introdurremo le principali considerazioni delle due scuole che, da più di cinquant’anni, dibattono
questo tema.
A partire dalla terza parte ci interesseremo soltanto del nostro Paese: ne analizzeremo la
produzione, i consumi nei settori strategici e per la produzione elettrica, le importazioni e gli
stoccaggi di gas.
Nella quarta analizzeremo il complesso risiko di gasdotti che ci congiungono ai nostri fornitori:
tracciati, capacità di trasporto, potenziamenti futuri.
La quinta parte sarà dedicata ai trend futuri degli elementi individuati nella terza, per capire come la
situazione italiana si evolverà nell’arco dei prossimi dieci, quindici anni.
Dotati degli strumenti necessari e consapevoli dell’oggettiva situazione italiana, nella sesta parte,
esamineremo gli elementi di rischio caratteristici del settore metanifero. Scopriremo così per quali
fattori l’Italia è in una situazione di insicurezza, se potranno esserci modifiche nel prossimo futuro e
verso quali prospettive.
Per garantire un elemento di oggettività faremo ricorso a dati e previsioni di importanti centri di
studi. Numerosi saranno i riferimenti alle principali pubblicazioni del settore, come il World Energy
Outlook (IEA 2006), l’International Energy Outlook (IEA 2007), il World Energy Assessment
(IIASA 2007); il World Oil and Gas Review (ENI 2008); il Key World Energy Statistics (IEA
2007); la British Petroleum Statistical Review of World Energy (BP 2007); i documenti ufficiali del
nostro Ministero dello Sviluppo Economico (MSV 200) e dell’Autorità per l’Energia Elettrica e il
Gas (AEEG 2007).
Data la molteplicità delle fonti i dati saranno confrontati e, qualora fossero presenti sostanziali
differenze, esse saranno poste all’attenzione del lettore.
1 IL CONCETTO STRATEGICO DI SICUREZZA ENERGETICA.
1.1 Fra sicurezza ed energia.
Il concetto di sicurezza, pur essendo elemento centrale per spiegare il comportamento degli Stati,
non è stato per molto tempo oggetto di un esame approfondito e specifico (Arielli-Scotto 2003,
125). Barry Buzan (1990) individua almeno cinque dimensioni differenti del concetto di
“sicurezza”: militare, afferente alla fase difensiva e offensiva nel conflitto bellico; politica, circa la
stabilità degli Stati; economica; sociale; ambientale. La sicurezza energetica riguarda
sostanzialmente tutte e cinque le dimensioni, ma da esse non è interamente assorbita, tanto da far
pensare che dovrebbe essere introdotta come una dimensione indipendente.
Umberto Gori (2004, 154) definisce il termine sicurezza tout court come “assenza di minaccia ai
valori fondamentali e assenza di paura che tali valori possano essere minacciati”: è facile capire
come essa possa essere ben utilizzata per spiegare una problematica che riguardi il settore
energetico.
Nel caso dell’energia il “valore fondamentale” in gioco è quello tutto materialistico del
mantenimento e del miglioramento delle condizioni di benessere esistenti, la volontà di non dover
temere per il cessare di tali benefici raggiunti e, magari, provare ad incrementarli.
L’idea di dover dipendere da altri Paesi è avvertito, anche in questo settore, come una minaccia1.
Per questo gli Stati cercano di fare ricorso alle risorse disponibili sul proprio territorio. Qualora
queste non siano sufficienti si fa ricorso alle importazioni: vedremo come l’interesse degli Stati
vado verso quei fornitori che possano dare loro la maggior sicurezza ed affidabilità.
1
“Maggiore è la dipendenza di un stato dagli altri, minore è la sua capacità di influenza, e più è costretto a considerare i
modi in cui la sua decisone influenza il suo accesso ai rifornimenti o ai mercati dai quali può dipender eil proprio
benessere o la propria sopravvivenza” (Waltz, 1979, ed. ita. p. 284-285) .
1.2 Una definizione esaustiva.
Possiamo scegliere come definizione di “sicurezza energetica” quella contenuta nel World Energy
Assessment delle Nazioni Unite che recita: “la disponibilità di energia in ogni momento nelle varie
forme richieste, in quantità sufficiente, a prezzi sostenibili”, coincidente alle definizioni fornite da
altri autori (Yergin 2006; Rasi 2007, Haghighi 2007, p. 10).
Questa definizione si compone dunque di varie parti:
- “disponibilità”: l’energia deve essere disponibile;
- “ in ogni momento”: deve essere utilizzabile in qualsiasi momento in cui necessita;
- “nelle varie forme richieste”: le risorse devono essere disponibili nella forma necessaria agli
utilizzi che sono richiesti;
- “in quantità sufficienti”: la disponibilità di energia deve essere sufficiente a soddisfare la
domanda;
- “a prezzi sostenibili”: il beneficio che si trae dal consumo di energia deve essere superiore al
costo che occorre sostenere per produrla. Nel mondo Occidentale “il valore d’uso
dell’energia per la collettività è normalmente superiore (e di molto) al suo costo di
produzione” (Goldoni 2007, p.29). Nel caso dell’energia elettrica il rapporto tra valore
d’uso, misurato al costo per la mancata erogazione del kWh e il costo di produzione è stato
stimato quasi 100 a 1 (ibidem).
Proprio sulla questione dei prezzi si è aperto un dibattito. Secondo alcuni (Stagnaro 2007, 44) la
volatilità dei prezzi rappresenta un fattore di sicurezza poiché garantisce che le risorse saranno
accessibili purché si sia disposti a pagarne il prezzo. Questo appare criticabile, almeno analizzando
le pronte reazioni di alcuni Stati di fronte agli shock dei prezzi delle risorse energetiche. Gli Stati
non si sono dimostrati indifferenti, e hanno cercato di trovare risposte per soddisfare le loro
esigenze.
Al termine della crisi petrolifera determinata, nell’ottobre del 1973, dalla guerra dello Yom Kippur
(il “primo shock energetico”), la Francia di Chirac lanciò il “piano nucleare” per costruire 50
centrali e non dover più dipendere da quell’area così instabile; il Congresso americano approvò il
“Project Indipendence” di Nixon nel 1974 e l’ “Independence Act” di Ford nel 1975, cercando di
raggiungere uno dei veri “american dreams”: l’indipendenza energetica; tutti gli stati
sovvenzionarono i propri settori di “Research e Development”, al fine di trovare modi alternativi di
produzione energetica.
A fronte dell’attuale crisi dei prezzi (vedi 1.4) nessun Paese è stato in grado di reagire
efficacemente: il nuovo paradigma, sintetizzabile in “privatizzazione-liberalizzazione-concorrenza”
si sta dimostrando infruttuoso (Goldoni 2007, Clǒ 2008). La domanda interna incurante degli alti
prezzi, continua ad aumentare, la produzione nazionale a scendere e, nonostante i finanziamenti che
sono stati elargiti, non decolla l’utilizzo delle energie alternative.
1.3 La valenza strategica dell’energia.
L’energia è l’unica risorsa in grado di far sì che tutto ciò che dall’uomo è stato creato possa
continuare ad essere usato. È, utilizzando le parole di un grande analista economico, “il limite
chiave per la disponibilità di tutte le altre risorse” (Simon 1996, p. 49).
Esiste una relazione diretta fra accesso all’energia e reddito pro capite di una Nazione: i Paesi più
ricchi sono quelli in cui la disponibilità di energia è più diffusa (figura n. 1).
FIGURA n. 1.
LEGAME TRA ACCESSO ALL’ ELETTRICITA’ E RICCHEZZA DEI PAESI.
Fonte: WB (2006).
Gli Stati già da un secolo hanno capito l’importanza strategica dell’energia. Winston Churchill in un
suo celebre discorso del 1913 (Clǒ 2008, p. 152) ebbe a sostenere: “se non disporremo di petrolio
non potremo disporre di grano, cotone e mille e una materia prima necessarie alla preservazione
della forza economica della Gran Bretagna”. Benché il petrolio non sia più l’unica possibile fonte di
energia e le esigenze siano sensibilmente aumentate, lo stesso principio è tuttora valido.
La grande attenzione attuale è dimostrata dal fatto che un intero G8, quello di San Pietroburgo del
2006, è stato dedicato alla sicurezza energetica. Con gran cerimoniere il Presidente Putin, colui che
fa della politica energetica un mezzo della sua nuova (e aggressiva) politica estera, i Paesi più
industrializzati del mondo2 non sono riusciti ad esprimere soluzioni concrete, ma solo slogan e
dichiarazioni di buoni intenti.
Dell’importanza del tema si stanno rendendo conto anche le opinioni pubbliche: un sondaggio
voluto dalla Commissione dell’Unione Europea (Eurobarometer 2007) testimonia che in campo
energetico i cittadini pongono come priorità il livello dei prezzi (45 per cento degli intervistati), ma
anche quello della sicurezza degli approvvigionamenti (il 35 per cento).
La sicurezza energetica è, quindi, considerato dai governi come un elemento imprescindibile della
sicurezza di uno Stato. Ciò vale tanto per quei Paesi in cui lo Stato controlla direttamente il settore
degli idrocarburi che per quelli in cui si è deciso di liberalizzare (capi. 1.4). Eclatante il caso della
UNOCAL, media compagnia petrolifera statunitense, che, per “questioni strategiche” e con
l’appoggio del Congresso e della Casa Bianca, è stata acquistata dalla Chevron ad un prezzo
inferiore rispetto a quello che la CNOOC, azienda cinese, era disposta a pagare (Corazza 2008, pag.
47; Stagnaro 2008, pag.146).
1.4 L’evoluzione storica della sicurezza energetica e le nuove caratteristiche.
E’ con “il petrolio che l’energia cessa di essere un fatto essenzialmente economico e diventa motivo
e arena di scontro tra Stati, tra imprese, tra gli uni e gli altri” (Clǒ 2008, p. 154). Per tutta la prima
metà del secolo la sicurezza energetica era stata affrontata come “bene pubblico”, ovvero come
elemento imprescindibile della sovranità statale. Per ottenere tale sicurezza i Governi erano pronti a
pagare qualsiasi prezzo, anche di carattere militare.
Negli ultimi trent’anni l’essenza stessa di sicurezza energetica ha subito delle modifiche, cessando
di fare perno sul principio del rapporto di potenza classicamente inteso.
Questa evoluzione è corsa parallela alla ridefinizione della concezione stessa di conflitto che ha
assunto, almeno nella maggioranza dei Paesi Occidentali, una connotazione negativa e contraria ad
ogni principio etico. Nel momento in cui nelle aree esportatrici di risorse fossili energetiche si
andava diffondendo uno spirito irredentista e nazionalista, Stati Uniti ed Europa, ovvero i Paesi più
dipendenti dalle risorse di quelle zone, si trovarono in una nuova condizione. Abituati a prendere
con la forza ciò che non veniva loro concesso, si trovarono di fronte un’opinione pubblica ostile,
2
Benché l’esclusione delle nuove potenze emergenti, Cina e India, renda tali vertici sempre più obsoleti e inefficaci alla
creazione di possibili nuovi regimi internazionali.
pronta a contrastare azioni violente (Pedde 2003). Utilizzando note categorie concettuali (Nye
2004), potremmo dire che l’Occidente si trovò impossibilitato ad usare la consueta carta dell’ “hard
power”, in un momento in cui quella del “soft power” non si era ancora nemmeno pensato di
inserirla nel mazzo.
La scelta tattica alternativa fu quella di puntare sulle risorse interne, fino a riuscire a produrre negli
Usa e nel Mar del Nord, il 22,5 per cento del petrolio mondiale, per far intendere ai Paesi produttori
che l’Occidente avrebbe potuto sostenersi anche senza il loro apporto.
Come del resto già Winston Churchill aveva preconizzato: “la sicurezza e la certezza del petrolio
stanno nella varietà e nella varietà soltanto” (Stagnaro 2008, p. 15). La nuova strategia diventò
quella della diversificazione. Contemporaneamente, seguendo un classico schema di divide et
impera, l’Occidente iniziò un’azione eminentemente politica, tesa a scardinare la coesione dell’
OPEC3.
In un decennio il problema era risolto, i Paesi mediorientali avevano ripreso la produzione, dando
inizio ad un’epoca di relativa pace internazionale4, di ampia disponibilità di risorse e di bassi prezzi.
A posteriori dovremmo giudicare tale periodo come eccessivamente positivo: oggi infatti scontiamo
il prezzo di quella sostanziale assenza di investimenti. Ci si convinse così che le cause strutturali
per altre crisi energetiche fossero venute meno, rendendo oramai inutile il controllo statale sul
mercato dell’energia.
Con la presunzione che l’energia avesse le stesse caratteristiche di ogni altra merce o servizio, si
iniziò in Occidente una politica di privatizzazione del settore energetico. Affidarsi al mercato
sembrava il miglior modo per rispondere a quella che era diventata la nuova “mission” dello Stato:
garantire mercati liberi, concorrenziali che, proprio per questo, sarebbero stati anche sicuri.
Questa concezione di sicurezza energetica venne stravolta agli inizi del nuovo Millennio, per due
ordini di ragioni: una politica, legata alla decisione americana di ristabilire direttamente il controllo
sulle risorse mediorientali, e una economica, dovuta ad un aumento dei prezzi che né le Banche
Centrali, né i governi riuscirono a spiegarsi (Clǒ 2008, p. 157).
Come in passato la nuova crisi vede le proprie radici nei fondamentali reali del mercato, ma diverse
risposte: allora prevalentemente pubbliche, oggi affidate al privato.
La coscienza di tale impreparazione ha fatto sì che la questione energetica tornasse ad essere, come
nella prima parte del secolo ventesimo, una questione eminentemente politica.
3
L’OPEC è un cartello formato da 14 Paesi possidenti di quasi il 75 per cento delle risorse mondiali. È stata fondata nel
1960, al fine di concordare le quantità e i prezzi della risorsa, ed è, a tuttoggi, attiva
4
Eccezion fatta per l’invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein, nel 1990, cui fece seguito l’intervento del più
grande esercito mai messo in piedi dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.