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PREMESSA
«Giustizia e ingiustizia non sono facoltà né del corpo né della mente. Se lo fossero, potrebbero trovarsi in un
uomo che fosse solo al mondo, allo stesso modo delle sue sensazioni e delle sue passioni. Sono qualità relative
all’uomo che vive in società e non in solitudine. A questa medesima condizione consegue anche che non esiste né
proprietà, né dominio, né distinzione tra mio e tuo, ma appartiene ad ogni uomo tutto ciò che riesce a prendersi e
per tutto il tempo che riesce a tenerselo.»
Thomas Hobbes, Il Leviatano.
Questo lavoro tratta del colpo di Stato, delle sue cause e delle sue
conseguenze sul sistema politico.
Noi cittadini dell’Unione Europea siamo abituati a immaginare, e
naturalmente a “toccare con mano”, il ricambio della classe politica
avvenire secondo il modello tipico delle elezioni libere, ricorrenti e
corrette. Le nostre categorie mentali non sono abituate alle rivoluzioni di
palazzo, a soldati che irrompono nella residenza presidenziale e che
arrestano o addirittura uccidono il presidente, così come avvenuto per
esempio in alcuni paesi dell’America Latina. La violenza politica ha
caratterizzato, e caratterizza, le società dell’ Europa occidentale ma non
è più intenzionalmente cercata dagli attori governativi.
1
E altresì i
militari non intervengono con successo in politica dal 25 Aprile del
1974, quando in Portogallo i pretoriani deposero il dittatore Marcelo
Caetano portando, seppur inconsapevolmente, all’instaurazione della
democrazia (cosa alquanto rara per un golpe militare). Gli attori politici
della nostra e antica Europa sono cresciuti e vissuti in democrazie
1
F. Raniolo, La partecipazione politica, Il Mulino, Bologna, 2002, p. 160, analizzando la violenza
politica dal punto di vista del fenomeno partecipativo, afferma: “La violenza è un fenomeno
universale delle società umane. La violenza politica, nello specifico, consiste nell’uso deliberato per
ragioni politiche della forza fisica contro cose o persone.[…] Ancora, la violenza può essere l’esito
casuale o, per contro, il prodotto di una radicalizzazione del conflitto politico, ma non è detto che ciò
debba verificarsi sistematicamente.”
5
consolidate, abituati a raggiungere i vertici del potere politico tramite il
rispetto delle regole del gioco – tra le quali ricordiamo l’accettazione da
parte di tutti i gruppi costituenti la società della libertà di accesso
all’arena politica, di cui l’emblema cardine è rappresentato dalla libera
costituzione dei partiti politici – insite da sempre nel concetto di
democrazia. Ma ciononostante, la violenza funge da descrizione della
storia dell’uomo, e quindi della politica, dalla prima notte dei tempi. Gli
antichi imperi sono innegabilmente costeggiati da storie di imperatori
assassinati e quindi da congiure di palazzo, rivoluzioni, rivolte popolari e
via dicendo, tanto che per un re o un imperatore morire nel proprio letto
era un’impresa ardua da raggiungere.
Nello specifico, ai nostri giorni, il Colpo di Stato implica l’impadronirsi,
da parte di un gruppo di militari o delle forze armate nel loro insieme,
degli organi e degli attributi del potere politico, attraverso un’azione
improvvisa, che abbia un certo margine di sorpresa e che di solito riduca
la violenza intrinseca dell’atto con il minimo impiego possibile di
violenza fisica.
2
Ciò non toglie che il colpo di Stato nella sua accezione classica includa
altre sfaccettature: l’azione non vede sempre come protagonisti soltanto
le forze armate ma può anche riguardare gli attori politici (primo
ministro, presidente, membri dell’opposizione e via dicendo) e in alcuni
casi l’azione può non avere dei connotati violenti. Anche se
nell’immaginario collettivo il colpo di Stato risulta ancora essere un atto
spesso clamoroso e violento, con il cui termine si riecheggiano violente
lotte per il potere, carri armati che frantumano con i loro cingoli
d’acciaio gli asfalti delle capitali e generali che enunciano solenni
proclami da stazioni televisive conquistate con la forza. Il colpo di Stato
2
C. Barbè, Colpo di stato, in Dizionario di politica, a cura di Bobbio N., Matteuci N., Pasquino G.
Tea, Milano, 2000, p. 156.
6
inteso in questo senso è emblema di conquista, di “rapina” istantanea e
brutale, di violenza e negazione della libertà. Indubbiamente questa
visione del fenomeno è portatrice di una parte della verità medesima, ma
non possiamo fare a meno di segnalare come la marcia su Roma, la
nomina di Hitler a cancelliere, l’attacco al palazzo della Moneda, la
morte di Allende o anche il colpo di Stato di Praga nel 1948 non
rappresentano soltanto giorni o ore fatidiche per la storia ma sono
sopratutto il culmine di un processo lungo e complesso. Non solo. Al
momento del loro accadere, le conseguenze (nefaste per la democrazia)
di questi avvenimenti non sono state probabilmente nemmeno
immaginate dalla gran parte degli attori coinvolti.
Pertanto il colpo di Stato analizzato come fenomeno politico e non come
elemento di cronaca politica o come un semplice fatto storico in sè
risulta essere più complesso e “inafferrabile” di quanto sembri: da un
lato il colpo di Stato appare di rapida inquadratura, empiricamente
semplice, dall’altro lato risulta indecifrabile e impenetrabile da parte
dello studioso.
Queste difficoltà derivano dal fatto che il colpo di Stato è collegato, per
sua natura, in maniera intrinseca ad altri fenomeni politici: tra le sue
tante caratteristiche è anche un metodo di selezione delle cariche
politiche e quindi uno dei modi tramite cui cambiano i regimi politici –
di conseguenza le trasformazioni della struttura sociale, politica ed
economica di un paese passano anche e soprattutto da esso.
Per Charles Tilly il colpo di Stato è un tipo di rivoluzione che provoca
un trasferimento di potere
3
. Quando i problemi sono al di sopra della
portata del potere politico vigente si verifica il trasferimento delle lealtà
3
C. Tilly, Le rivoluzioni europee 1492-1992, Laterza, Roma-Bari, 1992.
7
politiche a un altro potere sovrano. Questo trasferimento, nella
concezione di Tilly, significa in senso lato una rivoluzione.
4
In senso più generale perché si palesi il colpo di Stato occorre dunque
che si manifestino quegli eventi che la tradizione costituzionale
chiamava “stati di emergenza” – situazioni che richiedono la necessità di
poteri straordinari. Ne deriva, come prospettato nella sua analisi sullo
“Stato d’eccezione” da parte di Carl Schmitt, che sovrano è chi decide
sullo stato d’eccezione.
Negli ultimi anni l’osservatore politico è stato impegnato ad analizzare le
innumerevoli “rivoluzioni” derivate prima dai processi di
decolonizzazione in Africa, America Latina e Asia e poi dal crollo (quasi
inimmaginabile) del comunismo in Europa orientale. Questi avvenimenti
– per richiamare una riflessione fatta da Raniolo alla premessa del suo
libro La partecipazione politica – hanno dimostrato a un numero sempre
maggiore di persone che la vita sociale e politica non è un destino fisso e
determinato: i processi di democratizzazione, iniziati a partire dalla metà
degli anni settanta, hanno aumentato nei cittadini di più di mezzo mondo
questa consapevolezza.
Tuttavia la stabilità politica dei paesi che andavano a costruire ex novo le
loro strutture politiche è stata una chimera: quando si sono sviluppate
delle crisi (di partecipazione, di incapacità delle strutture di output di
rispondere alle domande della società, economiche e via dicendo) nei
loro sistemi politici, le conseguenze immediate sono state l’intervento
dei militari nell’arena politica
5
oppure il rafforzamento dell’esecutivo
stesso.
4
C. Tilly, Does Modernization Breed Revolution ?, in Comparative Politics, vol. III, 1973.
5
E. Nordlinger, I nuovi pretoriani. L’intervento dei militari in politica, Etas, Milano, 1978, p. 33:
“Dei venti paesi latino-americani, solo in Costa Rica e in Messico i soldati non hanno agito da
pretoriani dal 1945 ad oggi […] Tra il 1945 e il 1976, i militari hanno portato a termine con successo
dei colpi di stato in metà dei diciotto stati asiatici. A tutto il 1976 i militari avevano tentato, con o
8
Nell’Africa subsahariana
6
alcune delle ragioni che spiegano l’instabilità
politica si basano sul fatto che in seguito all’indipendenza dei vari paesi
componenti la regione, gli imperi occidentali hanno lasciato un’eredità
pesante ai nuovi Stati: l’immediato riconoscimento internazionale. Esso
ha costituito una sorta di disincentivo per costituire apparati istituzionali
e burocratici solidi nonché per acquisire una completa legittimità interna.
Il sostegno esterno ha in pratica frenato il processo di state-building che
in altri contesti, come ad esempio nella nostra Europa, ha seguito un
processo ben delineato portando alla costituzione di istituzioni solide.
Alcuni Stati africani ancora oggi hanno scarsa rilevanza per la vita
quotidiana dei loro cittadini, ossia sono istituzioni fragili e artificiali
poco presenti sul territorio. In tali paesi il mantenimento della pace civile
è un obiettivo molto lontano dal raggiungersi. Ciò è la dimostrazione di
cosa succede quando si vogliono applicare delle strutture politiche e
sociali (come quelle europee) a un contesto culturale diverso da quello
originario.
7
Nei paesi dell’America Latina il protagonismo delle forze armate nei
processi politici derivò dalla reazione al populismo, dalla crescita degli
orientamenti socialisti e dal fallimento del forma presidenziale di
governo.
8
senza successo, almeno una volta, di impadronirsi del potere in due terzi degli stati medio-orientali e
nordafricani, stabilendo regimi militari in Egitto, Siria, Iraq, Sudan, Libia e Algeria. Gli ufficiali non
intervennero nei paesi dell’Africa Tropicale prima del 1963, poiché quasi tutti questi paesi erano stati
fino ad allora sotto il dominio coloniale; ma già nel 1966, erano stati rovesciati i governi civili in
Togo, Congo, Zaire Ghana, Dahomey, Repubblica Centro Africana, Alto Volta e Nigeria. Fino al
1976, si erano verificati colpi di Stato in più della metà dei paesi africani, e in quell’anno i militari
occuparono la sede del governo in metà di essi. Mettendo insieme questi ed altri dati, ne risulta che i
militari sono intervenuti in circa due terzi degli oltre cento stati non occidentali a partire dal 1945.”
6
Sul punto: G. Carbone, L’Africa. Gli stati, la politica, i conflitti, Il Mulino, Bologna, 2005.
7
Ivi, pp. 89- 121.
8
T. Detti, G. Gozzini, Storia contemporanea. Il novecento, Mondadori , Milano, 2000, pp. 263-264:
“In Brasile, dove i populisti avevano conservato il potere anche dopo il 1945, nel 1964 un golpe
9
Tuttavia, come vedremo, il colpo di Stato non è posto in essere soltanto
dalle forze armate, ma anche l’elitès politiche possono violare la
costituzione vigente e conquistare il potere politico in modo illegale.
Il lavoro fatto di sei capitoli è diviso in tre parti e si pone l’obiettivo di
delineare i tratti, le cause e le conseguenze del colpo di Stato come
fenomeno politico, in riferimento al più ampio contesto sociale, culturale
ed economico dei sistemi politici contemporanei.
La prima parte del lavoro, fatta di due capitoli, si baserà essenzialmente
sulla definizione del fenomeno, tracciandone le caratteristiche, i metodi
di studio e le grandi linee evolutive.
Nel primo capitolo, in seguito alla presentazione di alcuni concetti
politologici, analizzeremo il colpo di Stato in sé come metodo di
trasferimento del potere: dopo una rapida ricostruzione storica
dell’evoluzione del fenomeno nel corso dei secoli, compareremo questi
con altri fenomeni politici, come ad esempio la rivoluzione e la rivolta,
nel tentativo di dare al lettore una migliore comprensione del fenomeno.
Nello svolgimento di questo compito ci baseremo sulle teorie di Tilly: in
particolare sui suoi studi sui cambiamenti politici e sociali di alcuni paesi
europei. Vedremo come si caratterizza il trasferimento del potere politico
e quando questo avviene; quali devono essere gli elementi essenziali
instaurò un ventennale regime militare, parzialmente liberalizzato solo nel 1974. In Argentina due
successivi colpi di stato nel 1962 e nel 1966 portarono a una diretta gestione del potere da parte delle
forze armate, che l’avrebbero mantenuta fino al 1973, per recuperarla tra anni più tardi dopo un breve
intermezzo peronista. Una variante progressista di tale fenomeno si affermò nel 1968 in Perù, nel
1969 in Bolivia e nel 1972 in Ecuador, dove i militari costruiscono regimi ispirati a una sorta di
nazionalismo sociale, che si espresse in aumenti salariali e nella nazionalizzazione di importanti
risorse. Anche paesi dalle tradizioni parlamentari ormai consolidate come Uruguay e Cile caddero
infine sotto il controllo delle forze armate. Particolarmente violento fu il golpe con il quale nel 1973 il
generale Augusto Pinochet Ugarte rovesciò con il diretto appoggio degli Stati Uniti il governo di
“unità popolare” costituito nel 1970 dal socialista Salvador Allende, che rimase ucciso. Alla metà
degli anni settanta le istituzioni rappresentative e la democrazia erano quasi completamente scomparse
dal continente latinoamericano.”
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perché si verifichino quelle che Tilly definisce situazioni rivoluzionarie,
ossia quei momenti che in senso quasi analogo, Durkheim definiva di
effervescenza collettiva, o che Weber attribuiva al periodo anteriore
all’avvento del capo carismatico.
Se le situazioni rivoluzionarie hanno
successo si verifica allora il trasferimento di potere. In questo contesto
descriveremo anche chi sono i componenti della coalizione di
contendenti al potere statale protagonisti delle situazioni rivoluzionare.
Infine, elaboreremo uno schema che ci permetterà di distinguere meglio i
tipi di rivoluzione in base all’esito rivoluzionario e alla situazioni
rivoluzionarie, nonché in base alla coalizioni di contendenti al potere
statale. In ogni caso, sarà possibile qualificare il colpo di Stato sempre e
comunque come Revolution from the top.
Nel secondo capitolo il colpo di Stato verrà distinto in due diverse
accezioni. Da una parte osserveremo la caratterizzazione classica del
fenomeno, allorquando parleremo del colpo di Stato politico – un caso
che si riscontra soprattutto nella forma di governo presidenziale dove il
presidente ha un rapporto diretto con le forze armate. Se il primo
soddisfa gli interessi corporativi dei secondi trarrà maggiori vantaggi da
questo suo comportamento: il suo potere politico aumenterà
enormemente. Nel caso in cui invece il presidente andrà contro gli
interessi corporativi dei militari vi è il rischio che questi venga deposto
dagli stessi. Analizzando nel capitolo la tripartizione classica delle forme
di governo (parlamentare, presidenzialismo e semipresidenzialismo)
daremo una visione generale sul colpo di Stato politico, facendo anche
una breve disamina sul colpo di Stato nei regimi autoritari.
D’altro lato, l’oggetto del nostro studio sarà descritto nella sua versione
più diffusa degli ultimi decenni nei quali è stato mosso dagli attori più
potenti dell’apparato dello Stato: i militari. Nello specifico, il colpo di
Stato militare è definito anche come pretorianesimo, con il cui termine si
11
intende far riferimento al coinvolgimento politico degli ufficiali quando:
minacciano di organizzare un colpo di Stato a meno che non vengano
soddisfatte certe loro richieste; inscenano un colpo di Stato non riuscito;
provocano o impediscono la sostituzione di un governo da parte di un
altro gruppo di civili; e, caso più rilevante, quando gli ufficiali stessi
assumono il controllo del governo.
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La seconda parte del lavoro è dedicata interamente al pretorianesimo.
Nei primi due capitoli daremo un’ampia illustrazione sulle cause del
fenomeno, mentre nel capitolo quinto sarà dato spazio alle conseguenze
dei regimi e governi militari, al loro funzionamento, alle politiche dei
governanti in divisa e al loro definitivo ritorno nelle caserme.
Nello specifico i capitoli tre e quattro trattano delle cause del
pretorianesimo tramite due diversi approcci di studio. L’approccio top-
down o strutturalista (capitolo quattro) analizza le cause del
pretorianesimo ricorrendo ad alcune teorie che si rifanno al
neoistituzionalismo: la tesi che seguiremo è che le crisi in un dato
sistema politico e quindi il colpo di Stato, avvengono quando emergono
delle disfunzioni nel sistema socio-politico che possono essere spiegate
soltanto analizzando la struttura, politica, sociale ed economica del
sistema di riferimento.
Tuttavia, questa prospettiva tralascia le ambizioni, le giustificazioni, le
credenze, gli interessi i valori degli attori, ovverosia gli atteggiamenti
decisivi per causare l’ intervento in politica dei capi militari. Soltanto
con un approccio “dal basso”, o più chiaramente
individuale/organizzativo, potremmo analizzare ancor meglio queste
ulteriori variabili. Più chiaramente, con quest’ultimo metodo (capitolo
tre) mireremo ad indagare sia quelle che sono le dinamiche di
9
E. Nordilinger, I nuovi pretoriani, cit., p. 30.
12
funzionamento interne all’organizzazione militare che sono decisive per
causare il colpo di Stato; sia ad analizzare la cultura politica e sociale
degli attori che tale istituzione occupano e dei gruppi sociali che sono in
simbiosi ovvero antagonisti agli ufficiali militari.
Infine nella terza parte della tesi, con il capitolo sesto, daremo spazio al
colpo di Stato mosso da attori diversi dai militari. Intendiamo, quindi,
volgere lo sguardo a quelle situazioni di crisi politica, o comunque di
“stato eccezionale” che non richiedono per diverse ragioni, tra le quali
includiamo anche il fattore della causalità, la soluzione militare ma
l’intervento o di gruppi antagonisti al regime (come lo possono essere i
partiti anti-sistema), o di attori politici governativi (primi ministri,
presidenti). È opportuno precisare che in tutte i due casi non si può
prescindere dalla neutralità/complicità delle forze armate, per dare il là al
cosiddetto colpo di Stato politico. Il capitolo sarà diviso in due parti.
Nella prima parte analizzeremo il processo di crollo della democrazia
tramite l’utilizzo di quello che Linz definisce “il processo di
insediamento formalmente legale o semi-legale
10
” della presa del potere:
l’azione invece che caratterizzarsi tramite un atto violento come ad
esempio lo è un’insurrezione armata nel palazzo del governo, si
caratterizzerebbe invece per una presa del potere mediante azioni legali
o comunque pseudo-legali. Nella seconda parte del capitolo
analizzeremo come la forma di governo presidenziale per le sue
caratteristiche sia “un invito a nozze” per il colpo di Stato. Osserveremo
infatti che il quadro dei paesi con una forma di governo presidenziale
(eccezion fatta per gli Stati Uniti) è del tutto fosco, cosa che ci spinge a
chiederci se il loro problema politico non sia proprio il
10
J. Linz, La caduta dei regimi democratici, Il Mulino, Bologna, 1981, p. 163.
13
presidenzialismo.
11
Nello schema di cui sotto illustriamo il percorso che
seguiremo nell’espletamento della nostra analisi dal primo al sesto
capitolo.
11
Il fallimento del presidenzialismo, a cura di J. J. Linz, A. Valenzuela, Il Mulino, Bologna, 1995, p.
184.
PRETORIANESIMO
COLPO DI
STATO
POLITICO
APPROCCIO
INDIVIDUALE/ORGA
NIZZATIVO
APPROCCIO
TOP-DOWN
STUDIO DELLE
CAUSE
STUDIO DEL
COLPO DI
STATO
SEMILEGALE
IL FALLIMENTO DEL
PRESIDENZIALISMO
GOVERNI E
REGIMI MILITARI
Crisi della
democrazia e/o
anche crollo
COLPO DI STATO
TIPI
DI
RIVOLUZIONE E METODI DI
TRASFERIMENTO DEL POTERE
(Rivoluzione; Colpo di Stato;
Rivoluzione di palazzo; Rivolta)