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eventi e gli “stati d’animo” che hanno condotto al suo dissolvimento e quelli ad
esso successivi.
Poiché è dall’operazione “Oluja” (5 agosto 1995) che la situazione a Knin si
modifica radicalmente, fino a raggiungere i tratti e le caratteristiche attuali, mi
sono limitata, anche correndo il rischio di apparire parziale, ad una panoramica
degli eventi che si sono svolti dalla dichiarazione d’indipendenza della Croazia
(1991), fino a questa specifica operazione militare.
Da questo evento, la composizione etnica della zona di Knin si è completamente
modificata. L’area, un tempo a maggioranza serba, è oggi principalmente abitata
da croati di cui una piccola percentuale “nativi”, e la maggioranza arrivati dalla
Bosnia o da altre zone della Croazia, e dai serbi che dopo essere fuggiti hanno
scelto di tornare, oltre a coloro che, soprattutto anziani, avevano deciso di
rimanere.
La situazione è aggravata dall’altissimo tasso di disoccupazione e dalla difficoltà
a realizzare una sistemazione stabile che rendono la società caratterizzata da un
clima di incertezza.
Il secondo capitolo fa riferimento alla formazione dell’identità etnica e al
passaggio di tale senso di appartenenza dall’individuo alla società, fino agli
eccessi del nazionalismo ed alle conseguenze di esso nei rapporti tra le etnie, in
particolare tra serbi e croati. Evidenzia anche come la lingua, per l’importanza che
riveste nel sentimento d’identità, sia individuale che collettiva, possa essere
strumentalizzata.
Il terzo capitolo è interamente dedicato alla scuola, con particolare riferimento alla
scuola dell’obbligo, sia attraverso una documentazione ufficiale sia, soprattutto,
attraverso la testimonianza delle persone che più direttamente sono a contatto con
essa: gli insegnanti, i direttori didattici, i genitori, gli ex alunni.
Data la storia di questa zona e la composizione etnica attuale si è cercato di
approfondire come la scuola affronti la problematica della multiculturalità. E se e
come essa “programmi l’intercultura” che, in quanto processo non spontaneo,
necessita di essere voluto, programmato e sviluppato, affinché possa essere
possibile una ricostruzione della fiducia tra le etnie.
Segue nel quarto capitolo una breve panoramica della situazione extrascolastica:
le famiglie, la musica e l’esempio di un progetto di animazione, l’esperienza
grazie alla quale sono potuta entrare in contatto con questa realtà.
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Capitolo I
INTRODUZIONE STORICA E CONTESTO ATTUALE
1. La Croazia (1990-1995)
Dopo la morte di Tito, avvenuta nel 1980, inizia un processo di smembramento
delle Repubbliche della Federazione Jugoslava finché nel gennaio 1990, con il
crollo della Lega dei comunisti jugoslavi, muore l’Organismo che era stato il
motore della Federazione.
In Croazia la situazione evolve rapidamente, già il 30 maggio 1990 vengono
organizzate elezioni multipartitiche in cui l’Unione Democratica Croata (HDZ)
1
conquista la maggioranza del Sabor, il Parlamento, con un programma
nazionalista.
Il loro leader Franjo Tudjman inaugura, nei confronti delle minoranze, una
politica tesa a ridimensionarne il ruolo nella vita pubblica e che non offre garanzie
di tutela della propria individualità etnica (Pirjevec, 1995).
Le ostilità scoppiano con la rivolta dei serbi in Croazia, appoggiati dall’Esercito
federale. La composizione etno-demografica della Croazia ne segna il destino.
L’11,6 per cento della popolazione, di circa 600mila abitanti, sono serbi che
vivono nelle città o concentrati nelle zone corrispondenti agli antichi confini
asburgici.
Mentre nella Jugoslavia di Tito essi predominavano per quantità e assunzione di
ruoli nella gestione del potere, nella prospettiva dell’indipendenza croata, si
ritroverebbero trasformati in minoranza, all’interno di una Repubblica che riscrive
la propria Costituzione definendosi “Stato nazionale dei croati” (Marzo Magno,
2001).
Gli sloveni dichiarano la propria indipendenza nel giugno 1991, l’Armata federale
si oppone appena, poi le truppe si spostano in Croazia.
Nell’area di lingua serbo-croata, dove il contenzioso territoriale e l’intreccio
etnico-culturale erano assai stretti, l’uscita della Slovenia dalla Jugoslavia altera
gli equilibri fra i vari gruppi nazionali, rendendo inevitabile lo scontro militare.
1
Hdz -Hrvatska demoktratska zajednica (Unione democratica croata), partito fondato e guidato da
Franjo Tudjman.
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Il 25 giugno 1991 viene proclamata l’indipendenza della Croazia.
Il 18 luglio i serbi della Krajina e della Slavonia proclamano un Referendum per
la propria autonomia. In questa situazione, le bande armate e la criminalità
proliferano: la polarizzazione etnica si acuisce (Bianchini, 1996a).
L’aggressione contro la Croazia inizia nel luglio 1991. Lo scopo è di occupare con
l’Armata popolare (JNA) la Slavonia, la Krajina e la Dalmazia meridionale e
scacciarne con l’arma del terrore la popolazione croata.
Sono circa 80.000 i croati che fuggono nei mesi di luglio e agosto del 1991. Una
serie indescrivibile di violenze vengono attuate dalle bande paramilitari oltre che
dall’Armata. È una guerra senza alcun rispetto per le convenzioni di diritto
internazionale, condotta da truppe spesso ubriache o drogate, che applicano lo
strumento del terrore per costringere la gente dell’etnia nemica ad abbandonare le
proprie case. Alla violenza che colpisce la Croazia Orientale, caratterizzata da un
conflitto a “bassa intensità”, il governo di Zagabria assiste come paralizzato.
La minoranza serba rifiuta l’annessione della Regione alla Croazia, viene
proclamata la “Repubblica serba di Krajina” (RsK) con capitale Knin.
Il 19 novembre 1991 Vukovar, simbolo della resistenza croata, viene occupata e
ferocemente devastata.
La guerra si conclude nel gennaio 1992 con un accordo che prevede l’invio di
forze di interposizione dell’ONU nelle zone serbe e che un terzo della Croazia
passi ai serbi.
Il 2 marzo 1992, al Referendum della Bosnia, i serbi non partecipano. Vincono i
fautori dell’indipendenza e nell’aprile 1992 la Comunità Europea riconosce la
sovranità del nuovo Stato. Sarajevo viene cinta d’assedio.
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2. La Krajina - Le origini
La Krajina, per via della composizione etnica della sua popolazione e della
dissoluzione della Jugoslavia socialista, è diventata un’entità geopolitica.
La parola significa “marca”. Si trattava di una fascia di territorio, corrispondente
ai confini asburgici, cuscinetto tra i due imperi, quello ottomano e quello
austroungarico. Era abitata da popolazioni serbe sfuggite alle repressioni ottomane
alle quali Vienna assegnò il compito di difendere il fianco Sud dell’Impero
dall’invasione turca (Marzo Magno, 2001).
Gli Asburgo crearono dunque nel 1578 questa frontiera militare (Militargrenze in
tedesco, Vojna Krajina o semplicemente Krajina in serbocroato) ed in cambio la
Krajina fu costituita Regione autonoma. Croazia, Slavonia, Dalmazia e Krajina
erano, nella Jugoslavia, entità separate politicamente e geograficamente, solo in
seguito vennero classificate come Croazia.
Nel 1945 viene costituita la Repubblica federale popolare di Jugoslavia, divisa al
suo interno per le feroci contrapposizioni etniche non ancora sopite dopo le
violenze sotto il regime ustascia di Ante Pavelić (1941-1945) e gli scontri tra
cetnici (serbi) e ustascia (croati).
Con la salita al potere di Tito, la Federazione Jugoslava, composta da sei
repubbliche e due province autonome, viene organizzata affinché nessuno dei
popoli possa prevalere nettamente sugli altri. Vengono varate leggi che tutelano le
minoranze ed un regime poliziesco soffoca ogni barlume di nazionalismo.
Tito inoltre fa in modo che ogni repubblica risulti economicamente necessaria alle
altre. Nel 1974 vara una Costituzione che prevede la rotazione delle cariche tra i
rappresentanti delle repubbliche. A rendere unita la nazione è però il suo carisma
e il suo “effetto-calmante” sulle ferite della Seconda guerra mondiale. Tutto
questo si conclude il 4 maggio 1980 (Riva, Ventura, 1992).
Dopo la morte di Tito si assiste ad una reazione nazionalista serba. I serbi
ritengono infatti di non avere nello Stato il posto che meritano per la loro
importanza numerica e si lamentano di essere divisi in numerose entità federali.
L’equilibrio instaurato da Tito viene a poco a poco distrutto e il nazionalismo
serbo viene sentito come una minaccia dagli altri popoli.
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2.1. La Repubblica Serba di Krajina (1989-1994)
Nel 1989 il processo di disintegrazione della Jugoslavia si accelera. Croazia e
Slovenia, che hanno vissuto come una prevaricazione gli svantaggi nella politica e
nell’amministrazione, per la scarsa percentuale dei loro rappresentanti, e si
sentivano sfruttate economicamente, propongono inizialmente la metamorfosi
della federazione in confederazione. Milosević al contrario punta a rafforzare la
Federazione, Tudjman all’indipendenza (Riva, Ventura, 1992).
Alle elezioni del 1990 gli abitanti della Krajina, tanto la maggioranza serba
quanto la minoranza croata, votano al 70% contro i nazionalisti di Zagabria. Vince
comunque l’Hdz, il partito di Tudjman, che propone la secessione dalla Jugoslavia
(Hamende, 1998).
I serbi della Krajina, in gran parte per opera della propaganda di Belgrado, si
sentono minacciati, gli undici comuni a maggioranza serba proclamano la
“Repubblica autonoma dei serbi di Krajina” con capitale a Knin, e annunciano un
Referendum popolare sull’autonomia il cui voto a favore sarà poi pressoché
unanime.
Parallelamente iniziano i disordini (furti, saccheggi, violenze) da parte
dell’Armata federale (JNA) e di forze paramilitari serbe, finché nel marzo 1991 si
attua il vero scontro armato nel parco nazionale di Plitvice (Pirjevec, 1993).
L’esodo della popolazione di etnia croata inizia tra l’aprile e il maggio del 1991.
Gli abitanti abbandonano infatti la Regione a seguito della guerra tra l’Esercito
federale jugoslavo e la Croazia, e per le tensioni e i conflitti con i serbi di Krajina
(Raffone, 1995).
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2.2. L’area di Knin (1995)
Il 4 agosto 1995 Tudjman indirizza ai serbi di Krajina un appello radiofonico, li
invita a non abbandonare le proprie case, garantendo a tutti coloro che non si sono
macchiati di crimini di guerra tutti i diritti e la totale sicurezza. L’appello viene
ripetuto cinquantadue volte ma senza successo, esso è infatti contraddetto dal
comportamento delle truppe croate che spesso prendono di mira, a colpi di
granata, bersagli civili per diffondere il panico tra la gente (Pirjevec, 2001).
Lo stesso giorno comincia l’operazione “Oluja” (Tempesta), i croati penetrano in
trenta punti diversi, un attacco aereo mette fuori uso i ripetitori radio e tv serbi a
Čelavac, l’Armata federale resta inattiva. A mezzogiorno del 5 agosto la radio
annuncia la resa di Knin.
Un fiume di profughi abbandona la Krajina (secondo i croati 80.000, secondo G.
Scotti, giornalista, 200.000-300.000, secondo S. Biserko del comitato di Helsinki
per i diritti umani di Belgrado 250.000, secondo P. Jambor responsabile per la
Croazia dell’UNHCR 200.000) lasciando così questi territori vuoti e pronti per la
ricolonizzazione croata.
I media ufficiali jugoslavi mettono in sordina, Radio Serbia e TV Belgrado, per
ventiquattr’ore non danno la notizia della caduta di Knin, parlano soltanto di un
attacco croato e dell’abbandono della città da parte di militari e civili (Marzo
Magno, 2001).
Si è trattato dell’esodo più massiccio verificatosi in Europa dopo la Seconda
guerra mondiale.
I soldati spesso ubriachi o drogati si abbandonano ad ogni sorta di eccessi. Ne
sono vittima soprattutto gli anziani che avevano deciso di rimanere.
Secondo le relazioni degli Osservatori internazionali, dei Caschi blu, di Amnesty
International tutte le case vengono saccheggiate, un terzo è dato alle fiamme,
villaggi interi sono distrutti, da centocinquanta a quattrocentocinquanta persone
inermi vengono uccise (Pirjevec, 2001).
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3. La città di Knin
Knin è situata nella parte interna della Dalmazia settentrionale, quasi al confine
con la Bosnia.
Raggiungerla dall’Italia via terra permette di farsi un quadro più chiaro della
storia di questa zona. Passata la frontiera infatti, il tratto lungo la costa, il mare, i
locali, le insegne per i turisti, lasciano immaginare un Paese in buone condizioni
economiche e ricco di prospettive. Arrivati a Senj però si prende la strada che
porta verso l’interno e il paesaggio inizia a modificarsi.
Si incontrano fabbriche abbandonate, case completamente sventrate, villaggi
semidistrutti ed edifici marcatamente segnati dai colpi delle granate.
Quest’area è stata direttamente colpita dalla guerra tra il 1991 e il 1995.
Knin era infatti la capitale dell’autoproclamata “Repubblica serba di Krajina”.
Nell’agosto del 1995 dopo l’operazione militare “Oluja” circa 200mila serbi
furono costretti a fuggire e la Regione tornò alla Croazia. In quegli anni Knin
appariva come “una città fantasma, non c’è l’elettricità e la distruzione è visibile
ovunque” (Borba, 1996).
In base al Censimento del 1991 nella zona di Knin vivevano, prima dell’Oluja,
12.331 abitanti dei quali 9.867 cittadini di nazionalità serba (80%) e 1.660
cittadini di nazionalità croata (13,5%) (Poslovanje, 2003).
Tra il 1995 e il 1996 le case serbe, lasciate disabitate, sono state “legalmente
occupate” da croati di altre parti del Paese e soprattutto da croati provenienti dalla
Bosnia, invitati dal Governo croato, a venire e a stabilirsi in città.
Negli ultimi mesi del 1999 molti serbi, prevalentemente anziani, hanno fatto
ritorno soprattutto nella zona di Knin, alcuni autonomamente, altri con l’appoggio
dell’Alto Commissariato per i Rifugiati (UNHCR). A quel tempo la persecuzione
del Governo di Tudjman si esprimeva anche attraverso il sistema burocratico: i
rientrati avevano tre giorni per regolarizzare la propria situazione e ricevevano
permessi di soggiorno validi per sei mesi. Non venivano riconosciuti come
cittadini anche se quella era la terra in cui erano nati ed avevano sempre abitato
(Valesini, 2000).