INTRODUZIONE
La scuola, da sempre, si sforza di acquistare quel ruolo di comunità
educante, che forma la persona in tutti gli aspetti che la riguardano.
Ogni disciplina, secondo le sue caratteristiche, contribuisce in modo
unico e prezioso a formare quel grande “puzzle della formazione dello
persone”.
Ecco perché è innegabile la necessità che, in ogni traiettoria educativa
e formativa, vi sia anche un insegnamento della religione che si
collochi all'interno di una proposta culturale di cui sia parte integrante,
garantendo, nel rispetto la libertà di coscienza di ognuno, la libera
scelta di avvalersi o meno di detto insegnamento.
Nel primo capitolo verrà affrontata la problematica riguardante
l‟insegnamento della religione cattolica, così come si era configurato,
nel Concordato Lateranense, fino alle modifiche apportate con
l‟Accordo di Villa Madama.
Verranno illustrate le questioni relative al contenuto confessionale di
tale insegnamento, e di come questo possa conciliarsi con uno Stato
definito laico.
Una scuola in cui è compito dello Stato, in collaborazione con la
Chiesa, offrire un servizio, − quello appunto dell‟insegnamento
religioso − a tutte le famiglie e agli alunni che ne fanno richiesta, non
deve essere trascurato il diritto riconosciuto a chi non voglia avvalersi
di detto insegnamento, riconoscendo ad essi la possibilità di optare per
una scelta diversa.
Nel secondo capitolo verrà illustrata, pertanto, la questione dei non
avvalentesi.
4
Lo studente, ha infatti la facoltà di poter frequentare detto
insegnamento o decidere di non avvalersene, scegliendo di frequentare
un‟attività alternativa o optando per l‟allontanamento dalla scuola.
In tale prospettiva, verrà illustrata l‟evoluzione giurisprudenziale della
disciplina inerente l‟ora alternativa, analizzando tre pronunce della Corte
Costituzionale.
Nel terzo capitolo, infine, verrà trattata la problematica inerente la
posizione giuridica degli insegnanti di religione, così come essa veniva
configurata nel Concordato Lateranense e le successive modificazioni
apportate ad esso dall‟Accordo del 1984, fino alla legge 186/2003, che
delinea una condizione degli insegnanti di religione sempre più vicina ai
docenti degli altri insegnamenti.
Proprio per la peculiarità e la specificità di tale insegnamento, non può
essere trascurato il ruolo che gli insegnanti di religione rivestono nel
nostro sistema giuridico.
L'attribuzione ad essi di uno stato giuridico costituisce una operazione
necessaria per ogni ordinamento giuridico, sia per quanto riguarda i
diritti di ogni soggetto capace di rapporti giuridici, sia per quanto
riguarda il complesso delle relazioni, giuridicamente e socialmente
rilevanti, che si sviluppano all'interno di ogni singolo ordinamento,
rispetto ad un quadro di finalità e di certezze giuridiche.
5
Capitolo primo
L’INSEGNAMENTO DELLA RELIGIONE
CATTOLICA NEL CONCORDATO
REVISIONATO
1.1 L’istruzione religiosa come componente culturale
E‟ opinione condivisa l‟importanza che la religione detiene, come
parte integrante della matrice culturale di ogni civiltà: determinati
avvenimenti storici, gli usi e i costumi di un popolo sarebbero
incomprensibili se tralasciassimo l‟inevitabile influenza della religione
su tali eventi.
La scuola quale comunità educante, che forma la persona in quanto
tale, contribuisce in modo unico e prezioso alla completa
interiorizzazione della nostra realtà culturale.
In una scuola che intende essere scuola della formazione dell'uomo,
dello sviluppo integrale della personalità umana e dell'autentica
affermazione dell'uomo, non può mancare la componente religiosa
come risposta ai reconditi enigmi della condizione umana.
Essa si colloca all'interno di una proposta culturale di cui è parte
integrante affinché il discente incontri un‟ipotesi globale, esplicata,
rigorosa, qualificata, sulla propria esistenza e la verifichi anche
1
all'interno della scuola.
1
Dammacco G., L’insegnamento della religione dopo il nuovo accordo tra Stato e Chiesa, in
fondamenti antropologici dell’insegnamento della religione, Ecumenica editrice, 1986.
6
In tale prospettiva, l‟insegnamento religioso nella scuola pubblica
non è, e non può essere considerato, concessione da parte dello Stato
ma, come affermato nell'art. 9 del Concordato revisionato, un diritto,
che comporta l'impegno dello Stato a “continuare ad assicurare nel
quadro della finalità della scuola, l'insegnamento della religione”.
Tenendo conto delle esigenze di ordine spirituale anche
trascendente, più intime alla personalità incapace di svilupparsi
integralmente senza il loro appagamento, l‟insegnamento della
religione, essendo inserito all‟interno delle finalità programmatiche
della scuola, non può essere dall'autorità scolastica attivato o
organizzato con improvvisazione e superficialità.
Per quanto riguarda in particolare le ragioni antropologiche di detto
insegnamento, giova osservare che i più recenti sviluppi del dibattito
sulla scuola hanno evidenziato come funzione fondamentale, quella di
assicurare lo “sviluppo armonico” della persona nel complesso delle
2
sue dimensioni ed al massimo grado possibile; ed in questo contesto,
il dibattito più specifico sull'insegnamento della religione ha maturato,
sia pure in una molteplicità di impostazioni teoriche e di proposte
applicative pratiche, il diffuso convincimento per cui, essendo la
religione una dimensione fondamentale della vita, quale che sia la
risposta che personalmente viene data ai massimi interrogativi, essa
non possa assolutamente essere ignorata da una scuola la quale,
appunto, rivendica una funzione fondamentale nella formazione della
personalità.
Occorre subito aggiungere che in questo quadro, naturalmente, se
da un lato l'approccio con la problematica religiosa non può essere
2
Per la Santa Sede l‟insegnamento della Dottrina Cattolica posto a «fondamento e coronamento
dell‟istruzione pubblica» discendeva da intuibili ragioni d‟ordine storico, pedagogico e soprattutto
teologico ( Jemolo A. C., Lezioni di diritto ecclesiastico, Milano, 1979, pp. 532 ss.).
7
pretermesso dalla scuola, neppure sotto forma di un insegnamento
meramente facoltativo, dall'altro lato tale approccio non può avere
luogo che nel quadro delle finalità della scuola, vale a dire nei termini
e con le metodologie cui la scuola deve assicurare il relativo
3
insegnamento.
Una nazione, un popolo, l‟ordinamento di uno Stato non può negare
le proprie specifiche radici religiose, se appartenenti alla sua cultura,
alla continuità della sua storia, al vissuto quotidiano, soprattutto
quando si tratti di matrici culturali comuni ad aggregati più vasti, ad
interi continenti o ad un insieme di nazioni. È il caso dell‟Italia e di
4
gran parte dell‟Europa cristiana.
Da quanto detto è dato dedurre che l'insegnamento della religione
non è più considerato come estraneo alle finalità della scuola pubblica,
come una mera concessione fatta alla Chiesa, bensì come un
insegnamento che rientra a pieno titolo nella funzione pubblica in
materia d‟istruzione. Ma dagli indicati parametri si deduce anche, che
non si tratta di un generico insegnamento di religione, quale potrebbe
essere un insegnamento di storia delle religioni, di fenomenologia
religiosa, di psicologia o di filosofia religiosa, bensì di un
insegnamento della religione cattolica, quale esperienza religiosa
5
concreta e comune all'ambiente storico, culturale e sociale italiano.
Tutto ciò sembra si adatti perfettamente alle motivazioni contenute
nell‟art. 9 del nuovo Accordo con la Santa Sede, firmato il 18 febbraio
1984, attinenti alla conservazione dell'insegnamento della religione
cattolica, come materia ordinaria, nella scuola pubblica:
3
Un aggiornamento sugli sviluppi della riflessione in tema di insegnamento della religione, con
riferimenti bibliografici, in AA.VV., Società civile, Scuola laica e insegnamento della religione,
Brescia, 1983.
4
Feliciani G., L’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche tra normativa
canonica e legislazioni civile, in Diritto Ecclesiastico, 1994, pp. 159 ss.
5
AA.VV. Società Civile, Scuola laica e insegnamento della religione, 1985, pp. 43 ss.
8
riconoscimento, da parte della Repubblica, del valore della cultura
religiosa (vale a dire riconoscimento del suo valore in sé, che prelude
all'apertura nei confronti delle altre confessioni, ritenute idonee a
stipulare intese con lo Stato); constatazione che i principi del
cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano (e
perciò presupposto di un trattamento differenziato, perfettamente
compatibile con il principio d‟uguaglianza e con l'idea di laicità nello
6
Stato contemporaneo).
7
Scrive Barbiellini Amidei, che gli uomini, almeno molti uomini,
dopo aver rinunciato alla strada della religione, sentono con chiarezza
un deficit di conoscenza sul senso globale del proprio essere, nei
luoghi e nella storia. C'è in molti il desiderio di un più, che potrà
essere ambigua ricerca di consolazione o all'opposto desiderio
determinato di più lucida informazione.
Orbene, il soddisfacimento di questo bisogno d‟informazione, che
supera la distinzione fra credenti e non credenti, non può non essere
considerato dallo Stato, il quale non rinuncia ad assolvere i suoi
compiti verso gli interessi religiosi dei cittadini.
Tale bisogno d‟informazione necessità di spazi vitali, che vanno dai
mezzi di comunicazione sociale e di diffusione della cultura, alla
scuola; dalla scelta del tipo di scuola (parità tra scuola pubblica e
privata), conforme al principio del pluralismo istituzionale, che vuol
dire tensione verso gli itinerari e le tecniche confessionali
d‟educazione religiosa in seno alla scuola pubblica, all‟integrazione
culturale, non settoriale, sul piano religioso.
6
Bertolino R., Laicità della scuola e insegnamento della religione nella società civile italiana
dopo gli accordi di Villa Madama , in Quaderni di Diritto e politica Ecclesiastica, 1985, pp. 3-27.
7
Barbiellini Amidei, La riscoperta di Dio, 1984.
9
La risposta al soddisfacimento dei bisogni di cultura religiosa dei
propri consociati non può essere delegata dallo Stato alle sole Chiese;
tanto più se queste rifiutano, come accade per le confessioni non
cattoliche del nostro Paese, di un inserimento istituzionale nella scuola
pubblica. Se la cultura religiosa è per lo Stato un valore da dover
tutelare, coerenza vuole, quali che siano gli atteggiamenti delle
confessioni religiose, l'approntamento di adeguate risposte a siffatti
bisogni. Ogni seria discussione, dunque, sull'insegnamento della
religione nella scuola pubblica dovrebbe partire da una constatazione
elementare: l'analfabetismo di massa sull'argomento che caratterizza il
nostro paese, forse ancor più degli altri Stati europei.
L‟interesse del cittadino all‟istruzione religiosa investe una struttura
di base dell‟organizzazione sociale: da una parte l‟istruzione come
diritto e come attività; dall‟altra la connessione tra l‟istruzione
religiosa e la promozione della personalità dell‟individuo come
8
compito della Repubblica.
Nella nostra Carta Fondamentale il rapporto fra scuola e religione,
ossia la disciplina dell'istruzione religiosa, può riguardare aspetti
molteplici dell'attività educativa ed ha un notevole rilievo nella pratica
attuazione di una serie di principi costituzionali: dalla libertà religiosa
(art. 19 Cost.), alla libertà di manifestazione del pensiero (art. 21
Cost.), dall'agevolazione all'esistenza di formazioni sociali in cui si
possa svolgere la personalità dell'uomo (art. 2 Cost.), alla rimozione di
quegli impedimenti che limitano il libero sviluppo di essa (art.3 cpv.
Cost.), all'effettività del diritto di istituire scuole (art. 33 3° comma
Cost.).
8
Giacchi, La libertà del cristiano e lo Stato democratico, in La rivista del clero italiano, 1966,
p. 608.
10
L‟ordinamento, dunque, tutela la libertà delle confessioni religiose e
degli enti con fine di religione o di culto; garantisce ai singoli
l'esercizio del diritto di creare scuole che impartiscano un'istruzione
orientata religiosamente; può, infine, provvedere, in senso favorevole
o sfavorevole, affinché nelle proprie scuole pubbliche sia offerto un
insegnamento della religione, professata dalla maggioranza del paese
9
e, altresì, che agli alunni siano prospettati altri approcci .
In un ordinamento giuspolitico come il nostro l‟istruzione
religiosa è, in quanto attività, funzione di interesse pubblico e il suo
esercizio incide su posizioni di interesse generale e fondamentali di
tutti i cittadini. Essa dunque rientra nel novero delle c.d. prestazioni
amministrative rese in favore della comunità, con lo scopo di attuare
un fine generale dello Stato, quello di garantire il libero sviluppo
della personalità.
In realtà sussiste una stretta connessione tra la promozione dello
sviluppo della cultura (art.9 Cost) − che la Repubblica individua tra i
suoi compiti primari, poiché essa è certamente il fondamento primo
della tutela dello sviluppo della personalità (art.2 Cost) − e
l‟organizzazione dell‟istruzione pubblica.
Senza l‟istruzione di tutti non può aversi libertà culturale e
sviluppo della personalità dell‟individuo, né difesa dei valori civili,
delle radici, cioè di una comunità politica.
L'esigenza, tanto intensamente rappresentata, ampiamente diffusa
nel Paese, di un insegnamento della e sulla religione, postula, infatti,
che lo Stato lo assicuri obbligatoriamente.
9
Bertolino R., Diritto di scelta dell’insegnamento della religione cattolica, divieto di
discriminazione e ora alternativa, nel sistema scolastico italiano dopo gli accordi con le Chiese,
in Diritto Ecclesiastico, 1988, I, pp. 12 ss.
11
Strumentalizzazioni politiche e confusioni nella ricostruzione
giuridica hanno acceso un intenso dibattito sul fine riguardante
l'istruzione religiosa nella scuola pubblica. Nell'ambito cattolico, si
sostiene che il venir meno dell‟obbligatorietà dell‟insegnamento della
religione cattolica comporti una sorta di tradimento della concezione
cristiana dell‟ educazione; sul versante laicista, si giunge a conclusioni
diametralmente opposte denunciando eccessive concessioni alla
Chiesa Cattolica.
Posizioni intermedie paventano il pericolo che l‟applicazione delle
nuove norme possa accelerare il processo, certamente oggi incalzante,
10
di “secolarizzazione”.
Tuttavia bisogna ricordare che l‟interesse che la Chiesa ha per la
scuola, e quindi per l‟insegnamento della religione, va ricondotto non
ad ambizioni terrene né a spazi di privilegio nelle strutture della
11
società civile, ma al servizio che essa intende offrire all‟uomo.
Se la scuola pubblica è, ancora oggi, il principale “apparato
ideologico dello Stato”, la natura e il contenuto dei messaggi che essa
è chiamata a trasmettere non può non costituire, tra le forze politiche e
sociali, materia del contendere.
Quello della scuola è un campo, dunque, dove il patrimonio delle
tradizioni di un popolo si confronta con lo sviluppo del presente e le
prospettive dell‟avvenire, un “bivio” dove la società nuova che si
forma, sceglie se legarsi alle proprie radici o se reciderle: un conflitto
oggi aperto tra la “secolarizzazione” che anima il presente e la
trasmissione dei valori etici tradizionali, cui risponde l'insegnamento
10
Riferimenti al dibattito politico e della cultura giuridica nell‟ultimo ventennio, con indicazioni
bibliografiche, in Dalla Torre G., voce Istruzione religiosa, pp. 529 ss.
11
Jemolo A.C., Lezioni di Diritto Ecclesiastico, Milano, 1979, pp. 160 e ss.
12