Questioni aperte sulla legge 20 maggio 1985, n. 222
ANNO ACC. 2005/06 - INS. DIR. CANONICO - TESI DI LAUREA DI CONCETTO - RELATORE PROF. MANLIO MIELE - STUDENTE EFREM NICODEMO -
MATRICOLA 50011
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Capitolo 1
Vicende storico-giuridiche
Sommario: 1. Il processo storico e politico che ha ricondotto al confronto concordatario: Separatismo e
Giurisdizionalismo nell’età preunitaria. - 2. La debellatio dello Stato pontificio e i primi tentativi di dialogo tra Stato
italiano e Chiesa cattolica: la “legge delle Guarentigie”. - 3. “Attentis omnibus circumstantiis, non expedit”. - 4. La
chiusura concordata di un conflitto storico: i Patti Lateranensi e la “Questione Romana”. - 5. L’Assemblea Costituente: la
problematica giuridica di raccordo tra Patti Lateranensi e Costituzione.
1. Il processo storico e politico che ha ricondotto al confronto concordatario:
Separatismo e Giurisdizionalismo nell’età preunitaria
La politica ecclesiastica italiana operata dalla Destra storica a decorrere dal 1848 è stata fortemente
influenzata dalla idee separatiste liberali della Francia rivoluzionaria.
5
Il Separatismo, in origine, fu concepito al fine di proteggere la Chiesa da ingerenze estranee quali
quelle del potere statale e quindi di garantire l’indipendenza dell’istituzione ecclesiastica e la
contestuale difesa dei propri interessi.
6
Tuttavia a decorrere dal 1848 è stato dato adito ad un uso distorto di tale sistema poiché esso è
5
Cfr. SANDRO GHERRO, Stato e Chiesa ordinamento, Torino, 1992, pag.41 e segg..
6
Cfr. M. FALCO, Il concetto giuridici di separazione, Torino, 1913 pagg. 12, 13 e 19.
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stato usato come mezzo per far prevalere l’autorità dello Stato nei confronti della Chiesa.
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La svolta separatista può essere individuata nella promulgazione dello Statuto del Regno 4 marzo
1848, n. 674, che segnava il passaggio da uno Stato di natura assolutista ad uno Stato di natura
democratico-liberale.
Sebbene il disposto dell’art. 1 dello Statuto Albertino avesse dichiarato: “La religione Cattolica
Apostolica e Romana è la sola Religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti sono tollerati
conformemente alle leggi.” e, quindi, lo Stato sabaudo si professasse quale stato confessionista de jure,
preposto alla difesa della fede cattolica, tali affermazioni erano state presto contraddette da una politica
di natura ideologica totalmente opposta.
Secondo il Finocchiaro, infatti, le teorie separatiste trovarono scarsa applicazione in quegli anni
vista l’emanazione delle leggi eversive sabaude di chiara ispirazione giurisdizionalista, in quanto
tendenti a subordinare la vita istituzionale della Chiesa allo Stato, e che compromisero fortemente le
relazioni tra questi due ordini.
8
Si pensi, ad esempio, alla l. 29 maggio 1855, n. 878 che disponeva la soppressione di enti
ecclesiastici ritenuti “inutili” quali le associazioni religiose di vita contemplativa, i capitoli collegiali
senza cura d’anime e i benefici semplici.
9
All’epoca, Cadorna, in linea con le idee separatiste, non disconosceva l’esistenza di una
dimensione spirituale, ma, contestualmente, ne affermava la totale estraneità rispetto al “potere civile”
con ciò volendone escludere il ruolo della stessa sul piano materiale e palesando, così, la chiara
intenzione di segregare ed arginare l’operato della Chiesa ed il fenomeno religioso a tutto ciò che fosse
interno alla coscienza dell’uomo.
10
Questo significava il voler negare in maniera categorica l’esistenza di materie e punti d’incontro tra
potere civile ed ecclesiastico.
I principali fautori della tesi separatista furono de Montalembert, in Francia, e, in Italia, Cavour, il
quale si dimostrò apertamente sostenitore di tale ideologia sin dai suoi discorsi in Parlamento del 1860
7
Sulle varie forme storiche di Separatismo cfr. F. FINOCCHIARO, Diritto Ecclesiastico, pag. 25 e segg.
8
Il Giurisdizionalismo si fondava su di una dottrina politica affermatasi nel XVIII, rivolta a subordinare l’ordinamento
ecclesiastico al potere civile. Sul tema cfr. SANDRO GHERRO, Stato e Chiesa ordinamento, pag. 31 e segg.; inoltre F.
FINOCCHIARO, Diritto Ecclesiastico, pag. 17 e segg.; C. CARDIA, Stato e Confessioni Religiose, Bologna, 1992, pag. 1 e
segg.
9
La l. 29 maggio 1855, n. 878 disponeva la soppressione delle “case degli enti religiosi che non attendevano alla
predicazione, all’educazione o all’assistenza degli ammalati”, nonché dei “capitoli delle chiese collegiate che non
avessero cura d’anime o non risiedessero in città con piø di ventimila abitanti”.
10
“L’uomo politico piemontese non negava l’esistenza di un ordine spirituale; anzi, affermava che esso fu assegnato da
Dio alla Chiesa per tutelare la parte più preziosa dell’uomo, la sua anima.[…] Accanto al potere spirituale vi era quello
civile ,il quale aveva origine “nella legge naturale, la quale è pura, divina”. I due poteri erano però completamente separati
l’uno rispetto all’altro.”, A. BETTETINI, Enti e Beni Ecclesiastici, cit., pag. 20.
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ed, in seguito, nei suoi discorsi alla Camera del 25 e del 27 marzo 1861 ed al Senato del 9 aprile.
11
Tale visione si poneva in aperto contrasto con l’idea di un confessionismo “de jure” professato
dallo Statuto Albertino dimostrando apertamente che l’ordinamento Statale fosse di natura prettamente
totalitaria, anziché confessionista, e che si volesse ridurre l’influenza della Chiesa solamente a livello
spirituale e, quindi, al “mero ambito della coscienza”.
Quanto finora considerato ci porta a riprendere il discorso affrontato in precedenza
nell’introduzione.
Anche secondo il Bettetini è impensabile concepire la Chiesa Cattolica come un’istituzione che
opera solamente a livello spirituale: ammettere ciò equivarrebbe a negarne il suo scopo primario ovvero
quello di svolgere attività di carità.
Benedetto XVI, a distanza d’anni, ribadisce tale posizione nella sua enciclica: “La carità non è per
la Chiesa una specie di attività di assistenza sociale che si potrebbe anche lasciare ad altri, ma
appartiene alla sua natura, è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza”.
12
Con il successivo d. luogt. 7 luglio 1866, n. 3036 vennero soppresse tutte le “Corporazioni
religiose” riprendendo la politica iniziata con la l 25 agosto 1848, n. 777 che aveva soppresso a sua
volta la Compagnia di Gesù.
13
In base alla s.d. legge del 1866 veniva disposto che il patrimonio di tali associazioni religiose fosse
devoluto al demanio statale e che i beni di tutti gli altri enti ecclesiastici fossero convertiti in rendita
pubblica al 5% “ad eccezione di tutti gli altrui beni ecclesiastici, eccettuati tutti i benefici parrocchiali e
le chiese recettizie.”
A poco pìù di un anno di distanza intervenne un’ulteriore legge di soppressione degli enti
ecclesiastici ovvero la l. 15 agosto 1867, n. 3848 che coinvolgeva enti ecclesiastici secolari e che, in
seguito, sarebbe stata da estesa anche “alla provincia di Roma” sulla base della l. 19 giugno 1873,
n.1402 seppure con opportuni temperamenti.
14
11
La concezione separatista dello statista piemontese si riassume nel celebre motto di Cavour “Libera Chiesa in libero
Stato”; per eventuali approfondimenti cfr. G. CAPUTO, Il separatismo cavouriano, in La legislazione ecclesiastica, a cura di
P. A. D’AVACK, Atti del Congresso celebrativo del centenario delle leggi amministrative di unificazione. La istruzione e il
culto. t. 2, Vicenza, 1967, pag. 67 e segg.
12
“L’intima natura della Chiesa si esprime in un triplice compito: annuncio della parola di Dio (kerygma-martirya),
celebrazione dei sacramenti (leiturgia), servizio della carità (diakonia).Sono compiti che si presuppongono a vicenda e non
possono essere separati l’uno dall’altro.”, BENEDETTO XVI, Deus Caritas est, Città del Vaticano, 2006, cit., pagg. 53-54.
13
Il d.lg. 7 luglio 1866, n. 3036 dettava altre disposizioni eversive di disconoscimento della personalità giuridica degli
enti ecclesiastici. All’art. 1 la l. disponeva: “la revoca del riconoscimento” ed il conseguente incameramento di “tutti i beni
di qualunque specie appartenenti alle corporazioni soppresse”.
14
La successiva l. 15 agosto, n. 3848 ebbe ad oggetto la soppressione di molti enti ecclesiastici secolari quali “i
capitoli delle chiese collegiate e ricettizie, i canonicati, i benefici, le abbazie ed i priorati di natura abbaziale, le prelature e
cappellanie ecclesiastiche, o laicali(…)”.
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La realtà che caratterizzava i rapporti tra Stato sabaudo e la Santa Sede era permeata da forti
dissapori ed il clima di tensione di quegli anni, inasprito maggiormente dalle leggi eversive, non aveva
permesso né quantomeno favorito alcun dialogo tra l’ordinamento statale piemontese e l’ordinamento
ecclesiastico.
2. La debellatio dello Stato pontificio e i primi tentativi di dialogo tra Stato
italiano e Chiesa cattolica: la “legge delle Guarentigie”
Con la presa di Roma e le conseguente annessione dello Stato pontificio al Regno d’Italia, sorse un
problema che si è protratto per molti anni ovvero quello della “ Questione Romana”.
La problematica investiva svariati argomenti quali la condizione giuridica della Chiesa Cattolica e
delle sue istituzioni all’interno dello Stato italiano e la situazione giuridica del Romano Pontefice.
Questi, alla luce degli eventi succedutisi, che avevano determinato la totale debellatio dello Stato
pontificio e l’estensione delle sovranità italiana su tutto il territorio ad esso relativo, sarebbe stato da
considerarsi alla pari di un qualsiasi cittadino italiano in quanto suddito del Regno d‘Italia.
Le difficoltà incontrate in tal senso derivavano da una serie di circostanze di fatto che impedivano
una reciproca collaborazione tra i due sistemi ovvero quello civile ed ecclesiastico.
Secondo un primo ordine di considerazioni era lo stesso Papa che rifiutava, in nome della Santa
Sede, di addivenire a qualsiasi sorta di trattativa in quanto non era disposto ad accettare il nuovo assetto
politico-giuridico che derivava da un atto bellico, seppure di natura simbolica, ma in danno del potere
temporale delle Chiesa.
15
La politica delle neonate istituzioni italiane e, ancora prima, la vicenda della debellatio, avevano
fatto intendere la piena e incondizionata volontà da parte delle prime di porre fine al potere temporale
dello Stato della Chiesa e di affermare in maniera assoluta la sovranità del nuovo ordine imposto dal
Regno d’Italia.
Dall’altro lato, lo stesso Stato sabaudo aveva assicurato, a livello internazionale, agli altri Stati
15
Cfr. M. VALENTE, Pio X, il Sacro Collegio e il Corpo diplomatico di fronte alla questione della partenza da Roma
dopo la caduta del potere temporale, in Diritto ecclesiastico, 1999, pag. 784 e segg.; inoltre C. M. FIORENTINO, Chiesa e
Stato a Roma negli anni della destra storica 1870-1876. Il trasferimento della capitale e la soppressione delle corporazioni
religiose, Roma, 1996.
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cattolici che l’indipendenza del Romano Pontefice non sarebbe Stata posta in discussione.
A livello dell’opinione pubblica internazionale, infatti, la figura del Pontefice rivestiva un’
importanza non secondaria, il suo ruolo di capo supremo della Chiesa Universale non mancava di
esercitare una forte influenza sul piano delle coscienze spirituali dei popoli europei d’oltralpe ed i
sovrani dei Paesi cattolici vedevano nella religione cattolica come ad un elemento di coesione e di
integrità sociale all’interno delle loro nazioni.
Una prima risposta alle problematiche ora esposte venne con la promulgazione della l. 13 maggio
1871, n.214, meglio nota come “legge delle Guarentigie”.
16
Già la precedente l. 31 dicembre 1870, n. 6165, che aveva formalizzato l’annessione della Città di
Roma allo Stato italiano, in linea con le garanzie prestate agli Stati cattolici riguardo al tema
dell’indipendenza del Papa, disponeva all’art. 2: “il S. Pontefice conserva la dignità, l’inviolabilità e
tutte le prerogative del sovrano”.
La legge delle Guarentigie sviluppò ulteriormente tali principi elaborando uno jus singulare diretto
a disciplinare la situazione giuridica del Santo Padre e dettava una nuova disciplina dei rapporti tra
Stato e Chiesa.
Il disposto della normativa si articolava in due titoli: il primo titolo trattava, in maniera puntuale,
delle prerogative del Pontefice e della Santa Sede, mentre il secondo verteva sui rapporti tra i due
ordinamenti, civile ed ecclesiastico, come si è accennato sopra.
Il testo di legge ispirato a principi sia di derivazione liberale che giurisdizionalista riscosse molti
consensi e i più sentiti apprezzamenti agli occhi dell’opinione pubblica internazionale, ma non fece
venire meno l’ostilità del Pontefice ed il clima di incomunicabilità che continuava a perdurare in quegli
anni.
17
L’atteggiamento avverso ed intransigente della Chiesa era riconducibile alla natura della stessa
legge, che era di carattere unilaterale, e, quindi, si presentava come una lex data, che fondava le sue
ragioni su di un atto bellico indice di supremazia e di dominio del potere civile rispetto alla Chiesa, che,
oramai, si ritrovava in posizione subordinata rispetto ad esso.
In una situazione tale, la Santa Sede mal sopportava il fatto di essere assoggettata assieme all’intera
istituzione ecclesiastica, ad una disciplina imposta dall’ordinamento civile e pertanto i Pontefici,
16
Sulla legge delle Guarentigie pontificie cfr. A. RIVÀ, La legge delle Guarentigie Pontificie, in AA. VV, La
legislazione ecclesiastica, pagg. 190 e segg.; F. SCADUTO, Guarentigie pontificie e relazioni tra Stato e Chiesa ( legge 13
maggio 1871). Storia, esposizione critica, documenti, Torino, 1884.
17
Sulla posizione dell’opinione pubblica internazionale riguardo la legge delle Guarentigie pontificie cfr. A C.
JEMOLO, Guarentigie pontificie, in Nuovo Digesto Italiano, VI, Torino, 1938, pag. 528.
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succedutisi fino al 1929, rifiutarono di uscire dai Palazzi vaticani in segno di protesta per dimostrare
l’avversione nei confronti degli eventi accaduti nel 1870.
3. “Attentis omnibus circumstantiis, non expedit”
La protesta della Chiesa non si sostanziò unicamente nel mero rifiuto di non intrattenere alcuna
relazione, sul piano diplomatico, con le istituzioni civili, ma si concretizzò anche in una propaganda
rivolta ad ostacolare l’integrazione del popolo italiano all’interno del Regno d’Italia.
Nel 1874 la Penitenzieria Romana si era pronunciata in senso negativo, sulla base di una domanda
formulata dai vescovi se fosse consentito ai cattolici di recarsi alle urne e di partecipare attivamente alla
vita politica.
“Attenti omnibus circumstantiis, non expedit” era stato il responso comunicato dalla Santa
Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari alla stessa Penitenzieria Apostolica.
18
Il quesito, proposto dai vescovi napoletani esiliati a Roma, già all’epoca delle leggi eversive
sabaude consisteva in divieto rivolto a tutti i cattolici, e alle loro organizzazioni di partecipare
attivamente alla vita politica ovvero impediva a questi ultimi si essere eletti o elettori.
Onde evitare che nella società cattolica sorgessero orientamenti più liberali, il 24 aprile 1881 Leone
XIII ribadì che il non expedit doveva intendersi quale vero e proprio divieto.
Successivamente, il 30 luglio 1886, intervenne anche una pronuncia del Santo Uffizio che
intimava: “non expedit prohibitionem importat.”
La nascita dello Stato nazionale, nel suo lento e alquanto travagliato sviluppo, fu permeata da
queste forti asperità ed ostilità che riflettevano l’ombra di un passato caratterizzato da una politica di
stampo liberale e anticlericale, che sembrava ancora una volta ripercuotersi non avere ancora esaurito i
propri effetti.
Il fine ultimo di tale presa di posizione da parte del Pontefice era quello di minare gli equilibri
istituzionali e politici che si stavano consolidando ed erano, perciò, ancora in via di formazione.
La portata di tale divieto non ebbe, però, l’effetto sperato e sebbene sopravvisse fino al 1919 fu
18
In tal senso cfr. il TAMBURINI, Il <<non expedit>> negli atti della Penitenzieria Apostolica, in Rivista di storia della
Chiesa, XLI (1987), pag. 129 e segg.
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oggetto di opportuni temperamenti ad opera degli stessi Pontefici succedutisi in quegli anni.
Non si poteva, infatti, disconoscere il ruolo fondamentale della componente cattolica all’interno
dello Stato e la sua influenza era determinante senonché necessaria in ambito civile.
L’applicazione concreta dei principi e dei valori cattolici necessitava un impegno concreto
finalizzato a realizzare le istanze di questa componente sociale.
Poi X, tramite l’enciclica “Il fermo proposito”,dell’ 11 giugno 1905, sebbene non avesse abrogato
il divieto, riconosceva la possibilità di derogarlo attraverso singole dispense rapportate al caso concreto
legittimate da “ragioni gravissime” e nell’interesse del supremo bene sociale.
19
L’inversione di tendenza era dettata anche da ragioni sentite dal mondo cattolico di darsi un
programma rivendicazionista inerente ai problemi dei rapporti tra Stato e Chiesa.
20
4. La chiusura concordata di un conflitto storico: i Patti Lateranensi e la
“Questione Romana”
La possibilità di intravedere una effettiva soluzione a quella questione, nota come “Questione
Romana” che da anni aveva travagliato e creato divisioni all’interno del mondo cattolico fu avanzata,
inaspettatamente, dal Partito fascista.
Il Fascismo non poteva assolutamente vantare alcun legame né ideologico né culturale con la
Chiesa e ancora meno con la tradizione cattolica.
21
Lo stesso Mussolini, che da giovane era stato ferocemente anticlericale e si era professato
apertamente ateo, aveva mutato il suo atteggiamento in senso inverso riconoscendo l’importanza ed il
valore politico del sostegno ecclesiastico.
22
La politica ecclesiastica del Fascismo era mutata anche in ragione del cambiamento ideologico che
19
Cfr. l’Enciclica di Pio X negli Acta Apostolicae sedis, 1904-1905, pag. 741 e segg.
20
Sulle vicende che hanno portato ad un graduale temperamento del non expedit fino alla sua totale e definitiva
abrogazione cfr. F. FINOCCHIARO, Diritto Ecclesiastico, pagg. 50-51; inoltre S. GHERRO, Stato e Chiesa ordinamento, pag.
55 e segg.
21
Sulla ideologia politica del Fascismo delle origini cfr. R. DE FELICE, Mussolini il rivoluzionario,Torino, 1965; inoltre
cfr. anche P. ALATRI, Le origini del fascismo, Roma, 1956.
22
Cfr. P.ALATRI, Mussolini, Milano 1995, pag. 43 e segg.
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derivava dalla fusione dei fasci di combattimento con il Partito nazionalista.
23
In quest’ottica la religione era vista come mezzo per unificare a livello sociale le coscienze dei
singoli cittadini italiani appartenenti ad una nazione che affondava la sue radici storiche, etiche,
culturali e morali nei valori cattolici.
Sulla base di tali considerazioni, Mussolini aveva capito l’importanza, a livello politico, del
sostegno ecclesiastico e cattolico in generale, e la necessità, quindi, di instaurare dei buoni rapporti con
l’istituzione della Chiesa.
Tali vicende furono le premesse le che portarono nel 1926 all’inizio di trattative rivolte alla
stipulazione di accordi dedicati alla risoluzione della questione romana.
Le trattative si svolsero in un clima di segretezza e si protrassero per un periodo di tre anni durante
i quali furono avanzate diverse proposte e varie bozze prima della stesura del testo definitivo avvenne
nel 1929.
Il cardinale Gasparri già il 7 febbraio di quell’anno annunciò ai diplomatici stranieri, accreditati
presso la Santa Sede, la imminente risoluzione della “Questione Romana”.
24
L’11 febbraio del 1929 vennero stipulati in maniera definitiva i Patti Lateranensi con la firma di
Mussolini, in rappresentanza dell’Italia e del cardinale Gasparri per il Vaticano.
Con il Trattato del Laterano si pose fine alla “Questione Romana” mediante la creazione dello
Stato Città del Vaticano, una piccola entità statale, sulla quale veniva riconosciuta della sovranità
ecclesiastica.
I confini del territorio di questa nuova realtà corrispondevano sostanzialmente a quelli dei Palazzi
Vaticani che erano già stati assoggettati in precedenza alla singolare signoria dei Pontefici secondo
quanto disposto dalla precedente legge delle Guarentigie.
La novità consiste nel fatto che a Vaticano fu riconosciuta la qualifica di vero e proprio Stato
all’interno dello Stato e quindi una maggiore nonché totale indipendenza dal potere civile.
E ciò al fine di “assicurare alla Santa Sede una condizione di fatto e di diritto che le garantisse
l’assoluta indipendenza per l’adempimento della Sua alta missione nel mondo”.
Le prerogative riconosciute al Pontefice e alla Santa Sede non erano più frutto di una disciplina di
natura unilaterale, quanto piuttosto di un’intesa tra Stato e Chiesa che riconosceva a livello
internazionale tutte le garanzie ed i privilegi contenuti nei disposti dei Patti Lateranensi.
Non solo, all’art.1 del Trattato, nel disciplinare i rapporti tra Stato e Chiesa, la religione cattolica
23
Cfr. R. DE FELICE, Mussolini il fascista, II, l’organizzazione dello Stato fascista (1925-1929), Torino, 1968, pag. 383.
24
Sulla risoluzione della “Questione Romana” cfr. anche F. MARGIOTTA BROGLIO, Stato e confessioni religiose. 2/
Teorie e ideologie, Firenze, 1978, pag. 35 e segg.
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veniva ad assurgere al rango di sola ed unica religione di Stato acquistando ulteriori privilegi sia sul
piano pubblico e istituzionale che su quello civile e comunitario, rispetto ad altre religioni che subivano
una penetrante ed intensa ingerenza statale in materia di controlli.
25
La politica ecclesiastica operata da Mussolini aveva portato ad una involuzione dello Stato secondo
una linea confessionista e cancellando, così, la precedente esperienza separatista.
5. L’Assemblea Costituente: la problematica giuridica di raccordo tra Patti
Lateranensi e Costituzione
Durante i lavori di preparazione dell’Assemblea Costituente, riaffiorò il problema di come
reimpostare la disciplina dei rapporti tra Stato e Chiesa cattolica.
Di fronte al mutato panorama politico istituzionale si sentiva la necessità di formulare disposizioni
a livello costituzionale che regolassero il fenomeno religioso.
Tuttavia nessuno auspicava un ritorno ai vecchi stilemi del separatismo, ritenuti anacronistici ed,
oramai, appartenenti ad un ideologia incompatibile con le esigenze del tempo e che, quindi, non poteva
trovare riscontro con nuovo assetto politico sociale.
Allo stesso modo, nemmeno tra i partiti di sinistra si fece strada una politica antiecclesiastica
diretta a disconoscere il valore dei Patti Lateranensi.
L’importanza della “pace religiosa” era dettato anche da ragioni di carattere pratico: ridefinire ex
novo la disciplina dei rapporti tra i due ordinamenti, civile ed ecclesiastico, avrebbe comportato un
pesante aggravio della quantità di lavoro per la Costituente, la quale si trovava a dover fare i conti con
ben altre e numerose problematiche.
26
In questa atmosfera si erano venuti a formare svariati disegni e bozze di una normativa che avrebbe
dovuto qualificare a livello costituzionale i rapporti con la Chiesa.
27
25
Cfr. R. DE FELICE, Mussolini il duce, I. Gli anni del consenso (1929-1936), Torino, 1974, pag. 272 e segg.
26
“ Il V congresso del Partito comunista sottolineò l’importanza che aveva la “pace religiosa” per le classi
lavoratrici.Nel corso dei lavori dell’Assemblea costituente, Pietro Nenni, parlando per il partito socialista, dichiarò che, per
quella formazione, la riforma agraria risultava ben più rilevante delle questioni sollevate a proposito dei Patti Lateranensi.”,
F. FINOCCHIARO, Diritto Ecclesiastico, cit., pag. 56.
27
Cfr. C. CARDIA, La riforma del concordato, Torino, 1980, pag. 171 e segg.