8
Stefano Zecchi (famoso per avere allietato più volte i diversi salotti
televisivi), nel quale dichiarava che coloro i quali si sono regalati due ore di
cinema preferendo tale film (…) non hanno bisogno di leggersi Umberto Eco
o Calasso, difatti : <<sono i rappresentanti di quell’italiano medio senza
pretese intellettuali né ipocrisie, capace di ridere sino alle lacrime dimentico
di tutto persino del proprio decoro>>.
Parole consolanti certo, ma che confermano quell’ingiustificato senso di
inferiorità (altrimenti perché fingersi lettori impegnati) che il cinema comico
si porta appresso; nel riso c’è sempre qualcosa di volgare, di basso, era solito
affermare Alberto Savinio.
Ma rilassiamoci, dunque.
Ci sia consentita una banalità: è più facile una lacrima che una risata, che
peraltro risulta meno elegante.
Ma torniamo a ciò che si propone il nostro lavoro: indagare come è nato e
come si è sviluppato il fenomeno - Fantozzi, (forse) l’ultima maschera che il
nostro cinema ha prodotto nell’ultimo quarto di secolo.
9
1. Paolo Villaggio e la comicità
1.1 Breve premessa sul panorama comico italiano
La situazione comica in Italia nell’ultimo trentennio del Novecento vede
un nutrito numero di personaggi, la stragrande maggioranza provenienti dal
piccolo schermo: pertanto sono definiti <<figli della televisione>>.
Negli anni ’70 al cinema approda infatti una generazione di comici nati
artisticamente in TV e diventati grazie ad essa famosi, come Enrico
Montesano, Alighiero Noschese, Adriano Celentano, Renato Pozzetto e tanti
altri.
Un caso a se è rappresentato dai palermitani Franco Franchi (che ci ha
lasciato esattamente dieci anni fa) e Ciccio Ingrassia, che dopo il loro esordio
teatrale nel ’55 costituiranno forse la coppia più famosa del cinema italiano;
il loro genere preferito è la parodia dei titoli di successo, da Sedotti e
bidonati (’64) a Ultimo tango a Zagarolo (’73), e l’infinita serie dei
Franco,Ciccio e…, giocata sui caratteri del “dritto”e del”tonto”.
Il vero lascito di quegli anni al cinema e alla cultura comica nazionale è il
genovese Paolo Villaggio, proveniente dal cabaret e dalla mitica trasmissione
Quelli della domenica (1968).
La comicità degli anni ‘80/’90 è solo “riso” riscaldato, una vecchia e nuova
comicità di fine millennio che con la fine della televisione subirà
contaminazioni con vari generi di spettacolo.
E’ la volta dei figli del cabaret , emergono nei primi anni ’80 grazie a
quella fucina di esordienti che è stata Non stop, con i Carlo Verdone,
Francesco Nuti, Roberto Benigni.
Pare ormai al tramonto quel ”facce ride” di petroliniana memoria, perché
finalmente i comici non sono più quella specie di buffoni di corte né
tantomeno degli scemi del villaggio globale; ciò non significa che debbano
10
tutti e necessariamente diventare dei nuovi guru, e di certo il compito
risulterebbe alquanto difficile al nostro Fantozzi già obliterato dal mondo.
La comicità di oggi non ha più obiettivi particolari (ma ci sono sempre le
eccezioni che confermano la regola) né un fine ideologico da raggiungere; il
comico preso in sé non ha più alcun significato, nella misura in cui lo si
estrae dal suo contesto.
Se qualche finalità gli è rimasta, è quella di far ridere noi spettatori (nel
caso mostriamo di gradire) ed eventualmente – ma per molti, soprattutto – di
avere successo o di fare buoni incassi.
Ormai ci troviamo di fronte ad una comicità ideologicamente
disimpegnata, anche se persiste in alcuni una consistente valenza di critica
sociale ( lo si spiegherà nel paragrafo relativo ad alcuni aspetti della comicità
di Fantozzi); attenzione però, perché il termine “critica” è inteso come
“giudizio”, che può essere a seconda dei casi positivo o negativo).
Spesso, come nel nostro caso, il comico mette in discussione dei modelli
di comportamento, di regole o semplicemente di certi atteggiamenti verso la
vita; in fondo la comicità ha comunque un’influenza sociale!
Purtroppo il genere comico non è stato in precedenza finemente studiato,
anche perché considerato un genere “basso”, di scarso valore persino (lo si
accennava nell’introduzione del presente lavoro) .
Si trattava pertanto di un giudizio di valore estetico, giudizio che permane
ancora in molte menti, e che va a colpire una buona parte della produzione
comica corrente; si dimentica così che il genere comico riveste una grande
importanza sociologica ed un altrettanto valida rilevanza linguistica.
Quella rilevanza sociologica di cui si accennava testé (non si dimentichi
di leggere poi la breve ma significativa analisi che si è qui data di Fantozzi)
include due fattori.
Il primo relativo all’eccezionale e puntuale successo che gli spettacoli e
film comici (si ricordi il caso del film Merry Christmas menzionato
nell’introduzione, che ha destato quasi “scandalo” presso la solita certa
cerchia di critici). Basti pensare che nel ventennio che ha chiuso l’ultimo
11
secolo tutti i più grandi successi cinematografici italiani di maggiore incasso
sono stati di genere comico.
Il secondo riguarda invece quest’ultimo, che nel caso del nostro cinema è
spesso realistico, cioè attinge all’attualità, alla cronaca di costume: come
soleva dire il critico cinematografico Fernaldo di Gianmatteo nel suo libro
dal titolo Naturalmente ridere è una cosa seria
1
.
Quello stesso tessuto di critica sociale che ha dato vita negli anni ’60 alla
commedia all’italiana. Ma questo è un altro discorso.
1.2 Paolo Villaggio: profilo umano e letterario
Paolo Villaggio nasce a Genova nella notte dell’ultimo dell’anno del
lontano 1938, circostanza che ritiene particolarmente fortunata.
Nel 1969 esordisce come attore in un dimenticato, I quattro del Pater
Noster, ma lo stesso anno viene scritturato da Mario Cecchi Gori per
interpretare quello che considera effettivamente il suo primo film,
Brancaleone alle crociate di Mario Monicelli; seguono altri 66, fin quando
finisce per regalare al suo pubblico il noto Fantozzi.
Deve considerarsi anch’esso un figlio della televisione infatti esordisce
come comico in una famoso programma televisivo, come si dirà nel
successivo paragrafo. Fin da giovanissimo bazzica in cabaret locali, dove
otterrà i primi successi, e nel ’65 si inventa il primo personaggio di successo,
il tostissimo Franz, al quale seguirà il suo più grande successo, il ragioniere
Ugo Fantozzi.
Oltre a personaggi comici (può considerarsi l’ultimo rappresentante di una
comicità “antica” fondata su gag, come nelle comiche slapstick del cinema
muto americano), sa ritagliarsi uno spazio da attore colto, interpretando
anche cinema d’autore e teatro.
1
Edito da Editori del Grifo, Montepulciano (Fi), 1988
12
Infatti nel 1996 recita con grande riscontro di pubblico e critica la parte di
Arpagone ne L’avaro di Moliere, rendendo la parte più interessante e
veritiera grazie alla somiglianza fisica con il personaggio.
Avrà modo di lavorare in pellicole d’autore con quel grande genio di
Fellini nell’ultimo suo film, La voce della luna (1989) nella parte di
Gonnella; è poi professore in Io speriamo che me la cavo diretto da Lina
Wertmuller, film nel quale << [Paolo Villaggio] sembra uscire una volta per
tutte dal suo Fantozzi>> come scrisse qualche inclemente critico.
Dicevamo del teatro. Un palcoscenico con pochi elementi, le quinte sono
completamente nere: un ambiente decisamente spoglio per mettere in risalto
– ma non ce n’è bisogno – la sua vis comica. Lo spettacolo messo in scena
dall’attore ligure, “Delirio di un povero vecchio”, da lui stesso scritto, diretto
ed interpretato, è una sorta di monologo condito da citazioni tratte dal suo
repertorio”classico” costituito da personaggi già noti al pubblico.
Insomma, un’autobiografia “delirante”, come l’ ha definita l’attore stesso:
divagazioni nel mondo della sua infanzia, il periodo del liceo quando fu
eletto “il più brutto della scuola”, i ricordi dalla Liguria, sua terra d’origine,
la guerra, suo padre, arricchite dalle “intromissioni” degli ormai celeberrimi
– veri cavalli di battaglia – Fantozzi, il professor Krantz, Fracchia, la
“terrificante corazzata Potemkin”.
E’ la sua terza apparizione teatrale, dopo il successo riscosso con L’Avaro
(da un’idea del compianto Giorgio Strehler) e l’ottimo riscontro ottenuto con
il recente remake del notissimo Il vizietto.
Nel 1992 il “Festival di Venezia” l’ ha omaggiato di un premio alla carriera.
Abile e dissacrante prosatore, fino ad oggi si è dedicato alla scrittura di
libri con soggetto il suo personaggio più famoso: il ragionier Ugo Fantozzi,
la sua vita, dal cui grande successo dei primi due libri vengono poi tratti i
primi film; si parla di oltre un milione di copie vendute sia per il primo che
per il secondo...e ancora oggi a distanza di oltre vent’anni dalla prima
edizione si continuano a vendere. Ma di ciò se ne riparlerà (1.4.2).
13
Per Paolo Villaggio Fantozzi non ha significato solo successo e popolarità
internazionale, ma confessa di averlo usato come alter ego, un parafulmine
dei suoi aspetti peggiori; capito di avere una componente masochistica
notevole sin da bambino, Fantozzi come alter ego si è rivelato uno sfogo
fantastico, una salvezza, meglio di un trattamento psicanalitico.
Ecco allora che il nostro attore del cinismo e del paradosso è capace di
irridere anche la morte, e la sfida parlandole e immaginandola: ha fatto
persino credere agli amici di aver saputo la data e le modalità del suo decesso
consultando un computer ad Houston!
La mattina del 15 marzo 1991 alle 5 e 28 ora locale – scriveva infatti nella
prefazione di Fantozzi subisce ancora – morirà a Goa in India nella stanza
1016 dell’ Hotel Sharaton durante il suo ultimo viaggio.
La triste profezia non s’è avverata, ma forse ha regalato qualche idea agli
sceneggiatori riguardo il tira e molla tra vita e morte negli ultimi film della
serie.
Riguardo alla sua unica esperienza registica (quel Fantozzi contro tutti,
assieme al fido Neri Parenti), qualcuno scriverà che molti comici si
propongono come protagonisti e registi dei propri film, pensando seriamente
di avere qualcosa da dire, e convinti persino di doverlo dire <<assumendosi
tutti i rischi del discorso>>
2
.
Ormai il “fantozzismo” o “fantozzianesimo” si è diffuso dappertutto, e
nonostante l’attore ligure abbia registrato cadute di stile nel decennio ‘80/’90
con film beceri, ci ha regalato il suo personaggio più significativo; un travet
che persino in Fantozzi in Paradiso continuerà a dire <<signorsì, com’è
umano lei…>>.
Con la sua inconfondibile voce funebre e gestualità umilissima e
impacciata, e l’abbigliamento più trasandato e goffo di tutte le mezze
maniche da cui è stato preceduto.
2
Fernaldo Di Giammatteo, Lo sguardo inquieto. Storia del cinema italiano (1940-1990),
Scandicci (Firenze), La Nuova Italia, 1994
14
1.3 Genesi di un personaggio
1.3.1 Una nascita “sul campo”
La creatura Fantozzi nasce in forma d’antidoto al tran-tran aziendale
vissuto in corpore vili dal suo inventore ed interprete Paolo Villaggio, ma
“ri-nasce”
3
in televisione. Siamo nel lontano 1968 e sulla seconda rete della
Rai andava in onda uno dei primi contenitori domenicali, chiamato appunto
Quelli della domenica condotto da Renzo Arbore.
La trasmissione ha rappresentato un trampolino di lancio per molti futuri
comici come Cochi & Renato, e consacrato al pubblico Paolo Villaggio,
attore e non disprezzabile scrittore
4
(si veda il relativo paragrafo del presente
saggio), alterna la passione per lo spettacolo al lavoro “serio”di impiegato
presso l’Italsider
5
, dove ha modo di creare il personaggio di Fantozzi.
Si potrebbe dire che è il frutto di una deludente stagione lavorativa,
perché nel frattempo ha modo di affermarsi come cabarettista e da presenza
fissa del mitico “Derby” a Milano (una stazione quasi d’obbligo per chi ha lo
spettacolo nel sangue) approda in TV.
Ma è a Genova, sua città natale e sede del giardino dei suoi supplizi (la
fabbrica) che costui si vede offrire da Ivo Chiesa, direttore del Teatro Stabile,
la possibilità di esibirsi per la prima volta in uno spettacolo di cabaret ben
tre tipi del suo repertorio di intrattenitore dilettante.
Il successo comico è istantaneo e diventa di dominio pubblico in quel
fatidico 1968, quando l’attore ha modo di far conoscere il deplorevole trio
alla vasta platea televisiva , raccontando in particolare le disastrose
domeniche ricreative di Fantozzi/Fantocci.
3
O perlomeno è grazie al mezzo televisivo che incontra il favore del pubblico.
4
Fuori d’Europa è soprattutto noto per quest’ultima attività. Al contrario di ciò che accade
in Italia.
5
Gruppo siderurgico a partecipazione statale, scioltosi nel 1988.
15
Anche la radio lo vedrà protagonista in quegli anni con Il sabato del
Villaggio, con testi scritti da Maurizio Costanzo (non ancora Show ) e lo sarà
pure con Senza Rete (1971).
Tornando a quel mitico show, Villaggio presenta, oltre al suddetto dottor
Kranz, inetto illusionista quanto imbranato prestigiatore tedesco di Germania
(assai crudele con il pubblico in sala), una serie di personaggi improbabili
che raccontano storie se possibile ancora più strampalate; c’è lo strafottente
presentatore televisivo d’assalto, Giandomenico Fracchia (che verrà
trasformato all’occorrenza nell’amico-collega di Fantozzi, il Filini sullo
schermo).
Una curiosità: Filini è anche il nome di un personaggio interpretato in uno
dei suoi primi film: ma allora era un vigile urbano petulante.
Questi ultimi diversi ma ugualmente “mostruosi” personaggi verranno ripresi
in una serie di film con esiti incerti, dal momento che non hanno riscontrato
quel successo pari al suo capolavoro, il famigerato ragioniere Ugo Fantozzi;
perché è quest’ultimo l’unico e decisamente il più vicino al suo cuore, a
dispetto dei numerosi facsimili fantozziani passati sullo schermo.
Costui si presentava agli spettatori un poco dimesso nell’aspetto (vestiva
di stracci tant’è che è stato subitamente ribattezzato Fantocci
6
da quello
straccio d’individuo che è, poi mutato in Fantozzi) e in un certo senso il
vestiario definisce il suo status di “maschera” inteso come elemento
caratteristico; anche una altro comico come Larry Semon (più conosciuto
come Ridolini) aveva fatto del proprio vestiario una sorta di “divisa
necessaria” atta a qualificarlo.
Nascondeva la faccia a terra quasi avesse timore del pubblico, si agitava
con gesti inconsulti ed aveva un orribile basco calato sulla fronte e pantaloni
ascellari.
6
Ed è così che i colleghi di lavoro non smettono mai di chiamarlo. Ma la realtà è che tutti
cinicamente gli storpiano il cognome con effetti esilaranti.; nel libro Fantozzi subisce ancora
un triviale amico della moglie, certo Sergio, ne spara a raffica: Bambocci, Pupacci, Tipacci,
Mortacci, Fanolli etc, etc, al solo scopo di infiammarlo di rabbia.
16
La pelle era ormai giallognola perché si dice abbia vissuto per quasi
vent’anni in un angusto sottoscala (la sua testa aveva assunto le fattezze di
una mansarda)
7
, gli occhi grigi e spenti, le mani perennemente sudate che
tormentava nei momenti di nervosismo.
Quest’ultime diventano oggettivamente protagoniste della comicità del
personaggio, dando vita alla celeberrima espressione: <<mi si intrecciano le
dita>> (come ricorda la “Ballata di Fantozzi”).
1.3.2 Il falso congiuntivo. Tratti della comicità fantozziana.
Spesso nel film di genere “comico” la lingua si priva della propria facoltà
di estensione, e se si dice a qualcuno di andare a quel paese può capitare che
il pover’uomo chieda subito informazioni sulla via da fare.
E così come il traslato si ferma alla lettera, la lettera si ferma sul suono;
Fantozzi non usa spesso metafore, ma qualche volta non disdegna di
trasferire il senso di un termine dal proprio al figurato (i soldi “congelati”
dalla Polizia – per davvero, con tanto di ghiaccio intorno - per il riscatto di
Ughina in Fantozzi – Il ritorno).
Anche se parla poco, talvolta nell’impersonale terza persona (che equivale
alla cinematografico “fuoricampo”), il suo linguaggio è piuttosto uno
sciorinare di finti congiuntivi, di congiuntivi da matita blu, un inarrestabile
quanto irritante <<vadi, vadi>>, <<si segghi, prego!>>, <<venghi>> sino
alla sconsolante constatazione: <<Ma come è umano lei>>.
Se possono essere scambiate fra loro le persone, oggetti o circostanze, ciò
può accadere pure per le parole, spesso differenti le une dalle altre solo per lo
scambio di una lettera o simili per assonanza (babb., bambina), ed allora
ecco che <<la lingua gioca con la sua imperfezione costitutiva>>
8
, cioè con
un mondo che si offre alle innumerevoli possibilità verbali del comico.
7
Caratteristica squisitamente figurativa ma sulla quale si opererà una serie di gag, come si
vedrà in seguito.
8
Roberto Prezzo, Il teatro filosofico e la scena comica, Parma, Pratiche, 1994, cit., p.59
17
Un grande della letteratura italiana, Pirandello, riteneva che il riscatto ad
un mondo di abitudini trasformatosi in un universo maniacale (come può
esserlo quello del nostro ragioniere), potrebbe venire dalla pronuncia della
parola assurda, che in tal senso rompe questa sorte di “prigionia” coatta.
Comunque ha saputo inventare un lessico particolarissimo, sospeso tra
l’astrazione metaforica e le abbondanti degenerazioni burocratiche (una per
tutte: l’esilarante, chilometrico Ill.mo Spett.le Dott. Ing. Lup. Mann. Gr.
Ladr. Mascalzon. Farabut. e Cialtron…ma si potrebbe continuare con questo
andazzo), che è entrato immediatamente nel patrimonio comune degli
italiani.
In un interessante saggio sociologico sul “personaggio comico”
9
, a p. 21
leggiamo che spesso costui non è <<attrezzato culturalmente>>, cioè non è
affatto allenato a <<regolare risposte verbali>>, a parlare insomma secondo i
parametri della vita quotidiana.
Non riteniamo che la mancanza di una “competenza comunicativa” possa
riguardare Fantozzi, il suo ”finto congiuntivo” non lo rende incomprensibile
né <<incapace di controllare il rapporto di potere con l’interlocutore nel
rapporto comunicativo>>
10
, bensì è da considerarsi una risposta farsesca al
linguaggio del potere.
E’ allora incapace di parlare non perché analfabeta, ma perché impaurito
da una società civile e politica che percepisce come estranea, forse nemica,
nella quale i megapresidenti sembrano congiurare seriamente contro il
famoso ceto medio impiegatizio.
A volte il comico si caratterizza per il mancato rispetto di una regola,
grammaticale o sintattica (ma anche semantiche e pragmatiche), o per il
cattivo uso che ne fa, come è dimostrato magistralmente in Fantozzi; la
comicità nasce pertanto quando una di queste regole è violata e sono
frequenti, nei tanti e recenti studi di linguisti e filosofi del linguaggio, gli
esempi comici in cui la regola violata appare evidente per contrasto.
9
Si riferiamo al libro di Nicolò Costa, Il divismo e il comico, Torino, Eri/Rai, 1982, p.21
10
cit.,p.27
18
Lo studio di questo tipo di comicità può mettere in evidenza alcune regole
sintattiche, come ha fatto il francese Jean Paul Simon che parla di films-
esprit cioè di film che contravvengono tali regole, distinguendole da films-
comique, che farebbero leva sulla trasgressione delle regole di genere.
La parodia, in tal senso, presupporrebbe la conoscenza di genere da parte del
detrattore, di colui cioè che si cimenta nella ripresa comica dell’opera.
La comicità verbale è spesso legata all’abilità intuitiva dell’attore comico
stesso, per esempio è data dall’accostamento di due parole dal significante
assai simile e dal significato diversissimo, dai giochi di parole basati sul
“risveglio” di metafore assopite o all’uso di una stessa parola giocato su due
valenze totalmente diverse.
Riteniamo sia però limitatissima la presenza di un piacere sessuale legato
a quell’<<allontanamento dalle inibizioni>> di cui parlava Freud in un
famoso trattato, Il motto di spirito.
Fantozzi non è propriamente un comico di parola, una proiezione del
comico di situazione nel linguaggio (come potrebbero esserlo i fratelli Marx,
con l’aggressività verbale di Groucho, il non sense di Chico o il “silenzio
verbale” di Harpo, sostituito dal suono degli strani strumenti che tiene
nascosti nel suo impermeabile), e nemmeno è solito usare una terminologia
paradossale come “prolungamento” dell’azione comica del proprio corpo: si
limita a sottoporre la lingua a uno scoordinamento (senza necessariamente
ricomposizione) che mira all’assurdo, sfiorando il non sense.
Pensiamo all’ esilarante scambio di battute con un bellissimo Angelo (si è
rispecchiata perfettamente certa iconografia cristiana che vuole Costoro
biondi e con l’occhio ceruleo) in Fantozzi - Il ritorno, interamente giocato
sulla sequela di “titoli” sparati a caso: <<scusi signorina!>>. Lo guarda bene: <<
mi scusi avvocato; no dottore; scusi giovanotto; no ingegnere! >>.
In quest’ultimo caso si evidenzia l’importanza spiccata che ha il tono
delle battute, inteso a caratterizzare la gestualità dei personaggi.
Quanto al linguaggio abbondano pure altre figure retoriche quali
l’omonimia, sinonimia, ripetizione, paronomasia (per aggiunta o sottrazione),
19
vezzeggiativi, deformazioni (soprattutto mediante la voce); il riso si produce
allora dal linguaggio e dai fatti, e da quest’ultimo per somiglianza,
dell’impossibile, del possibile ma non conseguente, da ciò che è contro le
attese.
Sempre con un piede nella metafora, può pure finire a fare il parafulmine
sul tetto della megaditta (nel mitico finale de Il secondo tragico Fantozzi ) o
essere servito in salmì alle cene dei ricchi della contessa Vien dal Mare: da
qui discende il clima apocalittico in cui Fantozzi vive contrattempi e
sventure cinematografiche.
Poiché nulla è dato per certo e tutto è al contrario possibile in un mondo
in cui possono succedere solo sciagure di ogni tipo e grado, dal tram preso al
volo alla famiglia “scimmiesca” da mantenere, da giovinastri attaccabrighe a
letti che non si trovano mai al posto giusto (la gag del “letto che non c’è”).
I vezzeggiativi sono usati frequentemente e in entrambi i casi
ironicamente dalla signorina Silvani (con la sua voce stridula gli si avvicina,
magari per spillargli dei soldi, e gli fa: <<Fantozzino mio…>>, mentre il
collega-nemico Calboni spesso ama ripetergli: <<Puccettone, come sta…>>
(nell’episodio sul treno in Fantozzi contro tutti perdiamo il conto di quante
volte lo ripete alla sua “vittima”, tanto da infuriarlo e cacciarlo via dalle
cuccette); quest’ultimo personaggio si serve in modo quasi maniacale anche
della deformazione, difatti è solito storpiare il cognome del nostro eroe nei
modi più fantasiosi, favorendo il riso dello spettatore e l’odio represso del
ragioniere!
Ma si ha un uguale esito comico quando il discorso è sganciato dal
contesto e non possiede alcuna consequenzialità, come abbondano gli esempi
in Fantozzi.
Del resto quello del linguaggio nell’ambito del cinema comico è un
problema del quale si è discusso molto (non dimentichiamo che il
“genere”nasce muto, e non è un ovvietà) ; con l’avvento del parlato infatti
cambia la “costruzione cinematografica” costretta a tener conto della natura
propria del discorso, di quel rapporto costante tra la parola e l’immagine.
20
Nella versione cinematografica di Fantozzi i due elementi si sposano
perfettamente, grazie anche alla voce - guida che sottolinea situazioni
particolarmente comiche, atta a trasformarsi in una puntuale trascrizione del
ritmo verbale, sino ad uno scaricarsi del ritmo visivo e verbale assieme.
Nei vari Fantozzi sono episodici i casi di equivoco (un caso particolare di
errore, caratterizzato dallo scambio di cose, persone o situazioni, ed originato
da una circostanza oggettivamente plausibile, ma successivamente smentita),
che hanno spesso un esito comico, ed ancor meno di quiproquo; le gag, un
caso particolare di quiproquo, sono invece assai frequenti, spesso in forma
reiterata.
Esemplare in tal senso, di gag reiterata giocata sull’equivoco, è quella
legata all’aspetto scimmiesco della “piccola”, e che vede protagonista, o
meglio vittima, la figlia di Fantozzi: si avrà modo di vederlo nell’apposito
capitolo dedicato all’analisi dei film, e realizza l’atavico scambio tra l’uomo
e l’animale.
Sulla scorta dell’aspetto poco umano di Mariangela, è pure frequente
l’utilizzo del lapsus, altro caso particolare dell’ormai noto quiproquo,
caratterizzato dall’uso apparentemente accidentale od involontario (ma
inconsciamente significante, come direbbe il buon Freud) di una parola per
un'altra di diverso significato.
Non vorremmo esser tacciati di insensibilità, ma di nuovo ci vediamo
costretti a segnalare Mariangela, in una serie di lapsus diventati un vero e
proprio topos in entrambe le versioni: Fantozzi, per l’ennesima volta
scioccato dal faccino della figlia balbetta: <<Un bacino alla babb[uina], cioè
alla bambina>> , scatenando l’irritazione della moglie Pina.
Un altro elemento caratterizzante la comicità è quello dell’ingordigia, che
può essere più o meno causa di ilarità, a seconda delle circostanze; in passato
è stata la carta più usata da certi comici (Charlie Chaplin per tutti) e non è
estranea di certo in Fantozzi, per esempio nella già citata cura dimagrante
presso il lager tedesco in Fantozzi contro tutti, con le polpette o negli svariati
21
ricevimenti dalla Contessa, dove la sua atavica fame mal s’addice allo sfarzo
di residenze da favola.
Fantozzi è si, un fifone, un codardo (nell’episodio della scritta nel cielo,
alquanto offensiva per il Megadirettore), ma all’occorrenza rasenta un po’ di
spacconeria (nella rapina alla banca conclusasi in una farsa), ma sa sempre
essere “politically correct” (o perlomeno ce la mette tutta), e finisce per non
contenersi più in quella lunga sequenza sulla “preparazione elettorale”
dell’elettore in Fantozzi, convinto com’è che nulla più ci sia da fare e che le
rivoluzioni siano impossibili o soltanto l’ennesima trovata di quel duca conte
gran mascalzon figl. di puttan.
Ma come tutti i comici sa essere spesso crudele, per esempio usare un
personaggio per spingerci a ridere del mondo o della sua sconfitta, e in tal
senso la “vittima” preferita di Fantozzi è la figlia Mariangela, e meno spesso
il collega Filini; è in grado di trasformare il pathos, la sofferenza, persino la
tragedia che incombe in occasione di ilarità.
E così ridiamo di ciò che se osservato con occhi diversi potrebbe farci
piangere, come un’aggressione (che dire del pestaggio subito in Fantozzi),
un’ingiustizia, un cumulo di sconfitte; perché si può ridere anche delle
vittime e degli oppressi, proprio per vedere, o meglio, capire attraverso il riso
la loro oppressione.
Non esiste argomento che non possa essere affrontato in maniera comica,
il comico non ha preclusioni di campo e non riconosce niente di sacro, o
quasi, perché fra le cosiddette <<inibizioni del comico>>
11
ci sarebbe quella
concernente la sfera della religione, che in Fantozzi viene sfatata, seppur mai
sconfinando in una comicità blasfema (laddove cioè la bestemmia diventa:
<<forma di sublimazione comica di aggressività>>)
12
.
11
Gian Pietro Calasso, Ipotesi sulla natura del comico, Scandicci (Fi), La Nuova Italia,
1992, cit.p. 48
12
ibidem, p. 39