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l’arresto completo della vegetazione; ciò permette a molte specie biennali o
perenni di sopravvivere all’inverno.
La temperatura media invernale, se nell'interno può scendere anche a 4-5
°C, lungo tutta la fascia costiera difficilmente scende sotto i 10 °C.
Clima dunque simile a quello subtropicale, specie durante l'estate, quando
su tanta area interna si fa sentire un caldo soffocante, con temperature che
possono superare anche i 30 °C; il caldo invece è mitigato là dove soffiano le
brezze marine.
L'azione mitigatrice del mare non è sensibilmente apprezzabile nelle zone
dell'interno ove generalmente si hanno escursioni termiche maggiori tra le medie
invernali e quelle estive.
Tutti i rilievi del versante tirrenico sono quindi interessati da piogge
abbondanti che cadono per lo più sotto forma di rovesci, mentre l'interno e le
parti meridionale ed occidentale soffrono di più la siccità.
La formazione vegetale più tipica è quella nota come macchia, una
formazione vegetale sempreverde, formata prevalentemente da specie arbustive e
arboree termofile o termomesofile, a foglie persistenti e generalmente coriacee
(per resistere meglio alla aridità estiva), di altezza media variabile dai 50 cm ai 4
metri.
Dal punto di vista agricolo le colture più tradizionali e caratterizzanti sono
le arboree: vite, olivo, e, tra le erbacee, quelle a ciclo autunno-vernino come i
cereali (frumento duro, orzo) spesso in monocoltura, talora in rotazione con le
leguminose da granella (fava, cece, lenticchia).
La lunga e arida estate costituisce un ostacolo insormontabile a molte
colture perenni e vivaci e alle annuali a ciclo primaverile-estivo. Con
l’irrigazione il clima mediterraneo si presta ottimamente a eccellenti produzioni
di agrumi e di ortaggi.
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2. L’AMBIENTE PEDOLOGICO
Pur in presenza di una situazione orografica molto articolata, con aspetti
morfologici singolari, è possibile suddividere sommariamente il territorio
siciliano in tre distinti versanti: il versante settentrionale, che si estende da Capo
Peloro a Capo Lilibeo; il versante meridionale, che va da Capo Lilibeo a Capo
Passero; ed infine il versante orientale, che si estende da Capo Passero a Capo
Peloro.
L’orografia mostra complessivamente dei contrasti netti tra la porzione
settentrionale, prevalentemente montuosa, quella centro-meridionale e sud-
occidentale, essenzialmente collinare; quella tipica di altopiano, presente nella
zona sud-orientale, e quella vulcanica nella Sicilia orientale.
La pedogenesi siciliana è profondamente influenzata dalle differenti
formazioni litologiche da cui i suoli hanno ereditato gran parte dei loro caratteri
ma anche, dalle condizioni climatiche con elevate temperature estive,
accompagnate da accentuata aridità che si contrappongono alle elevate
precipitazioni ed alle miti temperature invernali.
Accanto ai fattori naturali della pedogenesi, in Sicilia si pone l'azione
dell'uomo che da millenni ha sottoposto i suoli ad una intensa coltivazione
alterandone le caratteristiche naturali.
Il quadro pedologico dell'isola risulta pertanto costituito da una varietà assai
interessante di suoli che ricoprono tutta una gamma che va dai tipi pedologici
meno evoluti a quelli più evoluti.
In Sicilia sono diffusi diversi tipi pedologici di suoli i quali in combinazione
fra loro danno origine alle differenti associazioni. Nell'isola esistono 33 tipi
diversi di associazioni.
Fra le associazioni più rappresentate si ricordano:
ξ l'associazione pedologica dei Regosuoli - Suoli bruni e/o Suoli bruni
vertici, estesa per 344.200 ettari (13,38% dell'intera superficie dell'isola), la più
diffusa in Sicilia. Occupa larga parte della collina argillosa siciliana e trova la sua
massima espressione nelle province di Agrigento e Caltanissetta a quote
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comprese tra i 500 e i 900 m s.l.m. L'uso prevalente di questa associazione, che
mostra una potenzialità agronomica da buona a discreta, è il cerealicolo che nella
pluralità dei casi non ammette alternative, anche se a volte è presente il vigneto e
l'arboreto.
ξ l'associazione dei Suoli bruni - Suoli bruni lisciviati - Regosuoli e/o
Litosuoli, che si rinviene in tutte le province dell'isola ma che è maggiormente
concentrata sui principali rilievi ed in alcune zone di collina con una superficie
totale di 240.350 ettari (9,34% dell’intera superficie regionale). Nel complesso la
potenzialità produttiva dell'associazione può essere ritenuta buona. Infatti in
alcune zone irrigue vengono coltivati gli agrumi, dove invece non c'è
disponibilità d'acqua si trova la vite, l'ulivo, il ficodindia e il mandorlo.
ξ l'associazione Regosuoli - Suoli bruni e/o Suoli bruni vertici - Suoli
alluvionali e/o Vertisuoli, che occupa una superficie complessiva di 194.400
ettari (7,56% della superficie regionale). Questa tipologia di suolo è una costante
della collina argillosa interna della Sicilia, caratterizzata da una morfologia che
nella generalità dei casi è ondulata con pendii variamente inclinati sui fianchi
della collina che lasciano il posto a spianate più o meno ampie alla base delle
stesse. Questo tipo di associazione è poco stabile e sono frequenti smottamenti
con fenomeni erosivi fino alla formazione di calanchi. La potenzialità
agronomica varia da mediocre a buona e viene utilizzata prevalentemente per i
cereali ma anche per vigneto e mandorlo.
Anche la rete idrografica risulta complessa, con reticoli fluviali di forma
dendritica e, generalmente, con bacini di modeste dimensioni.
Queste caratteristiche sono da attribuire alla struttura compartimentata della
morfologia dell’Isola, che favorisce la formazione di un elevato numero di
elementi fluviali indipendenti, ma di sviluppo limitato.
I corsi d’acqua a regime torrentizio sono numerosi e molti di essi risultano a
corso breve e rapido. Le valli fluviali sono per lo più strette e approfondite nella
zona montuosa, sensibilmente più aperte nella zona collinare.
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Fra i corsi d’acqua che rivestono particolare importanza ricordiamo le
numerose fiumare del Messinese, che presentano portate notevoli e impetuose
durante e subito dopo le piogge, mentre sono quasi asciutti nel resto dell’anno.
Proseguendo verso ovest, lungo il versante settentrionale, si trovano ancora
il Pollina, l’Imera Settentrionale e il Torto, che prendono origine dalle Madonie;
seguono poi il S. Leonardo, l’Oreto e lo Iato.
Nell’area meridionale è il fiume Belice, che si origina dai rilievi dei monti
di Palermo, a caratterizzare principalmente questo versante; muovendosi quindi
verso est, fino ad arrivare all’altopiano ibleo, si incontrano il Verdura, il Platani,
il Salso o Imera Meridionale, il Gela, l’Ippari e l’Irminio.
Nel versante orientale scorrono i fiumi più importanti, per abbondanza di
acque perenni: il Simeto, principalmente, che durante le piene trasporta
imponenti torbide fluviali, il Dittaino che nella parte terminale alimenta il
Simeto, il Gornalunga e l’Alcantara.
Tra la foce dell’Alcantara e Capo Peloro i corsi d’acqua assumono le
medesime caratteristiche delle fiumare del versante settentrionale.
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3. LE LEGUMINOSE FORAGGERE
Nella corrente terminologia si indicano come “foraggere” tutte le specie
vegetali il cui prodotto principale è utilizzabile nell’alimentazione del bestiame,
mentre con il termine “foraggio” si intende, generalmente, il solo prodotto
dell’attività vegetativa della pianta e cioè l’erba e i suoi derivati: fieno, insilato e
disidratato.
I frutti e i semi delle piante rientrano invece nella categoria più generale
degli alimenti cosiddetti “concentrati”, caratterizzati da un elevato contenuto di
principi nutritivi digeribili, da una ridotta presenza di frazioni fibrose e da un
valore nutritivo mediamente più alto rispetto a quello dei foraggi.
Sicuramente la produzione di foraggi di leguminose ha rappresentato, anche
in tempi non lontani, una notevole fonte alimentare per il bestiame allevato in
Italia.
Tuttavia negli ultimi anni si è assistito ad una contrazione delle superfici
coltivate a prato di leguminose, soprattutto nel nord Italia, in conseguenza della
riduzione del patrimonio zootecnico, della maggiore redditività di altre colture
(mais) e non da ultimo della possibilità di reperire alimenti altamente proteici a
basso costo.
Le leguminose foraggere nell’azienda agraria oltre a produrre alimenti per
gli animali, assolvono ad altre funzioni molto importanti per gli equilibri tra le
componenti dell'agrosistema ed il mantenimento della fertilità dei terreni.
Infatti, mentre certe colture tendono a peggiorare lo stato strutturale del
terreno, ad esempio attraverso le operazioni che esse richiedono (traffico di
macchine, irrigazione, etc.), altre piante coltivate esercitano un’influenza
benefica sulla struttura grazie all’azione disgregatrice meccanica del loro
apparato radicale, per l’effetto fisico-chimico dei prodotti di decomposizione dei
loro residui e proteggendo il terreno dall’azione battente della pioggia.
Sono le colture poliennali, soprattutto di graminacee foraggere, ad avere la
massima efficacia, grazie al loro apparato radicale fascicolato e che, per di più, in
moltissime specie si rinnova annualmente. Anche le leguminose pratensi con le
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loro radici potenti e profonde disgregano il terreno anche in profondità e danno
luogo ad aggregati di notevole stabilità.
Le colture poliennali migliorano la struttura anche in modo indiretto
favorendo lo sviluppo della fauna terricola che, non disturbata dalle lavorazioni e
ben nutrita dai residui abbondantemente prodotti dalla vegetazione, si moltiplica
e opera attivamente.
Il loro inserimento negli avvicendamenti colturali conferisce maggiore
autonomia all'azienda agraria e riduce la necessità di intervenire a supporto delle
specie coltivate in rotazione con operazioni dispendiose, spesso difficili da
attuare o addirittura in contrasto con gli equilibri che regolano la stabilità dei
terreni agrari.
Il loro effetto sulle caratteristiche dell'agrosistema si estrinseca
principalmente secondo le seguenti modalità: costituzione nei terreni di elevata
fertilità residua, controllo di infestanti e malattie ed aumento del grado di
autonomia aziendale.
Gli effetti sulla fertilità del terreno derivano:
- dall'azione di rinnovo delle caratteristiche dei terreni: la fertilità del
terreno risente positivamente degli effetti congiunti derivanti dalle lavorazioni
per la preparazione del letto di semina e dall'azione di strutturazione operata dai
robusti apparati radicali fittonanti.
- dalla fissazione dell'azoto atmosferico: le leguminose fissano notevoli
quantità di azoto atmosferico attraverso la simbiosi con i batteri azoto-fissatori.
Questo azoto viene in gran parte rilasciato nel terreno, sia durante la coltivazione
che successivamente, con i residui colturali. La disponibilità dell'azoto nel
terreno promuove i processi di trasformazione della sostanza organica e favorisce
la coltivazione delle successive colture.
- dalla durata della coltura foraggera: le leguminose foraggere poliennali
hanno migliori effetti degli erbai (foraggere annuali) soprattutto perché
assicurano al terreno una prolungata fase sodiva (assenza di lavorazioni), che
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favorisce l'instaurarsi di una efficace attività biologica e l'accumulo di sostanza
organica stabile.
- dalla gestione della biomassa prodotta: le specie foraggere assumono un
ruolo importante come colture da sovescio. In questo caso la produzione verde
anziché raccolta viene interrata. Si reintegra nel suolo sostanza organica di
qualità (basso rapporto C/N), i cui effetti esaltano l'attività biologica del terreno,
ne migliorano la struttura e la capacità di immagazzinamento dell'acqua, rendono
disponibili alle colture successive una buona quantità di azoto e fertilità
precedentemente immobilizzata.
Il contenimento delle erbe infestanti e delle fitopatie deriva principalmente
dall'azione di copertura del terreno e dagli sfalci, anche ripetuti, che la specie
foraggera può subire.
La copertura totale della superficie e la fittezza della coltura sul terreno
soffocano la flora spontanea.
Gli sfalci impediscono la riproduzione per seme e contribuiscono ad
esaurire le riserve degli organi sotterranei delle malerbe.
Per le colture destinate al sovescio ulteriore elemento nel controllo della
flora infestante è rappresentato dall'interramento della biomassa vegetale.
I vantaggi derivanti ai terreni dalla coltivazione delle specie foraggere
(conferimento di fertilità e contenimento di infestanti e malattie) evidenziano
come il loro impiego renda l'azienda meno dipendente da input energetici di
natura extra-aziendale.
In più, l'inserimento di una foraggera permette la presenza del bestiame
all'interno dell'azienda.
Ciò favorisce la continuità della catena alimentare ed il ritorno al suolo di
parte della fertilità sottratta ai terreni dalla coltivazione, attraverso le deiezioni.
Il contributo delle leguminose al mantenimento della fertilità del suolo è
conosciuto fin dall’antichità, ma la comprensione del meccanismo di
arricchimento del suolo venne chiarito solo nella metà del XIX secolo da
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Boussingault che dimostrò l’abilità delle leguminose a ricavare l’azoto oltre che
da fonti minerali del suolo anche dall’atmosfera.
Verso la fine dell’800 Hellriegel e Wilfarth (1888) riconobbero che piccoli
tubercoli o noduli presenti sulle radici erano il sito di assimilazione dell’azoto
atmosferico.
Nello stesso anno Beijerink (1888) isolò dai noduli dei batteri che
risultarono essere agenti della fissazione dell’azoto atmosferico.
Questi batteri che possiedono la capacità di formare noduli sulle radici delle
leguminose vengono chiamati collettivamente rizobi.
I noduli sono l’espressione di una associazione simbiotica tra rizobi e
leguminose: i batteri riducono l’azoto atmosferico (N2) ad ammoniaca e
riforniscono la pianta di composti azotati, mentre la pianta fornisce ai batteri
l’energia sotto forma di fotosintati.
Questi batteri sono simbionti facoltativi e come tali sono comuni abitanti
del suolo, ma, salvo rare eccezioni, non sono in grado di fissare l’azoto
direttamente nel suolo (Amarger, 2001).
3.1. FAVINO (Vicia faba minor L.)
E’ una delle più importanti leguminose da erbaio autunnale.
Appartiene all’ordine delle Fabales, alla famiglia delle Fabaceae (chiamata
anche Leguminosae) e alla tribù delle Vicieae.
Tipicamente la fava da foraggio appartiene a due varietà botaniche: Vicia
faba minor (favino) con semi piccoli, rotondeggianti e di colore scuro, e Vicia
faba equina (favetta) con semi più grossi, più schiacciati e di colore più chiaro.
Caratteristicamente per le colture da erbaio si utilizza quasi esclusivamente
il favino, mentre la favetta viene utilizzata per la produzione di granella secca per
l’alimentazione zootecnica.
Il favino è una pianta a radice fittonante, molto rustica, buona valorizzatrice
dei terreni argillosi, ma poco resistente al freddo.
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La sua diffusione in semina autunnale si è sviluppata quindi nelle sole
regioni centro-meridionali, mentre nei comprensori settentrionali e nell’Europa
continentale essa è una coltura primaverile.
Il centro di origine della fava è stato identificato nell’area mediterranea ed
in quella medio-orientale.
L’attuale diffusione della fava da foraggio interessa circa 24.000 ha, tre
quarti dei quali nel Mezzogiorno.
Può essere impiegata sia in coltura pura sia in miscuglio con avena o anche
con grano.
In ogni caso l’utilizzazione può avvenire o come foraggio verde o come
foraggio raccolto in maturazione avanzata ed insilato.
In quest’ultimo caso, soprattutto nelle annate in cui il miscuglio è dominato
dalla fava, si possono verificare delle difficoltà di conservazione e l’ottenimento
di insilati di qualità mediocre o scadente.
L’inconveniente può essere minimizzato ricorrendo al pre-appassimento.
L’erbaio di fava è molto produttivo (25-50 t ha-1 di erba), facilmente
meccanizzabile e con un foraggio di buona qualità e ben appetito dal bestiame,
anche se raccolto ad un grado di maturazione piuttosto avanzato.
3.1.1. Caratteri botanici e biologia
La fava è una pianta annuale eretta, rigida, glabra; radice a fittone ben
sviluppato con robuste ramificazioni laterali, le più piccole delle quali sono
ricche di grappoli di noduli lobati.
Gli steli sono robusti, quadrangolari, con spigoli rilevati, vuoti, con uno o
più rami basali.
Le stipole sono grandi, variabili nella forma, irregolarmente dentate.
Le foglie sono alterne, pari-pennate con 2-6 foglioline subopposte o
alternate, subsessili obovate, intere, di colore grigio-verde; fogliolina terminale
lesiniforme, che qualche volta diviene un mucrone parzialmente fogliaceo.
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Infiorescenze a racemo ascellare corto, subsessile con 1-6 fiori; corolla con
vessillo ben sviluppato con deboli rigature longitudinali marrone; ali bianche o
violacee segnate da una macchia marrone scuro o nera.
Il frutto è un baccello allungato, cilindrico od appiattito, rigonfio sopra i
semi, cuneato alla base, rostrato all’apice, pubescente o glabro, di lunghezza
variabile.
Il ciclo biologico della fava ha una durata assai variabile in rapporto al tipo,
all’epoca di semina ed alle condizioni ambientali.
La germinazione, che può essere largamente compromessa nei semi
attaccati dal tonchio, raggiunge l’ottimo a 20 °C.
Essa si manifesta dapprima con il rigonfiamento del seme e la fuoriuscita
della radichetta, verso la quale vengono mobilitate le riserve.
La piumetta comincia a svilupparsi qualche giorno dopo e solo più tardi
entra in equilibrio con la radice, superandone il peso secco quando il fusticino
avrà raggiunto cm 1-1,5, contro i 10 cm della radichetta.
La germinazione è ipogea, poiché i cotiledoni rimangono sotto terra e solo
la piumetta emerge dal terreno.
3.1.2. Esigenze ambientali
La fava non tollera il freddo intenso e la siccità prolungata, per cui è una
coltura autunnale al sud e primaverile al nord; il freddo arresta lo sviluppo e
limita l’accrescimento e la ramificazione.
La fava presenta esigenze idriche di rilievo dalla fioritura alla formazione
dei baccelli. La siccità determina una fioritura anticipata e breve, con conseguenti
scarso sviluppo delle piante, maturazione affrettata ed intuibili effetti negativi
sulle rese.
La fava richiede terreni fertili, ben provvisti di calce, con capacità di
ritenuta idrica piuttosto elevata.
Essa cresce bene nei terreni argillosi, pesanti, che non lascino però
ristagnare l’acqua per lungo tempo.
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In riferimento alle asportazioni il favino è esigente in primo luogo di azoto e
di potassio, cui seguono per importanza fosforo, calcio e magnesio.
Considerata la povertà dei terreni, il fosforo è l’elemento più importante che
condiziona la produzione; esso, infatti, ha un’azione favorevole alla
moltiplicazione ed all’attività dei batteri simbiotici e quindi alla fissazione di
azoto.
Un’azione analoga svolge anche il calcio, soprattutto nei terreni
particolarmente carenti.
La concimazione azotata riduce o, in casi particolarmente gravi, annulla la
fissazione dello stesso per via simbiotica. Secondo la letteratura anglosassone, il
favino, come la maggior parte delle leguminose, produce meglio se può ricavare
l’azoto sia dal terreno che dalla fissazione simbiotica nel rapporto ottimale, tra le
due fonti di 1:2.
I terreni, per il favino, in conseguenza di ciò, dovrebbero contenere buone
riserve di sostanza organica dalle quali le piante possano assorbire quella parte di
azoto loro necessario fino a quando esse, sviluppati i noduli in simbiosi con i
batteri, divengono capaci di utilizzare l’azoto atmosferico.
3.2. TRIFOGLIO SOTTERRANEO (Trifolium subterraneum L.)
Il trifoglio sotterraneo è così chiamato per il suo spiccato geocarpismo. Esso
fa parte del gruppo delle leguminose annuali autoriseminanti che comprende
anche altre specie appartenenti ai generi Trifolium e Medicago.
Appartiene all’ordine delle Fabales, alla famiglia delle Fabaceae (chiamata
anche Leguminosae) e alla tribù delle Trifolieae.
E’ originario del Bacino del Mediterraneo e delle aree costiere dell’Europa
occidentale, dove si spinge fino all’Inghilterra.
Grazie al suo ciclo congeniale ai climi mediterranei, alla sua persistenza in
coltura dovuta al fenomeno dell’autorisemina, all’adattabilità a suoli poveri (che
tra l’altro arricchisce di azoto) e a pascolamenti continui e severi, il trifoglio
sotterraneo è chiamato a svolgere un ruolo importante in molti comprensori, non