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Introduzione
La legge 18 giugno 1998, n° 192, cd. sulla subfornitura, disciplina, ai sensi
dell’art. 9, il divieto di abuso di dipendenza economica.
La normativa, oggetto della presente trattazione, si colloca all’interno della
categoria dei contratti tra imprese, con ciò inducendo a riflettere sulle più recenti
questioni dottrinali e legislative in materia.
Il presente lavoro, infatti, esordirà cercando di trarre una definizione sensata, ed
un effettivo argomento di specificazione, dei contratti stipulati tra imprese rispetto
al contratto formalmente inteso e che si è soliti studiare dai manuali di diritto
civile.
In altri termini, verrà effettuato un tentativo di carpire differenze e punti di
contatto tra le due categorie di contratti, anche in virtù delle novità legislative
emerse, si pensi al contratto di rete di cui alla legge 33/2009, e a dibattiti dottrinali
insorti, ad esempio, attorno ai contratti di impresa stipulati con una controparte
pubblica.
Terminata la trattazione di carattere generale, il presente lavoro si soffermerà sulla
disposizione di cui all’art. 9 l. 192/1998.
Nonostante, la norma sia in vigore da poco più che un decennio, non sono esigue
le problematiche createsi attorno alla figura del divieto di abuso di dipendenza
economica, influenzate sia dall’ approccio di stampo tradizionalista con cui è
2
sempre stata trattata, sia dagli orientamenti di stampo comunitario che hanno
contribuito a delinearne la portata normativa.
Infatti, dopo una prima parte di carattere storico-introduttivo, dal secondo capitolo
in poi,verranno snodate ed affrontate le singole problematiche che hanno
caratterizzato, e forse ancora caratterizzeranno, la figura dell’abuso di dipendenza
economica, scoprendo, al termine del lavoro, l’esistenza di un nesso tra le stesse e
di un’unica chiave ermeneutica in grado di risolverle.
La prima questione, sia per rilevanza storica e che per la cospicuità della
letteratura in merito, riguarda l’ambito di applicabilità della norma di cui all’art. 9
l. subf.
Seguirà, a tal proposito, una rassegna dottrinale e giurisprudenziale, a sostegno sia
della tesi che la vede applicabile ai soli contratti di subfornitura, sia a quella
opposta, per cui il divieto di abuso di dipendenza economica costituirebbe una
clausola generale dell’ordinamento, applicabile, dunque, a qualsiasi contratto tra
imprese, confacente al principio di buona fede e, soprattutto, in linea con
l’ordinamento nella sua missione di conferire tutela al contraente debole.
Infatti, dopo una breve parentesi che vedrà protagonista un’indagine
comparatistica, al fine di valutare la portata della medesima norma in altri
ordinamenti giuridici, il lavoro si soffermerà su una tematica che può essere
considerata in fieri, vale a dire sulla figura del «terzo contratto».
E’ proprio la nascita e l’affermazione del dibattito creatosi attorno a tale figura di
produzione dottrinale a costituire conferma, come si vedrà, dell’ormai pacifica
3
valenza generale dell’ambito di applicabilità del divieto di a.d.e., data l’esigenza
del nostro ordinamento di prestare tutela al contraente debole.
Saranno, infatti, messe a confronto le discipline dei contratti con il consumatore e
quelli stipulati tra imprese, ma non verrà tralasciata l’importanza ancora
meramente didattica e non strumentale della nuova figura.
L’ultima questione, oggetto di dibattiti dottrinali e dispute legislative, concerne il
rapporto tra l’abuso di dipendenza economica e l’abuso di posizione dominante,
considerate, in principio, impermeabili tra loro, ma, in realtà, strettamente
connesse da canoni di buona fede e principi fondamentali, seguendo, come si
vedrà, l’orientamento comunitario, gli altri ordinamenti giuridici europei e
ponendo, così, tutte le premesse per poter abbandonare qualsiasi dubbio in ordine
all’ambito di applicazione dell’art. 9 l. 192/1998, inserito, ormai, in un sistema
concorrenziale.
4
Capitolo I
La contrattazione tra imprese e l’art. 9 L. 192/1998
1. Contratti tra imprese
1.1 Rapporti contrattuali tra imprese
Il diritto dei contratti in generale prescinde dalla portata civile o commerciale del
regolamento, in quanto l’unificazione dei codici
1
ha determinato il tramonto del
principio fondante dell’atto di commercio ed ha anche esteso molte regole proprie
dei rapporti commerciali alla disciplina dei contratti «civili». Ciò tuttavia non ha
estinto l’interrogativo in ordine ad «una persistente autonomia del contratto che
presuppone l’impresa e che in tale attività economica si radica»
2
, mentre una
diversa autonomia è stata acquistata, sulle spinte del diritto comunitario, dai
contratti in cui all’impresa si contrappone il consumatore. In particolare, ci si è
chiesti se, nel sistema vigente, ci sia un autonomo spazio per una disciplina dei
contratti in cui una o entrambe le parti siano imprenditori, ossia nei quali l’attività
1
L’unificazione del codice civile del 1865 e del codice del commercio del 1882 è
avvenuta con R.d. 16 marzo 1942, n. 262, che ha sancito la nascita dell’attuale codice
civile italiano.
2
A. Zoppini Il contratto asimmetrico tra parte generale, contratti di impresa e
disciplina della concorrenza in Rivista di diritto civile, 2008, p. 515 ss.
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economica risulta essere la causa del contratto stesso e in assenza del quale questo
tipo di contratto non potrebbe nemmeno aversi.
Chi ha dato una risposta affermativa alla possibilità di riconoscere un valore
normativo all’autonomia di impresa, ne ha derivato che per essa non trovino
applicazione i limiti all’autonomia negoziale.
Questa riflessione, che ben può sintetizzarsi nei termini della
«ricommercializzazione del diritto commerciale»
3
, ha preso così atto che il potere
di autodeterminazione degli interessi patrimoniali assume una configurazione
peculiare quando riveste le forme dell’attività economica organizzata per la
produzione o lo scambio di beni e servizi. Precisando il proprium dei contratti di
impresa, un primo aspetto attiene all’effettività dell’iniziativa imprenditoriale.
Differentemente dai contratti con i consumatori, infatti, in cui antecedente
dell’applicazione delle norme è lo status formale dei contraenti, nel caso dei
contratti tra imprese, non è possibile derivare dalla natura delle parti e dagli
interessi disciplinati nel regolamento contrattuale una considerazione unitaria
della qualificazione del contratto e dell’applicazione della conseguente disciplina.
Inoltre, ciò che rileva non è l’attività economica in sé considerata, ovvero lo
status d’imprenditore, quanto l’effettiva struttura organizzativa dell’impresa.
In particolare, la disciplina dei contratti d’impresa non si applica quando l’impresa
è priva dell’autonomia decisionale e organizzativa, quindi essenzialmente nei
3
G.B. Portale Tra responsabilità della banca e «ricommercializzazione» del diritto commerciale
in Jus, 1981, p.141 ss. e Id., Diritto privato comune e diritto privato dell’impresa in Banca, borsa,
tit. cred., 1984, p. 14 ss.
6
gruppi di società
4
, perché il fenomeno dei contratti tra imprese presuppone
logicamente e normativamente l’impresa concorrente.
Un ulteriore aspetto di caratterizzazione del contratto tra imprese risulta essere la
sua qualificazione che deve tener conto dell’integrazione economica effettiva tra
le imprese.
Rileva non la logica dell’atto, ovvero della sequenza degli atti ordinati ad un
programma e a un’operazione unitaria, quanto la modalità con cui l’atto
s’inserisce nelle rispettive attività d’impresa.
I sopraelencati aspetti d’identificazione della disciplina del contratto tra imprese
presuppongono, dunque, l’idea che si debba distinguere l’autonomia d’impresa
dall’autonomia dei privati e induce a cogliere la particolarità del contratto tra
4
Il gruppo di società non è altro che un fenomeno organizzativo, volto allo svolgimento di attività
di impresa, in cui le singole società partecipanti mantengono la loro soggettività giuridica e sono le
protagoniste delle varie fasi dell’attività imprenditoriale che si vuole svolgere. Ciò che caratterizza
maggiormente il modello in esame è l’unitarietà sotto il profilo economico. Spetta, inoltre, ai soci
di una delle società, quella che si pone al vertice, creare e coordinare tale modello di
organizzazione di impresa, di natura partecipativa e sofisticata alternativa rispetto ad altre possibili
soluzioni. Nell’ambito dei gruppi di società, infatti, non trova applicazione la disciplina sull’abuso
di dipendenza economica, pur essendo il contratto infragruppo concluso tra imprenditori e in una
condizione di squilibrio economico e di dispari forza contrattuale. In questi casi la società
capogruppo può legittimamente dirigere e coordinare la società controllata con l’effetto anche di
determinare uno squilibrio nei diritti e negli obblighi derivanti dai contratti conclusi tra le parti. In
questi casi, la tutela, a fronte dello squilibrio economico del contratto, può fare appello
esclusivamente alle norme che disciplinano, da un lato, gli interessi degli amministratori e le
operazioni con parti correlate (artt. 2391 e 2391 bis c.c.) e, dall’altro, l’illecito da direzione e
coordinamento (art. 2497 c.c.). La tutela, dunque, non si rivolge alla parte del contratto né si
avvale di tecniche invalidanti il vincolo contrattuale, quanto piuttosto si attua attraverso le azioni
risarcitorie che possono esercitare quanti sono effettivamente pregiudicati, quindi i creditori sociali
e i soci di minoranza.
7
imprese nella circostanza che «la qualificazione del fatto deriva da ulteriori
elementi rispetto alla fattispecie contrattuale formalmente intesa»
5
.
Tuttavia, anche nei rapporti contrattuali tra imprese, così come accade nei
contratti conclusi dal consumatore, una delle parti, soprattutto nei contratti che
prevedono l’inserimento degli imprenditori in catene produttive o distributive,
potrebbe risultare economicamente subordinata all’altra.
Tale evenienza si presenta più frequentemente nei contratti ad integrazione
verticale, ossia quelli in cui manca l’elemento della concorrenzialità e in cui
soggetti appartengono a segmenti diversi della filiera produttiva o distributiva.
L’integrazione verticale, infatti, riguarda soprattutto il controllo, da parte di una
singola impresa, di una serie di processi od operazioni necessari e strumentali alla
realizzazione di un prodotto. Inoltre, può comprendere anche altri tipi di attività,
come nel caso della cd. «integrazione verticale ascendente»
6
, in cui un’impresa
fabbrichi i propri prodotti e possegga gli sbocchi commerciali attraverso i quali
distribuirli.
L’utilizzazione dei contratti tra imprese ad integrazione verticale, peraltro, è
sempre stata assecondata da interventi legislativi volti a limitare e disincentivare
5
A. Zoppini Il contratto asimmetrico tra parte generale, contratti di impresa e disciplina della
concorrenza in Rivista di diritto civile, 2008, p. 515 ss.
6
C. Berti Subcontratto, subfornitura e decentramento produttivo tra imprese, Giuffrè Editore,
Milano, 2000.
8
le pratiche di decentramento produttivo, considerate elusive delle norme di
protezione a beneficio, soprattutto, del lavoro subordinato
7
.
Per quanto attiene alla situazione di subordinazione economica in cui un’impresa
potrebbe trovarsi in caso di rapporti contrattuali ad integrazione verticale,
sembrerebbe necessario operare sulle modalità di formazione del regolamento
contrattuale, così come accade per i contratti conclusi dal consumatore.
In realtà, ciò che caratterizza i contratti tra imprese di questo tipo e che rende la
soluzione appena riportata insufficiente, è la preesistente subordinazione, di
un’impresa nei confronti di un’altra, rispetto alle loro attività e quindi all’interno
del mercato stesso
8
.
7
Negli ultimi decenni, tuttavia, l’analisi giuridico-economica ha evidenziato una tendenza opposta
alla politica di integrazione verticale, sussistendo vari motivi che hanno spinto le imprese di grandi
e medie dimensioni a dare vita ad un’attività di decentramento produttivo, di «deverticalizzazione»
o di «terziarizzazione» della propria attività verso altre imprese, relativamente a quelle fasi della
produzione ritenute più convenienti ad una gestione da compiersi all’interno dell’azienda. Il
fenomeno descritto viene attuato, soprattutto, attraverso lo strumento del contratto. Del resto,
l’autonomia dei singoli soggetti coinvolti non elimina l’integrazione tra questi e l’impresa
committente in quanto la produzione decentrata prevede, diversamente dall’integrazione verticale,
una serie di rapporti contrattuali tra soggetti distinti al fine di ottenere il medesimo risultato
economico. In tal modo, l’interazione dei ruoli rende possibile accentrare in capo ad un’impresa
varie funzioni, appartenenti a diversi ruoli e che vanno ad integrarsi con quello principale. Sul
punto C. Berti Subcontratto, subfornitura e decentramento produttivo tra imprese Giuffrè Editore,
Milano, 2000.
8
Questa tesi è ampiamente argomentata e avallata da un orientamento dottrinale maggioritario, il
quale afferma che, per quanto attiene al contratto di subfornitura, il prefisso sub starebbe
unicamente ad indicare la collocazione del rapporto nell’ambito di un’operazione economica
complessa e lo stato di soggezione o di debolezza economica del subfornitore rispetto alla propria
controparte. Si tratterebbe, dunque, di un caso estraneo alla fattispecie del subcontratto, definito
come il contratto con il quale una parte impiega, in tutto o in parte, nei confronti di un terzo, la
posizione giuridica derivante da un contratto in corso, definito contratto principale. Nel caso della
subfornitura, infatti, il contratto principale potrebbe anche non esistere o, laddove esistesse, non
potrebbe qualificarsi come contratto principale qualora fosse caratterizzato da natura e causa
diversa dalla subfornitura. Nonostante, dunque, sia ormai radicata la tesi secondo la quale la
subfornitura non sia un subcontratto, non si esclude che talvolta possa assumerne la valenza. Ciò
accade quando, data la preesistenza logica e cronologica di un contratto, quello principale, da esso
si origini un nuovo contratto, quello di subfornitura, non solo collegato e connesso al principale in
9
Ed è proprio in questo quadro che si inserisce la disciplina del contratto di
subfornitura, disciplinato con l. 18 giugno 1998, n. 192, ma soprattutto del divieto
di abuso di dipendenza economica, ex art. 9, l. 192/1998, di cui seguirà un’ampia
trattazione.
1.2 Contratti di rete (L. 33/2009)
Il contratto di rete, introdotto dall’art. 4 ter del d.l. 10 febbraio 2009 n. 5,
modificato con l. 9 aprile 2009 n. 33
9
e ancora successivamente dalla l. 23 luglio
2009, n. 99, è destinato a trovare applicazione in molteplici contesti economici,
potendo operare non solo per rendere più facile il nesso tra imprese attive nel
campo della produzione, ma anche in quello della distribuzione.
Si tratta di un istituto giuridico dalla genesi alquanto sofferta
10
, non solo per ciò
che attiene all’adozione del testo normativo che ne ha segnato la nascita, ma
vista dello scopo al quale sono entrambi preordinati, ma anche della stessa natura contrattuale e
dello stesso contenuto economico, ravvisandosi, quindi, il fenomeno della subcontrattualità.
9
Più nota come d.d.l. «Incentivi».
10
I primi dibattiti inerenti alla nuova figura contrattuale risalgono alla XV Legislatura con il
disegno di legge contenente gli interventi per l’innovazione industriale, approvato il 22 settembre
2006, e preordinato alla definizione delle linee strategiche di sostegno alla politica industriale del
Paese. Per la realizzazione di tale obiettivo emerge, tra gli strumenti selezionati, proprio la figura
negoziale in esame definita come «forma di coordinamento stabile di natura contrattuale tra
imprese aventi distinti centri di imputazione soggettiva, idonee a costituire in forma di gruppo
paritetico o gerarchico una rete di imprese». Il testo governativo, tuttavia, non è sfociato in quello
legislativo così come è accaduto con il successivo d.d.l. n. 1644 del 2007 ispirato ai medesimi
intenti. Inseguito, la XVI Legislatura ha introdotto, con l’art 6- bis, l. 6 agosto 2008, n. 133, una
previsione volta a demandare al Ministero dello sviluppo economico il compito d’individuare le
caratteristiche delle reti d’imprese. Ma è solo al d.d.l. «Incentivi» che si deve una specifica
disciplina del contratto di rete.
10
anche per le numerose modifiche alla disciplina che, ad appena un mese dalla sua
adozione, il Senato ha ritenuto necessario proporre
11
.
La nuova disciplina, tuttavia, si presenta molto scarna, necessitando, quindi, di
ulteriori interventi integrativi da parte delle associazioni di categoria attraverso la
formulazione di contratti standard che consentano di ridurre le incertezze
applicative nella prima fase.
L’obiettivo al quale è preordinato il nuovo strumento privatistico, avente carattere
multifunzionale, è quello di permettere la condivisione, da parte di più imprese,
delle risorse economiche e delle competenze necessarie allo sviluppo e alla
gestione di un segmento comune della filiera produttivo - distributiva
12
.
11
L’esigenza di apporre modifiche alla l. 33/2009, da parte del Senato e contenuto nel disegno di
legge recante disposizioni per lo sviluppo e l’internazionalizzazione delle imprese, nonché in tema
di energia, è sorta da una certa timidezza e una non piena convinzione da parte del legislatore, ben
visibili dalla sinteticità del testo legislativo. L’intervento correttivo ha inoltre interessato
l’abrogazione dell’art. 6 bis, l. 133/2008, nonché l’ adozione delle disposizioni di attuazione delle
procedure di programmazione negoziata con le pubbliche amministrazioni.
12
Art. 4 ter, L. 33/2009: «Con il contratto di rete due o più imprese si obbligano ad esercitare in
comune una o più attività economiche rientranti nei rispettivi oggetti sociali allo scopo di
accrescere la reciproca capacità innovativa e la competitività sul mercato. Il contratto è redatto per
atto pubblico o per scrittura privata autenticata, e deve indicare:
a) la denominazione sociale delle imprese aderenti alla rete;
b) l’indicazione delle attività comuni poste a base della rete;
c) l’individuazione di un programma di rete, che contenga l’enunciazione dei diritti e degli
obblighi assunti da ciascuna impresa partecipante e le modalità di realizzazione dello scopo
comune da perseguirsi attraverso l’istituzione di un fondo patrimoniale comune, in relazione al
quale sono stabiliti i criteri di valutazione dei conferimenti che ciascun contraente si obbliga ad
eseguire per la sua costituzione e le relative modalità di gestione, ovvero mediante ricorso alla
costituzione da parte di ciascun contraente di un patrimonio destinato all’affare, ai sensi
dell’articolo 2447-bis, primo comma, lettera a), del codice civile;
d) la durata del contratto e le relative ipotesi di recesso;
e) l’organo comune incaricato di eseguire il programma di rete, i suoi poteri, anche di
rappresentanza, e le modalità di partecipazione di ogni impresa all’attività dell’organo».
11
Il contratto di rete è applicabile a figure già esistenti, ma consente di creare nuove
modalità di collaborazione andando oltre gli schemi socialmente o
legislativamente predisposti.
La nuova figura contrattuale potrà, inoltre, essere impiegata per attività di gestione
a vantaggio dei partecipanti, come l’esercizio comune di attività di trasporto, la
gestione di servizi amministrativi e contabili in comune, l’utilizzazione in comune
di impianti,l’acquisto e la vendita di beni e servizi per lo svolgimento delle
attività, l’assunzione di appalti, fornitura o la concessione a terzi di sistemi di
distribuzione e molte altre attività funzionali al perseguimento degli obiettivi
strategici delle imprese.
Emerge, inoltre, la possibilità di ricorrere al contratto di rete per creare
collegamenti tra imprese sia in linea orizzontale che in linea verticale. Ed è
proprio l’ultima struttura indicata che sarà più frequentemente assunta dal negozio
in esame.
In primo luogo, occorre considerare che le imprese concorrenti intenzionate a
collaborare tenderanno a rivolgersi a forme negoziali già collaudate e dunque
meno rischiose, quali, ad esempio, accordi di joint venture e o consorzi.
In secondo luogo, i negozi volti ad elaborare strategie di coordinamento tra
concorrenti possono sollevare dubbi di conformità al diritto antitrust.
Potrebbe dirsi lo stesso per le ipotesi di collegamento verticale, ma in questo caso
appare maggiormente comprensiva l’esigenza per produttore e distributore di
definire in maniera condivisa le modalità di rivendita dei singoli beni.
12
Ad ogni modo, la finalità del contratto di rete deve essere puntualmente
esplicitata, fornendo una chiara dimostrazione della sua meritevolezza, non solo
per quanto riguarda gli interessi delle imprese coinvolte, ma anche quelli del più
ampio contesto nel quale esse operano.
Una scelta che si suppone effettuata per agevolare un eventuale sindacato
dell’Autorità garante della concorrenze e del mercato sulla conformità del
contratto al diritto antitrust.
Il contratto di rete può avere, inoltre, struttura bilaterale o plurilaterale e parti del
contratto possono essere imprese di qualunque dimensione.
Si tratta, dunque, di un contratto tra imprese che non dà luogo alla nascita di un
soggetto collettivo, ma ad un’organizzazione non soggettivizzata e strumentale
all’attuazione di un programma comune di rete che rappresenta la causa del
contratto.
Il contratto di rete, dunque, «costituisce una delle possibili risposte ad incertezza,
comportando l’adozione di forme di governance che favoriscono la collaborazione
e riducono i rischi di opportunismo»
13
.
Tale contratto si pone, quindi, come valida alternativa alle varie forme di
integrazione imprenditoriale sperimentate sino ad oggi, ma il suo «successo
applicativo rappresenta forse una scommessa, il cui esito dipenderà dallo slancio
con il quale gli operatori accetteranno di limitare parte della propria autonomia
gestionale a vantaggio di una maggiore cooperazione. Pertanto, nell’attesa di
valutarne il grado di diffusione nella prassi, occorrerà seguire il dibattito
13
F. Cafaggi Rete di impresa e contratti di rete. Il contratto di rete e il diritto dei contratti in I
Contratti, 2009, p. 915-927.
13
parlamentare e attendere l’eventuale recepimento delle modifiche alla
normativa»
14
.
1.3 Contratti dell’impresa pubblica
«L’asimmetria di potere economico non è, evidentemente, una prerogativa
possibile ed esclusiva delle relazioni tra imprese propriamente private, ma è un
fenomeno che, in realtà, può inerire anche ai rapporti di mercato dell’impresa
pubblica, cioè degli operatori pubblici indipendentemente dalla forma rivestita, o
anche privati, che esercitano un’attività economica organizzata operando secondo
i principi della normale gestione commerciale, ma su cui le autorità pubbliche
esercitano o possono esercitare un’influenza dominante
15
».
L’ambito di azione dell’impresa pubblica attiene, dunque, all’azione degli enti
pubblici cd. economici, delle società commerciali interamente o parzialmente in
mano pubblica,delle imprese private a cui viene riservato l’esercizio di
determinate attività in taluni mercati
16
e delle imprese private concessionarie della
realizzazione e gestione di grandi opere o concessionarie della gestione di
infrastrutture pubbliche.
14
E. Brodi Coordinamento tra imprese e «contratto di rete»: primi passi del legislatore in I
contratti, 2009, p.727 ss. Sul punto anche AA. VV. Il contratto di rete in Il corriere del merito(Le
rassegne), 1/2010.
15
Gitti – Villa Il terzo contratto Il Mulino, Bologna, 2008.
16
In particolare nei mercati dell’energia elettrica, dei trasporti e, in una certa misura, delle
telecomunicazioni.