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l'illustre umanista, pedagogo e\o attivo maestro) sia
fondamentale il sotterraneo avanzare, nella
mentalità comune, di una nuova visione del mondo,
visione coincidente, in questo caso, con il gestaltico
delinearsi di un nuovo soggetto.
Attraverso le "figure" del bambino selvaggio o
prodigio od ancora exemplum di ciò che l'umanità
ha perduto, si può assistere, tra '600 ed '800, al
progressivo allontanamento del bambino dal mondo
degli adulti, quel mondo cui ancora nel Seicento
l'infanzia partecipava a titolo diretto, ed il suo essere
confinata in un universo fisico\psichico, privilegiato
e pieno di sentimento ma separato, costruito su
misura, un mondo di fantasie e di sogni, da
realizzare, render reali ai genitori.
Tali mutamenti "sentimentali" acquisteranno,
nel lungo periodo, una patente di naturalità ed
astoricità.
Nel '900 le funzioni non più pertinenti alla
famiglia saranno, in misura sempre maggiore, svolte
da altri sottosistemi; così quelle produttive dal
sistema industriale, le funzioni espressive dal
sistema (sempre più importante economicamente e
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globalizzante culturalmente) del tempo libero, quelle
educative dal sistema scolastico.
A questa mutata situazione sociale ha
corrisposto un massiccio movimento culturale di
definizione\scoperta delle diverse fasi e dei diversi
momenti che caratterizzano l'infanzia.
Destinatari, e non solo nelle famiglie borghesi,
di sempre maggiori spazi all'interno dell'abitazione
ma anche fruitori di luoghi urbani appositamente
attrezzati e “recintati”, i bambini, oggi, costituiscono,
allo stesso tempo ed indissolubilmente, il fuoco di
un interesse teso alla loro formazione (interesse che
passa attraverso la letteratura di consiglio, le riviste
femminili, la pubblicità pediatrica, l'informazione
medica, quella televisiva etc.) ed il centro di nuovi
mercati commerciali. Questo infittirsi di attenzioni
produce, in parallelo, un’esplosione di modelli
proposti per l'infanzia.
Il processo descritto é stato, inoltre, accelerato
dalla nascita, nella seconda metà dell'ottocento, di
strumenti tecnici in grado di riprodurre in infinite
copie l’"opera d'arte" e dalla possibilità di una nuova
appercezione del mondo che questi stessi strumenti
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hanno fornito. E' stata favorita così la diffusione di
rappresentazioni, per immagini, dell'infanzia che
sono divenute comuni in culture fino a poco tempo
addietro diverse per tradizione e\o censo.
L'importanza del cinema, nell'immaginario sociale,
appare, per questo, immensa così come è oggi
fondamentale il peso della televisione.
E' possibile indagare su tale immaginario? In
che modo quel senso comune che lo ingloba può
essere evidenziato e studiato? Quali
rappresentazioni dell'infanzia vengono ad essere
veicolate e mutate nella interazione (sia attiva sia
passiva) fra l'adulto ed il bambino?
Legata ad altre discipline, quali la sociologia e
l'antropologia, la psicologia sociale sembra offrire,
proprio per il suo essere disciplina che privilegia
l'interdisciplinarietà e per l'importanza da essa
attribuita all'interazione, gli strumenti concettuali e
di ricerca utili ad indagare su tali domande; uno
degli oggetti di studio privilegiati dalla psicologia
sociale sono le rappresentazioni sociali.
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Esse sono regole flessibili di pensiero pratico
orientate verso la comunicazione, la comprensione
ed il dominio dell'ambiente sociale, materiale e
ideale. In senso largo designano il sapere del senso
comune.
La rivoluzione provocata dalle comunicazioni di
massa, la diffusione dei saperi scientifici e tecnici
hanno trasformato i modi di pensiero e creato dei
contenuti nuovi. Diviene allora necessario adattare
la grammatica, abbreviare il percorso logico, creare
nuove immagini, al fine di renderne il senso
comprensibile. Tale conoscenza condivisa é
concepita specialmente in modo da modellare la
percezione e costituire la realtà nella quale si vive.
Oggettivandosi essa si integra con le relazioni e con
i comportamenti di ciascuno. In tutto ciò é la
comunicazione che permette ai sentimenti ed agli
individui di convergere, in modo che qualcosa di
individuale possa divenire sociale o viceversa. Per
questo le rappresentazioni sociali sono storiche
nella loro essenza ed al tempo stesso influenzano lo
sviluppo dell'uomo dalla prima infanzia.
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Le rappresentazioni che abbiamo del corpo,
delle relazioni con altre persone, della giustizia, del
mondo, etc., si evolvono, attraverso la
comunicazione, dall'infanzia alla maturità. La
scrittura ed i mezzi di comunicazione di massa,
verbali e non verbali, permettono, infatti, la
circolazione di rappresentazioni collettive che
esprimono immagini ideali e modelli del tutto
evidenti e conosciuti al momento della loro
produzione ma che perennemente mutano di
significato al variare del tempo e dei luoghi della
loro decodifica.
Il nostro corpo ed il nostro linguaggio si
prestano generosamente e volutamente ad essere
mezzo di comunicazione. La gestualità, la mimica, le
espressioni del volto, l'intonazione, le pause, le
parole dette o taciute possono essere usate per
generare un codice pubblico o privato. Tutto ciò si
riflette nell'ambito della interazione, ambito in cui la
nostra "apparenza" diviene, soprattutto, rivelatrice
dell'identità sociale costruita e\o attribuita.
Nell'evoluzione delle società umane la riduzione
del discorso a forme grafiche ha sviluppato
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possibilità e abilità peculiari, gravide di conseguenze
a tutti i livelli: prime fra tutte la
decontestualizzazione del discorso e le capacità
analitiche.
L'avvento di mezzi di comunicazione che
privilegiano l'immagine rimanda, invece, alle antiche
società orali in cui le classificazioni rispecchiavano il
loro modo peculiare di organizzare i dati della realtà,
cioè un modo in cui é il contesto del discorso a
determinare l'associazione pertinente tra le cose, il
loro legame in quel momento più significativo. Non é
certo questo un fenomeno nuovo, occorre pur
sempre ricordare, infatti, che se da un lato la
maggioranza della popolazione mondiale, ancor
oggi, ha estrema difficoltà, se non ignoranza, verso il
parlare "visibile", dall'altro, già prima che fosse
inventata la stampa, il popolo analfabeta aveva
elaborato non soltanto un'importante tradizione
orale ma anche modi alternativi per fissare o
comunicare ciò che era pensato o detto (usando
figure, simboli, segni e segnali). Tutto ciò costituiva
una sorta di scrittura "tribale" di uso quotidiano:
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ausilio della mente, mezzo di comunicazione e
strumento di testimonianza o autenticazione.
Tali norma di comunicazione hanno oggi due vie
di sviluppo; una via "colta" che passa attraverso un
repertorio di immagini, suoni, parole diffuse dai
mezzi di comunicazione di massa, dalla pubblicità e,
non ultimo, rintracciabile nel mondo “virtuale” dei
navigatori della rete, ed una "popolare", o per meglio
dire culturalmente minoritaria, rintracciabile ad
esempio nei graffiti, nella produzione discografica
esterna ai grandi circuiti, nelle "leggende
metropolitane", etc.
Questi due livelli interagiscono tra loro,
riformulando se stessi ed il proprio passato.
Al centro di tutto pare ergersi in ogni caso la
televisione.
Di fronte all'ipotizzato dominio dell’"imagologia"
il dibattito si é concentrato, con punte, invero, assai
alte di riflessione ed analisi, sui valori e sui pericoli
del piccolo schermo.
I risvolti, a volte "referendari", di tale dibattiti
sembrano, però, poco utili rispetto alla necessità di
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indagare su quali mondi e su quali rappresentazioni
siano proposte da tale mezzo, e su come la loro
interpretazione e trasformazione, nell'interazione
sociale attiva, sia successivamente fatta propria
dalla televisione stessa. Si é privilegiato, in tal
modo, un approccio pavloniano al problema TV
dimenticando che anche la più completa delle
colonizzazioni non può rifiutare di fare i conti con le
trasformazioni e gli adattamenti che il "colonizzato"
impone e trasmette, modificando i suoi colonizzatori
nello stesso tempo in cui viene egli stesso
modificato.
E' in base a quest’ultimo presupposto che
diviene utile cercare di rintracciare le tracce dei
passaggi che portano alla diffusione, assimilazione
e trasformazione (per una nuova, immediata o
successiva, nuova diffusione) delle rappresentazioni
sociali. Questa esigenza, legata ai dati delle indagini
in precedenza evidenziati, ci induce a ritenere che la
ricerca delle rappresentazioni dell'infanzia veicolate
dalla televisione sia essenziale per ogni possibile
indagine sulla formazione e sull'evoluzione del
nostro "presente".
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Da quando, nel pomeriggio del 4 gennaio 1954,
fu mandato in onda Il diario di Giulietta e fino alla
riforma RAI l'appuntamento pomeridiano della
televisione pubblica con i più giovani é rimasto
immutato.
Gli sconvolgimenti, anche di fascia oraria,
portati nelle abitudini televisive degli italiani
dall'avvento delle televisioni private se da un lato
hanno, probabilmente, impoverito qualitativamente
l'intera offerta (pubblica e privata) di programmi per
l'infanzia, dall'altra hanno evidenziato la necessità di
creare contenitori stabili, con conduttori fissi, in cui
poter trasmettere, senza incorrere in rischiosi rifiuti
da parte del giovane pubblico, i sempre nuovi
cartoon (spesso forniti, con la pubblicità, in
pacchetti unici dalle stesse case produttrici di
giocattoli).
L'attenzione maggiore degli studiosi si é proprio
concentrata su questo ultimo aspetto ed ha
interessato solo marginalmente il vero centro
relazionalmente significativo, rispetto ai
telespettatori: il\i conduttore\i.
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Non casualmente, ci pare, alcuni dei personaggi
televisivi oggi maggiormente osannati hanno iniziato
la loro professione in programmi-contenitore rivolti
ai più piccoli, ed aldilà della gavetta, proprio in tali
trasmissioni sono riusciti a rap-presentarsi ed a rap-
presentare ciò che per molti versi é oggi il loro
pubblico.
Ecco dunque che indagare sull’approccio
dialogico utilizzato dagli odierni conduttori dei
programmi per ragazzi diviene, nello stesso tempo,
un indagare su questi ultimi, su quello che essi
"impongono" ai loro interlocutori ed anche un
indagare sulle generazioni precedenti e su quello
che esse hanno lasciato riguardo alle stesse
rappresentazioni.