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Introduzione
Rappresentazione dell'Italia sulla scena elisabettiana si propone di raccogliere e
discutere tutta una serie di drammi scritti e rappresentati in epoca elisabettiana
ambientati in Italia, con lo scopo di analizzare tutti i fattori che hanno portato i
principali autori elisabettiani a descrivere, documentare o anche immaginare l'Italia in
un certo modo. Meno semplice risulta essere la distinzione tra quali di queste fonti
corrisponda alla realtà e quali, al contrario, ad un insieme di pregiudizi dovuti alla
ignoranza e alla pura invenzione di chi si è fatto bastare informazioni superficiali
piuttosto che dettagliate sull'Italia. Ma cosa c'era e c'è di così interessante proprio in
Italia?
Basta oltrepassare il confine in qualsiasi direzione per notare quanto gli stranieri
siano attratti dalla parola “Italia” e come gioiscano al solo pensiero di poter vedere un
italiano gesticolare o di poter ascoltare qualcuno parlare il nostro idioma così buffo
con quella famosa cadenza altalenante: queste le caratteristiche dello stereotipo italiano
internazionale attuale. Inoltre, nonostante l'Italia sia uno stato nuovo, nato appena nel
1861, lo stereotipo dell'italiano esiste già da qualche secolo prima che tutte le città-stato
si unissero sotto il nome politico di Italia. Caratterizzato sia fisicamente che
caratterialmente, il cittadino italiano è il rappresentante di una cultura per lo più gioiosa
e rilassata anche nei momenti difficili, grazie alla sua arte di “arrangiarsi”. Quando si
chiede agli stranieri di tutto il mondo cosa pensano a proposito dell'Italia la loro risposta
sarà quasi sicuramente “mafia”, “pizza”, “spaghetti” ecc. I popoli di tutto il mondo, in
particolare l'America e il resto dell'Europa vedono l'Italia come un “paradiso” a livello
paesaggistico, ma sono consapevoli che sul piano politico abbiamo sempre avuto
qualche difficoltà, al punto di lasciare in piedi un sistema politico corrotto, spesso a
braccetto con la criminalità organizzata che loro ben conoscono sotto il nome di
“mafia”.
L'Italia, insomma, ha sempre esercitato un certo fascino sui popoli di tutto il
mondo con i suoi aspetti sia positivi che negativi, aspetti che oggi vengono divulgati
soprattutto attraverso i mass media, nei film, nei video on-line ecc. Ma come hanno
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fatto, invece, le più svariate caratteristiche italiane ad oltrepassare i confini del paese
d'origine e ad approdare, tra il V e VI secolo, nella patria di Shakespeare, Middleton,
Webster, Dekker e di tantissimi altri grandi autori che le hanno poi sintetizzate in un
unico “stereotipo”, una “maschera italiana”, protagonista di molte delle loro opere?
Facendo un salto nel passato, guarderemo l'Italia attraverso gli occhi degli
elisabettiani, analizzando tutti i fattori che hanno portato alla nascita dello stereotipo
dell'italiano nell'Inghilterra dei Tudor: grandi personalità come John Florio, Niccolò
Machiavelli, Giordano Bruno, Vincentio Saviolo, letterati come Cinthio e Castiglione
saranno tra coloro che attraverso i loro testi, esportati, tradotti e diffusi o opere di
viaggiatori inglesi occasionali diretti verso l'Italia per periodi limitati come Ascham o
Moryson avrebbero fornito materiale letterario alla società elisabettiana. Ancora
vedremo in che modo influiranno il tortuoso rapporto tra la chiesa romana e quella
anglicana e gli ulteriori conflitti tra ateismo e religiosità.
Quella che ne viene fuori è un’Italia ambigua: positiva e negativa, vivace ma
ingannevole, intrigante ma vendicativa. Come vedremo in testi come Romeo and Juliet,
The Merchant of Venice, Othello, di Shakespeare ancora Women beware Women di
Middleton, The Duchess of Malfi e The White Devil di John Webster, 'Tis pity she's a
Whore di John Ford ed in tante altre opere, l'ambientazione italiana influirà non poco
sull'agire dei personaggi, infatti nei dialoghi, i nomi delle città italiane sono ripetuti più
volte proprio per sottolineare questo concetto. Non dobbiamo dimenticare, però, che per
quanto l'ambientazione fosse importante, nel teatro elisabettiano al momento della
messa in scena, la scenografia era fissa, anonima e per niente realistica; non includeva
pannelli illustrativi come nel teatro all'italiana, per cui Venezia, Padova, Milano e
qualsiasi città nominata, prendevano forma grazie alle parole dei personaggi (è il
concetto di “scenografia verbale” meglio descritto in seguito) e all'immaginazione del
singolo spettatore.
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1. La concezione di “Italia”
nell'Inghilterra Elisabettiana
L'idea di “Italia” che si diffuse nell'Inghilterra elisabettiana era caratterizzata da
una certa ambiguità, che vedeva da un lato un Paese ricco e vivace, la culla della cultura
occidentale, secondo l’idea umanista, erede della grandezza di Roma; dall'altro un'Italia
tutt'altro che virtuosa, il Paese di una società moralmente corrotta e ingannevole,
dubbiosa sulla religione e tendenzialmente atea. Un rapporto di ammirazione e
deprecazione legava in epoca elisabettiana l'Italia all'Inghilterra: la positività di un'Italia
nota per la bellezza dei suoi paesaggi, come Lucentio afferma in The Taming of the
Shrew: “I'm arriv'd for fruitful Lombardy,/ the pleasant garden of great Italy”, contrasta
con la inattendibilità dei suoi abitanti. Essere stati in Italia, voleva dire aver condotto
una vita peccaminosa, aver ceduto alle peggiori tentazioni e l'aver acquisito quell'abilità
di nascondere un comportamento meschino sotto l'ipocrisia delle buone maniere. Da qui
il detto popolare “Inglese italianato è un diavolo incarnato” che meglio sintetizza
questo concetto, scherzosamente formulato da John Florio (1553-1625), insegnante di
italiano di Elisabetta I, si pensa cugino di Shakespeare, che fu costretto a lasciare
l'Inghilterra durante il regno di Mary Tudor e probabilmente fu educato in Italia.
Questa ambiguità che caratterizzava la concezione che l'Inghilterra elisabettiana
aveva dell'Italia, porta ad una sorta d’identificazione e distacco critico allo stesso tempo,
ma spesso il lato negativo tendeva a primeggiare su quello positivo; i “vizi” italiani
erano, talvolta, vere e proprie leggende metropolitane, perché, come diceva Hunter nel
suo English Folly:
“Italy became important to the English dramatists only when Italy was revealed as an
aspect of England”
Questo significa che in realtà l'Italia è la metafora principalmente del lato negativo
dell'Inghilterra elisabettiana, in quanto i personaggi presentati sono trasgressori da
punire, vengono caricati di una negatività che gli inglesi preferivano non
accollarsi e nascondere dietro un'identità italiana. In altre parole, proiettare questi
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personaggi in Italia crea un presupposto per trattare determinati argomenti, articolare
delle storie intriganti incentrate sul contrasto tra moralità e immoralità e allo stesso
tempo allontanarle dalla realtà inglese evitando la censura, soprattutto durante il regno
di Giacomo I. Le informazioni che contribuirono a delineare lo stereotipo dell'”italiano”
giunsero in Inghilterra tramite viaggiatori inglesi come il mediatore culturale anglo-
italiano Philip Sydney o anche Fynes Moryson il quale aveva affrontato un viaggio
attraverso l'Europa occidentale, e quindi anche in Italia, tra il 1590 e il 1600 e scritto
delle sue avventure nel suo Itinerary, una raccolta di sensazioni provate e
informazioni riguardanti i paesi visitati.
Jack Wilton, il protagonista di The Unfortunate Traveller di Thomas Nashe
incontra un bandito inglese che afferma:
“Italy is the paradise of the earth and the epicure's heaven, how doth it form our
young master?.... From thence he brings the art of atheism, the art of
epicurising, the art of whoring, the art of poisoning, the art of sodomitry. The
only probable good thing they have to keep us from utterly condemning it is
that it maketh a man an excellent courtier […]
Il processo fu anche inverso: tra gli intellettuali italiani che si recarono in
Inghilterra ad esempio troviamo Vincentio Saviolo, che, come specificheremo in
seguito, diffuse in Inghilterra l'arte del duello. Michael Wyatt, invece, ci parla
abbondantemente degli intellettuali che in quel periodo costituivano il “ghetto” italiano
a Londra, comunque perfettamente integrati nella società inglese che avevano anche un
prestigioso ruolo all'interno della corte e che soprattutto influirono nel costruire
l'identità nazionale dell' l'Inghilterra dei Tudor. E' il caso di John Florio, insegnante di
italiano della regina Elisabetta I, autore del testo Florio His First Fruits(1578), una
perfetta introduzione alla lingua italiana, seguito da un Second Fruits (1591) e A Worlde
of Worldes(1578) sempre dedicati alla lingua italiana. Altri personaggi come Florio
sono Baldassarre Castiglione, autore del trattato Il Cortegiano, Pietro Torregiano, lo
scultore della tomba di Enrico VII nella Westminster Abbey; ancora il cardinale Pole e
Bernardo Ochino, Giovanni Wolfe, l'editore inglese delle opere di Machiavelli e Pietro
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Aretino. Si trattava per lo più letterati, mercanti , vetrai o attori.
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Wyatt non solo parla di
questi visitatori occasionali, ma si sofferma anche sulla comunità italiana permanente a
Londra dal 1550 in poi e la definisce come un insieme di
“[...]educated Protestant emigrants who enjoyed a “privileged status” in a
country “aggressively seeking to enter into an international community.”
(Tylus, 123)
Al di là delle informazioni a livello geografico e culturale registrato dai viaggiatori, lo
specchio della società italiana restava sicuramente la letteratura. Dunque, la maggior
parte degli autori inglesi che tra l'altro dovevano molto alla cultura italiana, la
descrivevano come una ingannevole e pericolosa ammaliatrice, ad esempio Roger
Ascham, uno degli inglesi più “italofobici”, parla di “syren songs of Italy”, ovvero le
bellezze che attirano in trappola i viaggiatori ingenui.
2. Le fonti italiane
Le informazioni più incisive sull'idea dell'Italia nell'Inghilterra Elisabettiana sono
contenute nelle opere letterarie italiane e nel genere della novella in particolare. Gli
aspetti negativi della società Italiana venivano ricostruiti sulla base delle intriganti storie
narrate dalle novelle cinquecentesche di Giraldi Cintio, le cui Ecatommiti è stata la fonte
di ispirazione per la stesura dell'Othello, le opere di Aretino, Guarini, Guicciardini,
Ariosto, Tasso. Altra fonte fondamentale è il manuale Il Cortegiano (1528) di
Baldassarre Castiglione che punta alla formazione del cortigiano ideale. In questo
trattato viene spiegato che il compito del cortigiano è innanzitutto quello di piacere al
principe e la conversazione arricchita da giochi di parole e ingegno è appunto uno degli
strumenti per generare tale piacevolezza. Letteralmente “stare a corte” significava
“corteggiare”, “fare la corte”, ovvero seguire e intrattenere il principe quasi per “ornare”
1 Tylus Jane, The Italian Encounter with Tudor England . V ol 41 n 1, University of Michigan, Michigan
(2007), pp. 122-125.