2
Ho vissuto anche io nelle mie esperienze lavorative sensazioni di disagio, di malessere
in alcune situazioni in cui pareva che il valore della persona fosse stato sacrificato per
il primato della produttività e del profitto e che non ci fosse spazio per le persone
laboriose ma deboli ed insicure come me; non ho mai vissuto mobbing in prima
persona fortunatamente, ma penso di sentirmi vicino alla sofferenza di chi ne è o ne è
stato vittima.
Secondo il filosofo Georg Simmel, “noi conosciamo ... il nostro limite solo quando
giungiamo alla consapevolezza di esso, superandolo”.
“Kasper Hauser, ad esempio… non ha saputo di trovarsi in una prigione finchè non è
stato posto in libertà e non ha potuto vederne le mura anche dall’esterno”.
Ci sono esperienze che certamente non è necessario vivere in prima persona per avere
una interna rappresentazione di un problema. Sono queste, esperienze che in qualche
misura già ci appartengono filogeneticamente, fanno già parte di un nostro bagaglio
psicologico ed emotivo. Ma, per quanto concerne il mondo del lavoro, vi è al contrario
un rapporto molto stretto tra l’esperire immediato, sperimentazione ed immagine
interiore. Il lavoro serve per consentire all’individuo di provvedere ai propri ed altrui
bisogni, ma anche di esprimersi e di relazionarsi attraverso la propria attività
professionale, la qualità di un’esistenza emancipata
1
; parlando di mobbing ci troviamo
sicuramente davanti ad una delle più gravi e drammatiche degenerazione delle
relazioni lavorative e questa mia attenzione mi ha spinto a vedere meglio cosa c'è
dentro, al di là delle parole delle cronache giornalistiche.
In tale prospettiva il mio lavoro si articola in cinque capitoli:
nel primo si affronta e si descrive il concetto di qualità del lavoro e di stress lavorativo
a partire dal cambiamento strutturale, aziendale e sociale e culturale nel quale siano
immersi; nel secondo capitolo si passa alla presentazione e descrizione del fenomeno
mobbing nelle sue molteplici definizioni, con un esame delle cause, dei suoi effetti
sugli individui e sulle organizzazioni e delle possibili risposte; nel terzo capitolo
prenderò in esame le cause del fenomeno mobbing e le possibili risposte che i soggetti
e le organizzazioni possono dare; infine nel quarto si parlerà della tutela giuridica
prevista in Italia e nell’ordinamento comunitario. Nel quarto capitolo effettuerò un
1 Cfr. www.associazioneaivil.com page 1 of 1
3
excursus sulla tutela delle vittime di mobbing in Italia e nei Paesi dell'Unione Europea
dal punto di vista giuridico. L'ultima parte del mio lavoro verterà su una ricerca
empirica di sfondo a taglio qualitativo condotta su un campione non rappresentativo di
soggetti che lavorano sia nel settore privato che nel settore pubblico in alcune
provincie del Nord, Centro e Sud Italia e che hanno offerto le loro proprie
testimonianze di una situazione passata e presente di mobbing.
4
I LAVORO, QUALITA’ DEL LAVORO E STRESS
I.1 Dalla società industriale alla società post-industriale: il lavoro che cambia.
Negli ultimi decenni lo scenario del lavoro sta cambiando proprio perché mutano il
sistema socio-economico macro ed il sistema aziendale “micro”, ma anche il sistema
dei bisogni nelle sue tre componenti note oggettive, soggettive e sociali.
Viviamo nella società che tanti osservatori e noti sociologi hanno definito del rischio e
dell'incertezza, e cioè caratterizzata dalla “fluidità” e dalla instabilità dei riferimenti,
dove l'imprevedibilità invade la vita quotidiana e l'incertezza che ne deriva coinvolge
l'individuo e la stabilità delle sue relazioni sociali.
Il motore dell'attuale cambiamento è dato dalla crisi del modello di produzione fordista
(Castel, 1995, 2004; Harvey 1993) e dal passaggio considerato “epocale” da una
società industriale a quella neo-industriale o meglio post-industriale.
I principali teorici definiscono tali profonde trasformazioni strutturali nei sistemi di
produzione e consumo come passaggio dal sistema taylorista-fordista, entrato in crisi
con gli anni settanta, verso un modello chiamato per convenzione postfordista.
Si tratta di un passaggio difficilmente definibile in maniera univoca, e numerosi ed
accesi sono i dibattiti tra chi considera il postfordismo un modello del tutto nuovo, che
nasce da una frattura netta con il passato e chi invece lo interpreta nel segno della
continuità e della evoluzione del precedente paradigma fordista. E’ una transizione
lunga che sembra passare quasi inavvertita proprio perché non mostra cesure nette,
pertanto in questa sede, inquadrerò i tratti fondamentali del taylorismo-fordismo e del
post-fordismo in riferimento all’organizzazione del lavoro ed ai mutamenti del lavoro
e dei suoi significati.
Nel passato parlare di lavoro voleva dire riferirsi alla grande azienda con processi
standardizzati, basata sulla produzione di massa di beni anch’essi standardizzati e
sull’affermazione delle economie di scala
2
.
2 Insieme dei fattori grazie ai quali i costi unitari di produzione di un bene sono minori quando la quantità prodotta è
maggiore. Enciclopedia dell’Economia, Garzanti, 1994.
5
Le caratteristiche di un’organizzazione così strutturata sono state sintetizzate dagli
studiosi di organizzazione nella metafora meccanicistica (Morgan, 1990).
L’organizzazione meccanica per eccellenza è la fabbrica fordista-taylorista nella quale
gli individui sono costretti a lavorare come automi, nelle catene di montaggio,
perseguendo il criterio dell’efficienza.
La concezione meccanica dell’organizzazione rientra in quel vasto paradigma che ha a
lungo egemonizzato la vita organizzativa e lavorativa nel capitalismo moderno, ossia
quello che concepiva l’organizzazione come un sistema razionale, intendendo il
termine chiave di razionalità nel senso ristretto di razionalità tecnica o strumentale:
si tratta del modello organizzativo indagato da Weber (con particolare attenzione alla
sua manifestazione nell’apparato amministrativo e burocratico e con un senso di paura
per la “gabbia d’acciaio”), progettato ed implementato da Taylor (nell’organizzazione
del lavoro), da Ford (nell’organizzazione dell’impresa), da Fayol, Mooney e Reily
(nella determinazione di principi amministrativi), e così via.
Il sociologo tedesco Weber ha evidenziato le correlazioni tra la meccanizzazione
dell’industria e la proliferazione delle forme burocratiche di organizzazione. Secondo
Weber, l’organizzazione burocratica routinizza i processi amministrativi allo stesso
modo in cui la macchina routinizza la produzione.
Nell’opera di Weber si trova la prima definizione completa della burocrazia intesa
come forma organizzativa caratterizzata da precisione, rapidità, chiarezza, regolarità,
affidabilità ed efficienza; tutte queste qualità vengono raggiunte grazie
all’elaborazione di un rigido sistema di divisione dei compiti, di un sistema di
supervisione gerarchica nonché di un sistema di regole e comportamenti dettagliati.
In quanto sociologo, Weber era interessato alle conseguenze sociali della
proliferazione della razionalità burocratica, e si era reso conto del fatto che l’approccio
burocratico era potenzialmente in grado di routinizzare e meccanizzare praticamente
ogni aspetto della vita umana, svuotando lo spirito dell’uomo e facendo sparire ogni
forma di agire spontaneo, come una sorta di “gabbia di acciaio”.
Il nocciolo della teoria dell’organizzazione meccanicistica si basa sull’assunzione che
le organizzazioni possono, o quanto meno, dovrebbero essere sistemi razionali che
funzionano nella maniera più efficiente possibile.
6
Il modello meccanico vede l’organizzazione come una struttura di parti manipolabili
ed interdipendenti, ognuna delle quali è modificabile individualmente al fine di
aumentare l’efficienza del tutto. I singoli elementi dell’organizzazione sono visti come
soggetti a modificazioni programmate e sempre ottenibili, stabilite da decisioni
apposite: una sorta di macchina impersonale di cui il lavoro umano costituisce il
motore.
Se si fa riferimento al rapporto tra modello organizzativo e lavoro, possiamo affermare
che il modello taylorista-fordista rappresenta egregiamente il modello di
organizzazione meccanica.
Il modello organizzativo taylorista ha rappresentato, per tutta la metà del ventesimo
secolo, il punto di riferimento fondamentale per i progettisti di organizzazione.
Il noto ingegnere americano F. Taylor espresse un modello di organizzazione
scientifica del lavoro, che prese il nome di scientific management, tendente alla ricerca
dell’economia e dell’efficacia nei sistemi produttivi ad alta tecnologia.
A partire dai primi anni del ‘900 infatti, nel contesto della grande espansione
economica ed industriale degli Stati Uniti
3
, a seguito della fuoriuscita dal sistema
produttivo di tipo manifatturiero e di prima delineazione di un regime internazionale
della competizione industriale, nasceva l’esigenza di configurare un utopico ideale di
azienda strutturalmente e funzionalmente standardizzata , riconducibile ad un modello
unitario e pianificato, e come tale, riproducibile.
L’analisi tayloristica evidenziava preventivamente tre cause fondamentali
dell’inefficienza produttiva in:
- l’errata concezione negli operai che l’aumento della produzione generi la
diminuzione dell’occupazione;
- la scarsa organizzazione del lavoro;
- l’andamento empirico ed intuitivo delle procedure lavorative e la scarsa
innovazione.
Finalità dell’organizzazione scientifica del lavoro (OSL) erano dall’autore
sinteticamente indicate nel senso di:
3 Caratterizzata da forte innovazione tecnologica, specializzazione delle macchine delle funzioni dei lavoratori, crescita
quantitativa dei complessi industriali, presenza di forza lavoro non qualificata e votata alla mobilità, tendenza espansiva
dei mercati, ecc.
7
- riduzione del costo del lavoro;
- incremento della produttività;
- aumentare i salari.
Taylor sosteneva, sostanzialmente, la validità di alcuni semplici principi che possono
essere riassunti come segue:
1. far slittare tutta la responsabilità relativa all’organizzazione del lavoro dal
lavoratore al dirigente; i dirigenti dovrebbero essere gli unici a preoccuparsi
della pianificazione e della progettazione del lavoro, lasciando agli operai la
sola realizzazione pratica. In questo modo la progettazione e l’esecuzione del
lavoro sono nettamente distinte
4
.
2. Usare metodi scientifici per individuare il modo più efficiente di fare il lavoro;
la mansione dell’operaio deve essere progettata di conseguenza, specificando
dettagliatamente come il lavoro deve venir fatto;
3. Selezionare la persona più adatta per espletare la mansione così progettata;
4. Addestrare l’operaio a fare il lavoro in maniera efficiente;
5. Ricerca del consenso e superamento del conflitto tra dirigenza e lavoratori,
attraverso una cordiale collaborazione, condizione che per Taylor renderebbe
inutile l’associazionismo sindacale.
6. Tenere sotto controllo la produttività dell’operaio per assicurarsi che vengano
rispettate le procedure lavorative predeterminate e che vengano ottenuti risultati
adeguati.
Nell’applicazione di questi principi Taylor promosse l’impiego dello studio dei “tempi
e dei metodi”, inteso come mezzo per analizzare e standardizzare le attività lavorative.
Il suo approccio scientifico richiedeva che anche la più semplice e ripetitiva delle
operazioni venisse osservata nel dettaglio e venisse misurata con la massima
precisione allo scopo di trovare la modalità realizzativa più efficiente.
Il modello aziendale indicato da Taylor, consisteva pertanto nell’adozione di una
conduzione programmata e controllata dei processi di produzione, definita come
controllo statistico dei processi produttivi, sulla base di alcune assunzioni:
4 I lavoratori non sono più che delle semplici mani, o semplice “mano d’opera”; significativa risulta una frase che piaceva
molto a Taylor e che ripeteva spesso ai suoi operai: “Voi non dovete pensare; nell’azienda ci sono altre persone pagate
per farlo”.
8
a. Assunzione di un modello di processo e di prodotto (la specifica);
b. osservazione, analisi e cronometraggio dei movimenti dei lavoratori;
c. precisa misurazione del costo di lavoro di ogni operazione;
d. adozione di norme organizzative e procedurali riferite a quel computo.
Ciò condusse alla ricerca di sistemi di lavoro programmati, ordinati a standars o
obiettivi e ad incentivi per il loro raggiungimento, avendo lo scopo di migliorare
l’efficienza del lavoratore e degli impianti, mediante l’innovazione tecnologica,
l’efficacia dei sistemi produttivi e di manutenzione, la divisione del lavoro,
l’organizzazione del flusso del lavoro, l’individuazione di standards di efficienza, i
sistemi di controllo, in definitiva il controllo della ragione in luogo dell’abitudine nella
conduzione aziendale.
A sostegno di questo modelli organizzativo vi era l’assunto delle cosiddette teorie
neoclassiche caratterizzate dalla visione utilitaristica dell’attore economico: un
soggetto che agisce razionalmente perseguendo la massimizzazione della propria
utilità.
La fabbrica taylorizzata prevedeva una strutturazione fortemente gerarchica data da
una frammentazione verticale tra il livello della dirigenza, quello intermedio che era
responsabile dell’analisi dettagliata delle procedure lavorative ed il piano più basso.
destinato alla esecuzione materiale del lavoro.
Butera
5
attua un’analisi del modello meccanico ed organico dell’organizzazione (come
vedremo meglio più avanti) e spiega nella sua opera il passaggio che sta avvenendo
dall’organizzazione meccanica a quella organica.
“Secondo il modello “meccanico” una buona organizzazione è quella in cui funzioni,
compiti, strutture organizzative, mansioni, procedure, processi sono massimamente
specificati e razionalmente interconnessi attraverso un piano preordinato, allo scopo di
assicurare la massima efficienza globale e la massima prevedibilità e governabilità
delle singole parti”
6
.
5 Cfr. Butera F., Il castello e la rete, Franco Angeli, Milano, 1990.
6 Ibidem, pag. 97.
9
Ciò che non rientra in questo modello di “orologio” viene classificato come
organizzazione informale o come residuo “non ancora” razionalizzato di forme
organizzative precedenti.
I principi dell’organizzazione meccanica sono dunque:
- massima specificazione e formalizzazione degli elementi
dell’organizzazione (organigrammi, job descriptions, procedure dettagliate);
- responsabilità e autorità chiaramente definite delegate o controllate
attraverso la linea gerarchica;
- mantenimento del sistema e innovazione assegnati allo staff; coordinamento
e trasformazione assegnati alla linea;
- controllo per programmi e procedure;
- definizione dei confini organizzativi per livello gerarchico, tecnologia,
territorio, tempo, al fine di ottimizzare le risorse interne e il controllo;
- elevata divisione del lavoro (forte demarcazione delle mansioni, separazione
tra ideazione, controllo ed esecuzione, parcellizzazione del lavoro
esecutivo);
- mercato del lavoro aziendale basato sulle mansioni svolte; separazione tra
mercato del lavoro delle organizzazioni produttive ed altri mercati del
lavoro;
- separazione fra posizione/mansione e persone;
- cultura della dipendenza e dell’esecuzione;
- relazioni industriali di tipo antagonistico;
- gli uomini sono considerati parti di ricambio dell’organizzazione.
I primi sintomi di crisi della grande impresa meccanica e delle teorie che l’hanno
sostenuta si avvertono negli anni Settanta in tutto il mondo sviluppato.
L’irrompere della complessità ha provocato una crisi crescente del modello meccanico
delle organizzazioni e della corrispondente concezione fordista-taylorista del lavoro, è
emerso un nuovo paradigma organizzativo e si sono diffuse nuove concezioni del
lavoro ad esso legate. La globalizzazione dei mercati e l’introduzione delle nuove
tecnologie hanno reso l'economia instabile determinando un repentino aumento della
competizione: quando la competizione si intensifica e le sole innovazioni tecnologiche
10
non sono più sufficienti per reggere il passo dell’economia globale, sono richieste
maggiori capacità produttive flessibili, le strategie manageriali di innovazione
nell’organizzazione del lavoro puntano sui nuovi obiettivi (oltre all’efficienza) di
efficacia, qualità e flessibilità
7
.
L’ambiente esterno diventa sempre meno prevedibile e presenta caratteristiche di forte
turbolenza e dinamicità. I cicli di vita dei prodotti e dei processi produttivi e
tecnologici si accorciano e risulta sempre più difficile fare previsioni sugli scenari
futuri. La “flessibilità” diviene lo strumento chiave per trasformare l’incertezza
economica da fattore di rischio ad elemento di vantaggio competitivo.
Il modello “meccanico” di organizzazione si rivela insufficiente ed inadeguato nel
leggere e tradurre operativamente il mutamento in atto e cede il posto ad un modello
definito “organico”.
Nel dibattito, allo scopo di segnalare tale cesura, tende a prevalere l’uso del termine
post-fordismo, ma tante altre sono le etichette che diversi autori utilizzano nelle loro
opere: società dell’informazione; network society; società della conoscenza; service
economy, new economy, e così via.
Devo premettere che ogni tentativo di leggere la realtà sociale ed i processi storici
attraverso modelli dicotomici o dualismi schematici, può risultare riduttivo ed
insoddisfacente; tuttavia, enfatizzando la coerenza di tendenze assai più ambigue e
contradditorie, risulta possibile scorgere ed interpretare passaggi e trasformazioni
effettivamente in atto, pur rimanendo consapevoli che il significato loro attribuito è
una proprietà dell’osservatore e non degli eventi in sé.
La discontinuità del modello post-fordista rispetto all’assetto precedente non è però
riconducibile soltanto al sistema di produzione, ad un insieme più complessivo di
dimensioni sociali, culturali, economiche e politiche, il cui mutamento è rinvenibile sia
sulla scala delle dinamiche macro-sociali (accelerazione del processo di compressione
spazio-temporale, intensificazione del carattere planetario delle filiere produttive), sia
su quella delle pratiche di vita quotidiana in cui tali dinamiche entrano in interazione
con l’esperienza soggettiva di tutti noi.
7 Cfr. Bufera F., L’orologio e l’organismo, 1984, Franco Angeli.