8
Ludovico Zorzi (1977) e di Fabrizio Cruciani (1987),
3
è
stato possibile mettere in risalto una parte del
progetto politico di rinnovamento urbano di Giovanni II
Bentivoglio che, attraverso le nozze del suo
primogenito, ha celebrato se stesso, la sua corte e il
suo potere, davanti agli occhi prestigiosi di numerosi
principi italiani. Le fonti indagate, in particolare
l’Hymeneus Bentivolus di Giovanni Sabadino degli
Arienti, hanno permesso una ricostruzione approfondita
dell’evento, e inoltre, un’innovativa ‘veduta urbana’
della Bologna di fine secolo.
Tentare di riflettere e ricostruire un avvenimento
così lontano nel tempo e dalla nostra cultura significa
inevitabilmente scontrarsi con numerose difficoltà
relative allo stato effimero degli eventi. Tuttavia,
unita a questa consapevolezza, l’esigenza di ricercare
nel luogo e nello svolgersi della festa uno spunto per
circoscrivere un particolare momento storico-culturale,
ha permesso di mettere in evidenza differenti ed
interessanti puntualizzazioni circa gli usi, i costumi
e il progetto di rimodernemaneto urbano messo in atto
dal Bentivoglio similmente alle altre più rinomate
corti dell’Umanesimo italiano.
Fino ad oggi lo studio delle nozze tra Annibale e
Lucrezia è stato affrontato in maniera settoriale, cioè
nell’intento di ricavare utili spunti di riflessione
orientati a singole discipline; ad esempio, lo Zannoni
(1891) per primo ha trascritto una parte dell’Hymeneus
di Sabadino relativa ai versi dei due poeti che hanno
accompagnato la cronaca di alcuni momenti festivi. Dopo
3
Zorzi Ludovico, Il teatro e la città. Saggi sulla scena
italiana, Torino, Einaudi, 1977; Il teatro italiano nel
Rinascimento, a cura di F. Cruciani e D. Seragnoli, Bologna, Il
Mulino, 1987.
9
più di un secolo Carolyn James (1997) seguendo
l’omonimo manoscritto ha tentato di ricostruire
un’immagine del palazzo Bentivoglio nel 1487, e in
ultimo, la recente storiografia teatrale ha segnato il
punto della situazione sulla portata dell’evento.
Il recente ritrovamento di una copia inedita
dell’Hymeneus arientesco, mi ha permesso di affrontare
integralmente la sua trascrizione e di dare spazio
all’analisi di diverse problematiche, in primo luogo di
indagare fra le possibili relazioni tra architettura e
forme spettacolari. Il mio atteggiamento critico è
stato quello di voler ‘fare affiorare’ dalle cronache
di questo avvenimento l’identità polisemica che lo
distingue, inoltre, credo che ‘poter leggere’
l’architettura di un palazzo o il tessuto urbano di una
città tramite documenti di questo tipo (cioè che
permettono la decodificazione di una forma in base ad
una sua temporanea funzione) sia un approccio alla
materia assolutamente indispensabile. Con identità
polisemica intendo sottolineare il modo in cui una
cronaca dettagliata come quella del novelliere
bolognese permetta di approfondire numerosi e
interessanti studi sulla Bologna tardo quattrocentesca:
dalla letteratura allo spettacolo, dall’architettura
alla politica, dal costume all’oreficeria. Riguardo a
quest’ultima, ad esempio, ho rintracciato fra i vari
riferimenti ai metalli preziosi contenuti nel
manoscritto, una citazione finora inedita della
realizzazione per mano di Francesco Francia di un
prezioso collare indossato da Giovanni durante i
festeggiamenti. Questa citazione, unita alla ricetta
(anch’essa inedita) per la fusione dei metalli che
compare sulle due pagine cartonate del manoscritto,
10
credo possa essere un interessante spunto di
riflessione e ulteriore testimonianza per la
ricostruzione della poco documentata attività orafa
dell’artista bolognese.
L’organizzazione dei capitoli segue lo svolgersi
delle sette giornate festive e si suddivide in quattro
fondamentali ‘momenti di lavoro’ in cui la festa viene
messa in relazione rispettivamente con altrettanti temi
che la distinguono: l’arte – la città – il palazzo – la
piazza.
Al seguito del necessario inquadramento metodologico,
lo scopo principale è stato quello di focalizzare,
tramite la sfilata del corteo trionfale, non solo le
zone di ristrutturazione urbana promosse in occasione
delle nozze come in parte avevano precedentemente
considerato Gabriele Cazzola (1979) e Sergio Bettini
(2005), ma anche le tappe extraurbane situate tra il
territorio bolognese e quello estense. Questo
ampliamento delle zone considerate ha permesso di
rivalutare una delle più celebri Delizie della famiglia
bolognese: la domus jocunditatis presso Bentivoglio.
Dal sopraluogo negli interni del castello ho ‘riportato
alla luce’ alcuni affreschi sino ad ora oscurati dalla
celebrità della Sala più studiata: quella delle Storie
del Pane. Questi dipinti, eseguiti in tre differenti
stanze del piano nobile probabilmente dallo stesso
Maestro, si ripetono in tre ordini di comparti
circolari sopra uno zoccolo con decori simil stoffa, e
riportano ciascuno una nota impresa bentivolesca: la
palma con il motto << Spes mea >>, il fiordaliso al
sole con il motto << Sic mens est animus >> e il
ghepardo che inalbera l’orifiamma della sega (impresa
prediletta da Annibale). La peculiarità di questi
11
affreschi, per lo più in ottimo stato, è quella di
avere il soggetto iconografico in comune ad alcuni
comparti miniati del frontespizio dell’Hymeneus di
Sabadino conservato presso l’Archiginnasio. Questa
identità di contenuto ha permesso un ulteriore
riflessione sull’iconografia relativa alla famiglia
bolognese.
L’indagine dei festeggiamenti celebrati all’interno
del palazzo ha permesso, seguendo le tracce della
James, di integrare alcune nuove ipotesi sulla
planimetria e sull’alzato della dimora bentivolesca. La
studiosa sottolinea come uno degli scopi principali di
Giovanni II, nell’ambito del rimodernamento urbano,
fosse quello di far diventare il suo palazzo centro di
governo. L’idea di creare uno spazio pubblico
suggestivo poteva realizzarsi esclusivamente tramite la
messa in pratica di un “adeguata visione prospettica”
dell’edificio. La realizzazione della piazza antistante
riuscì solo in parte a soddisfare questa esigenza a
causa delle ‘occlusive’ case circostanti.
Ciò che è importante sottolineare è che tutti gli
interventi effettuati sul tessuto urbano dal
Bentivoglio mirano a costituire nella città un polo
secondario rispetto a piazza Maggiore, così facendo si
chiarisce in termini politici e culturali l’avvenuto
decentramento del potere.
Le citazioni di Sabadino inerenti al palazzo
testimoniano l’esistenza un “secundo cortile” interno,
entrambi erano caratterizzati da un porticato con
colonne impreziosite da capitelli scolpiti e dipinti.
In questo modo si integra l’innovativa ipotesi di Hans
Hubert (2001) che conferma una pianta quasi
quadrangolare con un unico cortile interno. La cronaca
12
di Sabadino riporta chiaramente l’immagine di un
edificio a pianta rettangolare costituita da due
blocchi quasi simmetrici, ognuno caratterizzato da un
cortile interno centrale a doppia loggia: come se la
ricostruzione dello studioso tedesco fosse raddoppiata.
Per quanto riguarda la facciata esterna un’altra
fonte, quella del Salimbeni, conferma un dato
importante fino ad ora tralasciato dalla ricerca
storiografica: la presenza di un balcone in grado di
contenere numerosi spettatori. Tale elemento
architettonico, esclusivo dell’edilizia di ‘pubblico
potere’, conferma ulteriormente il valore politico che
il Bentivoglio attribuiva alla sua dimora e al relativo
spazio esterno.
Il risultato più significativo di questa ricerca
consiste per l’appunto nell’aver documentato
l’importanza attribuita da Giovanni II alla piazza
antistante al suo palazzo. Realizzata e celebrata in
occasione di queste nozze, la piazza dei Bentivoglio
risulta fortemente connotata al programma politico
messo in atto dal principe bolognese. Come testimoniano
le fonti si può parlare di una vera e propria piazza
che qualifica il temporaneo decentramento del potere
effettuato da Giovanni. Gli studi di Lotz (1977) e
della Tamborrino (1997) hanno evidenziato come la sua
realizzazione sia sorprendentemente precoce rispetto a
quelle delle piazze porticate rinascimentali di altre
città italiane. Inoltre, la “piacia de li Bentivoli”
4
risulta la prima costruita a Bologna davanti al palazzo
di una nobile famiglia, per questo motivo, considerando
il ruolo che tale elemento architettonico ha avuto in
4
Lamo Pietro, Graticola di Bologna, a cura di M. Pigozzi,
Bologna, CLUEB, p.95.
13
particolare nel primo Rinascimento, vada storicamente
rivalutato. A causa del portico realizzato nei mesi
successivi, in origine le sue misure erano leggermente
maggiori rispetto a quelle dell’attuale piazza Verdi.
I festeggiamenti dell’87 si concludono, come vuole la
tradizione, nella piazza, protagonista in quanto centro
sociale e commerciale della città, al suo interno
diversi modelli di un luogo scenico e di rapporto con
il pubblico definiscono momenti diversi di spettacolo:
dalla giostra ai tornei sino al gioco del calcio. Non è
un caso infatti che le zone di ristrutturazione urbana
coinvolte da Giovanni nei suoi anni di governo siano le
stesse che vengono attraversate dal corteo nuziale e
scandite dai luoghi di spettacolo. Tramite Sabadino è
stato possibile verificare come ad ogni arco trionfale
corrispondeva un punto cruciale e rappresentativo della
città: via Galliera con la chiesa della Madonna
omonima, piazza Maggiore con il “palacio senatorio e
quello del pretore”, via Chiavadure e via Orexevarie,
piazza della Mercanzia “ dove dimora el tribunal de
ciascun Mercante”, porta Ravegnana, e ovviamente strada
San Donato sino alla domus magna; come fa intendere
Zorzi (1977) ogni apparato effimero è come un
boccascena che si apre su una veduta urbana.
L’esaltazione dell’architettura come versatile
strumento di potere nelle mani di un principe, attento
sia al benessere dei sudditi che alla propria
autocelebrazione, era un fenomeno diffuso nell’Italia
del Rinascimento in quanto instrumentum regni, questo
tema costituiva un vero e proprio topos almeno da
quando Leon Battista Alberti aveva dimostrato la
nobiltà della res aedeficatoria. Nel tentativo di
accostare la realtà bolognese alle analoghe operazioni
14
che Ercole I (padre della sposa) stava compiendo a
Ferrara, è possibile intravedere nel trattato
Spectacula (1486 ca.) di Pellegrino Prisciani
un’ulteriore aspetto del ruolo assunto dalla piazza sul
finire del XV secolo. L’umanista estense considera le
piazze stesse come Spectacula, cioè luoghi teatrali
dove allestire feste a cui potesse assistere il popolo
come al tempo dei romani. Rivalutando in quest’ottica
la realizzazione della piazza Bentivoglio, definita fra
l’altro da Sabadino “theatro Romano”, si aggiunge
all’interpretazione di questo intervento urbano
l’intento erudito di emulare l’innovativa cultura
teatrale ed umanistica ferrarese.
15
1. Bologna: ‘luogo dell’arte’ e ‘luogo teatrale’
1.1 Coordinate di metodo.
Attorno alla metà del XIX secolo Jacob Burckhardt
scrive: “le feste italiane nella loro forma più
elevata, segnano un vero passaggio dalla vita reale a
quella dell’arte.”
5
Tale affermazione introduce
l’intenzione di parlare della festa rinascimentale come
elemento costitutivo della vita artistica e culturale
dell’epoca: con ciò si inaugura l’ingresso della festa
nella storia della cultura. A partire da tale ampia
recognizione sull’Italia del XV e XVI secolo nascerà
l’interesse di indagare la festa rinascimentale come
luogo privilegiato in cui la proiezione del modello
ideale di una società si realizza concretamente tramite
tutte le forme di espressione culturale
6
di cui
dispone.
Successivamente, il rinnovato metodo storico di
Burckhardt viene reinterpretato dal grande studioso e
storico dell’arte tedesco Aby Warburg. Gli oggetti di
studio privilegiati da Warburg riguardano la riscoperta
dell’antichità classica e il contenuto delle
figurazioni del Rinascimento italiano. Lo storico si è
interessato di documentare le molteplici relazioni che
5
Burckhardt Jacob, Civiltà del Rinascimento in Italia, a cura di
G. Zippel, Firenze, Sansoni, 1927, vol.II, p.159. Ed. orig.,
Kultur der Renaissance, Basilea, 1860.
Burckhardt Jacob (Basilea 1818 - ivi 1897), è considerato uno
degli storici più originali del XIX secolo, ha insegnato storia
dell’arte all’Università di Basilea. Burckhardt propone di
scrivere una storia dell’arte integrale e strutturale capace di
equilibrare fra loro diversi punti di vista subordinati
all’esigenza storica.
6
Con ‘forme di espressione culturale’ intendo ogni forma di
linguaggio e di attività umana di cui una società dispone e con le
quali si distingue.
16
la festa rinascimentale stabilisce con la produzione
artistica. Il suo metodo ‘onnivoro’ di raccolta e
comparazioni di fonti provenienti da diversi ambiti
culturali permette di stabilire fra le arti relazioni
reciprocamente feconde tramite appunto un confronto
diretto tra: fonte letteraria, fonte estetica e fonti
iconografiche di diversa provenienza. Il metodo
iconografico-iconologico privilegiato da Warburg e dai
suoi collaboratori e successori elabora una sintesi
culturale che consente di ricollocare l’oggetto
artistico nella rete dei rimandi tra i vari campi del
sapere di un determinato momento storico.
7
Il saggio di
Warburg (1895)
8
è uno dei maggiori contributi allo
studio della festa rinascimentale: lo studioso
documenta i molteplici aspetti della festa medicea
tardorinascimentale osservati tramite il confronto di
fonti di diversa provenienza.
L’opera monumentale di Alessandro D’Ancona (1891)
9
si
può ritenere lo studio più completo sulle
manifestazioni festive del XV secolo e sull’evoluzione
contenutistica e formale che hanno compiuto le sacre
rappresentazioni italiane. L’attenta indagine
filologica ed antropologica del D’Ancona è accompagnata
da una vastissima ricognizione documentaria. Da qui
prendono le mosse negli anni Sessanta del Novecento
7
Si vedano inoltre Saxl Fritz, La storia delle immagini, Bari,
Laterza, 1965; Panofsky Erwin, Studi di iconologia. I temi
umanistici nell’arte del Rinascimento, Torino, 1975, prima ed.
1939.
8
Warburg Aby, I costumi per gli intermezzi del 1589, in La
rinascita del paganesimo antico. Contributi alla storia della
cultura, a cura di G. Bing, Firenze, La nuova Italia, 1966. Ed.
Orig., A. Warburg, Gesammelte Schriften, 1932.
9
D’Ancona Alessandro, Origini del teatro italiano: libri tre con
due appendici sulla rappresentazione drammatica del contado
toscano e sul teatro mantovano del XV secolo, Roma, Bardi, 1971, 2
voll., prima ed. 1860.
17
numerosi studi sulla festa rinascimentale. Ad esempio i
tre volumi curati da Jean Jacquot (1956, 1960, 1975)
chiariscono come il concetto di “luogo teatrale” abbia
allargato la problematica degli studi sul teatro del
Rinascimento.
10
Contemporaneamente, l’esigenza di accostare le
immagini della storia dell’arte alla storia del teatro
conduce Pierre Francastel
11
a voler dimostrare le
relazioni che intercorrono tra il linguaggio figurativo
fiorentino del Quattrocento e le tradizioni popolari ad
esso contemporaneo. Secondo Francastel, le feste
popolari sono fonte concreta dalla quale gli artisti
attingono molto del loro materiale figurativo: in
questo modo le scene popolari della strada sono servite
da modello alla pittura. Gli artisti selezionano dalla
realtà numerosi oggetti materiali che diventano
elementi figurativi, ad esempio: il carro dei
Montefeltro nel dittico di Piero della Francesca (1474
ca., Firenze, Uffizi), o la mandorla dell’Assunzione di
Masolino (1429 ca., Napoli, Capodimonte), il sarcofago,
il castello, la grotta del San Giorgio e il drago di
Paolo Uccello (1456 ca., Londra, National Gallery), il
tempio, la nave, la nuvola, ecc… .
Tali esempi di accessori vengono utilizzati sia nella
pittura e sia negli spettacoli sacri e profani del XV
secolo, ma come abbiamo visto provengono da un
10
Jacquot Jean (a cura di), Les fètes de la Renaissance, Paris,
Editions du Centre national da la recherche scientifique, 1956.
Fondamentale è la raccolta degli atti del Colloque International
del 1963 dovuto all’opera meritoria di Jean Jacquot, Le lieu
théàtral a la Renaissance, Royaumont 22-27 mars 1963, Paris, CNRS,
1964. Gli atti del Colloque contengono numerosi interventi tra i
quali anche un saggio dello storico dell’arte Andrè Chastel,
Cortile et theatre.
11
Francastel Pierre, Guardare il teatro, Bologna, Il Mulino,
1987, è una raccolta di diversi saggi già editi negli anni
Sessanta in lingua originale.
18
tradizionale fondo comune di ‘oggetti culturali’.
Questo nuovo sistema di forme figurative attinte e
rielaborate per lo più dalla tradizione antica, secondo
Francastel, “si esprime oltre che nella pittura tramite
molteplici mezzi, in particolare nella scultura e
nell’architettura, senza peraltro rivestire un
differente carattere estetico passando da una materia
all’altra.”
12
L’arte e lo spettacolo visualizzano in
relazione ad un’epoca non solo i temi letterari, ma
anche le strutture della società: è il pensiero che
crea la forma e non il contrario.
Le osservazioni di Francastel oscurano la linea di
pensiero che fino a non molti anni prima orientava tale
ambito di studi sulla traccia di un fortunato titolo di
Gorge R. Kernodle (1944).
13
Fino a quel momento il moto
direzionale veniva indicato from art to theatre: solo
il teatro sarebbe stato tributario di precedenti o
contemporanei influssi delle arti figurative e non
viceversa.
In questo ambito metodologico basato
sull’accostamento diretto tra fonti di diversa
provenienza ma relative ad uno stesso oggetto di studio
è stato opportunamente considerato, insieme al
materiale simbolico, anche il sistema di ‘montaggio’
delle immagini e della figurazione scenica: cioè come
viene pensato ed utilizzato lo spazio della
rappresentazione. In tale direzione occorre far
riferimento agli studi di Ludovico Zorzi rivolti ai
rapporti esistenti tra spazio pittorico, spazio scenico
12
Francastel Pierre, op. cit. p. 176.
13
Kernodle George R., From art to theatre: form and convention
in the Renaissance, Chicago, The University of Chicago press,
1944.
19
e spazio architettonico.
14
Lo studio delle relazioni
tra spazio teatrale e ordine sociale hanno trovato un
punto fermo in Zorzi (1977). Il lavoro di Zorzi si
inserisce in una pluridisciplinare area di studio della
quale esiste una bibliografia folta ed articolata e la
cui dimensione storiografica coagula da tempo vari
campi di indagine e tradizioni. Zorzi, come Fabrizio
Cruciani, distaccandosi da tutta quella storiografia
che ha elaborato la nozione di teatro unicamente
subordinata alla mera letteratura teatrale, ha aperto
nuove prospettive di lettura allo studio dello spazio
festivo del Rinascimento.
Cruciani, nell’orbita di una innovativa ed allargata
visione del teatro, riconosce nella festa “un valore
concettuale e ideologico, (…) unità strutturante,
all’interno della quale vengono a porsi in modo
privilegiato certe forme di spettacolo in cui
confluiscono, in sé autonome, diverse forme
espressive.”
15
Con Cruciani lo studio della festa
diventa parte integrante degli studi teatrali e diventa
emblematico per comprendere la cultura del XV e XVI
secolo.
14
Zorzi Ludovico, Il teatro e la città. Saggi sulla scena
italiana, Torino, Einaudi, 1977, con note ed indicazioni
bibliografiche ricchissime. Zorzi approfondisce la realtà
ferrarese, fiorentina e veneta del XVI secolo. Vedi anche Zorzi
Ludovico, Figurazione pittorica e figurazione teatrale, in Storia
dell’arte italiana, Torino, Einaudi, 1979-1981, vol. I, Questioni
e metodi, pp.241-260.
15
Cruciani Fabrizio, Il teatro e la festa in Cruciani -
Seragnoli (a cura di), Il teatro italiano nel Rinascimento,
Bologna, Il Mulino, 1987, p.32. Il titolo è redazionale. Il primo
paragrafo riproduce senza modifiche il saggio pubblicato in
“Biblioteca teatrale”, n.5, 1972. Il secondo paragrafo è
pubblicato in “Quaderni di teatro”, n.27, 1985. L’attenta
ricognizione sulla poliedrica realtà festiva romana rinascimentale
è raccolta nella sua monografia Teatro nel Rinascimento. Roma
1450-1550, Roma, Bulzoni, 1983. Tale monografia chiarisce nella
pratica il metodo di indagine integrato di Cruciani, in cui il
teatro si completa con altre prospettive di ricerca appartenenti
ad altri ambiti di studio.
20
Da ciò che emerge dalla letteratura in argomento si
può dedurre che la festa è da tempo un punto di
incontro per gli studiosi di diverse discipline. Tante
ed interessanti sono state nel corso degli anni le
prospettive di metodo elaborate, e con le quali
considerare l’evento festivo. L’apporto fondamentale di
storici dell’arte quali Chastel e Francastel, di
iconologi come Warburg, di studiosi di storia
dell’architettura quali Tafuri o Frommel, di studiosi
di letteratura e storia quali Ginzburg ad esempio, ha
concentrato l’attenzione sulla connessione reciproca
fra micro e macro eventi della storia; ma non
dimentichiamoci che da sempre la festa è stata oggetto
di studio di sociologi e di antropologi.
Nonostante questo nutrito interesse comune dedito a
riscoprire nel luogo e nel divenire della festa una
simultaneità di eventi e di forme espressive portatrici
di cultura, non sono però stati molti i casi in cui i
numerosi eventi festivi, più volte citati e documentati
dagli studiosi, siano stati effettivamente analizzati
nello specifico tramite un confronto tra le fonti
documentarie disponibili.
16
Per quanto riguarda le discipline storico-artistiche,
la critica si è rivolta per lo più a quel materiale
iconografico che include la produzione dei grandi
artisti relativa ai loro progetti per macchinari
16
In ambito teatrale è interessante lo studio applicato di
Falletti Clelia, Feste per Eleonora d’Aragona da Napoli a
Ferrara, in Guarino Raimondo (a cura di), Teatro e culture della
rappresentazione: lo spettacolo in Italia nel Quattrocento,
Bologna, Il Mulino, 1988, pp.121-140. La Falletti riporta il lungo
percorso intrapreso nel 1473 dalla figlia del Re di Napoli,
Eleonora, per andare in sposa a Ercole I d’Este signore di
Ferrara.
21
teatrali, apparati effimeri
17
e disegni per costumi di
scena: sostanzialmente tutto ciò che può essere stato
concepito in relazione alla funzione scenica.
Pensiamo alla documentata attività di Filippo
Brunelleschi come ‘ingegnere teatrale’
18
e come primo
artista conosciuto nella tradizionale realizzazione dei
così detti ingegni. Seguono i numerosi documenti che
attestano attraverso tutto il Cinquecento ed oltre la
memoria dell’opera di Leonardo da Vinci come
organizzatore di feste e spettacoli.
19
Leonardo, sulla
scia del Brunelleschi, può considerarsi uno dei primi
‘apparatori’ per eccellenza. Pare sia proprio
l’ingegnosità della cultura fiorentina, affermatasi per
quanto ne sappiamo in questo settore nella prima metà
del XV secolo all’interno della cerchia
brunelleschiana, a rimanere nel tempo esempio
magistrale e a raggiungere il culmine della sua
espressione nell’artificiosità stupefacente della festa
barocca.
Fra gli storici dell’arte moderna sono motivo di
studio anche differenti temi iconografici che si sono
diffusi nel XV secolo e che facevano parte della realtà
festiva popolare profana.
17
Si veda ad esempio: Pinelli Antonio, Gli apparati festivi di
Lorenzo il Magnifico, in La toscana al tempo di Lorenzo il
Magnifico: politica, economia, cultura e arte, Pisa, 1996, vol.I,
pp.219-233.
18
Vorrei ricordare l’ingegno realizzato dal Brunelleschi per la
rappresentazione dell’Ascensione nella chiesa dell’Annuziata a
Firenze il 25 marzo del 1439. Documentato in D’Ancona Alessandro,
op. cit., p.245, vol.I.
19
Angiolillo Marialuisa, Leonardo. Feste e teatri, Napoli, SEN,
1979. È emblematico il caso di Leonardo da Vinci come
organizzatore della Festa del Paradiso rappresentata al castello
sforzesco, Milano, il 13 gennaio 1490 in occasione delle nozze tra
Gian Galeazzo Sforza e Isabella d’Aragona. Leonardo svolge questa
attività soprattutto negli anni in cui vive a Milano, sia alla
corte di Ludovico il Moro, che presso Carlo d’Amboise, in Francia,
quale pittore di corte del Re Francesco I.