, come teoria di tipo metodologico.
L’istituto svolse varie ricerche, specialmente sul problema centrale dell’ im-
pressione di realtà che lo spettatore prova davanti ad un film.
In Italia invece nel 1960 venne costituito l’Istituto Agostino Gemelli per lo
studio sperimentale di problemi sociali dell’informazione visiva a Mila-
no, con gli psicologi Dario F. Romano e Cesare Musatti.
Gli anni dal 1963 al 1966 sono gli anni della cosiddetta teoria classica del
cinema, che è anche la teoria del cinema classico o cinema della diegesi.
Il cinema classico si è imposto soprattutto sul teatro, riprendendo invece la
strada aperta dal romanzo.
Ancora oggi la maggior parte dei film si possono definire film-romanzo, in
cui il montaggio rispecchia la narratività del film.
Ogni film veniva giudicato in base all’appartenenza ad una determinata clas-
se, o genere, poiché si potevano facilmente identificare i cosiddetti generi
forti: western classico, film nero americano degli anni 1940-55, drammone
sentimentale, kolossal, film comico dell’epoca muta.
pagina 9
Nei film narrativi ( film a intreccio forte) dell’epoca classica si trovano solo
alcuni tipi di montaggio, che formano tra di loro il montaggio classico o dé-
coupage classico, e riguardano il rapporto spazio-tempo tra azioni e perso-
naggi. Il découpage tecnico può contenere infinite indicazioni sul film, in
quanto rappresenta lo sviluppo della sceneggiatura.
In fase di découpage le scene vengono suddivise in singole immagini, che
vengono quindi definite inquadrature o piani.
Ogni tipo di montaggio rappresenta la singola modalità con cui viene
percepito il film dallo spettatore, all’interno di una stessa sequenza.
All’epoca la sequenza era considerata molto importante, perché aveva in sé
un forte grado di esistenza ed anche di pregnanza affettiva.
Nel film ricorrevano numerosi motivi, ma veniva utilizzato un solo effetto
ottico, ed un solo motivo musicale, che coincideva cronologicamente con la
serie iconica considerata, per agevolare la visione al pubblico.
L’azione non progredisce, ma sono i protagonisti ad avanzare, non l’in-
treccio. In pratica questo montaggio non si fonda sull’analogia percettiva,
ma opera al livello della retorica, cioè delle connotazioni per grandi unità,
perché ci fornisce solo un’idea di quello che avviene nella storia.
Un ulteriore passo in avanti per la storia del cinema venne fatto nel 1963,
quando Jean Mitry pubblicò il primo tomo di un’opera imponente di mille
pagine, Esthétique et psycologie du cinéma,
6
ossia il primo trattato genera-
le di cinema che fosse disponibile al mondo, ma l’opera ebbe il meritato
successo solo tra pochi studiosi.
Mitry ha conciliato le due prospettive allora in voga, critica cinematografica
e storia del cinema, attingendo alle scuole estetiche del tempo.
6
MITRY JEAN, Esthétique et psycologie du cinéma, Editions Universitaires, Paris, 1963-5,
2 voll..
pagina 10
In particolare Mitry riassunse gli 8 autori allora più importanti: Arnheim,
Balàzs, Bazin, Cohen-Seàt, Ejzenštein, Epstein, Laffay e Morin, per il
quale il cinema era uno pseudo-mondo, che esce fuori dallo schermo.
Mitry definì il cinema una sorta di pseudolingua, un linguaggio di secondo
grado, in quanto nel cinema gli oggetti si fanno linguaggio.
Il cinema è essenzialmente un linguaggio di immagini prima che di parole,
in cui il linguaggio è solo funzionale alle immagini sullo schermo.
Mitry risente ancora della concezione classica del cinema, ereditata dal ci-
nema muto, una concezione che svaluta il linguaggio verbale ed acco-
sta il cinema alla fotografia, come un fatto soprattutto di immagini.
Nel 1965 lo studioso di cinema Christian Metz reagì alle posizioni di Jean
Mitry scrivendo dei saggi dal taglio teorico completamente opposto, come
per esempio in “Langage et Cinéma” del 1971.
Metz è considerato il padre della semiologia del cinema, e gli anni 1968-9
sono gli anni del rinnovamento teorico, perché il centro dell’interesse de-
gli studi di cinema si sposta dalle immagini al linguaggio, e in seguito dal
linguaggio al metalinguaggio filmico.
La semiologia del cinema si trovò a partire
7
dall’anno 1895 di fronte ad un
certo tipo di sequenze di segnali, chiamati “film” che l’utente sociale
( il “nativo”) considera come dotate di senso e a proposito delle quali porta
in sé, allo stato di intuizione semiologica, qualcosa come una definizione:
poiché il soggetto sociale non confonde un film con un brano di musica o un
testo teatrale. Il semiologo deve rendere esplicita questa definizione che fun-
7
METZ CHRISTIAN, Semiologia del cinema, trad. it. di A. Aprà e F. Ferrini, Garzanti,
Milano, 1972, pp. 206-207, (orignale Essais sur la signification au cinéma, Klincksieck,
Paris, 1968).
pagina 11
ziona
8
già nella realtà, cioè deve caratterizzare i segnali che costituiscono il
film, che appartengono a 5 categorie:
1) Immagini ( fotografiche, in movimento e multiple);
2) Tracce grafiche, cioè la scritte che appaiono sullo schermo;
3) Suono fonico registrato ( il “parlato” del film) ;
4) Suono musicale registrato, che può non esserci;
5) Rumori registrati, “reali”, suoni né fonici né musicali.
In uno stesso film non si trovano necessariamente tutti questi segnali, ma
sono presenti almeno alcuni e rappresentano le parti più importanti del film,
che viene quindi inteso come l’unione di immagini e suoni.
Metz ha costruito il suo approccio semiologico sulla nozione di impressione
di realtà, che è provocata dalla diegesi del film ed è alla base della cosiddetta
concezione idealista del film.
Al contrario di Metz Fargier e Baudry, nella rivista Cinéthique, 1969-71,
intendevano “decostruire” l’impressione di realtà, perché lo spettatore per-
cepisce fin dall’inizio della visione il film come finzione, come un qualcosa
di irreale, di diverso dalla realtà materiale, anche se mediato dalla realtà.
Nel 1972 si tenne un importante dibattito in Francia sul fatto che il cinema
potesse e dovesse riprodurre i sogni ed il pensiero.
Dei precedenti si erano avuti già nel secondo dopoguerra: Epstein infatti già
nel 1946 aveva definito il cinema una macchina pensante.
Il cinema veniva considerato o come realismo, come uno strumento raziona-
8
METZ CHRISTIAN, Semiologia del cinema, trad. it. di A. Aprà e F. Ferrini, Garzanti,
Milano, 1972, pp. 206-207, (orignale Essais sur la signification au cinéma, Klincksieck,
Paris, 1968).
pagina 12
le di conoscenza della realtà, rappresentato dai fratelli Lumiére, oppure co-
me il doppio magico di Méliès, come una sorta di prestigiatore che incanta
il pubblico con i suoi trucchi.
In particolare si considerano opposte le posizioni di Bazin e di Morin:
- Andrè Bazin, teorico del realismo cinematografico, parlava di un desi-
derio psicologico, una sorta di ossessione, di sostituire il mondo esterno
con un doppio cinematografico. Per Bazin si verificano delle convergenze
tra i poli opposti del verosimile e del fantastico.
Bazin costruì tutta la sua “estetica della realtà” sulla proprietà specifica del
cinema dell’impressione di realtà, come aveva già fatto la Revue
Internationale de Filmologie negli anni ’50.
Lo schermo viene visto da Bazin come un mascherino
9
che si muove su
una realtà continua.
Bazin viene considerato il caposcuola del cinema moderno o cinema del
non-montaggio, in cui l’immagine dipende dalla diegesi, ma può venir in-
terpretata soggettivamente dallo spettatore.
Bazin si oppone a Resnais e Cohen-Seàt, che negli anni ’40-’50 avevano
attuato la rinascita del montaggio, il cosiddetto montaggio-re.
Bazin sosteneva che la percezione di un film è determinata da come ven-
gono unite le scene col montaggio, ma anche dallo spettatore.
Bazin rimane uno dei migliori teorici di cinema, tanto quanto Sadoul.
Ai tempi di Bazin però già non si parlava più tra i teorici di filmologia.
Non ci si interessava più alla teoria, ma ci si dedicava soltanto alla critica
dei singoli film, come si è continuato a fare fino ad oggi.
9
BAZIN ANDRE’, “Teatro e cinema”, in Che cosa è il cinema?, Milano, Garzanti, 1973,
pp.171, ( originale “Théâtre et cinéma”, nella rivista Esprit, giugno e luglio-agosto, 1951).
pagina 13
Ogni film però è un fatto antropologico, un pezzo di cinema,
10
che presenta
dei tratti costanti che si possono facilmente individuare.
I soggetti
11
di film possono dividersi in “realistici” e “irrealistici”, se si
vuole, ma il potere realizzante del veicolo filmico è un fattore comune a
questi due “generi”.
- Edgar Morin si inserì efficacemente in questo dibattito, al punto di
conciliare persino le due posizioni opposte dei Lumière e di Méliès.
Alla fine a prevalere fu proprio il suo approccio meno scientifico al cine-
ma, la sua concezione per cui il fantastico avesse completato il cinema,
perché ne aveva reso chiari a tutti i presupposti.
Il cinematografo era diventato cinema quasi dal principio della sua storia,
poiché lo spettacolo se ne era servito per i suoi fini, che non erano di certo
tecnico-scientifici. Il cinema non era al servizio della scienza.
Il folgorante successo del film spettacolo aveva infatti atrofizzato quell'e-
voluzione che sarebbe parsa altrimenti naturale e scontata.
Il cinema all’inizio utilizzò supporti e strumenti propri del tono affettivo,
per costruire al contempo un discorso razionale ed un immaginario di im-
magini e simboli, facilmente riconoscibile dal pubblico inesperto di allora.
Il cinema parte dal cinematografo per divenire un sistema intelligibile.
Tutte le sue tecniche servono ad innalzare il cinema dalla magia fino alla
costruzione ed organizzazione di un discorso razionale.
Il cinema riprende la “magia primitiva” dal linguaggio poetico, che è un
linguaggio che si avvale di immagini prima che di concetti razionali.
10
METZ CHRISTIAN, Semiologia del cinema, trad. it. di A. Aprà e F. Ferrini, Garzanti,
Milano, 1972., pp. 31, ( originale Essais sur la signification au cinéma, Klincksieck, Pa-
ris, 1968).
11
METZ CHRISTIAN, ibidem, pp.33.
pagina 14
Il cinema parte dalle immagini, per esprimere dei sentimenti, che di-
ventano poi delle idee, che formano un discorso razionale.
Secondo Morin realtà e fantasia non erano opposte al cinema, ma comple-
mentari, in quanto entrambe presupponevano alla base una magia, ossia la
magia del doppio, che è strettamente legata alla riproduzione mimetica
del mondo ed alla sua metamorfosi.
Il cinema è forse realtà, ma è anche qualcos’altro, perché è capace di pro-
durre emozioni e sogni. Il cinema quindi nasce oltre la realtà.
Il cinematografo nasce dalla riproduzione meccanica del movimento, ma è
stato creato soltanto per il piacere di vedere delle immagini in movimento,
e quindi ha una finalità solo di tipo estetico.
L’invenzione
12
del cinema risulta da una lunga serie di lavori scientifici e
dal gusto che fu sempre tipico dell’uomo per gli spettacoli di luci ed om-
bre. I primi giochi di ombre ci furono già nella preistoria, ma solo nel
XVII secolo venne inventata la lanterna magica, da cui il cinema deriva.
Nel 1977 le teorie di Morin ritornarono alla ribalta, ma le sue idee vennero
riprese per sostenere invece che non esisteva un’arte cinematografica, e
che il cinema era solo un’industria, un’arte meccanica.
Morin venne travisato, in quanto egli a suo tempo aveva al contrario af-
fermato la sussistenza, la complementarità persino di scienza e fantasia,
non la mancanza di una vera e propria arte cinematografica.
La posizione di Edgar Morin era la più adatta alla temperie francese.
12
MORIN EDGAR, Il cinema o l’uomo immaginario, Universale economica Feltrinelli,
1982, cap.2, Il fascino dell’immagine, pp.28, (originale Le cinèma ou l’homme imma-
ginaire, Essai d’antropologie sociologique, 1956, Paris, Les Editions de Minuit ).