1 DECISIONE E RAGIONAMENTO IN AMBITO MEDICO 3
ridurre per quanto possibile l’errore, che non si può escludere anche in
presenza di una profonda competenza scientifica e di una ragguardevole
esperienza professionale, data la complessità di situazioni patologiche di-
pendenti da molte variabili talora imponderabili, ha fatto sì che anche in
area medica si dedicasse negli ultimi decenni una grande attenzione allo
studio del "decision making".
1.2 Decision Making
Lo studio del decision making nella sua interezza (ivi includendo, quindi,
lo studio della rappresentazione delle conoscenze, dei processi di ragiona-
mento, e dei processi di scelta) si propone almeno quattro obiettivi pratici
[1]:
1. individuare i meccanismi normativi che consentano di valutare una
decisione, indipendentemente dai suoi esiti;
2. descrivere come di fatto le decisioni vengano prese dagli individui,
e in che misura esse si approssimino o si discostino dalle decisioni
ottimali;
3. sviluppare ausili alla decisione (tecnici o psicologici) che consenta-
no di ridurre la discrepanza tra decisioni tipiche e decisioni ottimali
(qualora tale discrepanza sia dimostrabilmente presente);
4. rendere efficace la comunicazione per consentire lo scambio di in-
formazioni adeguate a mettere in atto scelte ottimali (ad esempio,
nell’interazione medico-paziente volta alla scelta o al mantenimento
di una terapia).
Vi sono due classi di decisione: la prima riguarda cosa si crede circa la
patologia del paziente (es. quanto avanzata è la patologia e la possibile
1 DECISIONE E RAGIONAMENTO IN AMBITO MEDICO 4
prognosi), e l’altra riguarda il cosa fare (ad es. se il paziente necessita o
meno di un’assistenza specialistica, quale terapia o strategia di trattamen-
to è appropriata per il caso, quali altri esami clinici sono necessari ecc.).
Entrambi le classi sono vulnerabili ad errori. Gli errori nella diagnosi o
nella decisione circa la prognosi da seguire possono essere conseguenza
dell’assenza di informazioni importanti sul paziente; un esempio di errori
nel trattamento è l’interazione (non prevista) tra farmaci.
Gestione temporale delle operazioni: una volta verificata la correttez-
za di tutte le decisioni cliniche, c’e da considerare che esistono ancora
innumerevoli modi in cui si può effettuare un errore. Le attività della
guideline, infatti, possono essere involontariamente omesse o effettuate
troppo tardi.
Più in particolare, lo studio del decision making in area medica ha avuto
un notevole sviluppo negli ultimi decenni. La professione medica richiede
valutazioni e decisioni pressochè continue, e non raramente di notevole
importanza; la necessità di studiare come tali decisioni siano raggiunte è
emersa quasi spontaneamente dall’esigenza di migliorare l’efficacia della
pratica medica.
Lo studio del decision making medico si è espresso nei modi più svariati:
sono stati sviluppati manuali normativi per la diagnosi sempre più accura-
ti, ausili informatici per la diagnosi o la scelta degli interventi, strumenti
statistici sempre più accurati per la valutazione dei dati, descrizioni psico-
logiche dei processi decisionali messi in atto dai medici e dai loro pazienti,
ecc.
Purtroppo, a questo approfondimento dell’interesse scientifico non è sem-
pre corrisposta una reale diffusione pratica di una più consapevole "cultu-
ra della decisione".
Tra le tante cause di questo ritardo, una può essere individuata nella fram-
mentazione dell’area di ricerca. Fin troppo spesso chi fa ricerca in area
medica non conosce i risultati e le prospettive di chi si muove in area
psicologica o statistica, o viceversa. Una sinergia di sforzi tra medici,
1 DECISIONE E RAGIONAMENTO IN AMBITO MEDICO 5
statistici, informatici, psicologi e quant’altri siano interessati allo studio
della presa di decisione in ambito medico potrebbe finalmente aiutare a
colmare il divario tra teoria e pratica.
2 DEFINIZIONE E OBIETTIVI DELLE CLINICAL GUIDELINES 6
2 Definizione e obiettivi delle Clinical Guidelines
2.1 Cosa sono le Clinical Guidelines
Prima di trattare nel dettaglio i significati, concetti e obiettivi delle clini-
cal guidelines, è d’obbligo esaminare la differenza che c’è tra la Clinical
Guideline (CG) e il Clinical Trial (CT); molto diverse tra loro sia a livello
concettuale sia a livello di finalità.
Un Clinical Trial è “una qualsiasi indagine o studio su soggetti umani,
volto a scoprire o verificare gli effetti clinici, farmacologici e/o farmacodi-
namici di un prodotto, con l’obiettivo di accertarne la sua efficacia e/o la
sua sicurezza” [2]. Il Clinical Trial rappresenta sempre un processo di spe-
rimentazione di un farmaco, oppure il processo di sperimentazione di un
trattamento terapeutico per la cura di una determinata patologia. In quan-
to sperimentazione, le attività e le azioni di cui è costituito un protocollo
(così è anche detto un Trial) devono essere eseguite pedissequamente e la
loro successione temporale è rigorosamente stabilita dal protocollo stesso.
Il Crinical Trial deve essere definito, quindi, in maniera molto dettagliata
in modo tale da lasciare all’utente medico pochissima libertà di scelta.
Le Clinical Guidelines sono state definite dall’ U.S. Institute of Medicine
come “asserzioni sviluppate sistematicamente per assistere i professioni-
sti e i pazienti nelle decisioni di cura appropriata nello specifico”[3]. Le
clinical guidelines sono quindi utilizzate nella prassi medica giornaliera
ed, in quanto linee-guida, indicano qual è il miglior modo di cura per una
determinata patologia. Le Clinical Guidelines, allora, non devono esse-
re descritte in maniera dettagliata come il Clinical Trial e, al contempo,
lasciano all’utente medico più libertà rispetto a quest’ultimo. E’ evidente
che, dal punto di vista della prassi medica giornaliera, le guidelines hanno
un’importanza rilevante, mentre i Clinical Trials rivestono una notevole
importanza dal punto di vista della sperimentazione di nuovi sistemi di
cura o di nuovi farmaci.
2 DEFINIZIONE E OBIETTIVI DELLE CLINICAL GUIDELINES 7
Le Clinical Guidelines nascono quindi dalla fase di Sviluppo, ad opera
di personale competente, a seguito di una sistematica e organizzata re-
visione delle procedure mediche che più si adattano, in forma universale
o specifica, alla cura di una determinata patologia. La seconda fase, di
Applicazione, prevede quindi l’utilizzo della clinical guideline, con la rac-
colta di una grande quantità di dati, per l’applicazione a piani di diagnosi
o a terapie standard che riguardano la guideline adottata.
Sintetizzando si può quindi giungere alla conclusione che le Clinical Gui-
delines descrivono le operazioni che un medico professionista e non, do-
vrebbe compiere, in determinate circostanze, al fine di provvedere alla
cura del proprio paziente.
Figura 1: Frammento di Clinical Guideline
2.2 Obiettivi delle Clinical Guidelines
Vengono definiti 5 obiettivi primari che le Clinical Guidelines devono ga-
rantire in fase di sviluppo e applicazione, e sono:
2 DEFINIZIONE E OBIETTIVI DELLE CLINICAL GUIDELINES 8
1. Decision Making (“Prendere una Decisione”), che evidenzia appun-
to il principale scopo delle guidelines, cioè il supporto che queste
devono fornire ai medici nel prendere una decisione quando ci si
trova a dover curare i proprio pazienti, e lo si sta appunto facendo
utilizzando una determinata guideline.
2. Ordinare in modo sequenziale Azioni e Decisioni : le clinical guide-
lines devono riuscire a strutturare in modo sequenziale, anche se-
guendo un ordine temporale se necessario, le azioni e le decisioni
che compongono il protocollo adottato.
3. La definizione degli obiettivi . Il medico attraverso la guideline che
sta adottando, deve riuscire ad individuare le fasi da seguire nell’ap-
plicare uno specifico trattamento di cura ad un caso clinico.
4. L’interpretazione dei Dati . Questo quarto obiettivo indica la possi-
bilità di derivare concetti astratti da dati concreti. Importante per
quanto riguarda la personalizzazione dei concetti astratti e generali
descritti nella Clinical Guideline.
5. Il Raffinamento delle Azioni . Si vuol indicare la capacità di riconosce-
re specializzazioni d’interventi astratti, e se necessario, di trasformare
l’intervento astratto in un’attività reale, da aggiungere alla guideline
che si sta adottando.
Questi 5 obiettivi sono tra loro completamente separati ma interdipenden-
ti [3].
2.3 Perchè utilizzare le Clinical Guideline
Dal punto di vista clinico le Guidelines garantiscono una maggiore ap-
propriatezza dei servizi assistenziali, operando fondamentalmente in due
2 DEFINIZIONE E OBIETTIVI DELLE CLINICAL GUIDELINES 9
direzioni: da un lato fornire un riscontro scientifico più ampio e condiviso
delle procedure diagnostiche e terapeutiche adottate; dall’altro, suppor-
tare gli operatori sanitari nell’assunzione di responsabilità fornendo un
valido sostegno decisionale. Del resto in un sistema sanitario, abitual-
mente e forse troppo superficialmente ribattezzato "mala-sanità", che oggi
alimenta sempre di più uffici inchiesta e tribunali, la professione medica
viene esercitata con minore serenità.
I protocolli di cura, la medicina basata sulle evidenze e gli strumenti di
supporto alla diagnosi costituiscono un valido aiuto per il personale me-
dico e non un’invasione di campo, come purtroppo in alcuni casi vengono
considerati.
Questi strumenti non minano l’autonomia decisionale del medico, piutto-
sto la esaltano fornendo tutti gli strumenti culturali e gestionali per eser-
citarla al massimo delle potenzialità. Inoltre, compiendo adeguati audit
clinici che confrontino il protocollo teorico con quello effettivamente adot-
tato nei casi trattati, è possibile per l’azienda analizzare le aree di miglio-
ramento possibili, che possono riguardare sia il comportamento tenuto
dal personale medico sia il protocollo stesso. La qualità delle decisioni è
un fattore determinante per la qualità delle cure; vari studi sul decision-
making evidenziano aspetti molto interessanti: non tutte le informazioni
disponibili sono utilizzate; non tutte le possibili alternative sono conosciu-
te; non tutte le conseguenze sono considerate.
Questi comportamenti non sono legati a mancanza di impegno o attenzio-
ne, un luogo comune strettamente collegato all’etichetta di "mala-sanità",
piuttosto dipendono da aspetti cognitivi e strutturali. Spesso, infatti, il de-
cisore non ha a disposizione un quadro completo di tutte le informazioni
disponibili. Il valore della decisione presa dipende dalla quantità di infor-
mazioni cui si ha accesso (aspetto strutturale) e da come queste vengono
elaborate razionalmente (aspetto cognitivo).
Dal punto di vista gestionale le Clinical Guidelines sono uno strumento
per migliorare l’efficienza del servizio assistenziale. Standardizzare il mo-
2 DEFINIZIONE E OBIETTIVI DELLE CLINICAL GUIDELINES 10
do di curare un paziente è un primo passo verso l’ottimizzazione dell’uso
delle risorse, riducendo gli sprechi e le inefficienze allocative. Un proto-
collo diagnostico, ad esempio, può, osservando in un certo ordine alcune
evidenze cliniche, attribuire maggiori probabilità ad una patologia tra le
varie possibili. In tal modo la struttura sanitaria può approfondire la te-
rapia con esami diagnostici mirati, diminuendo l’uso complessivo delle
risorse.
Ma il contributo più significativo si può avere in termini di misurazione del
processo di cura. Un protocollo terapeutico, seppur garantendo la massi-
ma autonomia decisionale del personale medico (e infermieristico) che lo
interpreta, definisce una serie di passi e di azioni da compiere. A questi
si possono associare le risorse, professionali e materiali, che vengono im-
piegate per la loro esecuzione. In questo modo è possibile determinare
una sorta di "distinta base" di una determinata terapia. Questa chiave di
lettura dei protocolli di cura, alternativa e complementare, può dare un
ulteriore impulso alla loro diffusione all’interno delle strutture sanitarie
italiane.
I vantaggi che ne deriverebbero, tuttavia, si possono misurare anche all’e-
sterno della singola azienda. Il sistema sanitario nazionale nel suo com-
plesso può trarne beneficio, non solo capitalizzando i risparmi dei singoli,
ma anche perché i protocolli di cura possono essere un utilissimo elemen-
to per tentare di affrontare il problema della validità delle tariffe associate
ai DRG1. E’ questa un’occasione da cogliere per avviare un tentativo di alli-
neamento tra le tariffe dei DRG e i costi di produzione e quindi aumentare
l’efficienza allocativa delle risorse tra categorie cliniche [4].
Sono riportati di seguito gli orientamenti sulle figure professionali che
dovrebbero partecipare al processo di utilizzo delle clinical guidelines:
1Diagnosis-related group; o più semplicemente DRG è l’equivalente in italiano “Raggruppamenti
Omogenei di Diagnosi” oppure ROD. Sistema di classificazione dei pazienti ospedialieri finalizzato
al contenimento della spesa sanitaria.