5
1 L’eutanasia
1.1 Breve introduzione alle questioni di fine vita
In ambito medico il termine eutanasia sta ad indicare un intervento finalizzato a
ridurre le sofferenze. Il primo ad ipotizzare la sua pratica in quest’ ottica e come
ultimo atto di pietà è stato nel XVI secolo Tommaso Moro:
[…] visto che è inetto a qualsiasi compito, molesto agli altri e gravoso a se
stesso, sopravvive insomma alla propria morte, lo esortano a non porsi in capo di
prolungare ancora quella peste furiosa, e giacché la sua vita non è che tormento,
a non esitare a morire; anzi fiduciosamente si liberi lui stesso da quella vita
amara come da prigione o supplizio, ovvero consenta di sua volontà a farsene
strappare dagli altri
4
.
Dopo il filosofo anglosassone bisognerà aspettare Francesco Bacone, che dopo
circa un secolo affermerà:
Il compito del medico non è solo quello di ristabilire la salute, ma anche quello di
calmare i dolori e le sofferenze legati alle malattie; e di poter procurare al
malato, quando non c’è più speranza, una morte dolce e tranquilla, questa
eutanasia è una parte non trascurabile della felicità. […] Ora questa ricerca la
chiamiamo eutanasia esteriore, che distinguiamo da quell’altra eutanasia che si
riferisce alla preparazione dell’anima
5
.
Il filosofo inglese collega per la prima volta la parola eutanasia con l’attività del
medico, che avrà tra i suoi compiti specifici anche quello di abbreviare la vita per
fini altruistici.
Al fine di evitare fraintendimenti, nell’attuale dibattito l’utilizzo della parola
eutanasia deve essere compreso in questi termini, cioè come attività del medico
4
M. Reichlin, op. cit. p. 29.
5
Umberto Veronesi, Il diritto di morire, Edizioni Mondadori, Milano, 2006 cit. p. 29.
6
che ha come fine l’eliminazione del dolore
6
.
Nell’antichità non risulta che la questione si ponesse nella stessa prospettiva in cui
si pone oggi. Al contrario, pare che l’orientamento di fronte al problema non fosse
caratterizzato da un atteggiamento di tipo pietistico verso i malati, quanto
piuttosto si ricorresse a una sorta di eutanasia sociale, volta all’eliminazione di
malati e anziani, in quanto dannosi per l’economia della società, o al
mantenimento della salute della comunità per garantire una migliore
sopravvivenza. Una di queste prime tracce si trova nella società spartana, che
dalle testimonianza di Plutarco ci viene presentata così:
Non era padrone il padre d’allevare il figliuolo, ma lo portava egli in certo luogo
appellato Lesche, ove risedendo i più vecchi della tribù, consideravano il
bambino, e se era formato e robusto comandavano allevarsi, assegnandogli una
delle novemila porzioni. Ma se era malfatto e sformato lo mandavano a gittare in
certa caverna, detta Apoteta, appresso al monte Teigeto, stimando che,
trovandosi nella nascita mal disposto alla sanità e a forte complessione, non fusse
utile la vita né a lui né alla repubblica
7
.
L’usanza degli spartani era approvata anche da Aristotele,
8
che la definiva di
utilità politica, mostrando come ci fosse un atteggiamento generale di
subordinazione del singolo al bene sociale.
Testimonianze analoghe le troviamo anche nella Sardegna arcaica, dove
l’eutanasia sociale era rivolta agli anziani:
Si narra, infatti, che presso i Sardi i vecchi che avevano passato i settanta erano
uccisi dai loro stessi figli, i quali, armati di verghe e di bastoni, a forza di
6
Cfr. Enzo Pretolani, Bioetica medica e biomedicina, Società Editrice «Il Ponte Vecchio»,
Cesena, 1999, p. 20.
7
Plutarco, Vite Parallele, p. 117 di Marcello Adriani, ed. Felice Le Monnier, Firenze 1859
(reperibile su Google libri).
8
Aristotele, Politica, VII, 1335b.
7
percosse, spingendoli sull'orlo di fosse profonde come baratri, barbaramente li
facevano morire; e la crudele operazione accompagnavano con risa inumane
9
.
L’individuo risulta essere funzionale alla società, come si riscontra nel pensiero
politico di Platone, che nella Repubblica teorizza un’eutanasia con fini eugenetici:
Allora, oltre a questa funzione del giudice introdurrai nello Stato per legge anche
la medicina nella forma che si è descritta, cosicché insieme ti curino quei
cittadini che hanno una sana costituzione e, quanto agli altri, lascino morire gli
individui che sono portatori di tare fisiche e addirittura sopprimano di propria
mano quelli che hanno malattie psichiche ereditarie e incurabili
10
.
Anche il suicidio, che non godeva di una notevole considerazione, in quanto
rinunciare alla vita era un venir meno ai doveri verso la società o un atto di
vigliaccheria, poteva essere considerato lecito in particolari situazioni. Lo stesso
Platone espone tre di questi casi:
1) nel caso che fosse imposto dalla città (come era successo a Socrate);
2) nel caso che qualcuno fosse colpito da un evento doloroso e fatale;
3) Nel caso che qualcuno avesse avuto un destino disonorevole permanente e
intollerabile
11
.
Nella successiva età ellenica troviamo gli stoici, dove il sapiente ritenuto capace
di un giudizio saggio era legittimato a togliersi la vita nei seguenti casi:
1) quando morire costituisce un dovere, ad esempio per difendere la propria
…...patria;
2) per non rivelare un segreto sotto le minacce di un tiranno;
9
R. Pettazzoni, La religione primitiva in Sardegna, p. 147, Società Editrice Pontremolese,
Piacenza, 1912, http://centrostudirpinia.it, (1/12/2011). È da tener presente come l’usanza, oltre
ad avere fini, sociali aveva anche un carattere religioso, in quanto i morenti venivano offerti a
Crono.
10
Platone, Repubblica, 409e – 410a.
11
Cfr. Platone, Leggi.
8
3) quando l’età compromette le capacità mentali;
4) in caso di malattie debilitanti e incurabili;
5) quando l’estrema povertà precluda la soddisfazione dei bisogni elementari
12
.
Come si può notare, il primo motivo che legittimava il suicidio era sempre l’utilità
sociale.
Con la successiva diffusione del cristianesimo si determinerà un netto rifiuto di
tali pratiche, dovuto all’assoluta inconciliabilità di queste con la nuova morale
cristiana. Solo in epoca moderna ci sarà un’apertura verso l’eutanasia pietistica,
determinata da un cambiamento della concezione della vita, non più legata al solo
volere della società o di Dio, ma a una nuova visione in cui l’uomo sarà il
referente primario delle sue scelte.
1.2 La sacralità della vita nella Chiesa Cattolica
a. Introduzione alla definizione di etica teologica
Per poter valutare adeguatamente l’etica nell’ambito della riflessione cattolica,
bisogna individuare i principi cardine che guidano lo sviluppo delle successive
dichiarazioni in ambito morale. L’etica teologica si distingue dall’etica filosofica
in quanto, seppur ambedue scienze pratiche sotto l’istanza del dovere, hanno
prospettive diverse: la prima si muove entro il quadro della fede e della ragione
illuminata dalla fede
13
, la seconda si muove entro il quadro della sola ragione. Ciò
significa che la ragione risulta essere un punto comune di entrambe; l’etica della
fede dunque non si giustappone all’etica della ragione come un’altra etica, ma la
presuppone, la riconosce e la integra entro l’economia della salvezza cristiana. Le
12
Cfr. M. Reichlin, L’etica e la buona morte, Edizioni di Comunità, Torino, 2002, pp. 13-16.
13
Dionigi Tettamanzi, Nuova bioetica cristiana, Piemme, 2000, p. 9: “Le riflessioni della bioetica
puntano, pertanto, alla ricerca della verità sull'uomo, interpretano la realtà con il contributo della
ragione illuminata dalla fede secondo la tipica prospettiva cristiana (sub luce Evangelii et sub luce
humanae experientiae)”. In Questioni bioetiche e diritti individuali, http://www.presentepassato.it,
(1/12/2011).
9
fonti dell’etica teologica – Scrittura, Tradizione e Magistero – non creano l’etica,
ma (nell’ottica del credente) la perfezionano e la completano, “in questo modo
l’etica cristiana è la verità piena dell’etica semplicemente umana. Non qualcosa,
semplicemente, che aggiunge altri precetti: è l’etica in cui si compie e si rivela la
verità intera dell’uomo, del suo essere-persona”
14
. Ne consegue dunque che
l’etica teologica è l’etica innovata dalla fede, che avrà come fondamento il
principio cristologico, il quale porta con sé un’interpretazione ben precisa della
natura umana, che individua la verità della persona come bene e come fine in
Dio
15
. Con queste indicazioni ontologiche la persona sarà il valore centrale in cui
si qualificano i beni che la esprimono:
È alla luce della dignità della persona umana — da affermarsi per se stessa —
che la ragione coglie il valore morale specifico di alcuni beni, cui la persona è
naturalmente inclinata[…]l'esigenza morale originaria di amare e rispettare la
persona come un fine e mai come un semplice mezzo, implica anche,
intrinsecamente, il rispetto di alcuni beni fondamentali, senza del quale si cade
nel relativismo e nell'arbitrio
16
.
In riferimento all’uomo come persona si avrà un bene qualificato moralmente,
che sarà origine e fonte di doveri:
[…] la vita umana, pur essendo un bene fondamentale dell'uomo, acquista un
significato morale in riferimento al bene della persona che deve essere sempre
affermata per se stessa: mentre è sempre moralmente illecito uccidere un essere
umano innocente, può essere lecito, lodevole o persino doveroso dare la propria
vita (cf Gv 15, 13) per amore del prossimo o per testimonianza verso la verità. In
realtà solo in riferimento alla persona umana nella sua “totalità unificata”, cioè
“anima che si esprime nel corpo e corpo informato da uno spirito immortale”, si
può leggere il significato specificamente umano del corpo
17
.
14
Carlo Caffarra, Viventi in Cristo, Jaca Book, Milano, 1981, p. 57.
15
Cfr. Giovanni Paolo II, Enciclica Veritatis Splendor, 67.79.97.
16
Ibid. 48.
17
Ibid. 50.
10
Così il valore morale manifesta la relazione della persona con se stessa, che si
realizzerà nella verità dell’essere cristiano. La ragione e la fede saranno i due
cardini per la determinazione della norma, la quale avrà una fondazione autonoma
e teonoma, che si configurerà come legge naturale ed è in questo senso che si
esprime la Veritatis Splendor:
La giusta autonomia della ragione pratica significa che l'uomo possiede in se
stesso la propria legge, ricevuta dal Creatore
18
.
La legge morale sarà necessariamente basata sulla legge naturale, che è la stessa
“natura della persona umana”
19
interpretata come essere in sé, essere da/per Dio,
essere con gli altri, essere nel mondo e nella storia
20
. Così interpretata la legge
naturale, che è espressione dell’essere della persona, sarà oggettiva, universale e
immutabile. Questi principi e un’interpretazione della natura umana in un’ottica
di fede determineranno le strade che devono essere percorse con la ragione per il
raggiungimento della norma etica. In ambito protestante invece, se pur si fa
riferimento sempre all’immutabilità e universalità della legge divina, le
fondamenta etiche sono radicate solo nella fede e la ragione serve più per
interpretare il dato della rivelazione, piuttosto che per individuare una legge
morale basata sulla legge naturale. Questa posizione nasce perché si interpreta in
modo diverso la dottrina sul peccato originale
21
, che ferisce la natura umana a tal
punto che sarà difficile basarsi sulla legge naturale. Infine la dottrina della sola
fede per la salvezza dell’uomo e della libera interpretazione delle scritture, anche
se con sfaccettature diverse tra le differenti confessioni, porteranno a delle scelte
morali legate più alla libertà di coscienza che dipendenti da un’autorità morale
comune, almeno per quelle nuove questioni etiche che non si siano ancora
radicate nella loro tradizione.
18
Ibid. 40.
19
Cfr. Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes.
20
Cfr. Giovanni Paolo II, Veritatis Splendor, 13.
21
C’è una radicalizzazione del pensiero di Sant’Agostino: cfr. Sant’Agostino, La natura e la
grazia; La grazia di Cristo e il peccato originale. Martin Lutero, Il servo arbitrio (1525), a cura di
Fiorella De Michelis Pintacuda, ed. Claudiana, Torino, 1993. Naturalmente possono esserci delle
varianti, qui si fa riferimento al protestantesimo delle origini, che influenza, ma non determina, la
moltitudine di tutte le chiese.
11
b. I documenti della Chiesa Cattolica sulla fine della vita
La Chiesa Cattolica nei nostri tempi ha posto sempre grande attenzione al valore e
alla salvaguardia della vita. Nel Catechismo della Chiesa Cattolica
22
viene
sottolineato come l’alleanza tra Dio e l’uomo richiami spesso alla vita umana
come dono che l’uomo deve amministrare, di cui dispone ma di cui non è il
proprietario. L’uomo sarà chiamato a salvaguardare questo dono, rifiutando
qualsiasi atto che sia contrario alla vita.
Tale posizione è sottolineata in modo netto nella parte dedicata all’eutanasia, dove
viene detto:
Qualunque ne siano i motivi e i mezzi, l'eutanasia diretta consiste nel mettere fine
alla vita di persone handicappate, ammalate o prossime alla morte. Essa è
moralmente inaccettabile. Così un'azione oppure un'omissione che, da sé o
intenzionalmente, provoca la morte allo scopo di porre fine al dolore, costituisce
un'uccisione gravemente contraria alla dignità della persona umana e al rispetto
del Dio vivente, suo Creatore. L'errore di giudizio nel quale si può essere incorsi
in buona fede, non muta la natura di quest'atto omicida, sempre da condannare e
da escludere
23
.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica conferma i principi delineati dai Pontefici,
dove la sacralità della vita e la salvaguardia di essa è un dono indisponibile. Ma
andiamo a vedere quali sono le linee guida che vengono proposte nei casi di fine
vita.
Il primo significativo intervento nell’ambito dell’eutanasia è il discorso di Pio XII
Risposte ad alcuni importanti quesiti sulla “rianimazione”
24
, dove vengono resi
evidenti alcuni principi della tradizione ecclesiale, che poi saranno il cardine per
le successive rielaborazioni bioetiche in ambito cattolico. Uno di questi principi è
l’utilizzo di mezzi “ordinari” e “straordinari” (o mezzi proporzionati e
22
Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2258-2275.
23
Ibid. 2277.
24
Discorso riportato nel L’Osservatore Romano del 25-26 novembre 1957.
12
sproporzionati in base alla situazione clinica del paziente), dove si afferma il
dovere sia di conservare la vita e la salute mediante terapie che offrano un
ragionevole miglioramento, sia di evitare terapie eccezionali o particolarmente
gravose per il paziente. Quindi si avrà nel contempo il rifiuto sia di ogni forma di
eutanasia che dell’ accanimento terapeutico.
Per mezzi ordinari vengono intesi l’igiene, il riscaldamento, l’alimentazione,
l’idratazione, la prevenzione delle ulcere da decubito e delle infezioni
25
. Invece i
mezzi straordinari sono tutti quelli che impongono un onere gravoso al malato in
termini fisici e morali, senza alcun sostanziale beneficio alla qualità o al
prolungamento della vita. È interessante notare come Pio XII affermi che la
percezione dei mezzi ordinari risenta “di luoghi, di tempo, di cultura”
26
,
evidenziando un hic et nunc che apre alla possibilità di una diversa
interpretazione di questi mezzi. Un altro criterio cardine per una condotta morale
retta è l’applicazione del principio del “duplice effetto”
27
, dove:
Se il tentativo di rianimazione costituisce per la famiglia un onere, che, in
coscienza, non si può ad essa imporre, questa può lecitamente insistere perché il
medico interrompa i suoi tentativi, ed il medico può lecitamente acconsentire. In
tal caso non c’è alcuna disposizione diretta della vita del paziente, e neppure
eutanasia, che non sarebbe mai lecita; anche quando provoca la cessazione della
circolazione sanguigna, l’interruzione di tentativi di rianimazione è soltanto
indirettamente causa della cessazione della vita, e in tal caso bisogna applicare il
principio del duplice effetto
28
25
Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Risposte a quesiti della Conferenza Episcopale
Statunitense circa l'alimentazione e l'idratazione artificiali. Nota di commmento OR 15.9.2007, p.
1, 5; Communicationes 39 (2007) 199-203.
26
Pio XII, Risposte ad alcuni importanti quesiti sulla “rianimazione, in Discorsi ai medici”,
Roma 1959, p. 612.
27
Tommaso d’Aquino, Summa Theologica, II-II, q. 64, a. 7. copyright 2000- 2011 Fundación
Tomás de Aquino Iura omnia asservantur, http://www.corpusthomisticum.org/sth3061.html.
28
Pio XII, op.cit. in Eguaglianza e Libertà, 15/02/2009,
http://www.eguaglianzaeliberta.it/articolo.asp?id=1082, (18/07/2012).
13
Il principio del duplice effetto nella sua formulazione tradizionale deve garantire
quattro condizioni:
[…] l’atto sia in sé buono o moralmente indifferente;2) l’agente intenda
direttamente solo l’effetto positivo,limitandosi a permettere quello negativo; 3)
l’effetto positivo derivi direttamente dall’azione e non da quello negativo;4) vi sia
un’adeguata proporzione tra i due, ovvero l’effetto buono sia sufficientemente
desiderabile da compensare quello cattivo
29
.
Tale principio giustifica per esempio l’utilizzo di terapie straordinarie o la
somministrazione di dosi sempre più elevate di antidolorifici come la morfina, in
quanto il medico in questo caso non intende uccidere il paziente, ma alleviare il
dolore ed evitare terapie inutili.
Più frequenti sono gli interventi di Giovanni Paolo II, che affronta innanzi tutto le
cause che portano all’eutanasia, come le sofferenze del malato. Nel Messaggio del
Santo Padre in preparazione alla I Giornata Mondiale del Malato, Giovanni
Paolo II va proprio a toccare la sofferenza e a risignificarla in un’ottica di fede:
Alla luce della morte e risurrezione di Cristo la malattia non appare più come
evento esclusivamente negativo: essa è vista piuttosto come una “visita di Dio”,
come un'occasione “per sprigionare amore, per far nascere opere di amore verso
il prossimo, per trasformare tutta la civiltà umana nella civiltà dell'amore”
30
,
La sofferenza che nasce dall’esperienza della malattia acquista valore perché è
partecipazione alla vita di Cristo, ed è un mezzo per santificarsi. Il credente quindi
potrà avere un principio consolatore, trascendente e partecipativo, basato sulla
fede di essere in Cristo e per Cristo. Giovanni Paolo II nel suo discorso mette in
rilievo la posizione del cristiano all’interno della sofferenza, evidenziando
indirettamente come un atteggiamento di sconforto e di passività non rientra
nell’ottica del vero credente, il quale, se ha una fede profonda, difficilmente potrà
29
Rechilin p 89
30
Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio del Santo Padre in preparazione alla I Giornata Mondiale
del Malato, Città del Vaticano 13 maggio 1992, n. 3.
14
accettare qualsiasi forma di eutanasia. La vita così posta sarà considerata sacra e
indisponibile.
Nella successiva enciclica Evangelium Vitae
31
vengono riconfermati i principi
tradizionali della Chiesa, dalla sacralità della vita al principio del duplice effetto,
all’utilizzo di mezzi ordinari e straordinari. Con una particolare attenzione ai
cambiamenti socio-culturali, che hanno portato ad un consolidamento della
cultura pro-eutanasia, “attivamente promossa da forti correnti culturali,
economiche e politiche, portatrici di una concezione efficientistica della
società”
32
.
Le minacce alla vita, secondo l’enciclica, hanno diverse origini, la principale delle
quali è l’eclissi di Dio:
Nel ricercare le radici più profonde della lotta tra la “cultura della vita” e la
“cultura della morte”, […] occorre giungere al cuore del dramma vissuto
dall'uomo contemporaneo: l'eclissi del senso di Dio e dell'uomo, tipica del
contesto sociale e culturale dominato dal secolarismo, che coi suoi tentacoli
pervasivi non manca talvolta di mettere alla prova le stesse comunità cristiane.
Chi si lascia contagiare da questa atmosfera, entra facilmente nel vortice di un
terribile circolo vizioso: smarrendo il senso di Dio, si tende a smarrire anche il
senso dell'uomo, della sua dignità e della sua vita; a sua volta, la sistematica
violazione della legge morale, specie nella grave materia del rispetto della vita
umana e della sua dignità, produce una sorta di progressivo oscuramento della
capacità di percepire la presenza vivificante e salvante di Dio
33
.
Il Papa afferma lo stretto rapporto tra Dio e l’uomo, tra morale e fede,
sottolineando come l’uomo, perdendo il senso di Dio, perderà anche se stesso,
divenendo di pari dignità a tutte le altre creature. In questa definizione
materialista dell’uomo, si farà strada l’idea che la vita e la morte sono delle cose
31
Cfr. Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, Roma, 1995.
32
Ibid. 12.
33
Ibid. 21.
15
di cui si può disporre, che si possono possedere o rifiutare, e non un dono di Dio
affidato all’uomo.
Ma le contraddizioni che nascono sono anche frutto di una libertà assoluta, che
sganciata dalla verità di fede (oggettiva per il credente), diventa lo strumento
dell’individualismo e “finisce per essere la libertà dei ‘più forti’ contro i deboli
destinati a soccombere”
34
. E si aggiunge che:
Ogni volta che la libertà, volendo emanciparsi da qualsiasi tradizione e autorità,
si chiude persino alle evidenze primarie di una verità oggettiva e comune,
fondamento della vita personale e sociale, la persona finisce con l’assumere come
unico e indiscutibile riferimento per le proprie scelte non più la verità sul bene e
sul male, ma solo la sua soggettiva e mutevole opinione o, addirittura, il suo
egoismo e il suo capriccio
35
.
In questo modo vengono condannati il relativismo morale e la libertà intesa come
primo valore dell’uomo senza nessuna relazione alla verità di Dio. Infine il Papa,
condannando il materialismo come unico fine dell’uomo, critica anche una qualità
della vita che è:
[…] interpretata in modo prevalente o esclusivo come efficienza economica,
consumismo disordinato, bellezza e godibilità della vita fisica, dimenticando le
dimensioni più profonde — relazionali, spirituali e religiose — dell'esistenza
36
.
Tale concetto della vita non solo toglie ogni significato alla sofferenza, ma svaluta
anche quelle vite che non rientrano nella fascia minima di godibilità. Gli aspetti
che vengono trattati mostrano come l’uomo debba necessariamente ritrovare se
stesso in una dimensione ontologica, metafisica, personalistica ed oggettiva. Tutti
atteggiamenti che richiamano a una risposta di fede dell’uomo, senza la quale si è
34
Ibid. 19.
35
Ibid.
36
Ibid. 23.