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dell’imprenditore sconfina dal mero compito di conformazione delle energie
lavorative e invade la sfera personale del prestatore.
La consapevolezza del mutamento epocale in atto e dell’influenza degli
avanzamenti tecnologici sul piano dei rapporti sociali, anche interni ad
un’azienda, ha reso evidente la necessità, non ulteriormente procrastinabile, di
predisporre garanzie generali, soprattutto a fronte del numero sempre maggiore di
informazioni personali suscettibili di essere raccolte, archiviate o diffuse.
L’innovazione tecnologica e informatica che domina l’odierna società, ha senza
dubbio trovato il terreno più fertile per la propria diffusione nel contesto
aziendale, incidendo sui processi produttivi e sulle strategie di organizzazione del
personale.
In passato i datori, in forza dell’enfatizzazione del rapporto di fedeltà con il
lavoratore, tendevano a raccogliere il maggior numero di informazioni relative al
proprio dipendente, ma, oggi, tale propensione può contrastare con le
caratteristiche del diritto alla riservatezza.
Le aziende utilizzano programmi automatici per la gestione del personale che
permettono di creare dossier informatici su ciascun dipendente, tali da poter
essere conservati per un illimitato periodo temporale. Ciò determina il sorgere di
pericoli anche diversi dalla sola violazione della sfera di intimità del singolo,
perché ad es. la semplice lettura esteriore di un dato, avulso da ogni
considerazione delle circostanze correlate, può decontestualizzarlo al punto tale
da renderlo erroneo.
6
In altri casi è la legge stessa che legittima il datore a procedere, entro certi
limiti, alla raccolta di informazioni personali per l’esigenza di ottemperare agli
adempimenti, contrattualmente o legalmente previsti, connessi allo svolgimento
del rapporto di lavoro.
Lo Statuto dei lavoratori, anticipando i contenuti che saranno poi specificati
dalla normativa sulla privacy, preclude in via assoluta la conoscibilità di alcuni
dati, sancendo la conseguente illegittimità dei provvedimenti presi dal datore in
conseguenza di quelle informazioni. Introduce altresì disposizioni limitative
dell’esercizio del potere di controllo del datore che, in armonia con l’art. 41 Cost.,
per essere considerato legittimo, deve essere contemperato con le libertà
fondamentali del lavoratore, aventi la stessa dignità giuridica delle contrapposte
esigenze datoriali.
La legge 675/1996, confluita nel D.lgs 196/2003, ovvero nel Codice in
materia di protezione dei dati personali, con le sue previsioni, fissa limiti e
vincoli entro i quali il diritto di conoscere e trattare dati e informazioni può essere
soddisfatto senza violare la riservatezza del titolare dei dati oggetto del
trattamento. L’attuale sistema di tutela della privacy non si propone
semplicemente di proteggere l’individuo da intrusioni nella propria sfera privata e
da rappresentazioni parziali e distorte della propria identità personale, ma -
considerando i dati personali alla stregua di un patrimonio circolante - configura
regole capaci di bilanciare tra l’interesse individuale al controllo dei dati e
l’interesse collettivo alla circolazione delle informazioni, predisponendo
7
“strumenti volti a consentire la libera collocazione della persona nella società,
(…) senza che ciò comporti per l’interessato il rischio di discriminazioni o di
stigmatizzazioni da parte di determinati soggetti o in particolari contesti”
2
.
Questa esigenza di bilanciamento, genericamente sentita nei rapporti sociali, si
colora di contenuti peculiari nel terreno dei rapporti di lavoro.
In definitiva, la privacy si configura non solo come un concetto dalle
molteplici, mutabili e talvolta contraddittorie interpretazioni, ma anche come un
ulteriore e nuovo terreno in cui può manifestarsi e svilupparsi il conflitto insito
nelle relazioni lavorative.
2
Rodotà S. , Persona, riservatezza, identità.
8
PREMESSA
1. Dal “right to be let alone” ad oggi: origine ed evoluzione del diritto alla
privacy.
L’origine del diritto alla privacy tradizionalmente viene ricondotta ad un
saggio, intitolato “The right of privacy”, comparso sulla Harward Law review nel
1890 e recante la firma di due giovani bostoniani: Samuel D. Warren e Louis D.
Brandeis. La vicenda che diede occasione allo scritto è stata descritta infinite
volte: Warren, dopo aver sposato la figlia di un senatore, a causa delle continue
indiscrezioni sulla sua vita matrimoniale pubblicate da un giornale locale, assieme
ad un compagno di studi (che poi divenne giudice della Corte Suprema), chiese ai
tribunali (in conformità al metodo del “case law”) di considerare il diritto alla
riservatezza e di introdurre un apposito tort al fine di fornirne un’adeguata tutela
giuridica.
La nozione di privacy deriva da un lungo processo di maturazione giuridica
che non poteva non svilupparsi in un contesto culturale e giuridico d’ispirazione
liberale, come quello degli ordinamenti di Common Law. I cambiamenti politici,
sociali ed economici della società americana di fine Ottocento, insieme al
progresso tecnologico, portavano, oltre ai sicuri ed evidenti benefici per la
collettività, rischi meno palesi ma non per questo trascurabili: con la stampa e la
fotografia si poteva violare la riservatezza dell’individuo disseminando dettagli
sulla vita privata di ognuno.
9
Gli autori giungono ad affermare che il diritto alla riservatezza appartiene
all’ordinamento di common law attraverso un paragone col diritto alla proprietà
intellettuale, deputato alla tutela delle manifestazioni di pensiero trasposte in
produzioni personali che, al pari della proprietà privata, ha come presupposto il
valore economico. Il diritto alla privacy viene delineato quindi come diritto
soggettivo e ha i connotati propri del sentire giuridico dell’epoca espresso dalla
logica proprietaria di stampo ottocentesco. Tuttavia, il concetto di proprietà
privata può essere esteso per garantire la protezione giuridica di un’opera d’arte,
ma se il bene in gioco è semplicemente la tranquillità offerta dalla possibilità di
prevenire una qualsiasi pubblicazione, difficilmente si rientra in un’accezione
ampia di proprietà. Quindi i mutamenti politici, sociali ed economici obbligano al
riconoscimento di tale diritto.
Recenti indagini comparativistiche
3
mettono in crisi la concezione
tradizionale, dimostrando come nell’ambito della giurisprudenza anglosassone i
primi riconoscimenti del diritto in questione risalgono al case Prince Albert v.
Strange, datato 1849, in cui la regina Vittoria e il principe Alberto si dolevano nei
confronti di un dipendente della casa reale che aveva riprodotto abusivamente
alcuni quadretti raffiguranti i loro figli, violando l’obbligo di riserbo che sussiste
nei rapporti tra dipendente e datore di lavoro.
A prescindere dal periodo storico e dall’area geografica in cui collocare
l’origine della privacy, non si può non convenire sulla constatazione che, in
3
A.Cerri, Riservatezza (diritto alla). II) Diritto comparato e straniero, voce dell’Enciclopedia Giuridica
Treccani, Roma.
10
questa sua prima accezione, il “right to be let alone” assume una connotazione
negativa: una sorta di diritto all’isolamento morale e a determinare quali aspetti
della sua vita devono essere resi pubblici e quali devono invece essere protetti da
indebite ingerenze di ogni tipo (non solo fisiche, ma anche sottoforma di pericoli
di condizionamento esterno) nella sfera in cui è solo con se stesso, per evitare di
essere emarginato o di subire discriminazioni sociali di ogni genere.
L’età della comunicazione e dell’informazione totale ha determinato
un’evoluzione della privacy che, aggiungendo all’iniziale finalità esclusiva di
garanzia dell’isolamento altre finalità, ne ha ampliato i confini, la struttura e i
contenuti: tale termine sottende oggi il riferimento ad una pluralità di interessi ben
distinti
4
.
In origine, in armonia con l’ideologia classica del liberalismo
5
, veniva
riconosciuta tutela alla vita privata solo se strettamente connessa al diritto di
proprietà, ma, a partire da un caso deciso nel 1965
6
, la giurisprudenza statunitense
non considera più tale legame con il diritto di proprietà e la privacy diviene
espressione di libertà personale o di autodeterminazione
7
.
4
W. Prosser individua varie possibili lesioni del diritto in questione: invasione della sfera della
solitudine, pubblicizzazione di fatti svoltisi nell’intimità familiare, lesione della reputazione con la
falsa rappresentazione dell’immagine, abuso del nome altrui per fini lucrativi. La classificazione
proposta da A. Westin per configurare la complessità e la problematicità delle esigenze legate alla
protezione della sfera privata si basa invece su solitudine, intimità, anonimato e riservatezza.
5
Un modello di tale ideologia si riviene nella teoria di Locke per cui i diritti fondamentali
dell’individuo devono essere costruiti in accordo ad un generale concetto di proprietà.
6
Caso Griswold v. Connecticut.
7
Lo stesso giudice Brandeis nel celebre dissent nel caso Olmstead v. United States critica l’equazione
stabilita dalla Corte Suprema tra privacy e proprietà privata e delinea un concetto di privacy
essenzialmente immateriale, come sfera di libera autodeterminazione dell’individuo, inaugurando così
una linea di pensiero che diventerà centrale nelle future teorizzazioni della privacy.
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La privacy è oggi anche il diritto di ciascuno alla protezione e al controllo dei
propri dati personali e della loro circolazione perché sempre più soggetti pubblici
o privati raccolgono, detengono e trattano i dati personali per offrire beni e
servizi, ma devono garantire la sicurezza di tali dati e renderli disponibili al
consenso e al controllo degli aventi diritto. Questa è la seconda anima, di nuovo
conio, del diritto alla privacy che riflette un’intima connessione col progresso
tecnologico: i computers sono capaci non solo di raccogliere e archiviare masse
enormi di informazioni, ma anche di consentire con rapidità l’accesso e la
circolazione di tutti i dati memorizzati attraverso l’interconnessione dei sistemi.
Lo sviluppo tecnologico consente all’individuo, da un lato, di limitare al massimo
o addirittura di sottrarsi alla continua esposizione delle proprie azioni alla
collettività, ma, dall’altro lato, gli stessi mezzi che hanno la funzione di
proteggerlo dal controllo altrui sono capaci di catalogare e registrare ogni singola
azione, di conservare la memoria di quanto ha fatto e quindi di creare nuove e
sempre più invadenti forme di intrusione nella vita privata. Le orecchie e gli occhi
dei vicini sono così stati sostituiti da strumenti di ascolto ben più penetranti e
invasivi.
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Rientra nella privacy altresì il diritto alla personalità delle proprie decisioni e
alla tutela della propria identità personale. Questa accezione assume sempre una
maggiore importanza in relazione alla raccolta dei dati in rete per la creazione
della c.d. identità elettronica che può determinare usi distorti e utilizzazioni
8
G. Busia, voce Riservatezza (diritto alla), in Digesto Disc. Pubbl.
12
pericolose dei dati personali, al punto da attribuire all’interessato scelte che non
ha mai compiuto o di agevolare forme di classificazione ad uso discriminatorio.
Ogni dato, anche il più banale, se sapientemente collegato in un contesto più
ampio, è idoneo a rivelare più particolari dalla vita di un individuo di quanto
chiunque potrebbe immaginare riflettendo su ciascun dato singolarmente. Al di là
dell’eventuale consenso prestato per ciascun dato, si può ricostruire, come con i
tasselli di un puzzle, una credibile rappresentazione dell’individuo a cui i dati si
riferiscono, in vista della possibilità di trarne giudizi complessivi sulla
personalità, sulle preferenze e sugli stili di vita.
Crolla così definitivamente l’idea cartesiana di una soggettività
tendenzialmente unitaria e coerente, che cede il posto al diritto alla disidentità,
ovvero il diritto dell’individuo, in quanto attore sociale, a non identificarsi in
modo stabile e definitivo con una certa immagine di sé. Ma la realtà è ben
diversa, e molto più complessa. Il diffondersi delle raccolte di informazioni
personali ad opera di vari soggetti ha eroso il potere sulle proprie informazioni,
determinando una perdita del controllo di sé. “L’unità della persona viene
spezzettata. Al suo posto troviamo tante “persone elettroniche”, tante persone
create dal mercato quanti sono gli interessi che spingono alla raccolta delle
informazioni. Stiamo diventando astrazioni nel cyberspazio, di nuovo siamo di
fronte ad un individuo moltiplicato. Questa volta, però, non per sua scelta, per la
13
sua volontà di assumere molteplici identità, ma per ridurlo alla misura delle
relazioni di mercato.”
9
Il diritto alla privacy (ovvero il diritto del soggetto di costruire liberamente e
di difendere la propria sfera privata, attraverso il riconoscimento del potere di
controllare l’uso che altri facciano delle informazioni che lo riguardano, con
conseguente facoltà di sapere chi detiene dati personali, di accedervi, di
correggerli, integrarli o cancellarli) diventa uno strumento di libertà dei cittadini
perché solo garantendosi la protezione delle informazioni personali fuoriuscite
dalla loro sfera di disponibilità possono esercitare con pienezza diritti e libertà
fondamentali, come la libertà di comunicare, di iniziativa economica o il diritto al
lavoro. La privacy assume i connotati di “garanzia-presupposto” per l’esercizio di
molteplici diritti, permettendo di realizzare l’uguaglianza e “di garantire
l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica,
economica e sociale del Paese”.
9
S. Rodotà, Tecnopolitica.
14
2. Il riconoscimento del diritto alla privacy nell’ordinamento italiano.
La problematica di una tutela della riservatezza viene sollevata nel nostro
ordinamento dagli studiosi di diritto privato che la ricollegano ai diritti della
personalità, ponendo l’attenzione su due casi giudiziari relativi alla diffusione a
mezzo cinema e a mezzo stampa, della vita del tenore Caruso
10
e di Claretta
Petacci
11
, seguiti da numerosi altri casi.
La tesi prevalente in dottrina riconosceva tale diritto in relazione al diritto al
nome, all’immagine e al diritto morale di autore (artt. 6 e 10 c.c., l. 633/1941).
Nel 1955, la legge n. 848, esecutiva della Convenzione europea dei diritti
dell’uomo e del cittadino del 1950, introduce nel nostro ordinamento l’art. 8 della
CEDU che afferma il diritto di ciascuno al rispetto della vita privata e familiare,
del domicilio e della corrispondenza. La Corte Europea dei diritti dell’uomo,
anche in forza dell’ampia formulazione normativa, ha dato un’interpretazione
estensiva del diritto alla privacy, comprendendo il diritto di ciascuno a sviluppare
relazioni sociali al riparo da ogni forma di discriminazione o di stigmatizzazione
sociale, così consentendogli anche il pieno godimento della vita privata.
12
La
norma prevede inoltre che eventuali ingerenze dell’autorità devono essere fondate
su una norma di legge e rispondere a esigenze di tutela della sicurezza nazionale,
dell’ordine pubblico, del benessere economico del paese, della prevenzione dei
10
Cass. 4487/1956.
11
App.Roma, 1955.
12
Corte Europea dei diritti dell’uomo nel caso Sidabras vs. Lithuania.