4
INTRODUZIONE
Le pagine che leggeremo vogliono essere uno spunto, per chi lo
voglia cogliere, per vivere maggiormente all‟insegna di quella magia e
di quella fantasia che noi adulti abbiamo (quasi) definitivamente
perso, vuoi perché le indissolubili catene della realtà ci stringono
sempre di più, vuoi per il raggiungimento di una più piena
consapevolezza che può distruggere irrimediabilmente la nostra
immaginazione.
Il presente lavoro di tesi scaturisce prima di tutto da un interesse
personale per la letteratura per bambini, che affonda le radici
direttamente nella mia infanzia. Ho vissuto quel periodo della mia vita
in maniera del tutto magica, impregnata delle fiabe create dalla
fantasia dei miei genitori che hanno impresso un marchio indelebile
nella mia memoria.
Considero l‟età infantile un momento essenziale nella vita di
ognuno. “Il bambino è un mago”; aveva affermato la psicologa
infantile Selma Fraiberg
1
: la libertà fa da padrone al suo mondo, non
solo quella interiore, ma anche, come vedremo, quella linguistica. I
piccoli giocano con le parole e con i fatti, trasformano atroci inferni in
inimmaginabili paradisi, guardano la realtà con gli occhi di un‟infinita
fantasia.
La mia scelta è caduta su Djadja Fjodor, pjos i kot (Zio Teodoro,
il gatto e il cane) di Eduard Nikolaevič Uspenskij
2
un po‟ per caso, un
po‟ per gioco, un po‟ perché è un libro tra i più conosciuti di Eduard
Nikolaevič Uspenskij, ma che nel nostro paese non ha ottenuto quella
visibilità e quella rilevanza che invece possiede in nazioni come la
Germania, la Finlandia, gli Stati Uniti, ma anche la Cina e il
1
Selma Fraiberg, “The Magic years” (1959), in Oittinen, Translating for children, Garland
Publishing, Inc., New York and London, 2000, p. 48
2
Delle coordinate biografiche dell‟autore e le caratteristiche del libro parlerò più approfonditamente
nei capitoli IV e VI.
5
Giappone. Il creatore di Čeburaška, lo strano animaletto dalle grandi
orecchie conosciuto in lungo e in largo per la Russia, ha dato vita ad
un libro che è anche il percorso della crescita e della maturazione di
un bambino, che si allontana da casa ma acquista pian piano la propria
indipendenza. Il libro è carico di un‟atmosfera giocosa, ricca di
divertenti sketch e impregnata di tutta una russità che balza all‟occhio,
tra nomi propri, cibi tipici, riferimenti espliciti al reale… Il lettore
italiano all‟inizio fa fatica, poiché inconsciamente tende a sovrapporre
la propria prospettiva, i propri valori, e ad addomesticare il testo, ma
la comprensione è stimolata ad andare a fondo, a indagare il terreno
fertile che gli si presenta davanti in maniera del tutto inaspettata e
fantasiosa.
È questo il primario compito del traduttore, che fa suo il testo, lo
forgia, lo plasma, lo riformula, lo riduce quasi a brandelli pur di
trovare una risposta alle sue incessanti domande e alla fine opera una
scelta di senso, il senso più giusto per lui e magari anche per il suo
pubblico. Il traduttore è come il profeta
3
: un uomo che mette il proprio
sapere a disposizione della propria nazione, che fa sì che idee e
pensieri circolino tra le culture, che costruisce immagini vivide e,
seppur filtrate, le dona al suo popolo. E in questo la traduzione è
componente essenziale della letteratura universale.
La traduzione è talvolta bandita come fenomeno d‟interferenza
4
che non restituirà mai fino in fondo l‟integrità della cultura originale,
facendo di essa un patrimonio del tutto irrecuperabile. Si parla in tal
senso di nostalgia dell‟originale, di “voce che risuona dentro un‟altra
voce”
5
, ma che mai diventerà piena e lucida come quella originaria.
Ma è anche vero che l‟atto traduttivo permette di superare di gran
lunga l‟angoscia della pagina bianca, perciò il lavoro del traduttore, al
contrario di quello dello scrittore coinvolto senza sosta in un
inesorabile cammino verso l‟ignoto
6
, sembrerebbe più facilitato o per
lo meno più incanalato entro limiti più definiti.
3
Lorenza Rega, La traduzione letteraria: Aspetti e problemi, UTET Libreria, Torino, 2001, p. 63
4
Goethe a Eckermann, 31 gennaio 1827 in Rega, op. cit., p. 34
5
Rega, op. cit., p. 34
6
Franco Fortini, “Saggi italiani”, De Donato, Bari, 1974, in Rega, op. cit., p. 74
6
La tesi presenta innanzitutto una panoramica sulla traduzione e
sui suoi aspetti fondamentali, seguita da un ampio sguardo teorico e
critico sulla letteratura per l‟infanzia e sui problemi che pone a livello
pratico e traduttivo, e da uno spaccato storico-letterario-culturale della
Russia per bambini tra favola e realtà.
Dopodiché passo a definire le coordinate biografiche dell‟autore e
le caratteristiche peculiari del libro, analizzato nei vari livelli
contenutistici e stilistici fino ai meandri più profondi.
Il fulcro del lavoro è ovviamente rappresentato dalla traduzione
vera e propria, per la quale è stato a tratti necessario un quasi forzato
adattamento ai canoni della cultura italiana, essendo alcune
espressioni o termini (soprattutto quelli legati alla sfera del cibo)
visibilmente incomprensibili al lettore d‟arrivo. C‟è poi tutta quella
serie di nomi propri e geografici, ai quali è stato laborioso, oltre che
divertente, attribuire caratteristiche più vicine al pubblico italiano, in
sintonia con la musicalità del nome o col suo contenuto semantico. E
poi giochi di parole, filastrocche, onomatopee, neologismi… tutti tratti
profondamente radicati nello stile di Uspenskij e che in Djadja
Fjodor, pjos i kot prendono vita, animandosi di vivida forza in
armonia con il resto della narrazione.
Il commento alla traduzione fa da contorno al testo, chiarificando
contenuti e invitando il lettore a leggere un libro che è sì per bambini
ma a cui anche l‟adulto può accostarsi nella ricerca dei significati che
ha perso, di quell‟aura di magia e meraviglia, luce e irrazionalità che
tutti cerchiamo, ma che non abbiamo il coraggio di trovare veramente.
7
CAPITOLO I
UNA FINESTRA SULLA TRADUZIONE
1.1 La traduzione è un’esigenza?
In un mondo come quello attuale che spinge sempre più verso la
globalizzazione, caratterizzato da un progressivo contatto tra popoli e
lingue diverse e dall‟intensità e rapidità degli scambi culturali, e che
porta con sé emigrazione e immigrazione di gruppi sempre più nutriti
di individui, per esigenze scolastiche, lavorative, personali, nasce il
bisogno di un confronto, di un avvicinarsi ad un mondo altro, diverso,
estraneo, esotico. Tutto ciò da un lato ha l‟indubbio vantaggio di
portarci a conoscere l‟ignoto, ma dall‟altro può costituire un pericolo
per la scomparsa del ricco patrimonio della nostra cultura d‟origine.
Il primo ostacolo che incontrerà chi s‟appresta ad un contatto con un
mondo diverso è sicuramente la lingua, un mezzo convenzionale e
arbitrario creato dall‟uomo, ma che se non è conosciuta può
imprimere un blocco allo scambio reciproco.
Da qui l‟estrema esigenza di una mediazione, che è poi bisogno di
conciliare parti separate dal conflitto tra lingue. Nonostante le non
poche difficoltà, come ad esempio l‟elaborazione di alcune teorie che
mettevano in luce tra le altre cose persino la radicale impossibilità
della traduzione, si è assistito negli ultimi decenni alla proliferazione
di scritti di teoria della traduzione, centri di ricerca, facoltà
universitarie e scuole per interpreti e traduttori. L‟espansione
dell‟informatica ha poi fatto il resto, con la creazione di alcuni mezzi
di sostegno tra i quali la traduzione automatica. Collegata alla
diffusione dei mezzi sopra descritti è la maggiore sensibilità dei
traduttori, che tentano di utilizzare nelle loro traduzioni una lingua
corrente che metta in diretto contatto il traduttore e il suo pubblico.
Ilide Carmignani, alla Fiera Internazionale del Libro di Torino nel
2006, ha sottolineato la reciproca dipendenza tra lo scrittore e il suo
traduttore: “Se il traduttore senza lo scrittore non esiste, lo scrittore
8
senza il traduttore esiste soltanto nei ristretti limiti della sua lingua e
del suo tempo”
7
. La traduzione si configura in tal modo come
un‟attività sociale per eccellenza che costruisce identità nazionali,
mette in comunicazione mondi e culture e ci rende partecipi dell‟altro
a noi ignoto.
1.2 Cosa significa tradurre?
Di primo acchito il termine tradurre accende nella mente di
qualsiasi persona che lo ascolti la seguente parafrasi, più o meno
precisa: “volgere un testo in un‟altra lingua”.
Vale però la pena ricordare che in origine il termine possedeva un
significato differente: in latino infatti translatio appare col significato
di “cambiamento, trasporto da un luogo all‟altro, passaggio bancario
di denaro, innesto botanico, metafora” e traducere nel senso di
“condurre oltre”
8
. Pare che il passaggio di significato da “trasportare”
a “tradurre” sia dovuto ad un errore di Leonardo Bruni che aveva
interpretato erroneamente una frase di Aulo Gellio (Noctes I, 18):
Vocabulum graecum vetus traductum in linguam romanam, dove quel
“traductum” in realtà significava che la parola greca era stata
trapiantata nella lingua latina
9
.
Se poi diamo un‟occhiata alle definizioni del termine fornite dai
principali dizionari, si nota che non si discostano molto dalla suddetta
espressione di “versione da una lingua ad un‟altra”. Nel Vocabolario
Treccani, ad esempio, al lemma tradurre troviamo la seguente
definizione: “volgere in un‟altra lingua, diversa da quella originaria,
7
L‟AutoreInvisibile 2006 in
http://webcache.googleusercontent.com/search?q=cache:3FOCMTbSH9UJ:www.lanotadeltraduttore.i
t/lautoreinvisibile_2006.htm
8
L‟impero „parla indietro‟. Per un‟antropologia della traduzione nella cultura antica in
http://docs.google.com/viewer?a=v&q=cache:dJnvn1nrgYEJ:antropologica.drupalgardens.com/sites/a
ntropologica.drupalgardens.com/files/L'impero%2520parla%2520indietro%2520-%2520Bettini.pdf
9
Ibidem
9
un testo scritto o orale”
10
. Il Tolkovyj slovar‟ russkogo jazyka,
dizionario monolingue russo, definisce il tradurre come “Передать
средствами другого языка” e “Выразить в других знаках, в других
величинах”
11
(ossia trasmettere con i mezzi di un‟altra lingua ed
esprimere il messaggio in altri segni e in altre grandezze).
Secondo lo Zingarelli invece tradurre non è soltanto “voltare,
trasportare da una lingua in un'altra”, ma anche “dare l‟equivalente di
un testo, una locuzione, una parola”
12
. Tuttavia anche questa
definizione non risolve appieno gli interrogativi sul significato esatto
del termine.
Ad un‟analisi più attenta infatti si nota come questa osservazione
sia alquanto riduttiva, in quanto, come osserva Eco
13
, è sicuramente
problematico definire il senso di equivalenza di significato, nonché di
dire la stessa cosa. E come se non bastasse dobbiamo scavare a fondo
in un testo prima di capire che cosa sia effettivamente questa cosa, e
cosa significhi esattamente dire. E infine, siamo sicuri che sia proprio
la stessa cosa quella che risulta in un‟altra lingua?
1.3. Dire quasi la stessa cosa: la negoziazione
Eco sembra aver trovato se non una soluzione, almeno una
scappatoia flessibile e sensata alle domande appena poste, che genera
però altri interrogativi, ancora più spinosi se vogliamo: tradurre per lui
significa dire quasi la stessa cosa. E quel quasi?
Stabilire la flessibilità, l‟estensione del quasi dipende da alcuni
criteri che vanno negoziati preliminarmente. Dire quasi la stessa
10
Treccani, in Umberto Eco Dire quasi la stessa cosa: Esperienze di traduzione, Bompiani, 2003, p.
25
11
Толковый словарь русского языка in http://www.vedu.ru/ExpDic/22210
12
Zingarelli, in Eco, op. cit., p. 25
13
Eco, op. cit., pp. 9-10
10
cosa è un procedimento che si pone all‟insegna della
negoziazione
14
.
Dove la parola negoziazione implica che il traduttore debba
negoziare, ossia in un certo senso confrontarsi, non solo con il
fantasma dell‟autore, ma anche con il testo di partenza, con
l‟immagine del Lettore Modello per il quale sta traducendo, e alle
volte anche con l‟editore, per trovare la soluzione a lui più consona.
La negoziazione indica un compromesso, ossia un processo per il
quale si sceglie di rinunciare a qualcosa, a qualche implicazione del
termine originale, per ottenere qualcos‟altro. Gadamer rafforza
quest‟affermazione dicendo che:
Se nella traduzione vogliamo far risaltare un aspetto
dell‟originale che a noi appare importante, ciò può accadere
solo, talvolta, a patto di lasciare in secondo piano o addirittura
eliminando altri aspetti pure presenti. […] In quanto però [il
traduttore] non sempre è in condizioni di esprimere tutte le
dimensioni del testo il suo lavoro implica anche una continua
rinuncia
15
.
Tali rinunce
16
possono essere più o meno assolute, più o meno
rilevanti e pesare più o meno sul testo. Spesso investono giochi di
parole, termini desueti, lunghi elenchi di termini… e a volte possono
essere compensate.
Non esiste una traduzione perfetta: esiste piuttosto un continuum
di gradazioni di reversibilità (ossia la capacità ideale di poter rendere
nella lingua d‟arrivo tutti i livelli del testo di partenza), a livello non
solo del contenuto, ma anche dello stile, del lessico, della sintassi e sul
14
Eco, op. cit., p. 10
15
Hans-Georg Gadamer, “Warheit und Methode”. Tübingen: Mohr, III, 1960 (tr. It Verità eMetodo.
Milano: Bompiani, 1983), in Umberto Eco, op. cit., pp. 92-3
16
Eco, op. cit., p. 95
11
piano fonico e ritmico, che il traduttore deve riuscire a rendere
ottimali e a soddisfare il più possibile
17
. Anche a costo di rinunciare a
qualcos‟altro e di indirizzare il lettore ad una certa lettura critica
dell‟opera tradotta
18
.
1.4 Una traduzione problematica? – I compiti del traduttore
Il traduttore prima di tutto deve aver chiaro un obiettivo, ossia
l‟intentio autoris, l‟intenzione dell‟autore. In base a ciò ha il dovere di
comprendere il sistema del source text (testo di partenza o testo fonte),
ossia il suo piano sintattico, metrico, stilistico e fonosimbolico nonché
le sue sfumature semantiche, che è poi la distinzione che opera Torop
tra piano dell‟espressione, ossia “конкретные формы актуализации
художественной структуры данного текста”, e piano del contenuto,
“поэтическая модель”
19
. Come afferma lo stesso Torop:
Перекодирование является преимущественно процессом
лингвистическим и формальным, транспонирование
связано с пониманием содержательной структуры текста,
поэтической модели, и является преимущественно
процессом литературно-художественным
20
.
[la ricodifica è un processo prevalentemente linguistico e
formale, la trasposizione è legata alla comprensione della
struttura contenutistica del testo, del modello poetico, ed è un
processo prevalentemente artistico-letterario
21
]
Il traduttore deve quindi costruire un target text (testo di arrivo o di
destinazione, o, dicendola con Montanari, testo foce
22
) che, grazie a
17
Ibidem, p. 64
18
Ibidem, p. 95
19
Torop, op. cit., p. 102
20
Тоrop, op. cit., pp. 26-7
21
Trad. it di Bruno Osimo, La traduzione totale, Guaraldi Logos, Modena 2000, p. 58
22
Federico Montanari, “Tradurre metafore?”, in Dusi e Neergard, 2000, p. 175, in Eco, op. cit., p. 195
12
una serie di operazioni dicode switching
23
, produca sul lettore effetti
analoghi all‟originale. Torop distingue tra due fasi, l‟analisi e la
sintesi:
[…] следует говорить об этапе анализа, направленного на
подлинник, как этапе понимания, постижения подлинника,
и этапе синтеза, направленного на перевод (и читателя
перевода), как этапе воссоздания подлинника средствами
другого языка и культуры
24
.
[c‟è una prima fase di analisi indirizzata all‟originale, di
comprensione, di concezione dell‟originale, e una seconda fase
di sintesi indirizzata alla traduzione (e al lettore della
traduzione), una ricreazione dell‟originale con gli strumenti
dell‟altra lingua e dell‟altra cultura
25
]
Ma per arrivare a questo deve sempre fare un‟ipotesi
interpretativa e una scommessa sul senso del testo. Per questo il
traduttore è sempre un interprete che cerca di comprendere la parola
altrui, in una sorta di dialogo ermeneutico
26
, non sempre
soddisfacente, con lo scrittore. Il problema della traduzione infatti,
anche di quella di una singola parola, spesso nasce dal fatto che i
termini assumono significati diversi a seconda del contesto nel quale
sono inseriti. “La traduzione però, come ci ricorda Eco, non avviene
tra sistemi bensì tra testi”
27
, non avulsi da contesti culturali e da
precise situazioni reali.
Ad aiutarci a capire quali siano questi contesti e queste situazioni
provvedono in parte i lessicologi, i quali si preoccupano di fornire al
lettore/traduttore gli strumenti per la disambiguazione contestuale,ma
un ruolo essenziale è svolto anche dall‟informazione enciclopedica,
ossia l‟informazione che noi abbiamo del mondo e che si porta dietro
23
W. Wilss, “Übersetzungswissenschaft. Probleme und Methoden”, Klett, Stoccarda, p. 62, in Rega,
op. cit., p. 13
24
Torop, op. cit., p. 40
25
Trad. it. Di Osimo, op. cit., p. 82
26
Gadamer, op. cit., in Eco, op. cit., p. 230
27
Eco, op. cit., p. 37
13
il nostro bagaglio di conoscenze ed esperienze. Tutto ciò ci aiuta ad
escludere delle alternative e a metterne in luce altre, restringendo il
campo e permettendo una scelta traduttiva più o meno sensata.
Quest‟ultima deve necessariamente fondarsi sul mondo possibile di
una traduzione, ossia scegliendo il senso più accettabile e probabile in
base al contesto e alla lingua di partenza. Dobbiamo infatti ricordarci
sempre, per dirla con Humboldt, che “ogni lingua ha il suo proprio
genio, o ancora meglio, esprime una diversa visione del mondo” (è la
cosiddetta ipotesi di Sapir-Whorf)
28
. Torop parla di “переводимость
культуры”
29
, “traducibilità della cultura”: una traduzione non può
essere solo un passaggio tra due lingue; anzi, è soprattutto un dialogo
tra due culture e tra due enciclopedie, tanto che nel 1988 Mary Snell-
Hornby parlava di cultural turn in traduttologia
30
, affermando che i
problemi della traduzione derivano non tanto dal testo fonte, quanto
dal significato che il testo tradotto assume per i lettori della cultura
d‟arrivo.
È solo comprendendo l‟universo culturale che sta dietro al testo
che il traduttore può davvero cercare di rendere nel testo tradotto il
senso e l‟effetto del testo di partenza. Siamo di fronte alla già
menzionata equivalenza di significato, altrimenti detta equivalenza
funzionale
31
, principio base della skopostheorie, teoria sviluppata
negli anni Settanta dai linguisti tedeschi Katharina Reiss e Hans
Vermeer e che ha come principale oggetto di studio appunto lo
“scopo” da rendere nel testo d‟arrivo. Il linguista Paul
Kussmaul,prendendo in esame il concetto di funzione, afferma che:
the functional approach has a great affinity with Skopos theory.
The function of a translation is dependent on the knowledge,
expectations, values and norms of the target readers, who are
28
Wilhelm Von Humboldt. “Aeschylos Agamennon metrisch Übersetz”, Leipzig: Fleischer, 1816 (tr.
it in Nergaard 1993), in Umberto Eco, op. cit., p. 37
29
Torop, op. cit., p. 66
30
Mary Snell-Hornby, Translation Studies. An integrated Approach. Amsterdam: Benjamins, in Eco,
op. cit., p. 162
31
Eco, op. cit., p. 80
14
again influenced by the situation they are in and by the culture.
These factors determine whether the function of the source text
or passages in the source text can be preserved or have to be
modified or even changed
32
.
Fortini afferma che i dubbi del traduttore non vengono dall‟incerto,
bensì “da quello che sembra chiaro e semplice e si esprime con tanta
precisione da non lasciare ombre…”
33
. Il suo compito essenziale è
quindi quello di chiarificare ogni parte del testo, in una sorta di patto
rispettoso con il lettore:
Он […] вынужден конкретизировать неконкретное и
эксплицировать имплицитное, понимать языки текста в
отдельности, чтобы соединить их вновь в переводе”
34
[è costretto a concretizzare gli elementi non concreti e a
esplicitare gli elementi impliciti, a concepire i linguaggi del
testo separati uno dall‟altro per poi riunirli di nuovo nella
traduzione
35
.]
Gadamer ha affermato che “la traduzione, come ogni
interpretazione, è una chiarificazione enfatizzante”. Ciò significa che
il traduttore
non può lasciare in sospeso nulla che non gli riesca chiaro.
Deve decidere il senso di ogni sfumatura. Ci sono casi limite
nei quali anche l‟originale (per il lettore “originario”) ha
qualcosa di oscuro. […] [L‟interprete] deve rassegnarsi, e dire
chiaramente come intende anche queste parti oscure del testo…
32
Paul Kussmaul, Training the translator, John Benjamins Publishing Co, 1995, p. 149 in
http://books.google.it/books?id=6Kodqlsm3qoC&pg=PA149&lpg=PA149&dq
33
F. Fortini in Goethe, “Faust”, tr. it, Mondadori, Milano, 1990, in Rega, op. cit., p. 53
34
Torop, op. cit., p. 17
35
Trad. it. di Osimo, op. cit., p. 39
15
Ogni traduzione che prenda sul serio il proprio compito risulta
più chiara e più superficiale dell‟originale
36
.
Ma d‟altra parte, come nota Humboldt, l‟oscurità è parte
fondamentale di un testo, che sia lontano nel tempo oppure nello
spazio (è anche il caso dei dialetti); e soltanto immergendoci e
“immedesimandoci nell‟atmosfera del poeta, nella sua epoca e nei
personaggi rappresentati, a poco a poco sparisce l‟oscurità e subentra
un‟altra chiarezza”
37
.
Tra i tanti doveri del traduttore, come sottolinea la studiosa
Christiane Nord
38
, c‟è anche quello di riuscire a rimanere fedele e
leale al testo di partenza (nonostante poi le condizioni di fedeltà siano
definite dal periodo storico e dal background culturale), trasferendo
nel testo di arrivo lo stesso senso, lo stesso messaggio e gli stessi
valori dell‟originale. Ciò è aiutato dal rapporto armonico e identitario
che si può instaurare tra autore e traduttore, soprattutto se entrambi
appartengono allo stesso periodo storico e ne condividono ideologie e
sentimenti. Il traduttore finisce così per “adottare la vera anima del
suo autore”
39
. Altrimenti c‟è il rischio di cadere nello stereotipo
misogino della “bella ma infedele”, una traduzione che altera il testo
di partenza nei contenuti e nello stile allo scopo di crearne un altro che
sia elegante nella lingua di arrivo. Tuttavia l‟approccio teorico alla
traduzione negli ultimi vent‟anni ha lasciato un po‟ da parte il
concetto di “fedeltà al testo” a favore di uno orientato verso la “lealtà
nei confronti del lettore”
40
.
36
Eco, op. cit., p. 111
37
Eco, op. cit., pp. 173-4
38
Nord, in Lawrence Venuti, Gli scandali della traduzione: per un‟etica della differenza, p. 104 in
http://books.google.it/books?id=iBgZ6O_bBisC&pg=PA104&lpg=PA104&dq
39
Alexander F. Tytler, “Essay on the Principles of Translation”, a cura di J. F. Huntsman, Amsterdam,
John Benjamins, p. 212, in Venuti, op. cit., p. 348
40
Simona Mambrini, “C‟era due volte… Tradurre letteratura per ragazzi”, inElena di Giovanni,
Chiara Elefante e Roberta Pederzoli, Ecrire et traduire pour les enfants. Voix, images et mots. Writing
and Translating for Children. Voices, images and texts, Peter Lang, Bruxelles 2010 (atti del
Convegno di Studi Internazionali tenutosi a Forlì l‟11 e il 12 maggio 2006), p. 246
16
Un altro compito del traduttore su cui a mio avviso vale la pena
soffermarsi scaturisce da quella che Torop chiama Несовпадение
исторического времени
41
[non coincidenza del tempo storico], ossia
quell‟intervallo temporale tra la data di uscita dell‟originale e quella la
traduzione. Tale distanza implica due approcci all‟attività traduttiva
che si escludono a vicenda: quello storicizzante, ossia si concepisce la
parola dal punto di vista storico, e quello modernizzante, in cui viene
ri-creato il significato vivo della parola e viene reinterpretato l‟autore
in chiave contemporanea
42
. Il problema che si pone L‟vov è:
Всегда ли нужно создавать дистанцию времени поэтому
лишь, что произведения написано давно, и даже в тех
случаях, когда у автора не было и не могло быть никаких
архаизирующих задач
43
.
[è sempre necessario creare una distanza temporale solo perché
l‟opera è stata scritta da tempo, anche nei casi in cui l‟autore
non aveva né poteva avere alcuna intenzione arcaizzante
44
?]
La soluzione è questa:
Передавать в переводе отношение автора к литературному
языку его времени […] и те особенности, без которых
нельзя говорить о своеобразии данного автор, а эти
особенности связаны не с языком, а с употреблением
языка
45
.
[lasciar trasparire le relazioni tra l‟autore e la lingua letteraria
della sua epoca … e le peculiarità senza le quali viene meno
l‟originalità di quell‟autore, e queste peculiarità non sono legate
alla lingua, ma all‟uso della lingua
46
]
41
Torop, op. cit., p. 49
42
Torop, (trad. it. Di Osimo, op. cit., pp. 99-100)
43
L‟vov, 1967, p. 291 in Torop, op. cit., p. 49
44
Trad. it. di Osimo, op. cit., p. 98
45
Torop, op. cit., p. 49
46
Trad. it. Di Osimo, op. cit., p. 99
17
1.5 Addomesticare o straniare?
Molto importante in traduzione è la nozione di orizzonte del
traduttore, ossia l‟influenza e la pressione che i pensieri, le tradizioni,
le convenzioni letterarie e il sistema culturale esercitano sulle scelte
traduttive:
il discorso è l‟abito dei nostri pensieri
47
[…] i riscrittori tendono comunque a trasformare più o meno
profondamente gli originali, manipolandoli per adattarli
all‟ideologia o alle concezioni poetiche del proprio tempo
48
.
Al di là di questo, il lavoro del traduttore è da sempre sottoposto
all‟annosa e duplice questione dello straniamento/addomesticamento
(o esotizzazione/naturalizzazione
49
). In altre parole, il traduttore ha il
dovere di creare un testo “doppio” scegliendo unicamente tra due
alternative: target o source-oriented. La scelta viene operata in base
alle caratteristiche del testo, al destinatario, alle tendenze
predominanti di un paese.
La traduzione può essere orientata al testo fonte, e in questo caso
restituire al lettore il sapore di un universo storico, linguistico,
culturale a lui più o meno estraneo (è il caso della traduzione writer-
oriented) oppure adattata al testo di arrivo, e dunque resa familiare,
accessibile e accettabile per il lettore della lingua e della cultura di
destinazione (è la traduzione reader-oriented), e anche in qualche caso
ridotta ai valori e all‟ideologia dominante in un paese.
47
J. Denham, “The Destruction of Troy, An Essay upon the Second Book of Virgils Aeneis. Written
in the year, 1656”,London, Humphrey Moseley, in Venuti, op. cit., p. 96
48
A. Lefevere, “Translation, Rewriting and the Manipulation of Literary Fame”, 1992 (tr. it di S.
Campanini, “Traduzione e riscrittura: la manipolazione della fama letteraria”, a cura di M. Ulrych,
UTET Libreria, Torino), in Rega, op. cit., p. 19
49
Torop, op. cit., p. 132
18
Già Humboldt nel 1816 aveva compreso tale differenza,
distinguendo tra Fremdheit (ossia stranezza) quando il lettore non
comprende la scelta del traduttore e la sente come un errore, e Das
Fremde (ossia l‟estraneo) quando il lettore si trova di fronte a un
modo poco familiare di presentargli qualcosa che potrebbe
riconoscere, ma che ha l‟impressione di vedere per la prima volta
50
.
Quest‟ultimo concetto sembra avvicinarsi in un certo senso all‟idea
dell‟ “effetto di straniamento”, concepito dai formalisti russi nel primo
decennio del XX secolo, secondo il quale il lettore è quasi portato al di
fuori di se stesso, immerso in un senso di alienazione e distacco che
però lo mettono di fronte alla realtà, permettendogli di osservarla sotto
un profilo differente.
Venuti
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definiva foreignizing quella traduzione caratterizzata da
“una pressione etnodeviante esercitata su quei valori per registrare la
differenza linguistica e culturale del testo straniero, con il risultato di
inviare il lettore all‟estero”, e domesticating quell‟orientamento
traduttivo che si occupa, per così dire, della “riduzione etnocentrica
del testo straniero ai valori culturali della lingua d‟arrivo, concepita
per portare il lettore a casa”.
Alle volte la dicotomia tra addomesticare e straniare diventa
inevitabilmente dualismo tra modernizzare e arcaicizzare, quando il
testo è lontano nel tempo e il traduttore vuol rendere l‟atmosfera di
un‟epoca remota e irraggiungibile, anche a scapito di una certa
chiarezza d‟espressione e di contenuto.
Si può riassumere il tutto con le parole di Schleiermacher che, pur
generando altri e non meno problematici punti interrogativi,
forniscono al traduttore che si appresti a svolgere il proprio lavoro un
orientamento e un inquadramento entro coordinate più o meno
precise:
O il traduttore lascia il più possibile in pace lo scrittore, e gli
muove incontro il lettore, o lascia il più possibile in pace il
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Eco, op. cit., p. 173
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Venuti, op. cit., p. 44