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oggi, studiosi del settore, sottolineano la stessa lacuna e ripropongono la
necessità di avvicinare i due mondi al fine di migliorare l’efficacia dei
messaggi pubblicitari. “La cooperazione tra creatori del messaggio e
ricercatori non solo porterà a messaggi che resistano alla corrosione e
all’usura, ma faciliterà anche nuove intuizioni sul processo di persuasione,
che potrebbero costituire la base di una pubblicità più efficace.” (Brock,
Shavitt, 1990, pp. 146-147).
Se da un lato gli addetti alla pubblicità peccano di un eccessivo
pragmatismo, mi sento di dire che la psicologia sperimentale rimane troppo
spesso ingabbiata nello studio di fenomeni di base e poco attinenti alla
realtà.
Questa disparità, tra mondo della pubblicità e ricerca scientifica,
contribuisce, ad oggi, alla mancanza di un esauriente modello di
funzionamento del messaggio commerciale; il mio lavoro sperimentale non
ha la pretesa di colmare questa lacuna, ma vuole, insieme a tanti altri lavori
sperimentali (in particolare del mondo anglosassone), contribuire allo
sviluppo di ricerche che, utilizzando conoscenze psicologiche, indaghino i
messaggi commerciali con l’obiettivo di migliorarne l’efficacia.
Durante l’osservazione critica e quasi maniacale delle campagne
pubblicitarie, mi sono spesso domandato quali spot mi rimanessero più
impressi e quale metodo si poteva utilizzare per aumentarne l’efficacia; una
possibile risposta mi ha folgorato durante la lettura di un questionario su
che cosa pensa la gente della pubblicità. (Fabris, 1996)
Le persone rispondevano in maggioranza attribuendo alla pubblicità una
funzione informativa e a quel punto mi è venuta spontanea l’associazione
tra la necessità d’informazione e la presenza di novità, poiché risulta
piuttosto intuitivo come il continuo ripetersi di un messaggio diventi ben
presto ridondante; credo che uno spot efficace debba quanto meno
soddisfare le esigenze dei propri utenti, evitando di annoiarlo.
Nella mia tesi ho cercato di tracciare un percorso teorico sperimentale che,
attraverso la misurazione dei livelli di attenzione, tenti di dimostrare
l’importanza della novità nell’aumento di efficacia di uno spot; punto di
partenza, l’analisi dei modelli teorici, vecchi e nuovi, che hanno definito il
5
funzionamento di un messaggio pubblicitario (Par.1.1 Modelli di
Funzionamento della Pubblicità). Dalla lettura di questi modelli risulta
chiaro come l’attenzione risulti condizione indispensabile per attivare il
processo persuasivo e quindi il comportamento di acquisto dopo la visione
di uno spot (Par.1.2 Importanza dell’Attenzione). Purtroppo, questa
funzione cognitiva, così strettamente legata all’efficacia pubblicitaria,
riserva molte difficoltà nella sua rilevazione e per questo sono stato
costretto a modificare leggermente il mio percorso, continuando il
cammino su una strada parallela, quella del ricordo, strumento di misura
indiretto per i livelli di attenzione (Par.1.3 Il Ricordo come Misura
dell’Attenzione e dell’Efficacia di uno Spot).
Lo studio del ricordo negli spot (Par.1.4 Il Ricordo negli Spot) e alcune
teorie ad esso legato (Par.1.5 Teoria di Krugman) hanno evidenziato come
il ciclo di vita di un messaggio, uniforme nel tempo, arrivi ben presto ad un
punto di saturazione e di conseguenza all’usura; è a questo punto del
percorso che, supportati da teorie e lavori sperimentali, si delinea
l’importanza della novità nel rendere efficace uno spot (Par.1.6
L’Importanza della Novità). L’ultima parte del mio percorso è costituita da
un lavoro sperimentale che vuole contribuire empiricamente alla
dimostrazione di come la novità porti ad una maggiore attenzione nei
confronti delle immagini viste; tale incremento si può ipotizzare come
dovuto all’atteggiamento degli utenti nei confronti degli spot: la loro
impostazione mentale, predisposta all’acquisizione di nuove informazioni,
fa si che si attivino maggiormente nei confronti dell’inatteso a dispetto del
famigliare. Per una descrizione più dettagliata del percorso vi rimando alla
lettura dei capitoli sopra citati.
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Cap. 1
ASPETTI TEORICI DELLA PUBBLICITA’
1.1
MODELLI DI FUNZIONAMENTO DELLA PUBBLICITA’
Siamo nel 1989, i grandi pubblicitari del passato: l’Oncle Ben’s, Ducros e
Marie-Pierre ammainano la loro bandiera per far posto alle nuove leve;
coloro che traghetteranno la nave della pubblicità attraverso il suo periodo
più florido cercano di concettualizzare il funzionamento ottimale del
messaggio persuasivo, alla ricerca di quella chimera rappresentata dallo
spot perfetto; è in questi anni che i grandi interpreti del consumismo
sponsorizzato tracceranno la propria linea di pensiero, convinti di
indovinare la giusta ricetta per la persuasione dell’uomo di strada, per la
creazione di prodotti “mangia uomini” ai quali nessuno sappia resistere.
Vengono proposte proprio in questi anni quattro ideologie supportate da
altrettanti mostri sacri della pubblicità:
• La pubblicità referenziale (Ogilvy, 1985:”Una pubblicità deve essere
coerente, vera credibile e divertente: un rappresentate mentitore e senza
maniera non venderà mai nulla.[…] Dico sempre ai miei
collaboratori:”quando voi date alla vostra famiglia delle informazioni su
un prodotto, non gli raccontate delle menzogne. Allora non dite
menzogne alla mia famiglia.[…] Se tutte le marche abbandonassero la
loro enfasi e scegliessero una pubblicità fattuale ed informativa, non
solamente aumenterebbero le vendite, ma si metterebbero essi stessi
dalla parte degli angeli”
• La pubblicità mitica (Seguelà, 1983: ”Il mestiere della pubblicità è di
dare del carattere al consumo. Essa deve cancellare la noia dell’acquisto
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quotidiano rivestendo di sogni i prodotti che, senza di essa, sarebbero
solo ciò che sono…Guardate Marlboro, è una sigaretta che, dalla prima
tirata, vi trasforma in cow-boy. Ecco qui la magia della nostra arte; in
ogni consumatore c’è un poeta che dorme.”
• La pubblicità sostanziale (Feldman,1989: ”E’ meglio essere delle paste
all’uovo che delle paste celebri e simpatiche. Lo spettacolo non è mai
stato il leitmotiv di questa agenzia.[…]Non vogliamo mai il prodotto in
derisione”
• La pubblicità obliqua (Michel, 1988: “La pubblicità non è un gioco di
parole, ma gioco di senso. La pubblicità rappresenta e modifica il
rapporto di presentazione. Essa permette la presenza di una molteplicità
di punti di vista e che si possa amare e non amare una cosa… Il pensiero
laterale è la bizzarra maniera di spostare continuamente il soggetto per
rivederlo in modo nuovo, fresco, diverso, significativo, emozionante.
Ora si sta scoprendo che questo è il metodo che comunica meglio:
s’inventa quando si sposta la propria visione del mondo. Occorre della
provocazione per inventare”
Da queste poche ma pittoresche parole possiamo notare come i più famosi
“creativi” di questi ultimi dieci anni abbiano cercato di caratterizzare e
giustificare le proprie scelte stilistiche; il loro modo di agire, a difesa della
propria corrente, non include però nessuna analisi di tipo scientifico; troppo
spesso nel mondo della pubblicità il lavoro di ricerca è rimasto inutilizzato
dagli addetti ai lavori, forse imputabili di un eccessivo e disinvolto
pragmatismo.
Ma quali sono i modelli d’azione della pubblicità elaborati in modo
scientifico? Qual è la loro corrispondenza con la situazione reale? Cercherò
di rispondere a queste domande nei prossimi paragrafi.
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1.1.1 Modelli Sequenziali
Prima di cominciare questa carrellata di modelli, che hanno segnato la
storia nella ricerca sul funzionamento della pubblicità, mi sembra utile
segnalare come questo settore di studi sia pervasa da una dose di
pessimismo segnalata da più studiosi nel corso degli anni e che trova una
sua forte conferma nelle parole di White (1980) che, realisticamente
osserva:
“La verità è che non sappiamo come – in termini scientifici, sperimentali,
dimostrabili – la pubblicità funziona. C’è una quantità di teorie ed una
quantità di credenze molte delle quali contengono almeno una parte di
verità. Ma non esiste certamente una teoria comunemente accettata su come
la pubblicità agisca e neppure segni di evoluzione in questo senso. La teoria
pubblicitaria, da questo punto di vista, è ferma ad un livello veramente
elementare di sofisticazione.”
Un forte ostacolo in questo tipo di ricerche è sicuramente da imputare
all’enorme quantità di variabili che prendono parte al processo persuasivo
pubblicitario, durante il quale intervengono sinergicamente molteplici
fattori: sia immediati (attenzione, interesse, coinvolgimento emotivo, ecc.)
che relativi al back ground dei soggetti sperimentali (preferenza di una
marca, stereotipi nei confronti di alcuni prodotti, ricordo di vecchi spot,
ecc.).
Con le difficoltà nell’analizzare i soggetti come parti attive e ricche di
interessi e conoscenze personali precedenti all’esposizione pubblicitaria
hanno dovuto confrontarsi i primi modelli di funzionamento che, ancora
pregni di una cultura behavioristica, si sono limitati ad analizzare
superficialmente gli eventuali passaggi di un messaggio persuasivo; tra
questi spicca per importanza il modello di Starch (1924) per il quale un
annuncio deve:
1. Essere visto
2. Essere letto (egli si occupò solo di annunci su carta stampata)
3. Essere ricordato
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4. Indurre all’azione
Nel 1946 Hepner formulava uno schema assai semplice ma
concettualmente diverso da quello di Starch: per essere efficace un
annuncio dovrebbe seguire queste fasi:
1. Attirare l’attenzione
2. Provocare il desiderio
3. Indurre all’azione
4. Contribuire alla soddisfazione
In questo modello l’attenzione viene spostata dall’annuncio in se stesso al
processo di comunicazione; assai simile a questo è il modello denominato
AIDA (Attenzione – Interesse – Desiderio – Azione).
Di ben altro spessore fu il modello messo a punto da Lavidge e Steiner
(1961) attorno agli anni sessanta; modello nel quale le diverse fasi del
processo di persuasione vengono messe in relazione con le tre dimensioni
basiche: quella cognitiva, affettiva e conativa, o dell’induzione all’azione;
ancora oggi questo schema viene considerato fra i più attuali ed attendibili
“La pubblicità – notano gli autori – può essere considerata come una forza
che deve indurre la gente attraverso una successione di fasi.” Le fasi sono
sette, anche se a rigor di logica, la prima non costituisce che la situazione
iniziale in cui ancora non si manifesta l’influenza della pubblicità.
1. La situazione iniziale prevede la non consapevolezza dell’esistenza del
servizio o del prodotto in questione
2. Successivamente si verifica la consapevolezza della sua esistenza
3. Si registra poi la conoscenza delle qualità e delle caratteristiche del
prodotto
4. Si manifesta subito dopo un atteggiamento favorevole nei confronti del
prodotto
5. All’atteggiamento favorevole segue la preferenza rispetto a tutte le altre
possibili alternative
6. Successivamente la preferenza si coniuga con il desiderio dell’acquisto
e la convinzione che questo sia opportuno
7. Infine si realizza la fase conclusiva dell’acquisto.
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Escludendo la prima fase, che costituisce un semplice presupposto, si
osserva che, nelle prime due fasi, la consapevolezza e la conoscenza sono
in relazione con l’informazione veicolata dalla pubblicità; nelle successive
due il desiderio e la preferenza sono mobilitate da atteggiamenti e
sentimenti positivi verso il prodotto ed infine le ultime due, convinzione ed
acquisto, determinano l’azione, cioè la scelta del prodotto. Queste tre
funzioni della pubblicità, notano i due autori, sono direttamente correlate al
classico modello psicologico suddiviso in tre componenti o dimensioni:
• La componente cognitiva, vale a dire gli stati mentali, intellettivi o
razionali;
• La componente affettiva, ovvero gli stati emotivi;
• La componente conativa o motivazionale.
Graficamente il modello viene così rappresentato:
Dimensioni Psicologiche Iter verso l’acquisto
COGNITIVA CONSAPEVOLEZZA
- la sfera mentale -
La pubblicità fornisce CONOSCENZA
informazione e fatti
AFFETTIVA DESIDERIO
- la sfera delle emozioni -
La pubblicità modifica
gli atteggiamenti e i sentimenti PREFERENZA
CONATIVA
- la sfera dei motivi - CONVIZIONE
La pubblicità stimola
e canalizza i desideri
ACQUISTO
Un altro tra i primi modelli di studio che ebbe un notevole successo fu il
Dagmar (Defining Advertising Goals for Measured Advertising Results,
Colley, 1961) il quale fa riferimento ai processi psichici che si verificano
nei destinatari della comunicazione. Tutte le comunicazioni commerciali,
che abbiano come obbiettivo finale le vendite devono, secondo questo
modello, far procedere l’individuo attraverso quattro livelli in cui dalla non
consapevolezza si passa rispettivamente alla:
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1. Consapevolezza
2. Comprensione
3. Convinzione
4. Azione.
Gli ultimi due modelli citati, così come molti altri meno famosi, hanno
come caratteristica principale la sequenzialità, la quale tramite più o meno
passaggi successivi permette di procedere da una fase di non
consapevolezza ad una di acquisto. Il vantaggio di intendere in questo
modo il funzionamento del messaggio commerciale sta nella possibilità di
poter verificare sperimentalmente, in un modo relativamente semplice
(analisi before-after), la veridicità dei modelli. Purtroppo questo metodo si
è rivelato un po’ troppo superficiale, poiché i fattori che interagiscono e che
determinano l’efficacia di un messaggio persuasivo di tipo commerciale
risultano essere molti di più; in un modello completo si dovrà tenere in
considerazione non solo tutto ciò che colpisce e fa il soggetto durante e
dopo la visione della pubblicità ma anche tutte le sue conoscenze
precedenti: il suo back graund culturale, la regione di provenienza, il ceto
sociale, l’età, etc… In questo modo si abbandonerà la concezione secondo
la quale il fruitore di un messaggio commerciale risulta essere una sorta di
tabula rasa passiva sulla quale si riversano informazioni più o meno
persuasive; per trovare analisi che abbiano questo tipo di impostazione
dobbiamo arrivare agli anni novanta con il modello di Fabris e quello di
Marc Vincent.
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1.1.2 I Modelli non Sequenziali: Fabris e Vincent
Il modello di Fabris (1992), denominato delle “Quattro I e delle Quattro
C”, esce decisamente dagli schemi sequenziali e propone un processo
articolato nelle seguenti fasi:
a) Impatto ed Interesse: il destinatario della comunicazione vaglierà
anzitutto l’opportunità di memorizzare il contenuto e se eventualmente
inserirsi nelle fasi successive. La pubblicità deve quindi anzitutto
superare il “basso continuo” della miriade di messaggi diretti verso il
potenziale acquirente, attirarne l’attenzione ed evitare di oscurare
l’oggetto della comunicazione. L’interesse che il messaggio
pubblicitario deve suscitare ha molteplici valenze ed è in parte basato
anche su componenti precedenti la visione del messaggio pubblicitario;
impatto ed interesse si perseguono con messaggi sia molto gradevoli, sia
volutamente irritanti;
b) Identificazione, nel significato di empatia che il messaggio si propone di
suscitare per rafforzare l’interesse;
c) Informazione, per fornire una base logica, anche se non sempre
razionale al processo di persuasione.
d) Comunicazione, tendente ad assicurarsi che i destinatari del messaggio
pubblicitario possano decodificarlo in sintonia con gli intenti, parziali e
complessivi di chi l’ha diffuso;
e) Credibilità, il messaggio pubblicitario non deve risultare troppo poco
verosimile, anche se contenuti poco credibili elidono la probabilità che
almeno una parte del contenuto del messaggio possa comunque risultare
reale;
f) Coerenza, ci deve essere sintonia tra gli stili e i contenuti della
comunicazione, il messaggio pubblicitario deve rispettare il
posizionamento sul mercato del prodotto;
g) Convinzione , che rappresenta il gradino conclusivo del processo inteso
a suscitare un comportamento di acquisto e di affezione alla marca.
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Fabris, tramite questo modello, il quale vuole essere solo un punto di
partenza e non di arrivo nell’analisi del funzionamento pubblicitario, ha
cercato di unire tutte le variabili che caratterizzano il fluire di un messaggio
commerciale; facendo ben attenzione a non ricadere nella sequenzialità
(ogni parte della sua griglia può essere indifferentemente la prima o l'ultima
del processo) e, nella parte di un acquirente passivo, ora è possibile
spiegare fenomeni che con i vecchi modelli non trovavano risposte logiche;
tramite il suo schema si può spiegare, per esempio, per quale motivo stessi
prodotti di marche differenti, necessitano di un grado diverso di
pubblicizzazione.
In questa seconda fase dello studio del messaggio pubblicitario le variabili
che partecipano al processo persuasivo di un messaggio commerciale sono
aumentate notevolmente e con loro si sono complicati i modelli che
cercano di spiegarne l’interazione, ma allo stesso tempo si è riusciti a
spiegare fenomeni che prima non trovavano nessun tipo di collocazione.
Tra questi nuovi modelli uno dei più completi risulta essere quello di Marc
Vincent (1980).
Il modello di Vincent trova la sua forza maggiore nel fatto di essere uno dei
pochi schemi sul funzionamento pubblicitario che si sviluppa da una forte
base sperimentale; data la sua enorme complessità mi limiterò a
riassumerne i punti principali.
Una delle più grosse intuizioni di questo studioso è sicuramente da
attribuire alla scoperta e definizione della “Struttura mentale di
Riferimento”, una struttura che è in grado di generalizzare, astrarre,
stabilire legami tra esperienze e informazioni ricevute; uno schema che ci
fornisce la possibilità di trasformare gli stimoli ricevuti, metabolizzarli in
atteggiamenti, pregiudizi, scale di valori e che permette l’elaborazione di
criteri di valutazione e decisione anche di fronte a situazioni relativamente
nuove.
Questa struttura è da considerarsi come una testa di ponte tra le
informazioni che fluiscono durante la comunicazione pubblicitaria e quelle
già possedute dal fruitore del messaggio; è il luogo dove si confrontano le
conoscenze esterne con quelle “interne” e risulta essere un’ottima
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spiegazione per quei fenomeni sopracitati in cui il comportamento precede
l’atteggiamento.
La definizione della Struttura mentale di riferimento segna la fine della
concezione di un soggetto passivo nei confronti del messaggio
pubblicitario.
Per quanto riguarda i meccanismi d’azione della pubblicità Vincent ne
individua più d’uno che comunque possono essere classificati in tre grandi
categorie:
• Trasmissione d’informazioni fattuali: conoscenza di un nuovo prodotto,
di una promozione, di una determinata caratteristica del prodotto.
• Azione diretta sul comportamento di acquisto mediante un processo di
condizionamenti senza effetti sull’immagine (è questo il caso di prodotti
a basso coinvolgimento, il caso di mercati giovani)
• Azione sulla Struttura mentale di riferimento: costruzione –
modificazione – arricchimento di un immagine di marca, creazione di
atteggiamenti nei confronti di un concetto senza tuttavia provocare
effetti diretti sul comportamento di acquisto.