ugualmente a mostrare un certo spirito di iniziativa, nonostante la morte
avvenuta in giovane età a causa della salute cagionevole che lo assillava.
Il nome dei Falck è indissolubilmente legato alle Acciaierie e Ferriere
Lombarde (solo successivamente il nome di famiglia verrà aggiunto nella
ragione sociale), la società creata da Giorgio Enrico Falck I. Le capacità
tecniche, l’intuizione, lo spirito innovativo e il suo coraggio lo portarono nel
1906 a costituire, insieme al Rubini e altri imprenditori privati che confidavano
nelle sue ormai riconosciute doti, le A.F.L., primo vero tentativo di
concentrazione industriale della nascente industria siderurgica lombarda.
Questo progetto sintetizzava le idee di Giorgio Enrico Falck Jr., da sempre
convinto assertore della necessaria integrazione dei migliori impianti per
combattere le crisi e la concorrenza, e della diversa collocazione geografica
degli impianti rispetto alle tesi fino ad allora sopravvissute, che vedevano la
ferriera necessariamente legata alla montagna. Le sue convinzioni lo
portarono a scegliere Sesto San Giovanni, zona del milanese quasi del tutto
priva di storia industriale, ma abbondante di quelle risorse che Falck riteneva
fondamentali per il buono sviluppo della società: mezzi di comunicazione,
vicinanza ad un grande mercato di sbocco per i prodotti, abbondanza di
manodopera qualificata.
Le vicende della famiglia e delle omonime acciaierie non può esimersi,
per farne capire meglio l’importanza nel contesto senza però eccedere nelle
glorificazioni, da un raffronto con l’ambiente industriale pre e post-unitario,
che beneficerà anche delle innovazioni apportate dai vari componenti della
famiglia nelle società in cui svolsero la loro opera. Raffronto che passa
attraverso i decenni ed i vari cicli dell’economia del nostro paese e
dell’Europa, e dal quale verrà messa in luce la contrapposizione tra la
cosiddetta siderurgia costiera, o a ciclo integrale, a cui apparterranno le
industrie all’ombra della direzione statale, e la siderurgia a Nord degli
Appennini, o elettrosiderurgia, di cui le A.F.L. e la FIAT sono l’espressione
migliore.
Particolare, ma non unico caso nella storia industriale italiana, fu il
rapporto della dirigenza della società, o meglio della famiglia Falck, i
dipendenti e le loro organizzazioni di rappresentanza. Così come altri
imprenditori della prima metà del secolo, anche Giorgio Enrico Falck e i suoi
discendenti dedicarono molto lavoro e denaro nel tentativo di instaurare un
rapporto di reciproca fiducia e lealtà con i propri dipendenti, dando vita ad
una forma di paternalismo che legasse braccia e spirito alla società. Nei
confronti delle organizzazioni sindacali, espressioni di idee e bisogni spesso
estranei a quelli sentiti dai dipendenti della società, quest’ultima adottò
comportamenti che rispecchiarono i tempi, andando da una complicità forte
ma non dichiarata del periodo delle occupazioni nazifasciste, ad una
conflittualità elevata durante il periodo della ricostruzione e dell’autunno
caldo. Naturalmente, i rapporti non poterono mai essere amichevoli visti, i
diversi approcci ai problemi legati alle vicende societarie, ma quello che fa
riflettere è stata la continua ricerca del dialogo da parte della dirigenza, che
fino alla chiusura totale degli impianti si vantò di non aver mai licenziato
nessuno, essendo sempre riuscita a trovare una soluzione non troppo
traumatica per i propri lavoratori quando l’andamento del mercato richiese
drastici tagli occupazionali.
Altro elemento di un certo peso nella storia della famiglia Falck è stata
la politica. Essa ha avuto influenze sia dirette che indirette nella vita dei vari
componenti, a partire da Giorgio Enrico Falck II, che divenne Senatore del
Regno nel 1934 e subito dopo il fascismo. Subito dopo fu suo figlio Enrico II
ad abbandonare il posto di comando nella società di famiglia per dedicarsi
completamente alla politica. La sua forte vocazione politica, ispirata ai
principi cattolici, gli fecero prima provare il carcere durante il periodo fascista,
poiché aderente al movimento cattolico di resistenza Neoguelfo, e poi il
giusto premio rappresentato dall’elezione, nel 1948, a senatore nelle liste
della Democrazia Cristiana, di cui prese parte attiva alla fondazione,
avvenuta nella sua casa a Milano nel 1942. Giovanni e Bruno Falck, fratelli di
Enrico, così come più tardi i cugini Alberto e Giorgio, ebbero un contatto per
così dire “indiretto” con la politica. La loro posizione alla guida della società li
portò, infatti, a doversi confrontare con le scelte di politica economica
effettuate dai vari governi succedutisi negli anni, subendone le conseguenze
ma a volte, come nel caso di Giovanni, facendo sentire forte la propria
opinione in merito agli indirizzi generali da adottare in campo siderurgico o su
grandi questioni come il processo di liberalizzazione economica e
commerciale e la nascita della CEE.
Il permanere della famiglia alla guida della società è stato il vero
punto di forza delle Acciaierie guidate dai Falck. Tale circostanza ha
permesso di evitare pericolose sbandate speculative che tanti guai recarono
ad altre imprese, unita alla costante e decisa fiducia riposta dagli alleati nelle
doti imprenditoriali dei discendenti di Giorgio Enrico Falck I. Le cose in seno
alla direzione della società cominciarono a cambiare quando, fra la fine degli
anni Ottanta e gli inizi dello scorso decennio, la crisi mondiale del settore
pose le tradizioni familiari di fronte alla spietata crudezza delle voci di
bilancio. I conti restarono in rosso per alcuni anni, mentre i dividendi per gli
azionisti, che nella storia delle A.F.L. Falck sono stati quasi una costante,
vennero a mancare o furono irrisori, il valore delle azioni subì un continuo
calo, mentre i tentativi di scalata al vertice diventarono più massicci e
frequenti, mettendo a dura prova la fiducia degli alleati. Tutto ciò creò le
premesse, agli inizi degli anni Novanta, per una dura battaglia interna alla
stessa compagine familiare. Si vennero, infatti, a creare due diverse fazioni: i
sostenitori della linea che potremmo chiamare “tradizionalista”, capeggiata
dal più impulsivo Giorgio Enrico Falck III, contrario ad abbandonare il settore
siderurgico, e quella che faceva capo ad Alberto Falck, presidente
dell’azienda, il quale, insieme all’amministratore delegato Achille Colombo, si
rese conto che era giunta l’ora di cambiare rotta e puntare su altre
produzioni, più redditizie e innovative. Da questa lotta intestina ne uscì
vincitore Alberto Falck, che diede il via ad un processo di riconversione che
ha trasformato profondamente la fisionomia della società, tanto che oggi non
è più possibile legare il nome della famiglia Falck a quello della produzione
dell’acciaio.
CAPITOLO 1
Dalle prime consulenze di Giorgio Enrico Falck Sr. alla
costituzione delle Acciaierie e Ferriere Lombarde.
1.1 La discesa in Italia del capostipite Giorgio Enrico Falck.
Nato in un periodo di pace armata, e precisamente a Wissemburg nel
1802, dal comandante di gendarmeria dell’esercito napoleonico Jean Didier,
Giorgio Enrico Falck (o meglio Georges Henri Falck) si trovò in età
adolescenziale a dover scegliere il percorso di studi
1
. Mentre il fratello Jean
veniva attratto dalla nuova industria alsaziana del cotone, Giorgio Enrico
decise di intraprendere gli studi di ingegneria meccanica con
specializzazione siderurgica, scelta che segnerà la sua vita e quella della sua
famiglia. Anche l’industria siderurgica, specie lorenese, vedeva accrescere la
propria importanza, portando, dopo quindici anni dalla campagna di Russia,
la propria produzione di ghisa al 150% e al 200% quella del ferro. In un
periodo in cui l’utilizzo della meccanica in queste produzioni stava
evolvendosi in modo accelerato, si può affermare che la scelta di Giorgio
Enrico Falck fu molto felice.
Alla preparazione teorica seguirono un periodo di studio e di lavoro
pratico presso gli altiforni disseminati sulle sponde della Mosella, intenti ad
alimentare un’industria in lotta con la tecnica siderurgica inglese, la quale,
grazie ai forni migliorati, al processo di pudellaggio e ai laminatoi
perfezionati, riuscì ad abbassare i costi e di conseguenza i prezzi.
Questo stato di cose si rivelò un’eccellente scuola per il nostro giovane
ingegnere, che nel frattempo, era il 1827, sposò a Mulhouse, città
dell’Alsazia meridionale al confine con la Svizzera, la giovane cattolica
1
Cfr. A. Frumento, Imprese Lombarde nella storia della siderurgia italiana: il contributo dei
Falck, Milano 1952, pp. 4 e segg.
Barbara Noblat, la quale, nel dicembre dello stesso anno nella vicina città di
Cernay, darà alla luce il figlio Enrico.
Dopo qualche anno di praticantato, Giorgio Enrico Falck venne segnalato
da un corrispondente francese ai Rubini di Dongo, descrivendolo come
ingegnere di merito. Nel 1833 la ditta “Gaetano Rubini e Figlio”, proprietaria
di uno dei più noti stabilimenti siderurgici del tempo, lo invitò in Lombardia
per ottenere una collaborazione tecnica. Questo invito decretò l’inizio della
fortunata carriera dei Falck in Italia.
1.2 La situazione della siderurgia italiana nell’Ottocento.
La siderurgia italiana ha origini antichissime, poiché già gli Etruschi
avrebbero raggiunto l’eccellenza nella lavorazione del ferro
2
. Il minerale
elbano, di cui essi potevano disporre, veniva lavorato a Populonia, l’attuale
Piombino, per poi essere trasportato a Dikaaria (Bagnoli) e altre città
commerciali. I Romani continuarono nello sviluppo di questa industria,
passando allo sfruttamento delle miniere dei paesi occupati. L’industria
metallurgica non si sviluppò solo in Toscana, ma si propagò anche
nell’Appennino ligure, in Valle d’Aosta, in Calabria ed in Lombardia, dove
raggiunse livelli eccelsi.
L’industria siderurgica del primo Ottocento presentava la stessa
morfologia di quella romana, con gli altiforni che si raggruppavano in tre
distinti ma ben precisi conglomerati: il fitto aggregato degli impianti lombardi;
gli stabilimenti valdostani; l’insieme degli impianti liguro-tirrenico-calabresi.
Nel momento in cui il nostro giovane ingegnere si apprestò ad operare sul
suolo lombardo, l’industria siderurgica scontava il peso della dominazione
napoleonica prima ed asburgica poi. L’apparato politico lasciato in eredità da
Napoleone rappresentò un peso ulteriore alla già non brillante vivacità
tecnica della siderurgia lombarda. Il compito della politica economica del
regime napoleonico era quello di trasformare l’Italia in una colonia della
2
Cfr. G. Scagnetti, La siderurgia in Italia, Roma 1923, p. 154.
Francia, sia economicamente, imponendo onerosi balzelli e ostacolando lo
sviluppo industriale, sia politicamente. La situazione si presentò, perciò,
difficile sia dal punto di vista produttivo - visto che il minerale necessario era
ottenuto con metodi primitivi, risultando scarso e costoso, così come scarso
e caro era il combustile ed elevato era il costo delle maestranze - ma anche
da quello politico-organizzativo, vista la risoluta decisione delle autorità
napoleoniche di evitare ogni arricchimento indigeno dal punto di vista tecnico
e gestionale. Vigeva, infatti, il divieto di importare sia “menti” capaci di
migliorare il livello tecnico degli impianti lombardi, sia macchinari
all’avanguardia. Inoltre, l’arbitraria politica economica napoleonica non
alimentava la spinta all’investimento dei privati. Tutto ciò si ripercuoteva sul
livello dei costi, per forza di cose molto alto e quindi non competitivo. Poteva
perfino accadere che il metallo austriaco, nonostante i dazi e il trasporto,
venisse a costare la metà di quello italiano, oppure che gli industriali bavaresi
riuscissero a importare, e successivamente a trasformare il minerale
bresciano, riuscendo comunque a venderlo ad un prezzo inferiore a quello
locale.
Quando l’avventura di Napoleone giunse al termine, in Lombardia si
potevano contare 200 miniere, 37 altiforni e 268 ferriere, quasi tutte
distribuite fra il territorio bresciano, quello bergamasco e quello del Lario,
vale a dire le zone dove abbondavano minerale, legname per i forni e corsi
d’acqua
3
.
Lo stato di cose, con il passaggio di consegne ai nuovi dominatori, non
cambiò certo in meglio. Sotto il regno degli Asburgo i dazi si fecero più
oppressivi, mentre il peso del fisco abortiva ancora di più ogni idea di
investimento, visto che venivano drenati capitali per poter far fronte al
disavanzo dell’impero. A mitigare la situazione vi erano degli elementi
favorevoli, fra cui spiccava l’incremento del livello dell’istruzione di base, non
seguita di pari passo da quella professionale. Divenne, però, più facile
3
Cfr. A. Frumento, Imprese Lombarde nella storia della siderurgia italiana, cit., p.29.
importare quel capitale umano idoneo a propagare la conoscenza dei
progressi ottenuti nella tecnica.
Il mutamento nella situazione politica non portò nessun miglioramento
nelle caratteristiche di base dell’industria lombarda, la cui produzione
rimaneva disseminata in una miriade di piccole fabbriche artigiane, sempre
gravate dall’alto costo delle materie prime e della lavorazione, e da un
mercato ristretto dove il più conveniente prodotto austriaco la faceva da
padrone. Per dare una scossa a questo contesto, e invertire la rotta, ci
vollero l’opera e l’ingegno di alcune generazioni di industriali (fra cui Giorgio
Enrico Falck Sr.).
La situazione nel resto della penisola non era certo molto diversa, e solo
grazie allo sforzo di alcuni politici e imprenditori si cercò di uscire dalla
stagnazione e di cambiare la situazione. Così, in Toscana si arrivò al divieto
di importazione del ferro straniero, alla privatizzazione degli impianti della
Magona e alla riduzione del prezzo ufficiale del ferro: grazie a questo insieme
di misure, nel 1845 si riuscirà ad ottenere un terzo della produzione del
metallo italiano. Focolai di ripresa si osservano anche nel Regno delle Due
Sicilie e in Piemonte, dove vennero costruite nuove ferriere
4
.
1.3 I primi compiti di Giorgio Enrico Falck e l’opera svolta nella
società “Rubini, Falck Scalini & Comp.”.
Al suo arrivo a Como, il giovane ingegnere alsaziano si trovò di fronte un
ancor più giovane industriale lombardo, Giuseppe Rubini, nipote di quel
Pietro Rubini che, nel 1791, acquistò diritti di proprietà e stipulò contratti di
affitto che gli conferirono il completo godimento della zona metallurgica di
Dongo, zona conosciuta da qualche secolo per l’attività siderurgica che vi si
svolgeva. Il padre di Giuseppe, Gaetano Rubini, nel 1801 acquistò il resto
delle proprietà dei conti Giulini, e diede vita alla “Gaetano Rubini e C.”,
4
Cfr. ivi, p. 33.
operante fino al 1839 sotto la più nota ragione sociale “Gaetano Rubini e
Figlio”.
Giuseppe, entrato nella società come collaboratore del padre, cercò di
aumentare la concentrazione mineraria, puntando sulle possibilità di sviluppo
della metallurgia riscontrabili in progetti come quelli dei ponti di ferro sul
Garigliano e di Venezia, di un corso di carrozze a vapore tra Roma e Napoli,
e della strada ferrata che da Genova portava in Piemonte. In vista di queste
nuove applicazioni del ferro, Giuseppe Rubini si buttò a corpo morto su una
decisa innovazione dei processi, avvalendosi anche dell’aiuto di tecnici
esterni, fra cui Giorgio Enrico Falck, il quale, fra il 1833 e il 1838, alternò i
suoi soggiorni e le consulenze in Italia con quelli in Francia e quelli sempre
più sporadici in Alsazia.
Sarà il 1839 a svelarsi data cruciale per la storia della famiglia Falck,
perché il 7 giugno di quello stesso anno venne costituita la società delle
ferriere di Dongo “Rubini, Falck, Scalini e Comp.”. Il maggiore carico
finanziario e le maggiori responsabilità continuarono a far capo a Giuseppe
Rubini, che deteneva la maggioranza del capitale, mentre Giorgio Enrico
Falck venne investito della carica di direttore industriale, con ampia autorità
in materia di organizzazione tecnica. Negli undici anni di vita di tale società,
Falck apportò notevoli innovazioni e modifiche nella lavorazione, così come
testimoniato anche dalla letteratura dell’epoca. Nel volume sulla siderurgia
lombarda redatto da Curioni, viene illustrata infatti la produzione della società
a qualche anno di distanza dallo scioglimento, analisi che rivela l’apporto
tecnico di Giorgio Enrico Falck:
<<Dopo aver fatto conoscere gli antichi metodi di lavorazione del ferro dolce,
ancora in uso, indicherò ora i nuovi, introdottisi dal 1840 in poi. In quell’anno
si stabilì a Dongo, sul lago di Como, una società colla ragione Rubini, Falck e
Compagni, per dare sviluppo a quella antica ferriera. Il sig. Falck, direttore
industriale della società, vi attivò il sistema inglese di costruzione della
fornace fusoria, vi applicò il riscaldamento dell’aria, e ne utilizzò il gas per
riscaldare un forno di affinazione a riverbero (puddler) col sistema privilegiato
del sig. Faber; ma l’economia di combustibile conseguita nella lavorazione
della ghisa era in parte controbilanciata da un maggior consumo di carboni
nella fornace; inoltre, i gas ottenuti non producevano sempre sufficiente calore
per condurre a buon fine le operazioni………Per gravi perdite subite, la
società si sciolse nel 1850: ma la spinta ai miglioramenti era data. Il paese si
abituò a questo nuovo genere di lavorazione, e parecchi fabbricatori di ferro,
preso fiducia dall’attento esame di molte utili modificazioni, entrarono
animosi nella via del progresso. Si può quindi dire che fino al 1840 non vi
erano in Lombardia che ferriere a fuoco basso, di costruzione antica, e solo
d’allora si incominciò ad introdurre qualche nuovo sistema, importato
dall’estero>>
5
.
Da questo estratto dalla bibliografia dell’epoca, si evince che la
situazione dell’industria lombarda rimaneva legata a pratiche di produzione di
origine ormai antica ed economicamente sorpassate, residui della politica
restrittiva dei vari imperi colonizzatori e della prassi che vedeva la
“fabbricazione dell’acciaio ancora abbandonata alla pratica degli operai, i
quali si procurano di tener secreto il loro metodo di lavorazione..”
6
.
Grazie al Falck e alla sua idea del “riscaldamento dell’aria introdotta
nei forni“ (1839-40), la società ricevette la medaglia d’onore nel 1842. Questa
innovazione consentì un risparmio del combustibile pari al 5-10%, e fu poi
sperimentata anche in altri forni.
Sempre a Dongo si introdusse, per la prima volta, l’altoforno all’uso
inglese (di sezione tonda), contestualmente all’aumento fino al 100%
dell’altezza abituale del forno, fino ad allora della misura massima di 6 metri.
Questa idea, sperimentata senza buoni risultati già agli inizi del XIX secolo,
insieme al riscaldamento dell’aria, consentì un risparmio di combustibile tra il
26 e il 55%, dato confutato dai risultati ottenuti anche in altre ferriere, fra cui
quella di Curioni a Premana.
Di sicuro il risultato più positivo della collaborazione fra Falck e Rubini,
importante anche per la storia industriale italiana, rimase il progetto del
5
A. Frumento, Imprese Lombarde nella storia della siderurgia italiana, cit., p. 56.
6
Ivi, p. 57.
laminatoio costruito a Dongo fra il 1839 e il 1840. Rimasto in funzione fino al
1912, l’impianto di laminazione progettato dal Falck a Dongo fu il primo in
Italia, e andava a sostituire la battitura a maglio con il processo di
cilindratura. Di questa primaria opera ne tessero le lodi sia la Commissione
delle Ferriere istituita dal Ministero della Marina, che nel 1864 dichiarerà:
<<Prima a Dongo, poscia altrova, venne introdotto l’uso dei cilindratoi
sbozzatori e finitori per accelerare il distendimento in verghe d’ogni forma e
dimensione e per fabbricare lamiere. Questi meccanismi sono mossi da potenti
turbini del sistema detto scozzese. Cilindri e macchine d’ogni genere vennero
fatti a Dongo stesso, ciò che si direbbe meraviglioso. (…) Al benemerito
industriale Falck è dovuta l’iniziativa dei nuovi processi e meccanismi da lui
stabiliti in Dongo sin dal 1840>>
7
,
sia il nipote, il senatore della Repubblica Enrico Falck, che attribuiva a
Giorgio Enrico Falck il merito di aver introdotto nella nostra industria
siderurgica tale processo di lavorazione.
Particolare attenzione fu rivolta da Giorgio Enrico Falck alla ricerca di
una migliore “circolazione dei fluidi nei forni siderurgici”, al fine di ottenere un
minor consumo del combustibile grazie al recupero dei gas residui
d’altoforno, e al perfezionamento dei forni da pudellaggio
8
, metodologie già
introdotte in Piemonte dal 1825, ma che costituirono una novità per il resto
della penisola.
Giorgio Enrico Falck fu anche il primo fautore in Lombardia dei forni di
ribollitura e di riscaldo a riverbero e della costruzione di un forno secondo la
7
A. Frumento, Imprese Lombarde nella storia della siderurgia italiana, cit., p. 59.
8
Nel forno di pudellaggio, la ghisa fusa veniva raccolta in una bacinella laboratorio e
mescolata con lunghi ferri. Successivamente venivano aggiunti ematite pura e ossido di
ferro, il tutto agitato con una forte corrente d’aria. L’inserimento dell’aria liberava ossido di
carbonio e anidride carbonica (decarburazione della ghisa), innalzando la temperatura nella
bacinella. Quando la temperatura della ghisa raggiungeva quella del forno (circa 1.400°), il
ferro diventava pastoso e veniva raccolto in palle o masselli (cfr. Ernesto Salamoni, Dal ferro
all’acciaio, cit., p. 79).
tecnica della Franca Contea, con otto anni di anticipo sulle prime esperienze
toscane in questo campo. Furono inoltre avviate nuove produzioni, come
quella dei cuscinetti di ghisa necessari per la costruzione della ferrovia da
Milano a Monza, tratta ferrata che più tardi avrà un peso di rilievo nelle scelte
del nipote Giorgio Enrico Falck junior.
Della creatività progettuale espressa da Giorgio Enrico Falck dal 1840
al 1858, non beneficiò solo la società di Dongo, che vide aumentare la
propria produzione di ferro fuso e malleabile dalle 420 tonnellate l’anno a
oltre mille, occupando fino a 400 operai; molte furono le consulenze esterne,
come quella per la creazione di macchine per i Gervasone di Aymaville
(Aosta), quella in Savoia, a Modane, per la progettazione di un forno di
pudellaggio misto, o quelle in Liguria, per il Gregorini, il Cobianchi e i Ratto di
Prà.
Intanto la fama della ferriera aumentò grazie ad una delle produzioni
più famose dell’epoca, quella del ponte di ferro fuso di Milano. Il 23 giugno
1842, alla presenza del Vicerè, l’Arciduca Ranieri, venne inaugurato quello
che fu “giudicato un portento di ardimento industriale”, e che valse a
Giuseppe Rubini una medaglia d’oro per i nuovi impianti di Dongo.
Il periodo che intercorse fra il 1838 e il 1848 pose in risalto le
raggiunte possibilità di sviluppo dell’industria del ferro in Italia, con la
costruzione di nuove tratte ferroviarie, di nuovi ponti di ferro (Torino e sul
Sesia), del primo battello a vapore (è il 1840 sul lago d’Iseo), e l’utilizzo dei
fanali di ferro per l’illuminazione delle vie nelle città. Con l’arrivo del 1848 e
dei moti insurrezionali, questo periodo di prosperità subì una brusca frenata.
Mentre i ribelli nazionali lottavano contro gli austriaci, la ferriera di Dongo
lavorava alla costruzione di cannoni e proiettili per il governo provvisorio.
Questo insieme di fattori, la guerra, l’opprimente politica economica
austriaca e la concorrenza siderurgica carinziana, sconsigliarono ai soci della
“Rubini, Falck, Scalini e Comp.” di lanciarsi in ulteriori arditi programmi di
ammodernamento. Così, attraverso una amministrazione cauta, si puntò a
trarre profitto da tutti gli investimenti effettuati fino ad allora, che avevano
portato la società ad essere una delle maggiori ferriere italiane, alla pari della
Mongenet valdostana.
Lo stop imposto agli investimenti dalle variabili esterne mal si
confacevano al carattere di Giorgio Enrico Falck, rivolto alla continua ricerca
di nuove soluzioni tecniche, quindi, visto anche il concomitante scadere del
termine ultimo previsto dallo statuto sociale per proseguire nell’attività
sociale, il 9 gennaio 1850 Giuseppe Rubini e GioBatta Scalini notificavano ai
clienti il cessare della “Rubini, Falck, Scalini e Comp.”, e la conseguente
costituzione, al suo posto, della “Rubini e Scalini”.
1.4 La collaborazione con Badoni, l’esperienza del “Seminario” e il
ritiro dall’attività.
Preceduto dalla sua ottima reputazione dopo la sua prima esperienza in
Italia, a Giorgio Enrico Falck non mancarono nuove proposte di lavoro. Fra le
tante scelse quella di uno fra i maggiori imprenditori italiani, Giuseppe
Badoni, proprietario di tre stabilimenti a Castello, Bellano e Mandello, sulla
sponda opposta del lago di Como.
La collaborazione fra queste due personalità energiche e innovatrici,
portò nel giro di sette anni la “Badoni e Comp.” a meritare la medaglia d’oro
dell’I. R. Governo e a diventare l’esempio per l’industria siderurgica italiana,
insieme alla Mongenet di Pont S. Martin, con una produzione che superava
le 1.300 tonnellate di prodotti ferrosi, contro le 1.200 della “Rubini e Scalini”,
le 900 degli impianti valdostani dei Gervasone e le 800 di Follonica. Lo
schema produttivo evitava l’ormai economicamente disastrosa “fase ghisa”,
ricorrendo per la sua provvista (circa 1.500 tonnellate annue) al comune
commercio. Essa veniva poi trasformata, nella fonderia di Castello, in 1.300
tonnellate di “quadri”, per poi passare a Bellano, dove si ottenevano 900
tonnellate di profilati e di verghetta per filo di ferro, e 270 tonnellate di
lamiere. Con altre 100 tonnellate di ghisa e 100 di rottame si ottenevano
inoltre, nella ferriera di Castello, quasi 90 tonnellate di attrezzi rurali, 40
tonnellate di incudini e morse e 49 tonnellate di chiodi e bullette
9
.
Non si sa di preciso quali fossero i rapporti nella società fra Falck e
Badoni, ma di certo collaborazione rimaneva incentrata sul proseguimento
dell’opera di innovazione che aveva distinto Dongo fino al 1850, anno della
fine della collaborazione di Giorgio Enrico Falck con Rubini.
Tra i risultati ottenuti da questa società si deve ricordare il forte utilizzo dei
forni a riverbero (fra Bellano e Castello se ne contano sette sui dodici
presenti in Lombardia), il perfezionato recupero delle fiamme perdute dai
forni e l’utilizzo della torba come combustibile, il cui sfruttamento era ancora
in fase di sperimentazione, anche oltralpe. Dietro la spinta dello stesso
Badoni, Giorgio Enrico Falck cominciò a sperimentare questo nuovo
combustibile, tanto che, utilizzato per la prima volta a Castello nel 1850,
verrà giudicato degno di diffusione dal Curioni, il cui piano ne prevedeva un
uso massiccio “in sostituzione del carbone di legna”.
La lavorazione del fil di ferro con avvolgimento su bobina e la diffusione del
“puddling process” furono altre novità messe in opera dalla “Badoni e
Comp.”, la cui opera più rinomata fu il primo laminatoio italiano per la
produzione di lamiere di ferro cilindrate, vero impianto pilota.
In quegli anni, Giorgio Enrico Falck chiamò suo figlio Enrico per
assisterlo nei nuovi processi da lui progettati. Lo stesso Badoni ne richiese la
presenza, volendolo impiegare nello stabilimento di Bellano, poiché riteneva
più proficua la presenza del padre nell’impianto di Lecco. Così, dal primo
luglio 1856, Enrico Falck fu impiegato da Badoni a Bellano, e il padre gli fece
da istruttore per quasi un anno, nonostante l’esperienza accumulata nei
lavori svolti presso varie fabbriche francesi.
Parallelamente alla frenetica attività nella “Badoni e Comp.”, Giorgio Enrico
Falck riusciva a trovare del tempo per portare avanti il lavoro in proprio
presso l’edificio del “Seminario”, ad Arlenico, frazione di Castello sopra
Lecco, preso in affitto dal Badoni. Qui Falck curava la produzione e la prima
9
Cfr. A. Frumento, Imprese Lombarde nella storia della siderurgia italiana, cit., p. 80.
lavorazione siderurgica, anche come fornitore della stessa “Badoni e Comp.”,
continuando allo stesso tempo a fornire consulenze esterne.
Fra guerre di conquista e moti insurrezionali giunse il 1860, anno in cui si
può dire conclusa la ristrutturazione tecnica della Badoni. Proprio a metà di
quell’anno si ritiene che Giorgio Enrico Falck lasciasse la società insieme al
figlio, al quale, il 24 gennaio 1862, cedeva tutto il macchinario presente
nell’impianto del “Seminario”.
Nei tre anni successivi Giorgio Enrico Falck si allontanò da Lecco, quasi
certamente per viaggi professionali in Francia o in altre regioni italiane, per
poi tornare nella sua terra natale, precisamente a Dannemarie, vicino
Mulhouse, dove suo fratello aveva acquistato del terreno. Il suo soggiorno,
inizialmente considerato temporaneo, si rivelò definitivo, nonostante la guerra
franco-prussiana che metteva a ferro e fuoco l’Alsazia, e i continui inviti che
rimbalzavano dall’Italia. Qui trascorse la sua vecchiaia serenamente, lontano
dal frenetico mondo delle ferriere, ricevendo le visite del nipote Giorgio
Enrico Falck junior, nato nel 1866, e le notizie provenienti dall’Italia, fra cui
quella della morte di suo figlio Enrico (avvenuta nel 1878), fino al 7 aprile del
1885, giorno in cui si spense.
1.5 L’opera di Enrico Falck.
Della sua nascita già abbiamo detto, così come delle prime esperienze
nel mondo del lavoro nelle fabbriche francesi e italiane. Ciò che resta da dire
su Enrico Falck come persona, riguarda il carattere completamente opposto
a quello del padre; deciso e impulsivo il primo, malinconico, riflessivo e di
cagionevole salute il secondo. Contrariamente alla volontà del padre, Enrico
si convertì alla religione cattolica nel 1840, convinto anche dalla forte
tradizione della famiglia di origine di sua madre
10
.
10
Cfr. Enciclopedia di Sesto San Giovanni, Edizioni Ezio Parma, Milano 2000.