8
Lo scopo di questa ricerca è l’analisi dei percorsi attraverso i
quali si affronta una tipologia di disagio costituita da donne che
si trovano nella condizione di “madri sole”, comunemente
definite “ragazze-madri”, limitatamente a quelle che risiedono
nella provincia di Forlì-Cesena. Si vuole analizzare quali sono i
ruoli, gli obiettivi, gli aiuti delle forme di volontariato e delle
cooperative sociali nei confronti delle ragazze-madri, e quali le
funzioni e gli scopi delle madri sole all’interno dei Centri di
aiuto.
Spesso una madre “in attesa” vive una situazione di disagio tale
da rendere decisamente insufficienti gli interventi di assistenza
domiciliari. La mancanza di un posto dove vivere, ma soprattutto
l'assenza o non disponibilità del partner e della famiglia d'origine
mettono queste donne in una situazione tale da non aver altra
scelta se non l'aborto o la strada.
A queste mamme in estrema difficoltà, quasi sempre
giovanissime, si rivolge l'attenzione di alcune cooperative sociali
o forme di volontariato con progetti che prevedono la
realizzazione di una vera e propria rete d'accoglienza e che, oltre
alle ragazze madri, si aprirà anche al futuro dei loro figli.
Gli obiettivi comuni a tutte le forme d’intervento nei confronti
delle ragazze-madri sono il sostegno e l'accoglienza della vita
nascente andando incontro a tutte le situazioni di difficoltà che si
oppongono allo sviluppo del bambino concepito, intervenendo
sul piano economico, morale e spirituale.
Vengono proposti alle madri cammini formativi nel difficile
compito educativo e viene fornita loro un’occasione di crescita
personale nonchè gli strumenti necessari per rispondere
adeguatamente alle esigenze che la crescita de i figli suscita
Dire accoglienza significa essere disposti a dare non solo una
parte prestabilita di se stessi e del proprio tempo, ma soprattutto
s’intende un’apertura totale ad un altro, al quale e per il quale si
9
mettono a disposizione i propri spazi vitali: la casa con le proprie
abitudini e le proprie comodità. Ma è proprio questa disponibilità
così grande ed il calore che da essa promana a rappresentare, per
la persona accolta, una possibilità di “ripresa”.
Accogliendo la ragazza-madre non le si offre solo un aiuto
materiale o una disponibilità sincera, ma anche un equilibrio ed
un amore familiare che tanto manca a queste donne deluse ed
abbandonate. Ad una risposta positiva della donna a questo tipo
di aiuto, vengono assicurate le basi per un futuro familiare
normale e sereno ed un raggiungimento della maturità genitoriale
che la renda capace di una buona integrazione nella società e nel
mondo del lavoro.
10
CAPITOLO 1
______________________________________________________________________
LE COOPERATIVE SOCIALI
1.1 RAGIONI DELLO SVILUPPO DELLA
COOPERAZIONE SOCIALE IN ITALIA
Il fenomeno delle cooperative sociali, le cui prime esperienze
risalgono agli anni ’70, ha avuto quantitativamente il proprio
sviluppo durante il 1980 e durante tutto il decennio successivo, in
particolare dopo il varo della legge 381/1991 che le ha
riconosciute e disciplinate
1
.
Attualmente esistono oltre 3800 cooperative sociali presenti in
ogni regione, al cui interno operano circa 75.000 lavoratori e
undicimila soci volontari. Centinaia di migliaia di persone
utilizzano stabilmente i loro servizi. Lo scenario entro cui si è
manifestato questo sviluppo e le ragioni che lo hanno
determinato possono essere ricondotti a tre macrotendenze
2
tra
loro strettamente intrecciate, affermando la cooperazione come la
via italiana alla impresa sociale:
1. la crisi e la ridefinizione delle politiche sociali;
2. l’evoluzione e lo sviluppo dell’area del terzo settore;
3. il manifestarsi di nuove sensibilità all’interno del movimento
cooperativo.
1
Marzocchi F., Cooperazione Sociale e Minori in Emilia Romagna, Confcooperative
Emilia Romagna, Bologna 1999.
2
AA.VV., Imprenditori sociali. Secondo rapporto sulla cooperazione sociale in Italia ,
Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 1997.
11
1.1.1 Crisi e ridefinizione delle politiche sociali
Innanzitutto, la nascita e lo sviluppo di cooperative sociali hanno
trovato ragione nell’intendimento, espresso da gruppi di cittadini
autoorganizzati, di condurre in modo innovativo e partecipativo
modalità di intervento sociale più rispondenti alle effettive
esigenze delle comunità locali e, soprattutto, delle persone
svantaggiate. La volontà di avviare servizi in chiave preventiva e
promozionale, di avvicinare le risposte ai bisogni, di adottare
forme di gestione democratica invece di organizzazioni di tipo
verticistico e con mentalità burocratica hanno motivato
l’avviamento ed il consolidamento di nuove iniziative di
cooperazione sociale. Si tratta di ragioni che in alcuni casi sono
state poste come alternativa al modello pubblico di produzione di
servizi sociali e che in altri casi, sono state interpretate in uno
spirito di collaborazione con i pubblici poteri
3
.
Un altro motivo dello sviluppo va ricercato nel freno alle nuove
assunzioni nel pubblico impiego a cui si è assistito nel corso
degli anni ‘80. Ciò ha spinto alcuni pubblici amministratori ad
optare per una gestione delegata di servizi.
E’ però solo dall’inizio degli anni ’90, con il crescere della
consapevolezza dei limiti del modello “ tuttopubblico” di Stato
Sociale, che la cooperazione sociale comincia ad essere
considerata attentamente ( e legittimata con la legge 381/91)
come un interessante e credibile forma per attuare politiche di
depubblicizzazione dei servizi sociali, più bilanciate a favore
delle formazioni sociali intermedie
4
.
3
Martinelli L., Lepri S., Le Cooperative Sociali, Il Sole 24 Ore, Milano 1999.
4
AA.VV. Imprenditori Sociali. Secondo rapporto sulla cooperazione sociale in Italia,
Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 1997.
12
1.1.2 Evoluzione e sviluppo dell’area del terzo settore
Accanto alle formule tradizionali dell’associazionismo sociale,
delle fondazioni e delle iniziative a carattere sociale degli ordini
religiosi, sono emerse e si sono affermate a partire dallo scorso
decennio due formule originali: il volontariato organizzato e la
cooperazione sociale.
Progressivamente è anche cresciuta la consapevolezza di come il
termine volontariato non esaurisca la varietà e la complessità di
tale iniziative. Sono pertanto stati introdotti termini quali terzo
sistema, terzo settore, privato sociale, settore non profit, ecc., per
comprendere l’insieme delle organizzazioni e delle iniziative che
si connotano per il fatto di operare secondo logiche e pratiche
diverse da quelle dello Stato o dalle logiche delle imprese
tradizionali
5
.
I primi anni ’90 si sono poi rivelati di grande importanza per le
iniziative private operanti con finalità solidaristiche nel nostro
Paese. La legge quadro sul volontariato (266/91) e quella che
disciplina le cooperative sociali (381/91) hanno dato
riconoscimento a due diverse modalità organizzative per la
gestione, in forma privatistica, di attività di interesse collettivo,
innovando in modo significativo sia la forma cooperativa che
quella associativa
6
.
C’è motivo di ritenere che le ragioni dello sviluppo della
cooperazione sociale in Italia vadano ricercate anche
nell’opportunità, consentita da tale formula di gestire servizi
aventi una certa complessità organizzativa, in modo
imprenditoriale, democratico e trasparente. Essa è stata
5
Martinelli L., Lepri S., Le Cooperative Sociali, Il Sole 24 Ore, Milano 1999.
6
AA.VV. Imprenditori Sociali. Secondo rapporto sulla cooperazione sociale in Italia,
Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 1997.
13
individuata come la veste giuridica più idonea a consentire
attività solidaristiche di natura imprenditoriali e a garantire
processi partecipativi e trasparenza amministrativa. La
cooperativa è regolata da obblighi amministrativi e da un sistema
di garanzia verso terzi equiparabile a quello delle società per
azioni, oltre ad essere soggetta ad ispezioni da parte del
Ministero del Lavoro. Da questa opzione, si è progressivamente
sviluppato il fenomeno di adattamento della forma cooperativa al
fine di soddisfare gli interessi generali di natura socio-
assistenziali, che ha portato alla nascita ed alla definizione
normativa della cooperazione sociale
7
.
1.1.3 Manifestarsi di nuove sensibilità all’interno del
movimento cooperativo
Una terza ragione a cui ricondurre lo sviluppo della cooperazione
sociale va individuata all’interno del movimento cooperativo
italiano. L’innovazione ivi portata è stata duplice: anzitutto, il
raggio operativo della cooperazione è stato esteso a tutto il
campo delle politiche sociali, con ciò progressivamente
dimostrando come tale formula poteva consentire anche una
conduzione imprenditoriale e partecipata di servizi di welfare. In
secondo luogo è stata introdotta e sostenuta una diversa e più
ampia concezione dell’impresa cooperativa: essa deve avere lo
scopo di estendere i propri benefici anche al di fuori delle
compagnie sociali
8
.
Non sono tuttavia solo economiche le cause che stanno
contribuendo a porre maggiore attenzione alle attività non-profit:
7
Martinelli L., Lepri S., Le Cooperative Sociali, Il Sole 24 Ore, Milano 1999.
8
AA.VV. Imprenditori Sociali. Secondo rapporto sulla cooperazione sociale in Italia,
Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 1997.
14
vi sono determinanti sociali altrettanto rilevanti e tra queste forse
la più importante è quella demografica. La forte riduzione delle
nascite nel nostro Paese, con il conseguente invecchiamento della
popolazione, ha causato una riduzione della competente
produttiva della popolazione che si fa carico della produzione del
reddito e delle risorse da destinare ai servizi. Questa situazione
ha determinato un aumento della domanda d’istruzione, di sanità
e di assistenza che il bilancio pubblico non è più in grado di
sostenere in misura e qualità adeguate. D'altro conto, l’aumento
dei livelli medi di reddito ha stimolato una domanda di servizi
più diversificata e qualitativamente più elevata. Soddisfatti i
bisogni primari, i cittadini spostano la loro attenzione verso
maggiori esigenze in tema di cultura, di gestione del tempo
libero, di mobilità, di condizioni ambientalmente più vivibili
9
.
Tuttavia, in una società più ricca e più competitiva sono andati
crescendo gli squilibri tra coloro che sono o sarebbero
maggiormente in grado di rispondere autonomamente alle proprie
esigenze e coloro che invece non sono in grado di farlo, per
motivi soggettivi od oggettivi. La crescita degli squilibri sociali
ha moltiplicato la necessità di intervenire (assistenza) per far
fronte ai bisogni delle fasce più condizionate, sfortunate o
marginali della popolazione
10
.
Certo il terzo settore sconta ancora qualche preoccupante ritardo:
in tema di legislazione, fin troppo frammentata, ma anche di
eccessiva dipendenza dal “pubblico” in campi come la sanità,
l’educazione e la formazione. Ma è solo questione di tempo ;
esso ormai è un pilastro economico del Paese, una conferma dal
fatto che ormai siamo in presenza di un fenomeno non più
staticamente trascurabile
11
.
9
Martinelli L., Lepri S., Le Cooperative Sociali, Il Sole 24 Ore, Milano 1999.
10
Senn L., Dal Welfare State alla Welfare Society, Rivista on-line, www.fondazionecarige.it
11
Maggio F., Cinquemila cooperative sociali, un fatturato di tremila miliardi ed un’ampia
offerta di servizi, Il Sole 24 Ore, 25 Settembre 2000.
15
L’errore più pericoloso sta sicuramente nel pensare di poter
versare il nuovo vino nella botte vecchia: inserire cioè i nuovi
fenomeni all’interno della vecchia rete di protezione sociale,
quando, almeno in parte, tali fenomeni sono anche il frutto del
funzionamento della vecchia rete. Il passaggio dal lavoro-posto al
lavoro-percorso rende necessario sia l’introduzione di nuovi
istituti sociali (nuova Carta dei diritti del lavoro, Salario minimo,
ecc.) valevoli per tutte le forme di lavoro, sia il ridisegno, a
partire da questa novità, dell’insieme della rete di protezione:
dalle politiche previdenziali alle politiche formative, dalle
politiche della salute alle politiche abitative (il diritto alla
mobilità implica ad esempio non più una politica della casa
centrata sulla proprietà ma sull’affitto)
12
.
In sintesi, lo sviluppo della cooperazione sociale va inquadrato e
interpretato anche come espressione concreta dei fenomeni
innovativi, presenti all’interno del movimento cooperativo tesi a
riscoprire e ad interpretare in modo nuovo la sua vocazione
storica in ordine al cambiamento sociale
13
.
1.2 PROSPETTIVE
Lo sviluppo futuro della cooperazione sociale in Italia appare
legato a tre principali fattori.
Il primo riguarda il contributo in termini occupazionali generato
dalle cooperative sociali. Da questo punto di vista appaiono
ancora consistenti i margini di sviluppo per questa forma di
impresa all’interno di quei settori che l’Unione Europea ha
indicato come i maggior “giacimenti occupazionali” per la
12
Agostini L., Welfare locale - Assessorato sociale – Sindacati, Impresa Sociale 1999.
13
AA.VV. Imprenditori sociali. Secondo rapporto sulla cooperazione sociale in Italia,
Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 1997.
16
creazione di nuovi posti di lavoro negli anni futuri. Questi ultimi
riguardano infatti attività di servizio destinate ad incrementare la
qualità della vita degli individui e le occasioni di integrazione
delle comunità locali, in particolare in quelle aree territoriali ove
sono più evidenti fenomeni di esclusione sociale
14
.
Il secondo fattore consiste nella diversificazione dei mercati e
nella moltiplicazione del numero e della tipologia di clienti delle
cooperative sociali. A questo proposito è stato da più parti
sottolineato come il crescente livello di bisogni insoddisfatti
possa tradursi in domanda di servizi di welfare grazie
all’adozione di norme volte alla defiscalizzazione delle spese
sostenute per prestazioni di carattere socio-assistenziale.
L’ultimo fattore riguarda la capacità delle cooperative sociali di
mantenere nel corso del tempo la spiccata propensione
all’innovazione dei servizi che ne ha favorito il rapido sviluppo
negli ultimi venti anni. In particolare appare promettente il
contributo dell’imprenditoria sociale nell’ambito dei servizi
all’impiego a favore di disoccupati di lungo periodo; alle
cooperative sociali è stata riconosciuta la possibilità di utilizzare
strumenti di politica del lavoro tradizionale utilizzati dagli Enti
Pubblici come i lavori Socialmente Utili. Sono questi alcuni degli
obiettivi che le cooperative sociali italiane hanno oggi di fronte,
dal cui buon esito dipenderà il consolidamento di una esperienza
di notevole consistenza ed interesse
15
.
14
Martinelli L., Lepri S., Le Cooperative Sociali, Il Sole 24 Ore, Milano 1999.
15
Baronio L., Le Cooperative Sociali, Biblioteca della Solidarietà, Piemme, Casala
Monferrato 1996.
17
1.3 LEGGE 8 NOVEMBRE 1991, N.381: COOPERATIVE
SOCIALI
Il riferimento fondamentale della discipline delle cooperative
sociali è dato dalla legge 8 novembre 1991, n. 381 (Disciplina
delle cooperazioni sociali) che, definendo le finalità ed
individuando le modalità di realizzazione, fornisce preziose
indicazioni in merito alla natura di tali imprese.
16
1.3.1 Art. 1 (Definizione)
Con il primo comma dell’articolo 1 – Le Cooperative sociali
hanno lo scopo di perseguire l’interesse generale della comunità
alla promozione umana ed alla integrazione sociale dei cittadini
attraverso: a) la gestione dei servizi socio sanitari; b) lo
svolgimento di attività diverse - agricole, industriali,
commerciali o di servizi - finalizzate all’inserimento lavorativo
di persone svantaggiate. –è stata riconosciuta una nuova
fattispecie d’impresa (impresa sociale), che presenta una sorta di
inversione speculare tra i fini e i vincoli/opportunità, rispetto
all’impresa ordinaria. Scopo della cooperativa sociale è il
perseguimento dell’interesse generale della comunità, nel rispetto
dei criteri di razionalità economica e di efficiente impiego di tutte
le risorse disponibili. Il fine dell’impresa ordinaria è quello della
crescita economica nel medio-lungo periodo in condizioni di
redditività soddisfacenti.
L’art. 1 della legge, sempre al primo comma, specifica i due tipi
di attività mediante le quali deve essere perseguito lo scopo della
cooperativa:
16
Martinelli F, Le società cooperative, Pirola editore, Milano 1995.
18
a- la gestione dei servizi socio-sanitari ed educativi
(cooperative sociali cosiddette di “tipo A”);
b- lo svolgimento di attività produttive finalizzate
all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate (cooperative
sociali cosiddette di “tipo B”).
Le novità principali che riguardano la prima tipologia (“ tipo A”)
vanno ricercate nella facoltà di operare non solo sul fronte socio-
sanitario, ma anche su quello dell’educazione. Attualmente le
cooperative sociale di “tipo A” vantano una buona presenza
soprattutto nel campo dei centri diurni, dell’assistenza ed
interventi domiciliari
17
.
La preferenza per interventi di tipo territoriale e domiciliare trova
fondamento in almeno quattro ragioni. Anzitutto, la cooperazione
sociale ha da sempre indicato un opzione preferenziale nei
confronti degli interventi a forte impronta comunitaria, anche in
polemica contro soluzioni istituzionalizzanti. In secondo luogo,
tale preferenza è apparsa anche maggiormente percorribile dal
punto di vista economico, non richiedendo grandi capitali di
investimento iniziale. In terzo luogo, essa è andata incontro alle
richieste di amministrazioni pubbliche intenzionate ad ampliare
forme di intervento alternative al ricovero in istituto. Infine,
perché la concorrenza di altri soggetti operanti nel sociale si è
rivelata più agguerrita proprio nel campo delle strutture
residenziali
18
.
Tra i punti di forza delle cooperative sociali che svolgono servizi
socio-sanitari ed educativi vanno annoverati sia il minor costo e
la maggiore flessibilità rispetto alla gestione diretta da parte delle
strutture pubbliche, sia la disponibilità di personale mediamente
motivato e qualificato, sia la capacità di essere significativamente
17
Baronio L., Le Cooperative Sociali, Biblioteca della Solidarietà, Piemme, Casale
Monferrato 1996.
18
Martinelli F, Le società cooperative, Pirola editore, Milano 1995.
19
presenti in settori in forte crescita quali l’assistenza domiciliare,
sia anche la capacità di coinvolgere gli utenti e il territorio
19
.
I limiti delle cooperative sociali di “tipo A” sono certamente
l’ampia dipendenza economica delle pubbliche amministrazioni
(limitato sviluppo di servizi di interesse diretto per gli individui e
le famiglie, per i quali esiste una domanda privata) e l’operare
per committenti che progettano ed organizzano il servizio.
L’innovazione introdotta dalla legge 381/91, in riferimento alle
cooperative sociali di “tipo B”, sta invece nell’averle individuate
come strumento privilegiato e specialistico per l’inserimento
lavorativo di soggetti svantaggiati; come soggetto titolato a
svolgere una formazione professionale “sul campo” a lavorare
per una piena integrazione sociale delle persone in difficoltà e
a favorire un loro successivo avviamento lavorativo esterno alla
cooperativa.
Questa seconda categoria di cooperative sociali è probabilmente
destinata a conoscere uno sviluppo significativo; ciò a causa delle
gravi lacune, in merito, dell’intervento pubblico e del fatto che i
primi esperimenti posti in essere hanno dato risultati addirittura
insperati
20
.
In considerazione del fatto che questo tipo di cooperazione si
propone la duplice sfida di abilitare al lavoro soggetti
svantaggiati e di produrre beni e servizi collocabili sul mercato,
la legge 381/91 prevede per esse alcune agevolazioni:
- gli enti pubblici possono, in deroga alla disciplina in
materia di contratti della pubblica Amministrazione, stipulare
convenzioni con le cooperative sociali di “tipo B” per la fornitura
di beni e servizi diversi da quelli socio-sanitari ed educativi;
19
Matacena A., Travaglini C., Le cooperative sociali ed i loro consorzi tra
imprenditorialità e solidarietà sociale, CGeMs, Torino 1992.
20
AA.VV. Imprenditori sociali. Secondo rapporto sulla cooperazione sociale in Italia,
Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 1997.
20
- le aliquote complessive della contribuzione per
l’assicurazione obbligatoria previdenziale ed assistenziale dovute
dalle cooperative sociali, relativamente alla retribuzione
corrisposta alle persone svantaggiate, sono state ridotte a zero.
Tali agevolazioni permettono di trasformare persone
diversamente destinate a pesare sulla collettività (in termini di
pensione di invalidità, di mancato gettito fiscale, di costi per
l’ordine pubblico e la giustizia) in lavoratori produttivi e capaci
anche di autonomia economica anche per lo Stato.
Aspetti di debolezza quali una limitata propensione a lavorare sul
mercato privato, la limitatezza delle risorse per gli investimenti e
per lo sviluppo, la precarietà di molti contratti con la pubblica
Amministrazione, hanno fatto si che le cooperative sociali di
inserimento lavorativo rappresentino una realtà ancora modesta
sia in termini economici, sia in termini di numero di lavoratori
svantaggiati occupati
21
.
1.3.2 Art. 2 (Soci volontari)
Con la legge 381/91, art.2, è stato riconosciuta per la prima volta
in Italia la possibilità che un socio di una impresa persegua non
solo il proprio interesse, ma soprattutto l’interesse generale delle
comunità locali e dei soggetti svantaggiati. Viene prestato lavoro
non retribuito da persone che offrono disinteressatamente non
solo il loro tempo, ma anche loro capitali (seppur spesso si tratti
di quote modeste).
Nella gestione dei servizi socio-sanitari ed educativi che le
cooperative sociali svolgono in applicazioni di contratti stipulati
con amministrazione pubbliche, l’opera dei soci volontari deve
21
Martinelli L., Lepri S., Le Cooperative Sociali, Il Sole 24 Ore, Milano 1999.
21
essere complementare e non sostitutiva di quella di operatori
professionali, secondo i parametri di impiego previsti dalla legge.
I soci volontari, inoltre, il cui numero non deve superare la metà
del numero dei soci, vanno iscritti in un’apposita sezione del
libro soci
22
.
1.3.3 Art. 3 (Obblighi e divieti)
Secondo l’art.3, primo comma, –Alle cooperative sociali si
applicano le clausole relative ai requisiti mutualistici di cui
all’art.26 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato
14 dicembre 1947, n.1577, ratificato con modificazione, dalla
legge 2 aprile 1951, n.302, e successive modificazioni. – non
possono essere distribuiti dividendi superiori all’interesse legale;
vi è divieto di distribuire le riserve durante la vita sociale; l’intero
capitale va devoluto a scopi di mutualità e pubblica utilità in caso
di scioglimento
23
.
Inoltre, nell’art.3, secondo comma, –Ogni modificazione
statutaria diretta ad eliminare il carattere di cooperativa sociale
comporta la cancellazione della “sezione cooperazione sociale”
prevista dal secondo comma dell’art.13 del citato decreto
legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947,
n..1577, come modificato dall’art.6, comma 1, lettera c), della
presente legge, nonché la cancellazione dall’albo regionale di
cui all’articolo 9, comma 1, della presente legge –è prevista la
cancellazione dall’apposita sezione del Registro Prefettizio e la
cancellazione dall’Albo regionale. Con ciò si ammette la
possibilità di trasformare una cooperativa sociale in cooperativa
ordinaria, ed è questa una lacuna nella normativa. Si può tentare
22
Martinelli L.,Lepri S., Le Cooperative Sociali, Il Sole 24 Ore, Milano 1999.
23
ibedem
22
di controbilanciare tale lacuna con previsioni statutarie volte a
creare un quorum elevato per le modifiche dello scopo, o con
l’espressa dichiarazione della automatica messa in liquidazione
nel caso di perdita della caratterizzazione sociale
24
.
Il fatto di essere soggette a revisione annuale introduce, per le
cooperative sociali, un ulteriore elemento di controllo rispetto
all'effettiva correttezza amministrativa e in ordine al
perseguimento dell’interesse generale delle comunità
25
.
1.3.4 Art. 4 (Persone svantaggiate)
La legge in esame offre, nell’art.4, primo comma, un elenco
puntuale delle persone da considerarsi svantaggiate: invalidi
fisici, psichici e sensoriali, ex degenti di istituti psichiatrici e
soggetti in trattamento psichiatrico; tossicodipendenti ed
alcolisti; minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà
familiare; condannati ammessi a misure alternative alla
detenzione; soggetti indicati con apposito decreto della
Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Relativamente alla quota di lavoratori svantaggiati, con la
circolare INPS n.188 del 17 giugno 1994 viene chiarito che “le
persone cosiddette svantaggiate non concorrono alla
determinazione del numero complessivo dei lavoratori” e che,
pertanto, il calcolo percentuale va fatto rispetto al numero di
lavoratori normodotati
26
.
24
Martinelli L.,Lepri S., Le Cooperative Sociali, Il Sole 24 Ore, 1999.
25
AA.VV. Imprenditori sociali. Secondo rapporto sulla cooperazione sociale in Italia,
Fondazione Giovanni Agnelli, Torino 1997.
26
Martinelli L.,Lepri S., Le Cooperative Sociali, Il Sole 24 Ore, Milano 1999.