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INTRODUZIONE
Com’è nata la radio? Qual è stato il percorso di crescita di questo piccolo grande mezzo di
comunicazione? Come si è affermata nella società civile? Come ha reagito di fronte al
sopraggiungere delle nuove tecnologie?
Queste e molte altre sono le domande cui questo lavoro ha cercato di dare una risposta. Dopo
oltre un secolo di vita, la radio è tra i mezzi di comunicazione del XIX secolo quello che si è
saputo meglio adattare ai cambiamenti tecnologici e sociali che si sono susseguiti e che ha saputo
“reinventarsi” ogni volta, vestendosi di nuovi linguaggi e di nuova tecnologia. Non si è mai
fermata nonostante l‟avvento della televisione e di mille altre possibilità tecnologiche,
mantenendo comunque la sua indubitabile freschezza. La radio è riuscita a vincere ogni sfida e a
ritagliarsi i suoi spazi nella fitta rete comunicativa – informativa dei mass media, legando a sé un
pubblico sempre maggiore. Essa è stata la “voce” del Novecento e in particolar modo la voce di
quasi un secolo di storia del nostro Paese, di cui ha raccontato ma anche vissuto da protagonista
tutti i principali avvenimenti storici e cambiamenti sociali, politici e culturali. Il caso italiano è
uno speciale angolo di osservazione per riflettere e indagare sui significati della presenza della
radio nella società. La radio non ha avuto però una sola “giovinezza”: la sua lunga storia può
essere suddivisa in tre grandi tappe, che rappresentano i momenti fondamentali della sua crescita
e del suo mutamento, oltre che del suo rapporto con gli altri mezzi di comunicazione.
Il primo capitolo tratterà della prima giovinezza della radio, che coincide con quella “naturale”.
Tutto inizia l‟8 dicembre del 1895, quando Guglielmo Marconi riuscì nel suo esperimento e
inventò il “telegrafo senza fili”, l‟antesignano della radio che poteva trasmettere anche a grandi
distanze segnali in alfabeto Morse. All‟inizio l‟idea di servizio radiofonico quale noi oggi lo
conosciamo era certamente ben lontana dai piani dell‟industria del tempo: lo stesso Marconi non
comprese appieno l‟importanza della sua invenzione. Lo scopo iniziale era di migliorare il
funzionamento del telegrafo elettrico, superandone le difficoltà di applicazione, in quanto poteva
comunicare soltanto con luoghi già collegati tramite cavi telegrafici, escludendo, di conseguenza,
il mare aperto e le zone più impraticabili. Un decisivo passo avanti fu compiuto nel 1906,
quando Lee De Forest inventò la valvola termoionica che permetteva la trasmissione della voce
umana: a piccoli passi il mezzo marconiano iniziava ad assomigliare alla radio.
Il primo utilizzo che si è fatto del “telegrafo senza fili” è stato quello bellico durante la Prima
Guerra Mondiale. Solo dopo il conflitto, si gettarono le basi per la nascita del servizio
radiofonico, basato su una struttura a rete piramidale: un apparato trasmittente molto complesso
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(la stazione radio) e tanti apparati solo riceventi che non possono comunicare tra loro (la radio di
casa).
Tra il 1922 e il 1923 in diversi paesi fu inaugurato il servizio radiofonico e si delinearono
così i due sistemi antitetici di organizzazione di tale servizio: da una parte il sistema basato sul
monopolio pubblico del broadcasting europeo, dall‟altra quello privato del network americano.
In Italia il servizio radiofonico si svilupperà con qualche anno di ritardo in contemporanea con
l‟instaurarsi del Fascismo. Il 27 agosto 1924 nasce la prima società di broadcasting italiana,
l‟Unione Radiofonica Italiana (URI) che nel 1928 cambierà nome in Ente italiano per le
Audizioni Radiofoniche (EIAR). All‟inizio Mussolini era alquanto dubbioso sull‟utilizzo del
nuovo mezzo di comunicazione, a cui preferiva di gran lunga l‟informazione scritta; nonostante
ciò, la radio assunse un po‟ alla volta il ruolo di portavoce del Fascismo. Dopo gli eventi del
1925, l‟interesse fascista per le radioaudizioni incominciò a crescere sempre più sia dal punto di
vista politico che economico. Per incoraggiare la diffusione della radio, soprattutto nelle classi
subalterne, furono prodotti degli apparecchi che costavano poco (Radio Barilla) e fu istituito nel
1933 l‟Ente Radio Rurale al quale era affidata la vendita degli apparecchi per le scuole e altri
luoghi pubblici nei piccoli comuni rurali per favorire l‟ascolto e l‟acculturamento di massa. Nel
1935 terminò la fase amatoriale e il Fascismo incominciò a sfruttare la radio come strumento
politico e di propaganda per ampliare il consenso e per “addomesticare” la massa all‟ideologia
del regime. Per questo motivo mutò il palinsesto con un aumento vertiginoso dei programmi
parlati che pareggiavano quasi quelli di musica: aumentò il numero delle edizioni dei
“radiogiornali”, aumentarono i programmi dedicati a agricoltori, lavoratori e bambini e nacquero
le prime rubriche d‟approfondimento: esempio memorabile è “Cronache del regime”, condotto
da Forges Davanzati che commentava tutti i fatti del giorno. Successo straordinario ebbero anche
le radiocronache, che sfruttavano il linguaggio della diretta utilizzato sia per eventi sportivi
(come i Mondiali di calcio del 1934) sia per celebrare gli eventi del Regime Fascista.
La radio fu il mezzo ideale per “andare verso il popolo”, in quanto mezzo di comunicazione di
tipo “circolare” e di massa in grado di raggiungere simultaneamente con lo stesso messaggio una
moltitudine di persone separate e disperse nello spazio. Per queste sue caratteristiche, il nuovo
mass media si piegava perfettamente a un utilizzo di tipo politico e propagandistico: negli anni
‟30 e „40 sarà utilizzato non solo dai regimi dittatoriali ma anche nelle democrazie, seppur in
maniera diversa, per creare consenso e conquistare le masse. L‟uso politico e ideologico della
radio divenne più accentuato durante la Seconda Guerra Mondiale: parallelamente alle lotte
armate, si combatté un altro conflitto che aveva come campo di battaglia l‟etere e che vedeva
contrapporsi l‟EIAR alle voci “discordanti” di Radio Londra, di Radio Mosca, dell‟NBC
americana e di tutte le emittenti “antifasciste” (Radio Milano, Radio Bari e Radio Napoli) che
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svolgeranno un ruolo importante durante gli anni della Resistenza. Una lotta che mise a dura
prova il debole e poco efficiente apparato italiano. Dopo la liberazione, le stazioni radio
tornarono a trasmettere per le nuove forze democratiche al fine di alimentare la volontà di
riscossa nazionale e di trasformazione civile della società italiana.
Il secondo capitolo si apre sui difficili anni della ricostruzione post-bellica: partendo dal
momento della liberazione dai tedeschi, ci si soffermerà sulla descrizione della lenta rinascita del
nostro Paese dopo la parentesi del ventennio fascista e poi sugli “anni del Centrismo”. La radio
fu uno degli elementi che contribuì alla ripresa dell‟Italia, essendo il mezzo di comunicazione di
massa più potente del momento. Il 26 ottobre del 1944 l‟EIAR cambiò denominazione in RAI,
Radio Audizioni Italiane; nel 1952, al di fuori di qualsiasi logica parlamentare, fu rinnovata la
convezione per altri venti anni. La RAI ebbe l‟importante compito di ricostruire e riorganizzare
l‟intero sistema, oltre che recuperare la fiducia del pubblico persa negli ultimi anni del Fascismo.
Negli anni „50 l‟Italia conobbe un decollo industriale senza precedenti e di straordinaria intensità
(“miracolo economico”) che investì anche il settore radiofonico: in particolare il periodo tra il
1948 e il 1952 può essere considerato quello del rilancio e del potenziamento di tutto il sistema
radiofonico. Nel 1951 fu varata una riforma delle reti in tre programmi nazionali fra loro distinti
ma complementari: il Programma Nazionale d‟informazione, il Secondo Programma con
funzioni prevalentemente ricreative e il Terzo Programma (avviato nel 1950) rivolto al pubblico
intellettualmente più elevato e con compiti di divulgazione culturale. La programmazione
radiofonica era quindi orientata dal triplice compito di “informare, educare, divertire”. Il
giornalismo radiofonico fu potenziato, affiancando rubriche d‟informazione e approfondimento
alle edizioni del GR e introducendo una serie di documentari; l‟intrattenimento rimaneva però il
modo migliore per ristabilire un rapporto di fiducia con il pubblico: la radio si riempì di
spettacoli leggeri, di varietà (“Rosso e nero”), di quiz (“Botta e risposta”) e di musica (“Festival
di Sanremo”). Questa riforma e gli sforzi della RAI ottennero i risultati sperati: gli abbonamenti
aumentarono costantemente alla media di mezzo milione l‟anno e alla fine del 1953 gli abbonati
arrivarono a circa cinque milioni. La radio si era diffusa anche tra i ceti medi e inferiori ed era
divenuta finalmente “popolare”.
Questo periodo d‟oro per la radio italiana fu però interrotto nel 1954 dall‟avvento della
televisione che mise in crisi il settore radiofonico dopo un ventennio di successo travolgente. La
TV registrò un‟enorme crescita, comprimendo lo spazio di altri settori dell‟industria culturale,
come quelli del cinema, della carta stampata e del teatro. Ma la vera “vittima” fu la radio: dopo
una prima fase di equilibrio, in cui l‟ascolto televisivo fu prevalentemente collettivo per l‟alto
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costo degli apparecchi, il pubblico radiofonico incominciò a restringersi progressivamente. La
diffusione del servizio televisivo fu comunque graduale: se la frequenza di ascolto della radio
diminuì con l‟ascesa della tv, essa tuttavia era legata a consolidate abitudini di ascolto quotidiano
che si stabilizzano soprattutto nelle ore diurne, accompagnando il lavoro delle casalinghe e degli
artigiani e costituendo un‟alternativa per tutte le categorie che ancora non potevano permettersi
una televisione. Esisteva ancora un pubblico affezionato e fedele.
Non fu soltanto il successo della televisione a causare la crisi del “vecchio” mass media, ma
contribuirono in buona parte i cambiamenti sociali e economici degli anni ‟60 che trasformarono
l‟Italia da paese rurale in una delle nazioni più industrializzate. Questi cambiamenti cancellarono
il sistema sociale sul quale si era fondato il primato della radio, che iniziò a soffrire di un
“complesso d‟inferiorità” dovuto alla perdita del primato tra i mezzi di comunicazione di massa
nei confronti della televisione, che divenne la fonte privilegiata dell‟informazione e dello
spettacolo. La radio si vide sottrarre gli spazi e le forme espressive che le erano proprie e dovette
adattarsi a convivere con la frammentazione culturale, tratto distintivo dei decenni a venire. Le
sue voci celebri emigrarono verso la tv, divenendone i volti principali.
Nonostante ciò, la radio riuscì a trovare nuove soluzioni, nuovi sbocchi, nuovi orari e, grazie ad
un rinnovamento tecnico e sociale, riuscì a sopravvivere ottenendo un ritrovato e duraturo
successo. Iniziò così la seconda giovinezza della radio. Tra le novità tecniche va ricordato lo
sviluppo della modulazione di frequenza (FM) ma la vera novità fu l‟invenzione del transistor
che permise la miniaturizzazione degli apparecchi radio, oltre che un significativo calo dei costi.
Fu una vera e propria rivoluzione che trasformò le abitudini d‟ascolto per l‟introduzione della
radiolina a transistor e dell‟autoradio, accelerando il percorso di svincolamento della radio dalla
sudditanza televisiva. La radio divenne un piccolo oggetto tascabile, il primo medium elettronico
personale della storia. L‟uso più adatto della radio era infatti di tipo intimistico e privato, ben
lontano dall‟uso collettivo che le fu “imposto” per scopi eminentemente politici negli anni ‟30.
In particolare la radio divenne il simbolo della nuova cultura giovanile a seguito dell‟esplosione
del “fenomeno del rock’n’roll“ che si sviluppò in America nella seconda metà degli anni „50 per
poi “invadere” il vecchio continente.
Nello scontro con la “grande sorella”, si può dire che in generale la radio “giocò in difesa”,
puntando sul prestigio della propria tradizione e sfruttando anche qualche effetto di rimbalzo dai
programmi tv. Alla fine degli anni '50 una prima revisione del palinsesto dei programmi, spinge
la RAI a caratterizzare i tre programmi non più per “tono”, bensì per “generi differenti”. La vera
riforma dei programmi fu fatta nel 1966: si introdusse un rinnovamento dei palinsesti, dei
linguaggi espressivi e dei programmi e i tre canali assunsero con maggiore chiarezza una
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funzione complementare, offrendo per tutta la giornata un flusso di comunicazione continuo,
privo di fastidiose sovrapposizioni. S‟inseguono gli ascoltatori negli spazi non occupati dalle
trasmissioni televisive, stabilendo nuove consuetudini d‟ascolto e lanciando programmi destinati
a lasciare il segno nell‟immaginario radiofonico degli italiani. A chi non viene in mente la
famiglia tipo degli anni „70? Tutta la famiglia a passeggio con il papà che porta all‟orecchio la
radiolina per ascoltare le radiocronache di “Tutto il calcio minuto per minuto”. In questo periodo
di forte ascesa della televisione, la radio viveva una delle sue stagioni migliori grazie al rilancio
operato dalla riforma del palinsesto.
Dalla fine degli anni ‟60 la radio fu colpita dall‟aria di cambiamento e ribellione del ‟68 che
determinò la crisi del Centrismo della DC e l‟avvento dei primi governi di centro-sinistra. Da
come si è potuto costatare la radio fino a questo momento è stata una questione di Stato e della
RAI: c‟era un monopolio pubblico che da sempre è stato tutelato e mai messo in discussione. Ma
in questi anni sorse il fronte di contestazione del monopolio che porterà alla riforma della RAI
del 1975 e alla diffusione delle emittenti private, di cui si parlerà diffusamente nel terzo capitolo.
La Corte Costituzionale ricoprì un ruolo importantissimo all‟interno del dibattito sulla riforma
della RAI, guidandone gli sviluppi e decretandone gli esiti con le storiche sentenze del 1974 e
1976 che acconsentirono alla liberalizzazione dell‟etere. Bisognerà però aspettare altri 15 anni
prima che il Parlamento italiano approvi la legge n. 223 del 6 agosto 1990 (conosciuta come
Legge Mammì) di regolamentazione del sistema radiotelevisivo misto pubblico – privato. Con
questo regolamento, il Parlamento colmò il vuoto legislativo che fino a quel momento aveva
caratterizzato, e in parte penalizzato, il settore radiotelevisivo.
Gli anni ‟70 sono stati il periodo della libertà d‟antenna: l‟Italia divenne il paese con la più
elevata densità di emittenti in rapporto alla popolazione. Le “radio libere” si diffusero a macchia
d‟olio in tutta la penisola. L‟avvento della radiofonia privata in Italia fu, diversamente dagli altri
paesi europei ad eccezione della Francia, un evento sia musicale – giovanile che politico –
associativo: accanto alle prime radio commerciali (Radio Milano International e Radio Studio
105) e d‟informazione (Radio Radicale e Radio Città) vi erano le cosiddette “radio di
movimento” (Radio Alice, Controradio, Radio Popolare) che fecero da cassa di risonanza ai
principali eventi degli anni di piombo. Negli anni ‟80 la vitalità localistica andò lentamente a
esaurirsi per lasciare spazio alle logiche d‟accentramento e di concentrazione dei grandi network
nazionali: alcune emittenti abbandonarono la dimensione locale e la gestione dilettantistica per
abbracciare quella imprenditoriale e commerciale. Tramite il sistema delle affiliazioni diverse
emittenti private riuscirono a raggiungere un‟estensione regionale o addirittura nazionale, come
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nei casi di Rete 105, Radio Deejay e Rtl 102.5. I grandi network privati incominciarono a
crescere sempre più, consolidando la loro posizione e aumentando la percentuale dei loro
ascoltatori; in particolare nella seconda metà degli anni ‟90, la radiofonia privata raggiunse un
livello di maturità che metteva a serio pericolo la sopravvivenza delle emittenti pubbliche: un
linguaggio innovativo, un prodotto moderno, un efficiente apparato industriale, un‟attenta
strategia di marketing sono i segreti del successo del comparto privato.
Negli anni ‟80 – ‟90 la radio pubblica invece attraversò una profonda crisi: nel 1987 la RAI subì
il primo “sorpasso” da parte dei privati e da allora le emittenti pubbliche si sono viste sottrarre
pubblico e fasce orarie dalla concorrenza privata. La RAI dovette iniziare un processo di
ristrutturazione interna per adeguarsi alle nuove esigenze del pubblico e per contrastare la
concorrenza dei privati che diventerà sempre più forte. Nonostante tutti gli sforzi e i piani di
rilancio del 1982, 1990 e 1994, la perdita degli ascolti delle tre emittenti RAI non si arrestava.
Questo perché non si riusciva ad abbandonare l‟impostazione del 1951, mettendo in discussione
la caratterizzazione generalista dei programmi radiofonici della RAI. Solo alla fine degli anni ‟90
si assistette a una parziale inversione di rotta e s‟iniziarono seriamente a valutare manovre per
uscire dalla crisi.
Quel che è certo è che negli anni ‟90 in Italia la radio riuscì a liberarsi da quel complesso
d‟inferiorità che la opprimeva dall‟avvento della televisione grazie a un ritrovato interesse in
termini d‟investimenti pubblicitari e d‟innovazione tecnologica e grazie soprattutto all‟apporto
dei privati. Il settore radiofonico ha vissuto uno sviluppo straordinario che non aveva mai
conosciuto, neanche nei suoi anni d‟oro, diventando il medium, dopo la televisione, più seguito
dagli italiani per presenza complessiva nella loro vita. Da allora il mezzo radiofonico sta vivendo
una nuova e fortunata giovinezza, una nuova fase della sua lunga vita che a seguito d‟importanti
cambiamenti l‟ha vista vestirsi di nuovi linguaggi e formati, dimostrando ancora una volta la sua
grande vitalità e ecletticità. Di questo se ne parlerà nel quarto e ultimo capitolo.
Il principale evento che all‟inizio ha caratterizzato la terza giovinezza della radio è stato
l‟incontro con internet nella seconda metà degli anni ‟90 che ha determinato grosse
trasformazioni dal punto di vista produttivo ma anche nella fruizione, nello stile e nel ruolo del
mezzo radiofonico. Quest‟incontro ha determinato lo sviluppo di un nuovo mezzo rispetto al
quale la rete rappresenta non soltanto un sistema di trasmissione alternativo dal punto di vista
tecnologico, ma anche uno strumento che allarga i confini di ciò che può essere definito “radio”
dal punto di vista del linguaggio, dei contenuti, delle forme. Internet si è rilevato come il naturale
prolungamento della radio e ha portato alla nascita del “fenomeno delle web radio”. Grazie
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all‟utilizzo degli streaming software di trasmissione e ricezione di file audio, le trasmissioni
radiofoniche potevano essere fruiti attraverso la rete. Le radio online sono sia delle emittenti web
only, nate solo ed esclusivamente per una fruizione digitale, sia emittenti che trasmettono in FM
e decidono di duplicarsi sul web per trasmettere anche in forma digitale. Quello del webcasting è
stato un fenomeno tipico dei primi anni ‟90 che poi si è evoluto divenendo simulcasting e
podcasting.
Dopo un secolo di storia, la radio è diventata il mass media più poliedrico e versatile che esista,
perché accessibile da una molteplicità di piattaforme, una diversa dall‟altra, che ne aumentano le
possibili modalità di fruizione: accanto alla tradizionale radio analogica (FM) abbiamo anche
quella trasmessa via satellite, via cavo e sul digitale terrestre televisivo; quella fruibile su internet
e infine quella fruibile grazie a supporti mobili e multifunzione come il cellulare, l‟autoradio e il
lettore mp3. La digitalizzazione è stato l‟elemento che ha introdotto le più importanti
innovazioni che hanno modificato per sempre il “volto” della radiofonia e continuerà a farlo
anche nel prossimo futuro, in linea con il progresso tecnologico.
Ma come sarà la radio del futuro? Questo non lo sappiamo ma attraverso questo elaborato e al
contributo di storici ed esperti del settore, si cercherà di trovare una risposta anche a questa
domanda, dopo aver compiuto un viaggio alla scoperta delle tre giovinezze della radio. Di una
cosa siamo certi la radio non morirà: non è morta quando è apparsa la televisione, non è morta
oggi con l‟arrivo del web e non morirà domani qualsiasi cosa accada.