Introduzione
Ogni letteratura ha caratteristiche significative legate al sistema politico, economico e
sociale del paese e aiuta a creare ponti che uniscono popoli e luoghi differenti; ed è
proprio su questo presupposto che si basa il mio elaborato.
In questa sede si confronterà il testo cinese di Racconti romani (罗马故事 - Luómǎ
gùshì), tradotto in cinese da Shen Emei, con la versione originale di Alberto Moravia,
analizzandone i procedimenti traduttivi utilizzati e le difficoltà linguistiche incontrate.
Bisogna considerare che alla base della traduzione, per lo scrittore cinese, esistono
tre punti fondamentali da seguire: fedeltà (信 xìn), chiarezza (达 dá) ed eleganza (雅
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yǎ). Non sempre, però, si riesce a rispettare questi tre principi. Lu Yuanchang sostiene
che il terzo principio sia quello più “tradito”, in quanto spesso l’eleganza viene ricercata
in una “retorica pomposa e altisonante” (Brezzi 2008: 27), rischiando, così, di non
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cogliere pienamente il significato del testo originale. Nel caso specifico, Wei Yi
specifica ulteriormente che la lingua di Moravia è semplice ma non per questo banale,
che nei suoi racconti sono presenti descrizioni di ambienti e personaggi, ma mai in
modo prolisso e, benché le frasi presentino una struttura breve e concisa, il discorso
rimane incalzante. Nei Racconti romani è possibile sentire una voce particolare, quella
della gente comune di Roma, un dialetto pittoresco i cui colori non possono essere resi
perfettamente con nessuna traduzione.
Lo scopo del mio lavoro non è quello di giudicare la qualità della traduzione, quanto
quello di osservare criticamente il processo di traduzione prendendo in esame, quindi, la
traduzione come processo, il significato di una parola e l’equivalenza tra le parole delle
due lingue e delle due culture mettendo, così, in evidenza i problemi incontrati durante
l’atto del tradurre dalla Lingua di partenza (L) alla Lingua d’arrivo (L) tenendo in
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Questi tre principi sono stati formulati da Yan Fu (1854-1921), uno dei primi traduttori della
Cina di fine ‘800. L’enunciazione dei tre principi è contenuta nell’introduzione del Tianyan lun.
(Wei Yi 2008: 86)
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Wei Yi è docente dell’Università di Lingue straniere di Pechino. Ha tradotto L’automa di
Moravia, pubblicato nel 2002 dalla Yilin Press. (Brezzi 2008: 27)
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considerazione che, ogni qual volta ci si avvicina a un’opera straniera, bisogna prima
afferrarne il contenuto e poi soffermarsi sullo stile, che è comunque difficile da rendere
a parole.
L’elaborato si sviluppa in tre capitoli: nel primo si offre una panoramica storica
generale della traduzione della letteratura italiana in Cina per un periodo che va dal III
sec. a.c. fino ai giorni nostri; nel secondo si parla dei contatti che ebbe Moravia con la
Cina (nel 1937, nel 1967 e, infine, nel 1986) seguito da un breve elenco dei principali
romanzi dello scrittore italiano tradotti in cinese dal 1967 al 2005. Il terzo capitolo, che
fornisce una breve introduzione alla scrittura di Moravia, è a sua volta diviso in quattro
sottocapitoli, ognuno corrispondente all’analisi di un racconto:
1. “Fanatico” 狂热者Kuángrèzhě
2. “Arrivederci” 再见Zàijiàn
3. “Scorfani” 丑陋的人 Chǒulòu de rén
4. “Il mediatore” 中间人 Zhōngjiānrén
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1. La letteratura italiana in Cina
Nel mese di ottobre del 2005 si è tenuto il XVI Convegno dell’Associazione cinese per
lo studio della letteratura italiana in Cina dal titolo La letteratura italiana in Cina - La
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traduzione della letteratura italiana: teoria e pratica durante il quale scrittori e
traduttori – sia italiani che cinesi – si sono confrontati sui rispettivi universi letterari. In
occasione del convegno, altre iniziative sono state organizzate in quei giorni in Cina.
Innanzitutto la conferenza tenuta da Federico Masini il 18 e il 19 ottobre 2005 a Hong
Kong dal titolo Italy in China at the end of the Empire: Kang Youwei, Liang Qichao
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and SunYat-sen; l’apertura della Settimana della lingua italiana in Cina a Pechino e a
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Shanghai; l’inaugurazione della mostra La letteratura italiana in Cina presso la
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Biblioteca Nazionale di Pechino. Sulla scia di questi eventi, nel giugno del 2006 si è
tenuta a Roma la conferenza La letteratura cinese in Italia scrittori e traduttori a
confronto.
Tra gli illustri traduttori presenti durante il convegno del 2005, era presente Shen
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Emei che ha affermato che “la letteratura italiana è una perla preziosissima del tesoro
della letteratura mondiale e che tradurla e spiegarla può aiutare ad approfondire e
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promuovere i contatti tra Italia e Cina”. Sebbene nei dizionari cinesi non sia ancora
presente il termine “traduttologia” (译学 yìxué – “traduzione” + “studio”, “scienza” =
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traduttologia) e quindi la figura del traduttore si veda mancare un riconoscimento
ufficiale, è innegabile il valore dell’antica tradizione di traduzione che vede coinvolte la
Cina e l’Occidente.
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Il convegno internazionale intitolato La letteratura italiana in Cina è stato organizzato grazie
alla collaborazione tra la Facoltà di Studi Orientali dell’Università di Roma “La Sapienza” il
Dipartimento di Lingua italiana dell’Università di Lingue Straniere di Pechino, l’Associazione
cinese di studio della letteratura italiana e il Centro di ricerca di sinologia straniera (Brezzi
2008: 15).
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Castorina 2005: 68
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Organizzata dal Centro di Ricerca di cultura e letteratura comparata dell’Università di
Lingue Straniere di Pechino, e dal Centro di letteratura comparata dell’Istituto di
Scienze sociali sotto la direzione della Biblioteca Nazionale
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Castorina 2005: 70
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Shen Emei è docente di Lingua e Letteratura Italiana presso l’Università di Lingue Straniere di
Pechino.
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Shen Emei 2008:75
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Zhang Shihua 2008: 65
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Prima di entrare nello specifico del mio elaborato, ritengo opportuno percorrere
brevemente le tappe storiche delle traduzioni letterarie dall’italiano al cinese, per meglio
comprendere le relazioni tra due Paesi. Si tratta di rapporti millenari, considerando che
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già Virgilio chiamò la Cina “Paese della seta” (丝国 Sī Guó). Alcune testimonianze di
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traduzione ci giungono dal III secolo a. C. ma il primissimo incontro tra Cina e
Occidente si ha durante la dinastia Yuan (1279 -1368), periodo in cui sbarcarono in
Cina missionari francescani – per lo più italiani – e mercanti. Grazie alle testimonianze
di questi viaggiatori, giunsero in Occidente delle vere informazioni riguardo a questo
Paese, allora governato dai Mongoli. Il diario di viaggio più famoso è il Milione di
Marco Polo (1254 –1324).
Tuttavia, un reale incontro tra Cina e Occidente si ebbe nel corso del XVI e XVII
secolo grazie ai gesuiti, i quali mostrarono l’esistenza di paesi geograficamente distanti,
diffusero brevi citazioni di opere di Seneca o Orazio, presentarono scoperte scientifiche.
Allo stesso tempo, furono i primi a riportare in Europa opere storiche e filosofiche
orientali, tradotte in latino. Il lavoro dei gesuiti fu un punto di riferimento per tutti
coloro che volevano avvicinarsi alla realtà cinese fino al XIX secolo. A tal proposito
bisogna ricordare Matteo Ricci (1552-1610), il missionario accettato anche dall’élite
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della burocrazia imperiale, autore del primo vocabolario dal cinese al portoghese,
iniziatore del primo progetto di dizionario Cinese-Latino, il cosiddetto “dizionario
1314
Ricci” e traduttore dei Quattro libri del confucianesimo in latino. Durante i primi
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Jin Li 2008: 35
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Traduzione dall’ebraico al greco, delle Sacre Scritture (dell’ Antico Testamento), nota come
la Traduzione dei Settanta ( LXX, Septuaginta) pubblicata ad Alessandria d’Egitto. (Zhang
Shihua 2008: 65)
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Il dizionario venne ritrovato da D’Elia, nel 1934, nell’Archivio Romano della Compagnia di
Gesù, preceduto da carte di vario tipo (un dialogo-prontuario di conversazione in cinese solo
traslitterato di Ruggieri, conversazioni catechetiche di Ricci con letterati cinesi, note di
cosmografia, annotazioni volanti su gruppi di ideogrammi) e seguito da altre pagine
miscellanee. E’ diviso in tre colonne (voci portoghesi, trascrizione italiana, caratteri cinesi). Se
ne ha una ristampa critica in P. M. D’Elia, Il primo dizionario europeo-cinese e la
fonetizzazione italiana del cinese, in Atti del XIX congresso internazionale degli orientalisti,
(Roma 1938, pp. 172-78). Una recente edizione del dizionario di Ricci e Ruggeri è stata curata
da J.W. Witek (Biblioteca nazionale di Lisbona, 2001) (a.c. di Alfredo Maulo)
http://www.istitutomatteoricci.com/bibliografia.asp
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Marconi 2008 in http://www.associna.com/modules.php?name=News&file=article&sid
= 688
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I Quattro Libri del confucianesimo ( 四书 Sì Shū) sono i testi della letteratura cinese classica
selezionati da Zhu Xi, sotto la dinastia Song ( 960 -1279), come testi introduttivi al
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anni del 1600 si ebbero,quindi, grandi scambi culturali e scientifici, e oltre 300 opere
culturali e scientifiche europee vennero tradotte in cinese. Questa situazione durò fino al
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periodo della dinastia Qing nel 1644 – dopo la dibattuta “questione dei riti”- durante la
quale venne ordinato a tutti i religiosi di abbandonare il Paese. Nel XIX sec. gli
intellettuali cinesi posero attenzione soprattutto alla traduzione di opere scientifiche e
tecnologiche, in quanto ritenute motivo del successo ottenuto dagli stranieri in terra
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cinese, basti pensare alle “guerre dell’oppio” 1840 e 1860. In seguito alle continue
sconfitte subite, si cominciò a prendere in considerazione lo studio della storia politica,
delle dottrine economiche e del pensiero filosofico.
Vere e proprie traduzioni di letteratura italiana possono essere collocate alla fine
della dinastia Qing (nel 24° anno dell’imperatore Guangxu – 1898 - l’anno delle
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“riforme dei 100 giorni”) quando la casa editrice di Shanghai, 大同譯書局 Dàtóng
yìshūjú, fece stampare un piccolo pamphlet intitolato Biografie degli eroi del
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Risorgimento italiano tradotto da uno dei più celebri pensatori dell’epoca nonché
Confucianesimo. I Quattro Libri sono: la Grande scienza (大学Dàxué), il Giusto mezzo (中庸
Zhōng yōng) i Dialoghi (论语 Lúnyǔ) e il Mencio (孟子 Mèngzǐ). Furono, inoltre, i testi base
degli esami imperiali sotto le dinastie Ming (1368- 1644) e Qing (1644- 1912). (Lanciotti 1997:
22)
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La “Questione dei riti” cinesi è una celebre controversia teologica sorta fra ordini missionari
rivali intorno alla liceità o meno per i convertiti cinesi, di continuare le cerimonie in onore di
Confucio e degli antenati. Nel 1704 la “questione” fu risolta da Roma a favore dei domenicani e
francescani. Questa decisione venne considerata dall’imperatore Kangxi (1662-1722) come
un’interferenza della Chiesa di Roma negli affari interni cinesi. (Sabbatini – Santangelo 1986:
533)
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Con “guerre dell'oppio” si indicano i due conflitti il cui scopo era quello di imporre la
liberalizzazione del commercio dell’oppio. La prima guerra(1840 al 1842 ) interessò l'Impero
Cinese, sotto la dinastia Qing, e il Regno Unito. Si concluse con il trattato di Nanchino(1842).
Durante la seconda guerra(1856 al 1860), invece, la Cina si contrappose alla Francia e al Regno
Unito e si concluse con il trattato di Tianjin (1858)e il trattato di Pechino (1860). (Sabbatini –
Santangelo: 596)
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Le “Riforme dei Cento Giorni” (戊戌变法 W ùxū biànfǎ conosciuta anche come: 百日维新
Bǎirì wéixīn) è stato un fallimentare tentativo di modernizzare l'apparato politico, sociale,
culturale, militare ed educativo cinese per rispondere alla “minaccia di estinzione nazionale”,
voluto dall'imperatore Guangxu e dai riformisti guidati da Kang Youwei, che iniziò l'11 giugno
1898, interrotto poi il 21 settembre da un colpo di Stato condotto dall'imperatrice Cixi e dai
conservativi. (J.A.G. Roberts: 245)
18
Non si tratta di un vero testo tradotto dall’italiano ma la sua fonte storica e letteraria e lo
spirito nazionale sono di matrice italiana. (Wen Zheng 2008: 209)
5
19
leader della riforma dei 100 giorni; Liang Qichao (1873 – 1929). Liang vedeva nel
Risorgimento italiano la soluzione per “risvegliare la Cina”e ricorreva al romanzo per
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diffondere nuove idee.
Il crollo del sistema imperiale nel 1911 e la fondazione della Repubblica Cinese
comportarono un ulteriore passo in avanti per quanto riguarda il dialogo e la conoscenza
dei paesi occidentali: studenti e intellettuali cinesi si trovarono impegnati nell’ideazione
e nella definizione di un nuovo codice letterario capace di esprimere i cambiamenti
della società. La presenza della letteratura italiana in questo periodo è piuttosto esigua.
Importanza rilevante, però, assume Dante Alighieri, dato che egli con la Divina
Commedia era riuscito a trasformare il codice linguistico italiano, rendendo il fiorentino
“lingua ufficiale”, proprio ciò che voleva fare la Cina: passare dal Wenyan
2122
(文言Wényán) al Baihua (白话Báihuà). Col “Movimento del 4 maggio” nel 1919
contribuì alla maggiore diffusione della letteratura italiana in Cina, poiché molti
intellettuali cominciarono a tradurre opere letterarie italiane, affidandosi all’ausilio di
lingue veicolari. Ne è un esempio la traduzione dal giapponese al cinese dei primi tre
canti dell’Inferno di Qian Daosun (1887-1966), pubblicati nel 1921 sulla rivista
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Liang Qichao 梁啟超 è stato uno scrittore e storico cinese. Fu tra i primi a teorizzare un
cambiamento della letteratura classica cinese in favore di una sua modernizzazione, assegnando
dignità letteraria al romanzo, alla narrativa e al Báihuà 白话, più colloquiale, in
contrapposizione al Wényán 文言, lingua tradizionale scritta. (Brezzi 2008:19).
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La scelta del Risorgimento Italiano è anche dovuto ad una “vicinanza” di eventi: l’Italia era
un paese culturalmente antico, come la Cina, con un popolo sottomesso alla dominazione
straniera.
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Il professor De Mauro sottolinea che gli intellettuali cinesi, nel fare questa considerazione,
non tennero conto dei fattori che resero il fiorentino dantesco lingua ufficiale. Non furono la
Divina commedia o il Decameron a rendere il fiorentino lingua nazionale ma “la prossimità
linguistica di quel dialetto al latino, rispetto agli altri dialetto parlati nella penisola” in quel
periodo. De Mauro (Brezzi 2008: 19)
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Il Movimento del 4 maggio è un movimento studentesco causato dalla notizia delle risoluzioni
di Versailles. Il movimento introduce elementi quali: la difesa della lingua popolare,
l'iconoclastia, l'idealismo e la creazione di centri di vita comunitaria. Il “Movimento di Nuova
Cultura” (1915) e il “Movimento del 4 maggio” rappresentano il seme di un nuovo slancio
intellettuale e culturale.(Samarani2004:36)
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